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Lettere al direttore

Caro Claudio, mi chiamo Francesco Leone, ho 55 anni e sono un luogotenente in congedo dell’Arma del Carabinieri. A febbraio 2007 venni colpito da una tipologia di ictus che, sebbene in forma lieve, mi portò alla riforma per inidoneità al servizio.
Tenga presente che, dopo aver prestato servizio in varie località dell’Emilia Romagna e svolto missioni all’estero nell’ONU e nella NATO, ero stato destinato presso l’Ambasciata Italiana di  Buenos Aires. Il desiderio di impegnarmi nel sociale e lo spirito di avventura erano vivi in me fin da ragazzino e furono la molla che mi spinse all’arruolamento, proprio agli inizi degli “anni di piombo”, e mai si assopirono tanto che, superati ormai i 50 anni, aspettavo con trepidazione il trasferimento in Argentina per affrontare una nuova sfida.
Eppure fui ricoverato per alcuni giorni, in prognosi riservata, presso l’Ospedale di Forlì e, ben conscio di quanto mi stava accadendo e delle conseguenze che la patologia sofferta avrebbe comportato nella mia vita, rimasi comunque stupito quando il medico che mi ebbe in cura asserì testualmente: “i casi come il tuo sono rari, mi dispiace, sei stato sfortunato”.
Non riuscivo a capire con quale metro egli valutasse il termine “sfortuna” quando io ero in vita e non avevo subito gravi conseguenze. Col senno di poi, ho solo un rimpianto: immerso nella mia attività non aver provveduto a visite e cure mediche al primo insorgere di alcuni sintomi della patologia che ritenevo dovuti solo a “stress da lavoro”. Credo che, sebbene il Padreterno abbia per ognuno di noi un suo “progetto”, l’essere umano può, in determinati contesti e limiti, specialmente nelle piccole cose, prevenire e/o porre rimedio a eventi che gli possano creare danno. Mi lascio anche una valida giustificazione: ho pensato  agli altri e non a me!
Non mi sono infatti mai chiesto di chi fosse la colpa, né mi è mai passato per la testa di dare responsabilità a terzi, incluso Dio.
La colpa non è di nessuno. Questa è la vita! Mi ritengo fortunato, mi guardo sempre dietro vedendo situazioni umane e sociali molto peggiori delle mie e, sebbene sia un cattolico peccatore, ringrazio il Signore per avermi dato la possibilità di rimanere ancora al mondo, vicino ai miei cari.
Grazie per la sua disponibilità ad ascoltarmi!
Saluti,
Francesco Leone

Caro Francesco,
tanto per cominciare ti ringrazio di avermi scritto una lettera dove mi hai raccontato un pezzetto della tua storia.
Devo confessarti che quando ho letto la prima riga il pavimento sotto di me ha tremato e ho dovuto fare subito mente locale pensando se avessi mai commesso qualche furto o qualche frode o se, cosa più probabile, qualcuno mi avesse denunciato per offesa al pubblico decoro… Sai, in questi tempi nulla è scontato! Scherzi a parte, è quando ricevo lettere belle come la tua che ritrovo il senso del mio lavoro.
Ho un’altra confessione da farti. Nella mia vita, a dire il vero, ho avuto sul serio a che fare con l’arma, nel senso che anche mio padre era della polizia. Nelle tue parole così ho rivisto un po’ delle scene della mia infanzia, come per esempio il bel ricordo di mio padre che, pur essendo maresciallo di polizia, girava con la fondina vuota… A saperlo eravamo in pochi tant’è che dopo la sua morte non è stato facile trovarla per restituirla… L’aveva nascosta in un cassetto chiuso a chiave, di cui, ovviamente, nessuno era in possesso. Ma torniamo a noi. Sono d’accordo con te rispetto a quello che scrivi sul senso di colpa. Pur essendo un sentimento che può sorgere sul momento spontaneo non è imputabile né a te, né a nessun Altro. Quello che conta, caro Francesco, è proprio quello che hai fatto e stai facendo tu: reagire attraverso la vicinanza e la cura che per primo hai riservato ai tuoi cari. La qualità delle nostre relazioni è infatti il solo antidoto alle supposte “sfortune” che possono capitarci.
Che dire, grazie ancora per la tua testimonianza, la prossima volta però mi aspetto anche una bella barzelletta, ovviamente sui carabinieri!

Caro Claudio,
ho letto nel “Messaggero di Sant’Antonio”, il suo scritto “Na’ tazzutella  e caffè”.
Io, prendo il caffè, quasi sempre in tazzulella di vetro, perché  mi piace così.
Alcuna volte, lo prendo con tazzine uguali  a quelle nella foto..
Claudio, mi dispiace, non so molto bene scrivere in italiano. Sono una donna spagnola del nord, la mia cittá si chiama Santander.
Sto imparando un po’ l’italiano, é una lingua che mi piace moltissimo, é bella bella.
Tutti i mesi, ricevo la rivista. Sono molto felice, quando arriva alla mia casa.
Molte parole non le capisco, però con il mio dizionario spagnol-italiano , vado imparandolo..
Aspetto con molta impaziensia la rivista di aprile.
Un saluto bello, ragazzo.
Marián

Olè! Dalla Spagna con furore! Che bello, cara Marián, ricevere una lettera d’oltralpe! Quando sento parlare spagnolo mi vengono in mente due immagini, o meglio, due tonalità di rosso, quelle del mantello del torero nella corrida (dove spero sempre che il vincitore sia il toro) con le sue grida, polvere e schiamazzi e la maglietta rosso-blu del grande attaccante del Barcellona Messi, che mi emoziona sempre con i suoi stupefacenti e sempre creativi goal!
Chissà se anche Messi, negli spogliatoi, si gusterà il caffè in tazzine come le nostre… Sì, proprio quelle dell’uomo con i baffi…
Io da quando le ho comprate non riesco più a farne a meno, benché alla vista apparentemente scomode e imperfette. Ma, come già raccontavo nell’articolo che hai letto, è bastato poco per rendermi conto che in realtà era proprio la loro forma sbilenca a renderle così comode e simpatiche. Una piccola metafora, questa, che ho scelto di usare per suggerirvi un modo semplice e immediato per guardare alla disabilità e scoprire che anche l’imperfezione, se creativamente usata, può trasformarsi non solo in qualcosa di utile ma anche in qualcosa di bello, non in senso estetico ma in termini di peculiarità e originalità
La disabilità dunque ci costringe a fare un passaggio culturale in questa direzione, dalla cultura della bellezza a quella dell’originalità, dall’inutilità alla specificità.
Infine ho gustato il mio caffè, con due cucchiaini di zucchero, in una di quelle tazzine, imperfetta, di colore rosso acceso… e devo dire che era davvero delizioso!
Un giorno, spero, mi offrirai un bel caffè in una tazzina rosso-blu!



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