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EUROPA EUROPA/Direttiva europea, accessibilità “americana”: la Freedom Guide dell’EDF e l’abbattimento delle barriere, in senso esteso

Lo scorso 29 febbraio, l’European Disability Forum (EDF), organismo di rappresentanza delle associazioni di persone con disabilità a livello europeo, ha presentato a Bruxelles la propria Freedom Guide, esito e tassello essenziale della campagna in corso “Freedom of Movement” a favore di una legislazione vincolante per l’abbattimento delle barriere incontrate dalle persone con disabilità. La campagna, avviata nel 2011, si collega strettamente all’applicazione della Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, che la UE ha ratificato (insieme a diversi Stati membri) il 23 dicembre 2010, e si propone di giungere all’adozione di una Direttiva europea unica sull’accessibilità, di una Carta Europea per la Mobilità e di un rapporto sulla libertà di movimento che il movimento della disabilità dovrebbe elaborare annualmente.

Lo spirito della Freedom Guide è riassunto nella prefazione del Presidente EDF Yannis Vardakastanis: la libertà di movimento tra gli Stati è da decenni “uno dei pilastri della costruzione europea”, ma “80 milioni di cittadini europei – le persone con disabilità – non possono ancora godere appieno di queste libertà a causa di una serie di barriere. Questo non solo ostacola il progresso verso le pari opportunità per tali persone e per le loro famiglie, ma è anche un’opportunità di mercato perduta”. La guida, scaricabile insieme a diversi altri materiali della campagna nella sezione dedicata del sito www.edf-feph.org, riflette due aspetti caratterizzanti dell’approccio adottato dall’EDF: una concezione estesa di accessibilità, che include il superamento di barriere immateriali (ad esempio quelle che impediscono a un cittadino con disabilità che si sposta in un altro Stato UE di fruire di forme di assistenza comparabili) tanto quanto di quelle fisiche, e il coinvolgimento a tale scopo di soggetti differenti, dalle istituzioni pubbliche agli operatori di mercato e alla società civile. Nel testo della guida, le segnalazioni “dal basso” di buone o (più spesso) cattive pratiche nei diversi Paesi europei si alternano a proposte tecniche e politiche per l’abbattimento delle barriere in vari campi, dagli oggetti di uso comune ai trasporti pubblici e alle tecnologie informatiche.

Per approfondire il significato della campagna, e i suoi effetti sul percorso verso una Direttiva UE sull’accessibilità che si riveli pervasiva ed efficace, abbiamo intervistato Giampiero Griffo, membro del Board dell’EDF in rappresentanza del Forum italiano sulla disabilità. 

Da quale esigenza è nata e come si è svolta la campagna sulla libertà di movimento che ha condotto alla Freedom Guide?

La strategia della Commissione Europea sulla disabilità identifica 8 punti prioritari su cui lavorare, cui corrisponde una serie di iniziative, e tra questi 8 punti ci sono le “accessibilità” in senso lato. La Commissione lavora da anni per garantire l’accessibilità in alcuni servizi di mercato, come trasporti, siti web e beni elettronici, e negli appalti pubblici, e nel 2012 l’impegno è per una Direttiva o comunque un provvedimento legislativo sull’accessibilità. 

L’anno scorso l’EDF ha valutato di sostenere questa opportunità con una campagna europea di sensibilizzazione, perché non è detto che la Direttiva risponda ai nostri desideri; abbiamo cominciato promuovendo un’iniziativa per conseguire una Carta Europea Unificata per la Mobilità, un provvedimento che garantirebbe l’unificazione dei servizi utili alla mobilità transfrontaliera dei cittadini europei con disabilità (riduzioni sui treni, servizi di accoglienza…), come il contrassegno unificato – che l’Italia non ha ancora messo in atto – garantisce la libertà di parcheggiare in tutti gli Stati dell’UE. Dal momento però che su questo tema ci è sembrato che l’iniziativa della UE fosse troppo debole, abbiamo deciso di fare una campagna sul tema dell’accessibilità in senso lato, e nello stesso tempo di lavorare per una Direttiva che sia la più onnicomprensiva possibile, nel rispetto delle competenze della Commissione Europea, per dare realmente un cambiamento di condizione agli 80 milioni di persone con disabilità in Europa.

