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LETTERE AL DIRETTORE/Risponde Claudio Imprudente

Caro Claudio,
credo che la vicenda di Oscar Pistorius abbia sconvolto tutti, ma credo anche possa essere lo spunto per una riflessione. Tutti noi conosciamo la sua storia, il suo coraggio, la sua determinazione, tutti lo consideravamo un eroe. Ed è proprio questo lo sbaglio: indipendentemente dal fatto che lui abbia ucciso volontariamente la sua fidanzata o che sia vera la sua versione, quella di un tragico errore, resta comunque il fatto che lui ha sbagliato, e questo è innegabile. Se anche alla fine del processo si scoprisse che è stata una terribile fatalità, ai nostri occhi lui non sarebbe più lo stesso di prima. Il fatto è che troppo spesso abbiamo dimenticato che erano solo le sue gambe a essere fatte di titanio, il suo corpo, il suo cuore, la sua anima non erano fatti di metallo indistruttibile. Tutti abbiamo sempre dimenticato che lui è un ragazzo normale, e purtroppo anche una vicenda così tragica entra nell’ambito della “normalità”. Quanti casi purtroppo simili a questo si sentono ogni giorno… Le persone diversamente abili non sono per forza migliori dei normodotati, ed è giusto così. Trattarli come eroi li rende comunque diversi dagli “altri”, è un modo differente di discriminarli, pretendendo da loro sempre la perfezione. Oltretutto la cosa più triste è che nessuno pensa alla giovanissima ragazza uccisa dall’uomo che amava, o all’atleta che aveva tutto e che in un attimo ha rovinato la sua vita, ognuno di noi in questo momento è solo concentrato nella delusione che il suo gesto ci ha provocato.  Ci siamo sentiti traditi, come se la sua colpa non fosse di aver tolto la vita a un essere umano, ma quella di averci distrutto un mito. Pensa quanto siamo egoisti… Anche quando sento le varie interviste a Bebe, la ragazzina che tira di scherma nonostante le abbiano amputato tutti e quattro gli arti, ogni tanto mi chiedo se sia giusto additarla come esempio. In fondo è solo una bambina… Se un giorno dovesse scoprirsi fragile e non avesse più voglia di lottare, cosa succederebbe? Riuscirebbe a capire l’immenso valore della sua vita, indipendentemente da quello che ha fatto e quello che farà in futuro, o penserà di poter essere amata solo finché rimarrà un esempio per gli altri? Ripeto, è solo una bambina… Se da una parte è ovvio e normale ammirarli, sono la prima a farlo, dall’altra mi chiedo se sia giusto caricarli di una responsabilità così grande.
Un abbraccio,
Elena

Cara Elena,
la tua è solo una delle decine di lettere e-mail che mi sono giunte sul “caso Pistorius”. Lettere indignate, di rabbia, di delusione e di sgomento, voci di persone normodotate o con disabilità che avevano “adottato” un mito, ora ridotto completamente in frantumi come una stella in polvere. Quanto è accaduto è in effetti terribile, e fa male a tutti, al mondo dello sport e della disabilità e in primis, non dimentichiamolo, a Reeva Steenkamp e alla sua famiglia. Non mi interessa ora sviscerare le ombre della tragedia in sé, perché ogni giorno escono nuove notizie, sviluppi veri e falsi, cronachette che più che d’informazione sanno di gossip di cattivo gusto. Quello che mi interessa, piuttosto, sono le conseguenze culturali di tale gesto.
Un mito, dunque. L’uomo che aveva superato il limite della disabilità, che, pur senza gambe, qualche mese fa aveva sfidato e superato a Londra gli uomini più veloci del mondo. Mi domando se non sia proprio qui il punto critico. Non intendo fare un’analisi psicologica, non ne sono capace, mi chiedo solo se, dopo aver combattuto e oltrepassato il confine del riscatto dalla disabilità, il nostro atleta non sia stato in grado di gestire e riconoscere a se stesso che un limite esiste e esisterà sempre, per tutti, folgorato da quello che oggi appare un vero e proprio delirio di onnipotenza.
Quanto pesa, in questo senso, la responsabilità di essere dei leader? L’onere di essere degli esempi, di essere sempre perfetti, è così duro da gestire?
Sopportare questo ruolo non è affatto facile, bisogna davvero, imparare a dosare le forze, altrimenti si rischia di soccombere.

Parlo per esperienza, il binomio onere-onore è una responsabilità che, nel mio piccolo, sento spesso anch’io in molte situazioni. Nelle attività scolastiche tanto per cominciare ma anche nei convegni, durante le interviste… In questi casi sento il “dovere” di ponderare i miei atteggiamenti, di sbagliare il meno possibile per il ruolo che rivesto non solo per me stesso ma anche e soprattutto per gli altri.
Pensaci Elena, il rischio con la disabilità è in fondo sempre lo stesso: o sei uno storpio da buttare giù dal monte Taigeto o sei quasi una divinità. D’altronde lo scrivi bene tu nella tua bella lettera e lo sapevano bene anche i Greci, che, nei banchi di scuola, ci hanno regalato a riguardo due esempi perfetti.  Edipo, zoppo e bandito dalla nascita in previsione della sua colpa incestuosa, e Tiresia, l’indovino cieco portatore della verità del Fato. L’importante, al solito, è estremizzare.
Il confine è come sempre sottile, quasi invisibile ma c’è ed è palpabile.
Claudio Imprudente



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