Una noia (non) mortale
- Autore: Stefano Toschi
di Stefano Toschi
Recentemente è comparsa sul sito “Superabile” la notizia di una ragazza canadese, diciassettenne, che, essendo stata per sei mesi costretta a letto dopo il trapianto di un rene, si è inventata una “valigetta anti-noia”, che ha poi messo in produzione e venduto. Questa notizia mi ha incuriosito e mi ha fatto riflettere.
La noia – o meglio, la paura di annoiarsi – è, a mio avviso, una delle più gravi malattie del nostro tempo, almeno nel mondo occidentale. La noia – o la paura di essa – porta soprattutto i ragazzi, ma non solo, a commettere gesti assurdi, che comportano il rischio di morire, come è capitato a un ragazzino che, per un gioco stupido, per cui voleva fare un selfie con un treno in corsa, è finito per esserne travolto e ucciso. Oppure quelli che, “per noia”, rapinano o massacrano persone deboli.
La paura di annoiarsi può spingere persino al suicidio. Quando ho letto la notizia della valigetta, erano passati pochi giorni dal suicidio di dj Fabo e mi è venuto spontaneo collegare i due fatti.
A mio parere dj Fabo ha deciso di togliersi la vita non tanto per il dolore fisico, quanto perché, dopo due anni e mezzo di immobilità e cecità, non poteva più sopportare una vita così vuota: come cantava Franco Califano, per lui “tutto il resto è noia, no non ho detto gioia, ma noia, noia, noia”. Per lui il cambiamento era stato radicale e non è stato aiutato ad accettarlo e ad accettarsi per come era diventato. Nella sua intervista al programma televisivo “Le Iene”, dj Fabo sosteneva che per lui il dolore causato dalle contrazioni era insopportabile, tanto da spingerlo a desiderare la morte: io capisco che, per una persona non abituata al dolore, il dolore stesso può risultare insopportabile. Per me, che è da una vita che convivo con le contrazioni, esse fanno parte del mio vissuto. Quando ho le contrazioni chiedo al mio operatore di cambiarmi la posizione, non di togliermi la vita.
Ma la cosa che mi ha colpito di più, quando ho visto l’intervista, è stata la camera di dj Fabo tappezzata di foto della sua vita prima dell’incidente – e la sua compagna che spiegava che per lui la vita si è fermata in quel momento, come se in quasi tre anni non avesse più avuto nessun altro interesse vitale che potesse riportarlo ad aver voglia di vivere. Sembra quasi che non sia stato aiutato a cercare nuovi interessi che potessero sostituire quelli che non poteva più avere.
Questa mia impressione è stata rafforzata dalla lettura di un altro articolo apparso online su “Il Foglio” del primo marzo, in cui si dice che dj Fabo, dopo l’incidente, nonostante fosse stimolato a uscire di casa e a intraprendere nuove attività compatibili con la sua situazione, si era sempre rifiutato.
Io sono stato educato ad avere molti interessi, sia a livello intellettuale, sia a livello di socializzazione e posso garantire che la vita di una persona disabile non è affatto noiosa, anzi: proprio i problemi inevitabilmente connessi alle varie forme di disabilità, le sfide, le gioie e le soddisfazioni che ogni giorno incontro non mi permettono di annoiarmi. Mia madre diceva con ironia: “in questa casa non ci si annoia mai”. Come aveva ragione!
Il punto è che un po’ di noia può anche fare bene, perché è proprio nei momenti di vuoto che possiamo trovare l’ispirazione per risolvere i nostri problemi. In una vita troppo piena, con scadenze serrate e non prorogabili, non c’è il tempo per fermarsi a riflettere, per fare il punto della situazione e capire dove si vuole andare. La noia serve a liberare la mente, stimolando attenzione e creatività. I momenti di noia ci spingono a prendere in considerazione tutto ciò che abbiamo a portata di mano, per poi scegliere a cosa dedicarci. Nei periodi in cui crediamo di essere annoiati, il nostro cervello rielabora i pensieri inconsci per poi portarli all’attenzione della coscienza.
