Autore: admin
Una paralisi non basta a salvarci… – Il Messaggero di Sant’Antonio, aprile 2010
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A volte mi capita di incontrare amici disabili che non vedo da tempo e coi quali ho condiviso gli anni della scuola e poi tante occasioni formali e informali. A colpirmi è sempre il fatto che persone più o meno coetanee, provenienti dalla stessa città, e qui residenti per buona parte della loro vita, con una formazione scolastica e culturale analoga, spesso con lo stesso tipo di disabilità, abbiano avuto delle esistenze molto diverse l’una dall’altra. È vero, infatti, che le differenze che caratterizzano le nostre vite possono essere lette come il segno della libertà con la quale abbiamo potuto determinarle; ma alcune di queste esistenze hanno caratteristiche tali per cui le definirei «incompiute», almeno in parte. Vite passate all’interno di una struttura, con possibilità ridotte di sviluppare rapporti di amicizia… che confronto con la mia esperienza, connotata da caratteristiche di segno opposto, soprattutto in relazione a questi aspetti: il domicilio (come spazio fisico e di socialità) e l’amicizia (la rete di relazioni).
Non riuscivo a farmi un’idea chiara della questione finché non mi è tornato in mente, di nuovo, il brano del paralitico guarito (Mc 2,1-12), di cui già ho parlato in un articolo sul «Messaggero di sant’Antonio» del febbraio 2009. Quel brano del Vangelo mi ha fornito una chiave di lettura non consolatoria, né riduttiva. Nell’articolo precedente associavo la remissione del peccato all’instaurazione della relazione, cosa diversa e meno semplice dell’«azione» rappresentata dal compimento finale del miracolo e unica in grado di mutare il contesto e i rapporti di forza: era proprio questo che i farisei non capivano o non volevano capire… Qui, quello che mi interessa sottolineare è che Gesù, come prima cosa, non «risolve» la disabilità del paralitico: avrebbe dovuto, allora, risolvere quella di tutti i paralitici, per non essere «ingiusto» e, ancor prima, avrebbe dovuto vedere in quella disabilità qualcosa da rimuovere. Si preoccupa, invece, di riconoscere il valore salvifico e rivoluzionario dei rapporti di fiducia, di amicizia e fede in cui il paralitico stesso era inserito: tanto che si potrebbe dire che lui viene salvato dalla fede di chi ha attorno e l’ha aiutato a raggiungere Gesù, più che dalla propria; dalle sue relazioni e non dallo stato di paralisi in cui versava. Infatti, la guarigione è il «residuo» del gesto di Gesù, non l’obiettivo. Gesù, quindi, vuole modificare il contesto in cui un paralitico vive: solo un cambiamento a questo livello può portare a un salto di qualità nei rapporti delle persone con il paralitico stesso e, da qui, tra le persone in generale. Con la remissione del peccato, Gesù vuole valorizzare, di fronte alla folla che assiste, l’importanza del contesto relazionale del paralitico: perché la folla ne capisca il valore e possa interrogarsi, modificando a sua volta le proprie relazioni.
Ho come la sensazione che per alcuni disabili il rapporto con il proprio deficit sia tutt’altro che risolto e che essi lo considerino, anche dopo tanti anni di «convivenza», una condizione dalla quale fuggire, da nascondere e non da condividere: da qui la vita in una struttura e la mancanza di rapporti d’amicizia e fiducia. Sono come concentrati sull’obiettivo sbagliato, secondario – la loro condizione e il suo eventuale superamento (peraltro impossibile, in senso fisico) – e non riescono a partecipare alla creazione di un contesto di fiducia che, unico, può portare a un salto di qualità culturale e politico. Sono il primo a sapere che è necessario attendere un cambiamento da parte degli altri nei confronti delle persone con disabilità; ma è altresì fondamentale che siano anche queste a disegnare i contorni e a costruire la sostanza di questo cambiamento. E voi, cari lettori, in che modo siete riusciti a farlo? Scrivete a claudio@accaparlante.it o cercate il mio profilo su Facebook.
Valà Claudio che hai visto un bel mondo! – Superabile
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“Valà Claudio che hai visto un bel mondo!” Questa frase di mio padre è stata un ritornello per la mia adolescenza: me la ripeteva almeno due volte al giorno. Forse lui non conosceva il vero significato di quello che diceva, o forse vedeva oltre… Ma proviamo ad esaminare la frase:
-“Valà Claudio” è una tipica espressione di sdrammatizzazione della situazione (può essere applicata alle più varie…) quindi sono stato educato a sdrammatizzare. Sdrammatizzare a mio avviso è il sale di una relazione fra genitori e figli, specialmente se il figlio è diversamente abile. Mio padre non era né pedagogista né psicologo, ma ogni volta che pronunciava quella frase mi iniettava ironia pura a piccole dosi. Ma continuiamo l’analisi:
– “Che hai visto” qui è chiaro come mio padre mi faceva vedere, fare esperienza, mi portava dappertutto: mare, montagna, città…Con lui ho viaggiato moltissimo, insomma ho percepito che non si vergognava di me, e questo mi ha educato a non avere io stesso vergogna. Altro che pillole di autostima! Ci tengo a sottolineare che tutto questo non è per nulla scontato: ho tanti esempi davanti agli occhi di padri che causa la difficoltà hanno delegato alla madre il rapporto con il figlio. Io ho quindi avuto il grosso vantaggio rispetto ad altri di respirare aria di alleanza fra mio padre e mia madre: un’alleanza che non è altro che la “pedagogia della fiducia”, teoria che il professor Riziero Zucchi porta avanti da molti anni.
