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3. Buoni e cattivi. Esperienze di diversità per una cultura di pace

“Bambini di farina”, un laboratorio per bambini che ha collegato pane e diversità, mettendo al centro il racconto di alcune donne migranti con la preparazione del pane e l’incontro con la disabilità; le sperimentazioni Hip Hop con le classi multiculturali delle scuole medie Saffi del rione Pilastro; le esplorazioni del libro modificato nei simboli della CAA, di agile lettura anche per chi ancora non conosce l’italiano, il contatto con i volontari con del Servizio di Giustizia Minorile e con la compagnia teatrale Cantieri Meticci, gli scambi internazionali, con Serbia, Albania, Ucraina, Inghilterra, Spagna e il Brasile, i cineforum e le discussioni interne… Non sono mancate in questi anni le occasioni formative ideate e condivise che hanno ampliato su più livelli il raggio del nostro impegno volto al dialogo tra le culture.
Alcune di queste le potete incontrare sul blog del Progetto Calamaio (http://progettocalamaio.accaparlante.it), altre nella Biblioteca del Centro Documentazione Handicap di Bologna, altre ancora nel ricordo e nelle parole che non sono andate perdute.

3.1. Il tempo per pensare
“La maggior parte delle persone che conosco dicono di trovarsi in una ‘situazione di stallo’, nella più totale incapacità di inquadrare lucidamente la situazione.
Un modo per farlo potrebbe forse consistere nell’abbracciare una concezione trasversale del dolore, cercando di comprendere in che modo lavorino le metriche del lutto, cercando ad esempio di comprendere perché il bar mi colpisca al cuore in un modo che gli altri obiettivi sembrano invece non fare. La paura e la rabbia possono gettare con assoluta fierezza tra le braccia dello stato di polizia. Suppongo che sia questo il motivo per cui mi trovo meglio con chi si trova invece nella situazione di stallo. Ciò significa che si prendono del tempo per pensare. Ed è difficile pensare quando si è paralizzati dallo spavento. Ci vuole tempo per farlo, e qualcuno che sia disposto a farlo insieme a te – qualcosa che ha la possibilità di accadere, forse, in un rassemblement non autorizzato”.
Judith Butler, 13 novembre 2015

Lunedì 23 novembre 2015, a seguito dei tragici fatti del Bataclan che dieci giorni prima sconvolsero con un attentato a un concerto la città di Parigi e il mondo intero, negli spazi del Progetto Calamaio decidemmo che era venuto il tempo di fermarsi. Tirare il fiato, prenderci il tempo di una pausa, metterci insieme per pensare, condividere le sensazioni, il disorientamento. Qui il ricordo di quell’importante momento in cui per la prima volta abbiamo coniato il termine “cultura di pace” e nel nostro lavoro abbiamo riconosciuto il seme di una piccola, grande, risorsa.
Presenti: Sandra, Manu, Claudia e Lucia con Eleonora, Alessio e Barbara con l’intero gruppo Calamaio

Che cosa è accaduto di recente nel mondo e di cui si parla dappertutto? Proviamo a dircelo liberamente. Come dei writers lasciamo alcune scritte sul muro di fronte a noi…
La Francia, la guerra, Parigi, terrorismo, è successo un casino, Isis, attentati, in Africa, arresti, bombe sugli aerei, si cercano persone, mandante sconosciuto, cosa sta succedendo in Belgio, che decisioni si stanno prendendo a livello politico, è tutto bloccato, paura, una domanda: “di problemi ne abbiamo già abbastanza noi, perché preoccuparci anche di quel mondo?”, “in questo mondo però ci viviamo e dobbiamo interessarci di quello che ci accade intorno”, è coinvolta anche la scuola e più in generale lo sono i bambini, rischi in Italia, c’è fuori chi non vuole o ha paura di fare inclusione, un conto è informarsi un conto è caricarsi dei problemi del mondo, non mi è chiaro il ruolo di Putin, si cerca una soluzione per tutto il mondo, hanno colpito i luoghi della cultura, “cosa ha a che fare tutto questo con la disabilità?”, noi lavoriamo in ambito culturale, non possiamo farci niente, ci interessa conoscere la disabilità così come viene vissuta negli altri paesi, tutto questo continuerà anche nel nostro futuro? C’è qualcuno che già sa ma tace per non spaventare le persone o che già sa come risolvere la situazione, un po’ di colpa ce l’abbiamo anche noi europei, il problema è nel dare le armi, il problema sono quelli che le fabbricano per fare del male, si fa fatica a parlarne.