Sono diversi i pedagogisti che rivendicano per i bambini il “diritto alla noia”: in questi momenti, il bambino può essere se stesso e libero di sperimentare nuovi percorsi. Già per gli antichi, l’otium produceva l’arte e la letteratura ed era un momento essenziale di creatività nella vita delle persone di cultura. Il problema della “noia imposta” da circostanze esterne, dunque, non dovrebbe essere percepito – o fatto percepire – come un limite, ma come un’opportunità. Riempire vuoti a tutti i costi produce, spesso, un effetto contrario, un senso di solitudine e di abbandono.
La Noia di Moravia, così come La Nausea di Sartre, due capisaldi dell’esistenzialismo, ci spiegano l’inadeguatezza dei protagonisti di fronte ai cambiamenti della società, che fa perdere loro il rapporto con la propria identità. Come diceva una professoressa di Filosofia del liceo, la noia è sempre “colpa nostra”: il filosofo non può annoiarsi, perché basta a se stesso.
Certo, non è possibile che ognuno raggiunga un grado così alto di autoconsapevolezza. Tuttavia, siamo di fronte a un esercizio che tutti dovremmo praticare. Non a caso, i due romanzi citati sono figli di quell’esistenzialismo frutto di una perdita di fiducia in tutti i valori e che tenta, senza riuscirvi, di andare oltre il disperato nichilismo che ne deriva.
Ai giorni nostri, le cose non sono molto differenti. I giovani hanno tutto, eppure non hanno niente. Non sono in grado di superare quella noia tipica di chi non ha o non ha mai avuto ambizioni, aspirazioni, sogni, motivi per cui lottare. Per questo motivo, sperimentano spesso sostanze psicotrope, per evadere da una realtà cui non riescono ad appassionarsi. Genitori lasciati a se stessi nel loro difficile compito educativo, privi di reti familiari e sociali, pensano di compensare la noia dei figli riempiendoli di attività o, dove le finanze lo permettono, di regali, per sopperire a ben altre carenze affettive e relazionali. Quando tutto è lecito, consentito, ottenibile, tutto è noioso, facile, inutile. La sfida dell’esistenza non dovrebbe permettere la noia, soprattutto oggi, che le occasioni non mancano di certo.
Uno dei grandi “peccati capitali” del nostro tempo, che è l’accidia, deriva proprio dalla noia. Restiamo immobili di fronte al male, anche quando non lo compiamo direttamente, perché svuotati nell’incapacità di agire. Per questo, ognuno di noi dovrebbe sentirsi responsabile di quanto di male e di terribile accade oggi nel mondo: non per esserne artefice diretto, ma perché, nel nostro piccolo, non facciamo nulla per cambiare le cose. Basterebbe cominciare dalla nostra famiglia, dagli amici, dal vicinato: è più semplice, invece, nascondere la testa sotto la sabbia.
Questa è una conseguenza diretta della noia esistenziale che ci troviamo a combattere ogni giorno, che ci fa perdere di vista valori fondamentali della nostra humanitas, ci causa indifferenza verso i valori e verso la vita stessa, tanto da provare la “noia di vivere”, così tante volte analizzata dai filosofi. Come diceva Bergson, la noia è una forma di misura del tempo. Nella nostra cultura, sempre più legata al “qui ed ora” al “cogliere l’attimo”, il rigetto della noia è sempre più legato a una dimensione limitata e modesta di esistenze mediocri, bruciate prima possibile, senza prospettive. Per questo, vorrei essere d’esempio a tanti giovani annoiati dalla vita, a tanti disabili stanchi della propria condizione: la noia è una condizione che dipende solo da noi.
Non lasciamo sole queste persone annoiate della vita: diamo loro un motivo per sentirsi parte di un disegno più grande di loro, regaliamo loro la consapevolezza che ciascuno è importante.
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