– “Un bel mondo”: qui sembra esserci l’intoppo: ma come fa un disabile a vedere un bel mondo? E’ un paradosso! L’educazione al paradosso è una carta vincente perché è un continuo uscire fuori dagli schemi, dai preconcetti e dai pregiudizi. Devo confessarvi che mio padre, assieme a mia madre, mi hanno un po’ “drogato” nel senso che oltre alle iniezioni di ironia, ricevevo anche dosi di positività: tutti questi ingredienti sono racchiusi in una ricetta chiamata “Valà Claudio che hai visto un bel mondo” che mi ha permesso di vedere le mie prospettive non più in bianco e nero ma finalmente a colori! Questa è una ricetta che vale per tutti: basta cambiare nome; perciò tirate fuori il ricettario (non le ricette di Suor Germana) e appuntatevi questa frase: “Valà. nomedichivolete che hai visto un bel mondo!”. Ma voi, lo fate vedere un bel mondo ai vostri figli? Cliccate su claudio@accaparlante.it
Uno, nessuno, novecentonovantanove – Superabile, giugno 2008 – 1
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"Solo facendo parlare di lui gli daranno attenzione… a lui e a tutti gli altri nelle sue condizioni… chi sta bene si può stare zitto… chi ha bisogno dell’aiuto dello Stato, delle Istituzioni… deve gridare":- a parlare è Lucia Frisone, la madre di Fulvio, affetto da tetraplegia spastica distonica dalla nascita, ora quarantenne fisico nucleare.-
Con queste parole viene introdotta la fiction di Rai 1: “Il figlio della luna” andata in onda proprio ieri sera.
Mi stupisce in positivo il fatto che l’azienda Rai abbia investito un capitale in una fiction in prima serata su un argomento sempre molto difficile da affrontare come questo. Ciò è un chiaro segno di come la disabilità sia ormai entrata in commercio, di come abbia acquisito un certo peso. La disabilità esce dal “settore specializzato” e si rivolge al grande pubblico.
Il rischio che vedo in tutto ciò è che una storia ordinaria venga trasformata in una storia straordinaria: secondo voi la disabilità appartiene all’ordinarietà della vita o per attirare attenzione su di sé ha necessariamente bisogno di appellarsi alla straordinarietà degli eventi? Mi domando perché sia stato girato un film solo su Fulvio quando in Italia ci sono tanti altri fisici nucleari. Questo mi fa riflettere sul fatto che il fulcro della questione non è il “fisico nucleare” ma la compensazione dell’handicap. Cerco di spiegarmi meglio: in questo caso si risana lo scompenso della disabilità con il successo, ma è una visione deviata della realtà: casi come questo sono solo uno su un milione. Con ciò non voglio dire che raggiungere la propria realizzazione sia una cosa di pochi eletti, anzi, ma che si vende l’immagine di un disabile realizzato come una storia straordinaria. Ecco perché una fiction incentrata su questo argomento rischia di incrementare la sindrome dell’ “uno su mille ce la fa” che appartiene a molti altri oltre a Gianni Morandi … Se un giorno incontrassi l’eterno ragazzo gli chiederei notizie degli altri novecentonovantanove, gli domanderei che fine hanno fatto, stanno bene? Che lavoro fanno? Stanno ancora in salita? O sono ruzzolati per la discesa? Tutti questo per dire che il riuscire a realizzarsi non appartiene ad una classe di eletti, ma a tutti i novecentonovantanove.
E voi vi sentite uno, nessuno o novecentonovantanove?
Scrivetemi il vostro numero a claudio@accaparlante.it
E buona conta a tutti!