Vi abbiamo fatto questa domanda per capire che ruolo possiamo avere noi, che lavoriamo nelle scuole, nella trasmissione di una cultura di pace. A dire il vero noi facciamo cultura di pace da tanti anni, entrando nelle classi a parlare di diversità e confrontandoci con bambini di tante culture diverse e stiamo attenti a osservare quella che è la cultura che ci circonda, intesa non solo come relazione con la diversità ma come “aria che si respira”…
Stefania B.: Io stavo riflettendo sul fatto che l’intercultura ce l’ho in macchina… Con i miei autisti che ogni giorno mi portano al lavoro, ce l’ho anche a casa, a Casa Santa Chiara dove un nostro operatore che è albanese mi ha spiegato come funziona tutta la faccenda dei Balcani.

Claudia: In quello che avete detto non è per niente uscito il tema della religione, dell’Islam o dei musulmani.

Barbara: Eh già… Cosa c’entrano secondo voi in tutto questo?

Stefania B.: A me fa paura parlarne. Parlarne con loro vorrebbe dire toccare un tema, un punto delicato.

Stefania M.: È rischioso, perché vai a toccare l’intimo di una persona.

Tatiana: Non bisogna generalizzare. Non è che adesso tutti i musulmani sono cattive persone, molte sono brave persone.

Francesca: Per me i musulmani possono fare quello che vogliono basta che non vadano a invadere il nostro modo di vivere, cosa che ora stanno facendo, hanno in mano loro tutto quanto. L’Europa dovrebbe un po’ svegliarsi, capire che cosa vogliono. Stefania B.: In realtà mi sembra che queste persone agiscano più dal punto di vista “pratico” che fare tanta filosofia…

Eleonora: È anche vero che dichiarano di agire nel nome di Dio…

Andrea: A me non va di parlarne. Come dicevo abbiamo già abbastanza problemi perché dobbiamo caricarci di quelli del mondo? E poi la parola pace è una parola troppo grossa.

Tiziana: Un conto è informarci, un conto è caricarci di quello che accade, secondo me poi ci interessa anche parlare di questo per conoscere la disabilità nei vari paesi.

Tatiana: Nella scuola l’intercultura è diventata un tema molto importante, se ne parla spesso, se noi lavoriamo nelle scuole dobbiamo considerarlo.

Lorella: Il problema è che la cultura musulmana, che è una brutta razza (fanno cose per me tremende) vuole eliminare la nostra cultura cattolica… la nostra cultura in generale…

Emanuela: Ma secondo te i terroristi sono degli uomini religiosi? Lorella: Sì, sono musulmani.

Emanuela: Ma tu lo conosci l’Islam?

Lorella: L’Islam è una religione di terroristi.

Emanuela: L’Islam come la religione cattolica è una religione di pace. Quindi loro non si comportano come dei veri musulmani, né come delle persone religiose. Tiziana: Secondo me i terroristi sono terroristi perché hanno paura…

Lucia: Titti, sei diventata una sociologa! Anch’io la penso come te, perché un ragazzo di vent’anni arrivi a uccidere gli altri e se stesso, vuol dire che non ha nulla da perdere, che ha paura di qualcosa e che questa paura si è impossessata di lui trasformandosi in odio…

Stefania B.: Forse ha a che fare con la diversità, hanno paura della diversità perché la diversità fa paura.

Tiziana: Comunque anch’io vivo su di me l’intercultura, con Vica. Sandra: Vuoi spiegare a tutti chi è?

Tiziana: La madre delle mie nipoti. Sandra: E la compagna di tuo fratello. Tiziana: Sì, è la compagna di mio fratello.