Nella Freedom Guide si pone l’accessibilità come una questione di “libertà”, prima di o insieme a una di “diritti”. Quale significato ha questo cambio di prospettiva?

Qui tocchiamo un punto caldo, sviluppato negli anni dall’EDF: i cittadini europei con disabilità non hanno uno dei diritti fondamentali previsti dai Trattati, quello di muoversi sui territori della UE. Nei 27 Paesi membri, oltre ai problemi di accessibilità fisica, c’è un problema legato alla diversità dei servizi di welfare tra Stato e Stato; perciò, mentre ai lavoratori sono garantiti tutti i movimenti possibili all’interno dell’Unione, per le persone con disabilità le barriere e le discriminazioni sono tante. Il vulnus di non essere cittadini europei a pieno titolo rafforza le nostre richieste, che non sono di attenzione da parte di una minoranza, ma di cittadinanza piena al pari degli altri.

Da quando la Commissione Europea ha ratificato la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, la connessione al tema dei diritti umani è divenuta ancora più forte. La libertà di movimento corrisponde all’art. 20 della Convenzione, la libertà e l’indipendenza all’art. 19, l’art. 9 parla di accessibilità in senso lato, come l’art. 3 nei principi di base della Convenzione. È evidente che l’insieme di queste componenti, in gran parte di competenza della Commissione Europea per quel che riguarda il mercato, è per noi fondamentale. Con la ratifica la Convenzione è diventata legge europea, e deve essere applicata.

La Freedom Guide raccoglie contributi e opinioni da diversi soggetti, non solo dal mondo della disabilità e del sociale ma anche da quello del mercato e delle istituzioni. Perché per voi è stato importante “allargare il campo”?

Fino a prima della Convenzione ONU, il problema era fare riconoscere i diritti, e l’EDF lottava per questo riconoscimento; oggi che la Convenzione è stata ratificata da 111 Paesi, di cui 20 membri della UE e 31 in Europa, i diritti non vanno più rivendicati, ma vanno applicati, e questa applicazione la dobbiamo sviluppare non solo con le istituzioni, ma anche con la società civile e le associazioni, che devono essere sensibilizzate per costruire percorsi di inclusione. Ancora oggi le persone con disabilità non sono considerate parte della società, ma una specie di appendice, e in Italia come in altri Paesi i fondi del welfare sono i primi a essere tagliati, così che i diritti non sono tutelati e anzi li si riduce. Questo percorso richiede quindi alleanze, e questa è la scelta che emerge anche nella modalità di costruzione nella guida – favorire la percezione che il problema non è settoriale, ma si allarga a competenze di vario tipo in diverse aree della società.

Il tema della disabilità ormai ha superato la logica della “nicchia”: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sottolineato che 1 miliardo di persone, il 15% dei 7 miliardi di abitanti della Terra, ha oggi una disabilità, ma se andiamo a leggere la condizione di tutto il genere umano nell’arco di una vita, tutti vivono condizioni di disabilità. L’accessibilità è quindi un tema strategico, e se non lo si affronta si rischia che l’intera società continuerà a incontrare barriere nell’arco della propria vita.

La non-accessibilità spesso nella Freedom Guide viene descritta come una “opportunità di mercato perduta”; ci possono però essere casi in cui il costo aggiuntivo necessario per un prodotto o un servizio accessibile supera le opportunità di mercato che esso apre.