Tutti pazzi in piazza – Superabile
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Tutto cambia a questo mondo. Cambiano i climi, cambiano le stagioni, cambiano i politici, cambiano i papi. Cambiano, per fortuna, anche le prospettive, causando a volte delle vere e proprie rivoluzioni. Al Convegno del Progetto Calamaio (Bologna, 24-25 Novembre 2006) il Professor Eustachio Loperfido (presidente dell’Istituzione Minguzzi) ha fatto un esempio folgorante: nei primi anni Settanta lui, insieme ad un piccolo gruppo di pedagogisti, ha sostenuto la necessità di eliminare le scuole speciali, per inserire gli alunni disabili nelle scuole pubbliche. E poi ha aggiunto:”non avevamo la più pallida idea di che rivoluzione si sarebbe scatenata”. Questa frase, ovviamente, mi ha aperto il solito file ipertestuale. Infatti oggi è grazie a quella sana e inconsapevole voglia di abbattere le barriere dell’esclusione che è totalmente cambiata l’immagine della disabilità. In tutti i corridoi delle scuole, dove i ragazzi corrono durante la ricreazione, c’è una carrozzina. Con il passare degli anni le carrozzine sono diventate di mille colori, mentre prima erano degli oggetti anonimi. E questa è veramente una rivoluzione, passare dalla carrozzina-pezzo-di-ferro alla carrozzina-persona, che ride, che piange, che si diverte e che fa divertire e che si chiama Paolo, Mario, Francesca, Chiara…Ciascuna con le sue difficoltà, le sue paure, le sue gioie e abilità. Insomma, da quel gesto “pazzo” si è iniziata a scrivere la storia dell’integrazione. Tutto questo ha una forte attinenza con il processo che ha scatenato il Progetto Calamaio. Anche dare il via a questa iniziativa, infatti, è stato un gesto “pazzo”: il mettere in piazza i propri deficit, con un atteggiamento non di rivendicazione, ma di educazione, ha aperto una strada nuova, ha messo in moto tutta una serie di situazioni che erano lì che aspettavano di essere considerate e sviluppate. Così la macchina dell’integrazione ha cambiato marcia, una marcia più lunga che permette di andare più veloci, più sicuri e più stabili. In realtà si potrebbe dire che non è la macchina a cambiare durante il suo viaggio, ma piuttosto che è il paesaggio attorno a mutare. I finestrini possono mostrare le montagne, il mare, l’alba sulla pianura, la nebbia…quindi, fuor di metafora, si può dire che mentre la disabilità resta immutata, sono la sua percezione e il contesto a modificarsi. Credo che la novità stia proprio qui. Bisogna saper fare dei gesti “pazzi” senza voler sapere cosa succederà. Più gesti pazzi si faranno, più aumenteranno le rivoluzioni. E voi, cari lettori, che gesti pazzi avete fatto? Se avete voglia di raccontarmeli, ciccate su claudio@accaparlante.it.
Claudio Imprudente
Un cioccolatino al gusto di tolleranza – Superabile
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In questo periodo la tolleranza è di gran moda, tanto che ha assunto lo statuto di “cultura (della)”. Nei dibattiti televisivi, di questi tempi non si sente altro che ripetere che i tifosi negli stadi non sono tolleranti verso gli avversari dell’altra curva, che la Chiesa non è tollerante verso le coppie di fatto, che i ragazzi nelle scuole non sono educati alla tolleranza nei confronti dei compagni con difficoltà. Giorni fa mi è capitata fra le mani una rivista medica. Incuriosito, ho iniziato a sfogliarla e, fra i vari articoli, ce n’era uno che parlava dell’intolleranza al glutine; riflettendo su quanto sono fortunato ad essere tollerante ai miei immancabili spaghetti, ho pensato che il termine “tolleranza” si presenta bene. Così come bisogna scartare dalla carta stagnola un cioccolatino per scoprire a che gusto è, allo stesso modo occorre smascherare il termine tolleranza e scoprire il suo significato recondito. Infatti, se prendiamo un vocabolario della lingua italiana, troveremo che la definizione di tolleranza è: “possibilità fisica o spirituale di tollerare ciò che risulta o che potrebbe risultare difficilmente sopportabile; in medicina, capacità di un organismo di tollerare bene farmaci o alimenti; virtù sociale che riguarda il modo di comportarsi civilmente con persone di opinioni politiche o di credenze religiose diverse dalle nostre; est. indulgenza verso i difetti, le mancanze altrui”. Ma allora un suo sinonimo può certamente essere “sopportazione”. Torniamo subito a sfogliare il nostro vocabolario e troviamo: “sostenere un peso; fig. subire un castigo, un disagio, un dolore fisico o morale; riuscire in qualche modo a sostenere la gravezza di q.c.; accettare cosa o persona sgradita con rassegnazione”. La frase “sostenere un peso” mi fa venire in mente un’immagine a me cara, e cioè una persona che ne prende un’altra sulle spalle. Cosa succede in questo caso? Succede che quello che sopporta il peso dopo due minuti si stanca e, soprattutto, che non può vedere negli occhi la persona che sta portando. Il nostro amico, che a questo punto sarà tutto sudato e affaticato, farebbe meglio a cambiare strategia. Invece di portarselo sulle spalle, lo dovrebbe abbracciare. Così, oltre a non fare fatica, lo potrebbe anche guardare negli occhi, cioè si metterebbe in relazione con lui. In parole povere, dovrebbe passare da una logica di tolleranza ad una logica di accoglienza. Questo passaggio culturale dovrebbe stare proprio alla base del nostro rapporto con la disabilità. Se non scartiamo la cultura imperante della sopportazione non possiamo fare quel salto di qualità per abbracciare e farci abbracciare dalla diversità.
E voi? Sono curioso di conoscere le volte in cui avete accolto l’altro senza sentirne il peso sulle spalle, e le volte in cui vi siete sentiti abbracciati.
Mi potete abbracciare cliccando su claudio@accaparlante.it.
E che dire… attenti alla carta stagnola!