Sandra: Torniamo alla domanda iniziale. Perché ci interessa parlare di cultura di pace? Da tanti anni lavoriamo a scuola sul tema dell’educazione, ci occupiamo di cultura collettiva, delle percezioni delle persone nei confronti dell’altro, prestiamo attenzione a quello che sentono i bambini.

Come possiamo fare noi a lavorare con le scuole in tutto questo? A livello culturale, secondo voi, di che cosa c’è bisogno?Tutti: Pace, armonia, mantenere la calma, mantenere la pace, conoscerci, dialogo, niente guerra, ma che cosa possiamo fare noi per dire di no alla guerra?

Andrea: A me non va di parlarne, la parola pace è una parola troppo grossa.

Sandra: È vero, è una cosa complessa. Ma noi non siamo qui per parlare di geopolitica né di storia, non è nelle nostre competenze. Ciononostante io penso che possiamo avere un ruolo importante nel trasmettere una cultura di pace. Se io sento la pace come una cosa lontana va a finire che la tengo a distanza e non la alimento. Il rischio è anche quello di cedere al clima di paura e di grande preoccupazione che tutti noi viviamo che significa poca pace. A me fa quasi più paura vedere una persona sull’autobus che guarda con disprezzo un marocchino di un attentato, perché se l’attentato è un’azione violenta, plateale e, si spera, accidentale, qui la violenza è una costante. Se io identifico qualcuno che non conosco come il nemico è pace? Questo per me non è pace, avere paura di un altro non è pace.
A noi interessa lavorare con i bambini su questo, insegnare loro a fare esperienza di tante diversità perché fare esperienza di diversità conduce alla pace.

Stefania B.: Io da studente avevo proprio una compagna mulatta, madre italiana e padre somalo…

Danae: Io ero in una classe piena di cinesi.

Claudia: Beh, anche tu sei un po’ interculturale o sbaglio?

Danae: [sorride] No, non sbagli… Brasiliana, argentina, italiana…

Francesca: Per rispondere ad Andrea, ma questo è solo il mio parere, io la sento in maniera diversa. Io penso che non dobbiamo stare nel nostro piccolo.

Andrea: Ma io non penso che dobbiamo farlo.

Lucia: Provo a interpretare il tuo pensiero. Tu dici: è giusto informarsi ma poi non è una mia responsabilità…

Andrea: No, la responsabilità non c’entra niente. Per me la parola pace è proprio troppo grossa, soprattutto adesso.

Sandra: Proprio per questo dobbiamo farla vedere di più, proprio perché è una parola grossa, concretizzarla. L’obiettivo è quello di rendere la pace più vicina a noi. Più la considero grossa più la sento lontana.

Lucia: Anch’io penso che sia importante spenderci a scuola a favore della pace, anche perché è dalle esperienze che facciamo fin da bambini che tutto si costruisce. Forse Andrea vuole mettere in campo il fatto che ci sono tante contraddizioni all’interno della parola pace ed è difficile giudicare una situazione in cui ci sono di mezzo, politica, religione, interessi…

Emanuela: Per questo dobbiamo essere pronti, anche per poi affrontare le classi a scuola. Con i nostri giochi conduciamo spesso i bambini a parlare di paura, di pregiudizi. Dobbiamo essere preparati.

Claudia: Qualcuno potrebbe fare delle domande…

Sandra: Dobbiamo sempre partire da noi, dalle nostre paure.

Danae: Io spesso, quando sento certe cose alla televisione, scappo in camera per la paura.

Lorella: Io mi sono affacciata alla finestra qualche giorno fa perché ho sentito un forte colpo e ho pensato a una bomba…

Alessio: È successo anche a me, alla partita contro la Romania, appena ho sentito un petardo mi sono spaventato…

Per oggi ci fermiamo qui, tutto quello che abbiamo raccolto in questo momento di sosta sarà il nostro punto di partenza per realizzare insieme un lavoro che ci porti a concretizzare quella che per noi è cultura di pace.



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