Dobbiamo uscire un po’ dall’ottica che l’informazione è o non è professionale, per imparare che anche noi con un computer e un po’ di buona volontà e una carica ideale, possiamo fare informazione qualificata quanto e come quella delle grandi agenzie di stampa internazionali, che nonostante le grandi risorse, a volte si fermano alla veste patinata per mancare di contenuti profondiUn limite che sembra caratterizzare le informazioni che ci arrivano, è quello di un sovraccarico, di un overdose da informazioni che sembra essere il maggior problema. Il problema appunto non è la mancanza di informazioni, per noi che viviamo nel nord del mondo, e abbiamo a disposizione tante risorse; il problema non è la mancanza di informazioni quanto la loro sovrabbondanza e il fatto che il tempo che abbiamo a disposizione è comunque finito. La tipica reazione delle persone che si affacciano per la prima volta su internet è proprio la sindrome da “overdose” da informazione; avere la sensazione di poter trasferire tutto lo scibile umano nel proprio computer, ci spinge a diventare delle spugne di immagini, di testi, di suoni che poi magari rimarranno lì dimenticati per mesi. C’è anche un altro fatto, che gli sprechi fisici di risorse di energia, di luce elettrica, di acqua, di gas sono una cosa tangibile, che abbiamo sotto mano e che possiamo condannare, mentre lo spreco di informazioni viene visto come una cosa tollerabile e anzi positiva, perché c’è ancora chi pensa che l’informazione non sia mai troppa, caso mai troppo poca. In questo contesto è pensabile un cambio di prospettiva, anche una visione “ecologica” dell’informazione in cui cerchiamo di eliminare i rumori di fondo che caratterizzano le informazioni che noi riceviamo per arrivare a riappropriarci del nostro tempo e di una informazione essenziale, che non deve essere finalizzata a farci sapere più cose o a farci avere più fogli sul tavolo o più messaggi di posta elettronica, ma deve essere finalizzata a vivere più consapevolmente e a migliorare la qualità della nostra vita e di chi ci circonda.
In questa ottica le associazioni e il mondo del volontariato in generale giocano un ruolo chiave. Io ad esempio, mi faccio da tramite tra le informazione che ricevo e quelle che poi diffondo in rete, perché la rete mi dà la possibilità di essere recettore e distributore, lettore ed editore di me stesso. Le associazioni hanno un ruolo chiave proprio perché possono, così come le associazioni nel mondo concreto, risolvere molti problemi pratici della vita di tutti i giorni. Così come le associazioni aiutano persone che hanno bisogno di centri di prima accoglienza, mandano dei volontari sulle ambulanze senza i quali il pronto soccorso crollerebbe, così come si risolvono problemi concreti, in rete, il ruolo delle associazioni è quello di svolgere un opera di sintesi e di controllo del traffico ormai infinito e incontrollabile di informazioni che ormai ci subissa. Il mio ragionamento procederà, per essere chiaro e sintetico, per parole chiave.

L’informazione sull’informazione

La prima parola è METAINFORMAZIONE, che è un’informazione sull’informazione; per dirla in altri termini, dove posso trovare delle risorse bibliografiche su un certo argomento? Per esempio, una metainformazione sulla scuola sarebbe: “Dove posso trovare delle risorse didattiche per svolgere delle lezioni di educazione alla pace nella scuola? “. Questa metainformazione è un collegamento all’informazione vera e propria che è il libro sull’educazione alla pace, o il gioco o la scheda didattica. Per cui la prima parola chiave è metainformazione, e le associazioni volontarie in genere dovrebbero puntare più alla metainformazione che non all’informazione vera e propria, più agli strumenti per semplificare l’acquisizione di dati e di concetti che non a infarcire la rete di testi o dossier che, anche se interessanti, non vengono letti e rimangono lì, non fruiti e non hanno modo di raggiungere la maggior parte delle persone. Un esempio che ho avuto modo di toccare con mano, è stato un lavoro che ho fatto per la realizzazione di un dossier su Chiapas in occasione del massacro che è avvenuto in quei territori. Io non ho scritto una riga di testo, anzi ho imparato molte cose interessanti proprio nel mettere insieme delle cose che hanno acquisito un senso compiuto proprio perché collegate insieme. Pur non avendo aggiunto io una riga al testo, l’insieme delle informazioni ha comunque acquisito un valore aggiunto, perché non era un testo che rimaneva lì fermo, ma conteneva i collegamenti a tutte le fonti dei testi, a tutti i siti internet che avevano realizzato questi testi e, cosa, che è più importante, alle associazioni che nel mondo reale operano a sostegno e in appoggio ai diritti civili delle popolazioni del Chiapas. E’ importante, in questo caso, non la produzione diretta di informazione quanto la loro digeribilità, la loro reperibilità e, soprattutto, la loro interconnessione, come un testo mi rimanda ad un altro testo. In questo senso il mondo della rete rispecchia tantissimo il mondo reale. Io purtroppo non sono abbonato a nessuna rivista per spirito di equità, perché se mi dovessi abbonare a Mosaico di pace mi dovrei abbonare a Nigrizia, mi dovrei abbonare alle altre migliaia di riviste ugualmente valide che però purtroppo mancano di una redazione comune virtuale che potrebbe ritrovarsi in rete per una linea comune, per combattere con una linea integrata un altro sistema di informazione che è altrettanto integrato. Purtroppo, così come nel mondo dell’editoria delle associazioni si assiste a questa disgregazione, lo stesso sta avvenendo in rete; purtroppo questo è uno dei casi in cui il mezzo tecnologico offre delle possibilità e noi non riusciamo a stargli dietro perché siamo ancora legati a logiche un po’ da orticello.