Claudio Imprudente
Tiralò di tendenza – Superabile, luglio 2008
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L’estate è ormai alle porte e gli stabilimenti balneari si stanno organizzando per accogliere al meglio l’arrivo dei bagnanti. Ognuno si specializza in particolari offerte o servizi che servono a
soddisfare qualunque tipo di esigenza o desiderio dei clienti. Le possibilità di svago vanno dalle attività rilassanti a quelle sportive, a quelle ludiche… Ci sono iniziative davvero interessanti quali le offerte prendi quattro paghi tre sull’affitto degli ombrelloni e dei lettini, il noleggio delle cabine porta giochi da mare e il servizio bar all’ombrellone. Immancabili le innumerevoli (e pericolosissime) attività sportive: il torneo mondiale di beach volley su sabbia ustionante alle due del pomeriggio, che vantano giocatori di fama internazionale, attorniati da un numerosissimo pubblico che va scemando lungo il corso della partita a causa di spaventosi cali di pressione e alcuni casi di trauma da pallonata in faccia. Come non citare l’ormai celeberrimo sport Racchettoni, gettonatissimo dai ragazzini di tutte le età con le diverse possibilità di combinazione di formazione: da due a otto giocatori turnanti in un campo grande come un fazzoletto. Come ogni anno il tormentone musicale dell’estate non può privarsi del corrispettivo balletto sexy-provocante che viene insegnato tutti i giorni dalle tre alle quattro all’intera spiaggia (nonni compresi). Tutte queste attrazioni turistiche aumentano notevolmente l’affluenza dei bagnanti che prenotano le sedie sdraio da Natale. Ma per i disabili che nuove possibilità ci sono? Il 9 giugno sono stato invitato a Loano (Sv) in occasione della seconda giornata dell’integrazione balneare all’interno del progetto “Spiaggia per tutti” organizzata dal comune di Loano in collaborazione con ABC Liguria, Associazione Dopodomani Onlus e la cooperativa sociale Iso Theatre Onlus. Insieme propongono l’integrazione balneare per le persone con gravi disabilità motorie anche attraverso l’attivazione del servizio delle carrozzine da mare: i Tiralò. Questi speciali mezzi permettono alle persone con disabilità di raggiungere comodamente la riva e di liberarsi del sostegno della carrozzina galleggiante una volta arrivati in acqua. Il Tiralò è dotato di due braccioli e di tre larghe ruote pneumatiche che garantiscono un’agevole transito su sabbia e sassi. Dal momento che aumentano e si diversificano le esigenze dei bagnanti, anche i bagnini devono dotarsi di una formazione adeguata per far fronte ad ogni evenienza. Quello della formazione dei bagnini è un discorso molto interessante poichè fino a venti anni fa era pressoché impensabile che essi dovessero occuparsi delle persone disabili. Ritengo che questo sia un grosso segno di miglioramento della qualità della vita: in fondo una spiaggia per disabili è una spiaggia per tutti. Chi ha idee per aumentare ulteriormente la qualità della vita in questo senso si faccia avanti, aspetto suggerimenti di ogni tipo: io pensavo ad una maschera da sub formato extra large con le lettere dipinte sopra (come la mia lavagnetta) così durante le immersioni potremo discorrere amabilmente… che ne dite? Scrivetemi su claudio@accaparlante.it e… buon turismo a tutti!
I trent’anni di Zaz Zac Zac – Superabile, ottobre 2007
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Come ogni sera, seduti attorno al tavolo della cucina, aspettando di vedere l’unico telegiornale della giornata, ci sintonizziamo su Rai1, e ci accoglie il faccione lampadato di Carlo Conti che ci introduce al gioco finale della ghigliottina. La prima parola, che senza alcuna ragione dimezza il montepremi della campionessa della serata, è “4 Agosto ”.Subito il mio cervello inizia a frullare, ma l’unico collegamento che mi viene è S. Nicodemo. Cala, spietata, la seconda parola: “77”, e io penso alle gambe delle donne. Ma che nesso ci può essere fra S. Nicodemo e le donne? Non ci voglio nemmeno pensare. La seguente è “cambiamento”… ancora non vedo alcun nesso logico. La quarta, che finalmente la concorrente azzecca (ma per pura fortuna secondo me) è “30”. Tombola!, penso spazientito, ma cosa sono tutti questi numeri stasera? Il 4 di Agosto, il 77, il 30… sono decisamente confuso. Provo a fare somme e sottrazioni, cerco di ripescare nei miei ricordi un evento storico avvenuto il 4 Agosto, ma a scuola la storia non era la mia materia forte… ehi! Proprio la parola scuola mi fa intravedere un lumicino lontano lontano… che la parola segreta sia… Ma l’ultima delle cinque parole elencate da Carlo Conti mi ributta nel buio totale, perché è “Zorro”. Zorro?! Ma allora ero completamente fuori strada! Io infatti avevo pensato che la soluzione fosse “integrazione”, e fino a qui ci rientrava tutto. Vi interessa il mio ragionamento? Allora, tanto per cominciare il 4 Agosto dell’anno 1977 è stata emanata la legge sull’integrazione scolastica per gli alunni in situazione di handicap nelle scuole statali; trenta sono gli anni passati da quella data (già trenta?), allora è iniziato quel processo di cambiamento che sta diventando storia… ma allora è integrazione! Sarebbe tutto più semplice se Zorro non scombinasse i miei piani. Dunque, Zorro era un bandito messicano che difendeva il popolo dalle tirannie del governo. Il suo stile dark con mantello, mascherina, cappello e cavallo nero mi ha sempre affascinato. Ancor più di lui mi ha sempre affascinato il suo aiutante: Bernardo era muto e con la gente faceva finta di essere anche sordo, solo Zorro conosceva il suo segreto così come solo Bernardo conosceva quello di Zorro. Quella di Bernardo era un posizione davvero strategica: fingendo la sordità egli poteva carpire dalla gente informazioni utili senza essere minimamente sospettato. Tra Zorro e Bernardo c’era quindi una grande complicità e una reale integrazione.