Abbiamo discusso su questo tema, e la nostra proposta all’Unione Europea è costruire un modello di tutela simile all’American Disability Act, che ha introdotto il principio di non discriminazione all’interno delle aziende, nell’offerta dei prodotti. Prendiamo l’esempio delle tastiere per computer, che sul mercato hanno un certo costo ma, quando richiedono una personalizzazione per una particolare esigenza, possono avere un costo anche 10 volte superiore: ebbene, negli USA non è possibile che la tastiera personalizzata costi più di quella ordinaria, e i costi aggiuntivi vengono “spalmati” su tutte le tastiere, garantendo, con pochi centesimi di dollaro in più per tutti, che l’utente che va a comprare la tastiera personalizzata abbia lo stesso trattamento rispetto agli altri. È una procedura che vogliamo introdurre, visto che la competenza sulla discriminazione è tutta dell’Unione Europea, e siccome stiamo lavorando ai vari livelli di una Direttiva che nella logica UE è prevalentemente legata ai beni e servizi offerti nel mercato, questo è un classico esempio di come la discriminazione sul campo dei costi possa essere evitata con uno strumento di tutela. Esistono già, del resto, esperienze di questo tipo: ad esempio, i servizi di accoglienza e accompagnamento negli aeroporti vengono finanziati dalle tasse aeroportuali, che tutti pagano per coprire i servizi dedicati ai viaggiatori con disabilità o mobilità ridotta, senza che questi abbiano costi aggiuntivi. Sarebbe ingiusto e paradossale che oltre a incontrare ostacoli e barriere creati dalla società dovessimo accollarci anche i costi della loro rimozione.

Oltre a questa, quali altri buone prassi può trarre l’Unione Europea dall’esperienza degli Stati Uniti?

Con la legge antidiscriminatoria, in America, nel giro di 15 anni quasi il 100% dei servizi di trasporto è diventato accessibile, e la sua forte tutela (con previsione di risarcimenti elevati) nei servizi di ristorazione e alberghieri è stata sicuramente significativa per sensibilizzare chi opera in quei settori.

È evidente che questo approccio non riesce a coprire tutto, e il meccanismo di tutela previsto nella Convenzione è necessariamente individuale e dipende dalla volontà della persona, ma già in Italia, in questi ultimi anni, abbiamo potuto verificare che la conoscenza appropriata della situazione delle persone con disabilità in termini di rispetto dei loro diritti umani, da parte di avvocati e giudici, dà risultati significativi nelle sentenze recenti. A livello europeo questo è un po’ più complicato, perché bisogna prima passare per una sentenza in giudicato dello Stato membro per poter accedere alla Corte di Giustizia di Strasburgo, ma il principio è che oggettivamente, con questa impostazione, la violazione dei diritti umani è facilmente certificabile. Violazione dei diritti umani significa “trattamento differente senza giustificazione”, e oggi tecnologie, soluzioni e pratiche consentono di trovare la risposta a problemi di accessibilità, quindi non metterle in campo significa violare i diritti umani.

Qual è lo “stato dell’arte” nel percorso verso la Direttiva UE sull’accessibilità?

A fine febbraio si è chiusa la consultazione pubblica che la Commissione Europea ha promosso per raccogliere suggerimenti e proposte da singoli cittadini, associazioni della società civile e istituzioni. Agli inizi di marzo un Board dell’EDF ha discusso i punti essenziali che secondo noi dovrebbero essere contenuti nella Direttiva, e nello stesso tempo l’EDF ha presentato un proprio commento a un testo in circolazione, ma non ancora ufficiale, per mettere in campo una serie di elementi per arricchire e allargare il campo della tutela.

Nel campo della tutela dei consumatori all’interno del mercato, gli spazi ci sono; la possibilità di intervento con una regolamentazione standard che possa essere accettata da tutti i Paesi membri è più complicata, perché le legislazioni nazionali sono diverse e in alcuni Paesi sono addirittura assenti, e quindi l’armonizzazione dei meccanismi non sembra così facile. Allo stato attuale di prima bozza, comunque, la Direttiva introdurrebbe elementi di tutela molto interessanti, che prima non c’erano, e nello stesso tempo promuoverebbe una sensibilizzazione maggiore in chi deve applicare le norme – non solo le istituzioni, ma tutti gli attori del mercato.



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