Non solo i giornalisti fanno informazione

Facevo l’esempio del dossier sul Chiapas per fare un’altra affermazione che, pur nella sua banalità, non è tanto scontata; l’informazione non è più un mondo per addetti ai lavori, non è più una casta sacerdotale in cui ha diritto di parola e di scrittura solo chi ha gli strumenti professionali e tecnici per farlo. Dobbiamo uscire un po’ dall’ottica che l’informazione è o non è professionale, per imparare che anche noi con un computer e un po’ di buona volontà e una carica ideale, possiamo fare informazione qualificata quanto e come quella delle grandi agenzie di stampa internazionali che, se dalla loro parte hanno i mezzi, le risorse e la professionalità, a volte si fermano alla veste patinata per mancare di contenuti profondi, (ovviamente, come tutte le generalizzazioni questo discorso si presta a delle eccezioni). Per i media mi piace usare la metafora dei lego. Finora ci hanno dato le macchinine già fatte con i lego, ce le hanno rivestite, verniciate, per non farci capire che sotto quell’oggetto c’erano tanti mattoncini che costituivano il quotidiano, la rivista, l’informazione, la notizia. Adesso abbiamo capito che possiamo modificarli noi i pezzi dell’oggetto, possiamo agire noi sul giocattolo informazione e nella nostra stessa casa, nello stesso ambito in cui operiamo, possiamo miscelare sapientemente fax, giornali, posta elettronica, telefono, e soprattutto le informazioni che ci arrivano dalle associazioni che sono il riferimento privilegiato di qualsiasi discorso. Facendo sempre riferimento al dossier sul Chiapas, la prima notizia riguardo al massacro di Chienalò mi è arrivata dal Chiapas che è un’associazione di Roma che ha rapporti privilegiati con la realtà del Messico. Per cui dobbiamo innanzitutto rimuovere i freni inibitori che ci procurano un senso di inferiorità rispetto a chi firma gli articoli sui giornali, o a chi scrive per le grandi agenzie di stampa. Anche noi abbiamo qualcosa da dire, anche chi ha strumenti più limitati può e deve dire la sua, soprattutto se teniamo in conto che l’informazione commerciale va sempre più acquistando forma accattivante e perdendo di contenuti. Non vorrei insistere troppo sul discorso delle associazioni, però spesso si grida “te lo avevo detto” quando succedono delle cose che erano state profetizzate dalle associazioni. Lega ambiente è stata interpellata con articoli a quattro colonne solo dopo che è successa l’alluvione in Campania, e stranamente non prima perché non fa notizia la denuncia di una associazione sui rischi ambientali di un territorio finché la tragedia non si compie.