Un’altra cosa che mi piaceva molto di Zorro è che lui lascia il segno del suo passaggio … Giusto! Anche l’integrazione lascia un segno! In questi trenta anni l’integrazione ha lasciato migliaia di segni, ognuno dei quali è stato un fondamentale tassello per un cambiamento culturale e sociale. L’integrazione deve lasciare un segno, altrimenti è solamente “inserimento” (in effetti nella parola inserimento non c’è la Z!).
Ecco trovata l’analogia tra Zorro ed integrazione… allora io scommetto sulla mia soluzione! Dopo la suspance ecco Carlo Conti che tira fuori la soluzione dalla busta colorata, lentamente gira il foglio e… Avevo ragione! Peccato, avrei potuto vincere centomila euro!
E voi in questi anni quanti segni avete lasciato? Scrivetemi su claudio@accaparlante.it
Allora cavalcate il vostro nero destriero Tornado e… ZAC ZAC ZAC a tutti!
Con la sangria si trova la password – Superabile
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Tempo fa avevo parlato di pesche, noci, seduzione…e avevo invitato i lettori a scrivermi per dirmi che tipo di frutto si sentivano. Mai avrei immaginato di essere investito da una tale valanga di mail! Che ricca macedonia ho potuto fare! Ho aggiunto un po’ di vinello e ho fatto un’ottima sangria che vorrei condividere con voi. Una mail mi ha colpito in particolare, di una neo-mamma che vuole rimanere anonima, e che dunque chiamerò M. Lei dice di sentirsi per lo più “una fragolina di bosco, che è lì, nascosta nel sottobosco, tra le foglie, piccolina, quasi non vuole essere trovata, ma chi la trova e poi la assaggia sente che è molto dolce e succosa, da gustare pian piano e ti lascia a lungo il suo sapore delicato sul palato.” E inoltre aggiunge con molto acume “sono d’accordo quando lei dice che la seduzione "è una vera e propria abilità, […] riconoscimento e valorizzazione dei nostri punti di forza, anche se sono -diversi-.O forse proprio perchè tali". In questo credo che noi, anzi io in prima persona ho moltissimo da imparare, soprattutto dai diversabili, che in tante cose sono meglio di noi "abili" (ma poi abili….di che?? che abbiamo molte carenze e insicurezze e spesso ci lamentiamo quando non ce n’è bisogno..). Ci sono ad esempio i politici o certi cantanti che della seduzione hanno fatto uno stile di vita…altrimenti come potrebbero attirare molte folle…ma forse è una seduzione un pò contorta, che valorizza sì i punti di forza, ma forse non fa vedere come si è in realtà”. E ancora: “Credo che per imparare a sedurre dobbiamo sforzarci di volerci bene e di valorizzarci di più, così possiamo spostarci verso gli altri ed entrare in sintonia.”
Per me il segreto è valorizzare le persone con le loro potenzialità e così entrare con loro in sintonia, ma come si fa a fare questo? Credo che ci sia un piccolo problema: ognuno di noi ha una sorta di password che permette di accedere alla relazione. Un bravo educatore, o insegnante, o genitore è colui che sa trovare in minor tempo la giusta password. D’altra parte anche noi non dobbiamo mettere delle password troppo complicate e impossibili da ricostruire. Per esempio, la mia password è semplicemente il mio nome! Così, a meno che non mi venga l’Alzheimer,sono sicuro di non dimenticarmela. Cioè il metodo che ho seguito per la scelta della password è stato quello di farla coincidere con la mia identità. Questo facilitare le relazioni aiuta ad essere più seduttivi. E voi, che metodo avete usato per decidere la vostra password? Ve la ricordate con facilità, o è ogni volta un problema? Se mi volete raccontare la storia della nascita della vostra password, cliccate su claudio@accaparlante.it…e fatevi cliccare! E che dire…buona password a tutti!
Claudio Imprudente
Salve sono Bernardo, servitore di Zorro – Superabile
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Con vero piacere pubblico la lettera di questo lettore, scritta in risposta al mio articolo “Trent’anni di Zac Zac Zac” (www.superabile.it, 9 Ottobre 2007) , per dare voce a chi ancora cerca di aiutare Zorro a lasciare dei segni…
Caro Claudio,
anche io ho partecipato al tuo sondaggio sulla "data storica" del 1977, dove ho ammesso l’importanza della Legge sull’integrazione scolastica. Con disagio, devo dire, e con l’amaro in bocca, e non solo per la risposta bloccata tipica del sondaggio. Mi sono accorto con una certa dose di rabbia di non aver saputo dare (né mi sembra ci abbiate provato a farlo tu e Canevaro) una definizione di "integrazione" e "fare di più’". Già, cosa significa in concreto integrazione e cosa in concreto possiamo fare di più?
(…) Allora mi sono rifatto alla mia esperienza di genitore di ragazzo tetraplegico e, di conseguenza, alla sua esperienza di vita scolastica: mi riferisco nelle righe seguenti a "minorazioni" (…) che impediscono l’uso della parola. La nostra società oggi ha infatti necessità, per valutare una persona, di avere risposte. Chi non è in grado di darle e’ tout court un ritardato mentale. E se non ricordo male anche il Bernardo di Zorro era considerato ritardato mentale… ah, scusa oggi si dice "con grave ritardo cognitivo".
