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Il corpo nomade

Il corpo come strumento di relazione: una consapevolezza che è più facile percepire in quei contesti dove il corpo mostra di avere un importanza evidente: l’esperienza di un’operatrice presso le aree di sosta per sinti; un esperienza di crescita personale che incide anche nei contesti non lavorativi

Lavorare come operatrice presso aree sosta per sinti significa svolgere una funzione di mediazione per avvicinare due mondi socio culturali fondamentalmente diversi. Si opera quindi presso i servizi per favorire l’avvicinamento al nostro sistema sociale. Per far questo si costruisce un rapporto di conoscenza e di accettazione con la comunità sinta con cui si opera.L’area sosta comunale è un luogo in cui le famiglie zingare possono vivere nella propria/proprie roulotte all’interno di uno spazio prestabilito, usufruire di servizi igienici comuni, di presa elettrica e fontanelle di acqua, nel rispetto del regolamento comunale.Fondamentale per l’operatore presso l’area sosta è essere accettato dalla comunità e quindi creare una relazione di rispetto reciproco. La relazione si basa sulla capacità da parte del mediatore di legarsi e di separarsi dalla comunità zingara attraverso continue oscillazioni del grado di partecipazione. Il mantenere l’equilibrio fra il "dentro" e il "fuori" apre la strada verso un saper ascoltare sia con le orecchie che con gli occhi; non solo all’esterno, ma anche verso l’interno per riconoscere le proprie emozioni, aspettative ed i pregiudizi nei confronti dell’etnia minoritaria, che potrebbero influenzare la relazione.

Un grande valore comunicativo

Per gli zingari la relazione tra le persone è al centro del sistema socio culturale: il prestigio, il ruolo sociale di una persona non dipende dal ruolo professionale, ma da quello familiare e comunitario. In una relazione centrata sulla persona, in cui il ruolo professionale e sociale non hanno molta importanza, il corpo assume un valore comunicativo a cui abbiamo perso l’abitudine.
Operare presso una comunità sinta in un’area di sosta comunale, dove convivono obbligatoriamente nuclei familiari diversi, significa cambiare frequentemente spazi di relazione e interlocutori. Si può passare da uno spazio aperto comune dove incontrare un uomo, una donna, un bambino… (con continue possibilità di modifica), a spazi privati aperti e chiusi (roulotte) dove relazionarsi, come sopra, con un singolo o con più persone. In ogni singola situazione l’uso del proprio corpo può cambiare la relazione.
Ad esempio, arrivare ed incontrare un gruppo di donne o di uomini significa, in quanto donna, possibilità relazionali assai diverse, in cui il mio corpo gioca un ruolo importante. Se sono donne il gruppo si divide o si apre rendendo disponibile uno spazio fisico e di dialogo che si gioca anche su come il mio corpo entra nella relazione: se rimango al centro difficilmente riuscirò a sfuggire a giochi sul ruolo sessuale, s mi colloco di fianco a qualcuno e lascio aperto il cerchio, ho modo di cambiare il livello di conversazione o di interromperlo, anche attraverso la complicità con qualcuno.

L’esperienza personale

Il fatto che il corpo sia uno strumento importante di relazione è noto e vero in tutti i contesti, ma ritengo, partendo dall’esperienza personale e dal confronto con colleghi, che nella relazione con i sinti si recuperi una consapevolezza e attenzione alla corporeità degli altri e propria, che nella nostra società stiamo perdendo. Nella relazione con i sinti mi sono trovata a usare istintivamente il mio corpo in modo mirato, avendone la consapevolezza un attimo dopo l’agito. La consapevolezza dell’uso istintivamente mirato del corpo come strumento di relazione è, durante il mio lavoro, molto maggiore di quanto non sia di solito.
Questo probabilmente perché la relazione non è condizionata dai ruoli e dai contesti sociali in cui viviamo normalmente all’interno della nostra società, che tendono a nascondere la corporeità pur sempre presente. Riscoprire la consapevolezza del proprio corpo è comunque un’esperienza di crescita personale che incide anche su contesti non lavorativi e che a volte aiuta a limitare l’importanza dei ruoli sociali, facilitando la messa in gioco nella relazione.

(*) Antonella Gandolfi della cooperativa AndoKampo, dal ’91 mediatrice culturale presso la comunità sinti e rom Bologna.




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