Sul grande schermo: Il body building che rafforza lo spirito
- Autore: Giulia Maccaferri, Mario Fulgaro
di Mario Fulgaro e Giulia Maccaferri
“La libertà, se l’ha dimenticato,
è il diritto dell’anima di respirare, e se
essa non può farlo le leggi sono cinte
troppo strette.
Senza libertà l’uomo è una sincope”. (Will)
Boston, un gruppo di ragazzi scapestrati, tante birre e la matematica. È questa la ricetta di Will Hunting – Genio ribelle, film uscito nel 1997 diretto dallo statunitense Gus Van Sant. 126 minuti di navigazione nell’universo di Will, il protagonista un po’ sbandato che finisce spesso nei guai con la legge. Solito film sul disagio giovanile? No. E qui entra in gioco il MIT, l’Università americana più prestigiosa nel campo delle scienze, dove Will lavora come tuttofare e dove ogni tanto si diverte a risolvere problemi matematici complicatissimi. In una di queste occasioni la sua genialità viene notata dal professore di matematica dell’Università, che – seppure incredulo – è deciso a non farsi scappare un simile talento. Ma dopo una nottata di eccessi (birre e alcool a gogò), Will viene arrestato e assegnato ai servizi sociali: per riscattare la pena deve seguire una terapia con uno psicologo che, su pressione del professor Lambeau, cercherà di aiutarlo a cambiare totalmente la sua vita. Tra alti e bassi, Will sembra non avere la tenacia e la determinazione di credere nel suo potenziale: ciò che lo aspetta nel futuro lo spaventa e si ostina a rifiutare l’aiuto di chi gli sta accanto. Nel corso del film, tuttavia, lo psicologo (interpretato da uno spettacolare Robin Williams) riesce a fargli cambiare idea, apre una breccia nella sua corazza e ne conquista la fiducia. Questa occasione, e la scelta di coglierla, porterà una svolta nella sua vita, facendogli capire che chiunque, a prescindere dal passato, merita una seconda opportunità.
Proprio il rapporto tra Will e lo psicologo è al centro di questa riflessione. In che modo ognuno dei protagonisti si è aperto all’altro? Lo psicologo, per primo, ha parlato di sé, del suo passato, del proprio vissuto, per scoprire legami in comune su cui imbastire un dialogo con Will. Uno degli aspetti salienti della vicenda è, infatti, il sapersi mettere a nudo di fronte agli altri.
“Io andavo spesso dallo psicologo e, nei vari incontri, ho provato a mettermi a nudo, ma non è stato facile perché aprirsi con persone sconosciute su problemi personali non è scontato”, racconta una nostra collega dopo la visione del film. “Anche io sono andato dalla psicologa ma non siamo mai riusciti ad avere fiducia l’uno nell’altra; eravamo molto distanti tra noi e non ci prendevamo bene”, un altro commento di chi ha osservato il film.
Una voce in controtendenza, invece, dichiarava che “nel film piace vedere come entrambi abbiano raggiunto il proprio obiettivo; nello psicologo c’è stata prima un’analisi introspettiva, in relazione allo studente, per poi cercare di instaurare un dialogo con quest’ultimo. Nello studente, invece, il processo è stato inverso; Will è stato prima protagonista di un inatteso incontro con lo psicologo, per poi cercare di metabolizzare tutto ciò che stava per lui emergendo involontariamente”.
I due diversi approcci possono essere presenti anche in un singolo soggetto che, a seconda delle circostanze, può vivere la propria condizione in modo introverso o estroverso, da osservatore passivo o incuriosito o, più ancora, critico e analitico. La cosa più importante non è stabilire previamente un iter cronologico di strategie da poter utilizzare per affrontare il mondo, perché tutto emerge in modo spontaneo e naturale. È sbagliato recriminare sulle scelte passate in base al proprio vissuto presente, poiché le scelte compiute hanno trovato la loro esatta collocazione in quel dato momento storico della propria esperienza di vita. Infatti, tutto ciò che sperimenta Will rispecchia, in modo diverso ma sostanzialmente uguale, le vicende di chiunque. La chiave di successo sta nel riuscire a mettersi in gioco e ad aprirsi quanto più possibile a 360 gradi, per abbracciare la vita in ogni suo minimo aspetto. Solo così si riesce a sentirsi parte integrante di un tutto “insieme” che ci circonda. Il mondo, la vita non devono apparire co- me altro da sé, motivo per sentirsi anche vittime sacrificali, ma parte integrante del proprio sentire e vivere. Sappiamo tutti che non è assolutamente facile raggiungere l’obiettivo di stare in pace con se stessi, e di conseguenza con gli altri, ma ci si può impegnare giorno dopo giorno per il conseguimento di questo obiettivo. È anche una questione di esercizio o di allenamento; il body building che rafforza lo spirito è attivo ogni giorno, in ogni istante.
Infine, per chi ama la musica ma anche per tutti gli altri, vi consigliamo di ascoltare un’artista che ha fatto di questa filosofia il leitmotiv di tutta la propria esistenza, Eddie Vedder, leader storico della band statunitense Pearl Jam. Buon ascolto!
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