Se dunque guardo a questi anni (ancora attuali), non posso che ammettere anch’io "il cambiamento culturale e sociale" di cui parli. Tuttavia, credo che oggi questo tipo di integrazione (quella cioè che ha ammesso la disabilità come elemento comune e "normale" nelle scuole italiane) non sia più sufficiente.
(…) Nella mia vita ho sempre cercato qualcosa di più che lavarmi o andare a spasso o anche in vacanza, (i trattamenti riservati al proprio cane, N.d.r.): ecco, per tornare in argomento, la cultura, il desiderio di apprendere sono stati una delle cose che più mi ha attratto e mi ha appassionato. Ma l’integrazione oggi operante nelle scuole è proprio questo che non prevede per il disabile! Un disabile che va a scuola perché ha voglia di apprendere e interesse allo studio non e’ previsto! Ecco quello che intendo per "integrazione da cani".
Canevaro dice: "…la scuola oggi ha bisogno di avere più figure legate all’incontro tra bisogni e competenze: se una persona, ad esempio, ha un problema di autismo, serve qualcuno che sappia organizzare l’ambiente circostante, che sappia indicare ai colleghi le cose da fare, i sussidi giusti da approntare…"
Ecco…serve qualcuno…, nessuno si pone il problema di chiedere: “ ma cosa ne pensa, cosa vorrebbe veramente quell’autistico?”
So bene che il problema è che quell’autistico non e’ in grado di esprimere quello che vuole: ma se scoprissimo che non parla, che non può esprimersi, non perché è ritardato mentale, bensì solo perché noi non abbiamo gli strumenti adatti perché lui si possa esprimere? E se li avesse, cosa direbbe? Nessuno di questi Luminari forse si pone il problema.
E se chiedesse di poter studiare e avvicinarsi alla Conoscenza? E se chiedesse- cosa assurda nella scuola di oggi e nei ragazzi di oggi- di essere messo nelle condizioni di avvicinarsi al Sapere, in modo disinteressato?
(…) Sicuramente incontrerebbe enormi difficoltà, perché questa scuola e questa società non sono attrezzati per questo.
Anche perché tanti di questi Luminari dovrebbero finalmente ammettere che hanno marchiato, a causa della loro imbecillità, come ritardati mentali persone anche geniali o semplicemente intelligenti come tante altre, e dovrebbero finalmente ammettere che sulla disabilità non hanno mai capito niente. La vedo dura! Ma, come ben sai, nel "nostro campo" la resa non e’ contemplata.
Scusa per la prolissità e
Cordiali Saluti.
Angelo Tumino
P.S.: per ragioni di spazio ho dovuto eliminare, segnalandolo con (…), alcune parti. La comprensione dell’articolo non mi sembra pregiudicata da questi necessari aggiustamenti. Mi scuso col signor Tumino.
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Il viaggio per Nashville – Superabile, dicembre 2008
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ORE 6:30
I motori rullano…si sta avvicinando uno dei momenti più belli del viaggio, la partenza. Non è certo la prima volta che salgo su un aereo, ma attendo sempre con impazienza che la velocità dell’aeroplano sulla pista mi attacchi al sedile. Divento una ventosa…
Di fianco a me c’è Roberto, un collega del Centro Documentazione Handicap, poi Sandra, altra collaboratrice. Due posti più in là un signore un po’ grasso. L’ho sentito arrivare perché si sono abbassati i sedili, quando si è “posato”…
ORE 7:00
Le nostre Alpi innevate…bellissime…così piccole sembrano costruzioni umane. Mi accorgo che il signore vicino a noi comincia a meravigliarsi della tavoletta con la quale parlo ai miei compagni di viaggio…conto fino a cinque, chiamo la sua domanda, che pronta arriva: “Posso chiedervi come parla?”. Il tempo di stupirsi ancora un po’, e parte con le altre curiosità: “Ma dove siete diretti? E per cosa?”
Delego le risposte a Roberto, perché sinceramente sono troppo stanco, forse no, ma sicuramente rapito dal panorama lì fuori, e lui spiega destinazione e ragioni del viaggio: “Ci attendono a Nashville: Claudio è stato inviato come rappresentante italiano a parlare della situazione dell’integrazione delle persone disabili in Italia”.
“Che bravi ragazzi”, commenta. Lo ringrazio per l’immeritato “ragazzi” e resto concentrato sul panorama.
Bello là fuori, ma a pensarci bene anche la hostess che va avanti e indietro per il corridoio dell’aereo è una bella visione…. Ma che dico? Sono invitato negli Stati Uniti, il mio sogno di gioventù,la patria del rock and roll, la casa del mio mito di sempre, il grande Boss Bruce Springsteen ed io mi metto a fantasticare sulla hostess? Non mi sembra il caso, ma che volete la carne Simmenthal (da me sempre immaginata come prodotto americano) è tenera anzi tenerissima… divago.
Il viaggio procede, siamo prossimi a Bruxelles, il primo di non mi ricordo più quanti scali che dovremo fare prima di arrivare. Il nostro vicino è già da tempo addormentato, ce ne siamo accorti un po’ tutti sull’aereo perché un pochino russa… ma che importa sono quasi a Bruxelles, il primo di non so quanti scali prima di arrivare a Nashville.