Volontariato dell’informazione

Un altra parola chiave che volevo sottolineare è quella del VOLONTARIATO DELL’INFORMAZIONE. Mi sono posto delle domande sulla mia professionalità, sul fatto che pur non essendo giornalista professionista produco molta informazione; del resto io ho fatto anche per vari anni l’educatore volontario, senza avere nessun tipo di formazione professionale, nessuno mi è mai venuto a dire: ” tu giochi con dei bambini, fai delle attività ma non sei un professionista, ma allora che cosa sei ?” Appunto cerco di fare un volontariato dell’informazione, metto a disposizione tempo e scatti telefonici, perché mi diverte informarmi, rielaborare queste cose e offrirli in una forma più fruibile a chiunque trovi interessante queste informazioni. Questa idea, del fatto cioè che l’informazione sia un territorio del volontariato, è quasi rivoluzionaria, appunto perché siamo ancorati all’idea che informazione= giornalismo professionale, mentre ci sono tanti altri spazi che devono essere occupati e che finora non sono stati ancora sfruttati a sufficienza. Se da una parte sul piatto della bilancia c’è un’informazione professionale fatta con grande competenza, con grandi strumenti però a volte vuota di contenuti, dall’altra parte non c’è sufficientemente coraggio per dare peso ad una informazione, magari fatta di fotocopie e articoli di giornale attaccati male, ma con una forte spinta ideale e con dei forti contenuti alla base. Per cui insisto sul fatto che non bisogna avere paura di proporsi anche con una semplice fotocopia fatta circolare fra amici; bisogna sciogliere questi bavagli della timidezza che spesso ci fanno tenere per noi delle informazioni che sono molto importanti. In questo senso la rete offre molte possibilità, perché osservo come il volontariato dell’informazione attiri delle persone che si sentono tagliate fuori dal mondo dell’associazionismo, del volontariato, della solidarietà per problemi, ad esempio di tempo; penso a padri di famiglia che hanno un computer a casa e dicono ” O che bello, posso lavorare, dedicare tempo alla mia famiglia e trovare anche un po’ di spazio per mandare dei messaggi di posta elettronica, prendere un paio di testi rielaborarli e diffonderli in rete ecc, ecc,”. E’ questa la grande potenza dello strumento telematico. Si parla tanto di telelavoro e poco di televolontariato e di teleassociazionismo.
Un altro spunto di riflessione che mi sentivo di offrire, è quello di riflettere su tre critiche che si possono fare sull’informazione in rete fatta dalle associazioni. La prima è quella di dare delle informazioni troppo atomizzate, di avere ognuna la propria paginetta Web, staccata dalle altre. Io penso alle 700 associazioni del comune di Bologna che piano piano, con sforzo, fanno la propria paginetta. Immagino un sito Web del comune di Bologna dove tutte le associazioni collaborano fra di loro e offrono le loro informazioni in maniera integrata, fruibile ed efficace. Per cui occorre passare dall’arcipelago delle associazioni all’associazionismo, dall’arcipelago delle riviste all’informazione solidale, dall’arcipelago delle pagine Web alla rete, all’intelligenza collettiva della solidarietà virtuale, telematica. Un altro aspetto che volevo sottolineare è quello delle informazioni unidirezionali, nel senso che spesso l’associazione si sente arrivata se ha la pagina Web, se ha la sua vetrinetta con la quale poter dire venitemi a vedere. Invece io, come associazione mi sento arrivato se con un semplice indirizzo di posta elettronica nel momento in cui ho contatto con le persone, riesco a coinvolgere persone che vanno nella direzione in cui mi sto muovendo io, riesco a sollevare un po’ di polverone e fare in modo che la società civile si mobiliti intorno alle mie idee, perché ha più senso fare una buona informazione con la posta elettronica piuttosto che lasciare una paginetta Web lì a fare le ragnatele.

I poveri nella rete

Il concetto di interettività è proprio importante nel momento in cui ci si accorge che in rete non si può fare niente da soli; io non a caso lavoro all’interno di Peacelink, ci lavoro perché il concetto di comunità virtuale è proprio un idea in cui tu sviluppi dei contatti, una rete di amicizie e di persone tale per cui l’autorevolezza della tua fonte non è il nome, non dici più “Me lo ha detto l’Ansa, l’ho letto sul giornale, me lo ha detto il telegiornale”, ma penso “Me lo ha detto questa persona con la quale ho avuto dei contatti in rete e di cui mi fido”. Se Nicola o Marco o chi per loro mi mandano delle informazioni io traggo vantaggio da due fatti: primo dalla conoscenza diretta di loro, dal mio fare comunità diretta con loro all’interno di Peacelink e dal fatto che loro mi mandano informazioni che non ho bisogno di verificare o di testare, semplicemente perché esistono rapporti di fiducia, quindi, l’autorevolezza della fonte non si basa più sul nome che ha la tua fonte, ma sull’insieme delle relazioni che tu riesci a tessere all’interno della rete.
Per finire vorrei dire che quando faccio informazione in rete, punto l’occhio su chi è fuori dalla rete. Noi che bene o male viviamo in maniera agiata e abbiamo la fortuna di avere del tempo libero per fare del volontariato, dobbiamo avere come primo obiettivo chi questo tempo libero e questi agi non ha. Se noi non svolgiamo un opera di traghetto dalle strade, dalle comunità, dalle baraccopoli, se noi non traghettiamo la gente senza computer nel mondo delle informazioni, non lo faranno né i media tradizionali, né tantomeno il mercato, i siti commerciali, tutti i grandi gruppi economici. Noi abbiamo la responsabilità pratica e morale di prendere il mondo fuori dalla rete, con tutti i suoi problemi, di prendere quelle milioni di persone che non hanno il computer, non hanno il telefono, non hanno la luce elettrica e traghettarli nel mondo dell’informazione perché ” facciano notizia”. Quest’opera di travaso di fatti, di storia, di persone dal dimenticatoio dei dannati della globalizzazione al mondo dell’informazione spetta a noi, abbiamo questo ruolo e questa responsabilità anche storica. Concludo con una frase di uno scrittore che io ammiro molto, Howard Rheingold, che ha scritto un libro che si chiama ” Comunità virtuali”: ” Per ironia della sorte abbiamo bisogno delle reti di computer, figlie della rivoluzione tecnologica, per riacquistare il senso dello spirito cooperativo che è andato perduto proprio a causa di questa stessa rivoluzione tecnologica”.

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