ORE 9:00
Si riparte, dopo uno spuntino all’aeroporto di Bruxelles, che potrebbe essere qualsiasi aeroporto del mondo, ma lì il caffè (caffèacqua?) racconta dell’avvenuto espatrio…
E’ come se l’America cominciasse a penetrare nei miei pensieri sempre più intensamente, mano a mano che mi avvicino a lei…anche lei viene incontro a me, e la distanza così si riduce ancora di più. L’oceano si restringe, e fa meno paura il pensiero di doverlo attraversare.
Ma non è un’immagine lineare o semplice fantasticare quello che vedrò, che vorrei vedere, che non vedrò…
Piuttosto un cammino avanti e indietro tra ricordi e aspettative…le memorie delle proteste passate per le guerre passate e un dolore presente per le guerre presenti, in cui l’America c’entra eccome, c’entra sempre…
Gli indiani e i trattamenti che hanno subìto…avevo anche scritto un libro “E se gli indiani fossero normali?”…
Il ricordo delle contraddizioni ineliminabili del mio rapporto con gli Stati Uniti…e quanto più avrei voluto e vorrei distanziarmene, tanto più trovavo e trovo sempre ragioni per restarne affascinato, per esserne incuriosito…
Il dubbio che senza l’invito al Convegno, avrei dato priorità ad altri luoghi del mondo, che forse sento più vicini al mio sentire: l’Africa, le mille Afriche, l’est del mondo…ma è poi così?
E’ vero o sono solo costruzioni senti-mentali che posso fare perché…ora in America ci sto andando davvero? E non sarebbe meglio che cercassi di dormire, di riposarmi così da arrivare là pronto a ricevere, ricordare…e chi ci riesce a dormire pensando che tra qualche ora atterrerò a Chicago…
“Guarda, laggiù, Roberto, l’Atlantico…”
Claudio Imprudente
Babbo, ci sei o ci fai? – Superabile
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O caro Babbo,
il Natale si avvicina (ecco perché ti chiamano Babbo Natale), come è messa la slitta? È pronta? Quest’anno anch’io ho deciso di dotarmi di sci al posto delle ruote, ora mi sto organizzando per le renne.
Devo dire che quest’anno sono stato buono…d’altra parte, come potrebbe essere cattivo un disabile? Infatti è difficile far passare l’immagine del disabile come di una persona cattiva: la disabilità è sempre associata all’essere buoni. Non per fare polemica, ma ti sei mai chiesto come mai la “maratona” di Telethon avvenga sempre proprio quando tu stai per mettere in moto la slitta? Bando alle ciance! Vado qui di seguito ad elencare i doni che ho giustamente e faticosamente meritato in questi mesi.
Tanto per cominciare voglio che la gente impari a ballare il tango (che come dice Luca Carboni, nella vita serve sempre). Ma tu dirai: “Per tutte le renne! Che significa tutto ciò?”. Significa, caro Babbo, che il tango per me è il simbolo dell’integrazione. I due ballerini hanno ruoli molto diversi: è quasi una lotta, ma molto seduttiva, dove l’uomo è predatore e la donna preda. Ma è dal contatto dei corpi che nasce la danza, l’integrazione è un intreccio di identità di ruoli e di storie. Se la gente non impara il tango, non può fare integrazione.
La mia seconda richiesta è…. Rullo di tamburi…. Uno sfigometro! (alias misuratore di sfiga) uno strumento utilissimo per misurare il tasso di sfiga di ognuno.Vorrei vedere se un disabile è veramente così sfigato, o se per caso non sia colpa dell’immagine stereotipizzata che la gente ha della disabilità. Uno sfigometro è essenziale…il mio si è rotto…chissà come.
Come terzo regalo, invece, volevo chiedere se fai ancora quegli omogeneizzati al gusto di fiducia… Mandamene un bel po’, così i bambini potranno crescere ricchi di autostima. Invece non me ne portare più al gusto ironia e fantasia, perché di quelli ne ho ancora una bella scorta nel mio sgabuzzino segreto. Credo che tutti noi abbiamo degli sgabuzzini segreti, è che spesso non ci ricordiamo di averli, oppure ne abbiamo perso la chiave.
Cosa ne dici di regalarmi anche dei grandi pennarelli rossi indelebili, per segnare tutti i gradini, tutte le porte e gli ascensori troppo stretti? Per delle grandi barriere…grandi pennarelli (disse il cinghiale)! Ma per vedere i grandi segni fatti da grandi pennarelli, occorre una grande lampadina.
Infatti, per concludere la mia lista, ti chiedo delle lampadine alla creatività, che possano, con la loro luce, diminuire l’handicap. Più creatività c’è, più facile sarà superare gli ostacoli.
Chissà quante lampadine, quanti pennarelli, quanti omogeneizzati e quanti corsi di tango ti saranno stati richiesti quest’anno, ma io ho la precedenza in quanto esperto di disabilità.
Ora ti devo salutare, e a proposito, cosa fai esattamente da Gennaio a Novembre? Perché non facciamo insieme un bel corso di tango? Aspetto un invito… mi trovi su claudio@accaparlante.it. Che dire? A te buon lavoro, a noi buon Natale!
Claudio Imprudente.
Occhio alla barrierina d’oro – Superabile
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Qualche giorno fa sono stato invitato a Pontedera per un corso di formazione. Gli organizzatori, membri di un’associazione, ovviamente sapevano che io mi muovo in carrozzina, e avevano cercato un albergo che potesse accogliermi senza barriere.
Arrivati in centro, vicino alla stazione ferroviaria, io e il mio accompagnatore rimaniamo folgorati da un enorme palazzo illuminato a giorno e che illuminava a giorno anche la piazzetta antistante. “Wow” – esclamai – “è così luminoso e scintillante che sarà nuovo di zecca. Avranno dato l’ultima mano di vernice al massimo ieri l’altro”.
Già il portone esterno mi ha fatto sorgere il primo dubbio: prima ancora di aprirlo si dovevano superare una grata sporgente e un tappeto “imperiale” alto otto centimetri. Un gradino peloso aggiunto proprio quando non ce n’era uno di cemento. Ma questo… pazienza! Un tappeto serve a far scena come i fari di cui parlavo…servono a far giorno di notte e a testimoniare grandezza e novità.
Abbiamo chiesto alla reception una camera accessibile. Pronta risposta: “Certo, ci hanno già avvertiti del suo arrivo. Ci hanno chiesto se l’albergo era accessibile, e lo abbiamo garantito. La stanza è già pronta. Al primo piano”. Dopo un viaggio di tre ore non era la stanchezza a richiedere di entrare nella stanza, ma il più classico dei bisogni fisiologici: la liberazione della vescica…gesto rivoluzionario come pochi altri, direte voi. Infatti, in questa vicenda, di glorioso c’è ben poco.
Andiamo per prendere l’ascensore e scopriamo che è così accessibile che anche una persona lievemente sovrappeso non sarebbe riuscita ad entrarvi. Figuriamoci una carrozzina di sessanta centimetri di larghezza. E anche se la porta d’ingresso fosse stata più larga, la profondità dell’ascensore era di circa mezzo metro, o poco più. Insomma, più che un ascensore sembrava uno di quei marchingegni che vediamo, a volte, nei film di fantascienza più stellari; uno di quei marchingegni in cui si entra uno alla volta in attesa che un raggio fotonico ci catapulti avanti o indietro nel tempo, o altrove nello spazio. Un ascensore monouso. Potete immaginare come sia dovuto arrivare al primo piano: un gradino alla volta, giro di ruota dopo giro di ruota…
Dovete sapere, e chi mi conosce lo saprà già, che non tendo ad occuparmi di accessibilità nel senso “stretto” e “fisico” del termine, ma in questo caso la malafede dei proprietari dell’albergo era così evidente che non ho potuto chiudere gli occhi o voltare le spalle. Mi hanno portato una sedia da giardino, una di quelle sedie bianche, di plastica, una di quelle alle quali cede una gamba un giorno sì e l’altro anche, e quello che è seduto fa uno schianto per terra all’improvviso. Certo, è auspicabile che sempre più luoghi, in particolare quelli d’uso pubblico, siano di fatto accessibili; intanto, però, ci basterebbe che i gestori di quelli che non lo sono abbiano il buon senso di riconoscere tale mancanza e di non mettere le persone con disabilità (e chi le accompagna) in situazioni così disagevoli che anche urinare richiede il possesso di abilità “circensi” e “contorsioniste”…
Sapete cosa ho pensato? Come il Gabibbo consegna il tapiro d’oro, io consegnerò la barrierina d’oro. Ormai moltissime persone sono dotate di una piccola viedeocamera nel proprio cellulare. Quindi, se vi capita di trovarvi in una situazione come quella nella quale mi sono trovato io a Pontedera… filmate, fotografate e inviatemi tutto.
Tutta la documentazione che riceverò potrebbe formare un prezioso archivio, utile a fornire informazioni sui luoghi che realmente sono in grado di ospitare un disabile e su quelli che invece sono sedicenti posti accessibili, in realtà non a norma.
Allora che aspettate? Prendete il vostro cellulare e andate per le strade della vostra città. “Occhio alla barrierina d’oro”, la nuova idea di Claudio Imprudente, potrebbe soppiantare il Gabibbo.
E che dire.. buona caccia a tutti. Attento Gabibbo!
Claudio Imprudente
Mirto di Sardegna – Superabile
Scritto da admin il . Pubblicato in Senza categoria.
Tutte le volte che devo preparare le valigie per andare in Sardegna, mi chiedo: come sarà l’accoglienza questa volta?Infatti sono venuto altre volte in Sardegna, con l’equipe del Calamaio, ad incontrare alunni ed insegnanti delle scuole. Ma mai come questa volta ho sentito che la soluzione vera, direi, a qualsiasi problema, anche al tema dell’handicap, è alla portata di tutti, perché è nella comunità e nel fare comunità.
Calangianus è un piccolo paese, grazioso ma anche industrioso, orgoglioso delle sue bellezze e delle sue tradizioni. Bambini, adulti ed anziani ci hanno accolto e hanno fatto di tutto per renderci il soggiorno piacevole. E’ dalla forza e determinazione di genitori come Maria Paola o dalla professionalità e dedizione di insegnanti come Antonella che possiamo partire per un cammino di qualità verso un’integrazione possibile, un’integrazione ed un benessere che non tocca solo chi parte svantaggiato, ma tocca tutti. La comunità tutta deve accogliere la sfida dell’integrazione, deve sempre più imparare a sostenere le famiglie e la scuola, a non lasciarle sole, perché il dovere dell’educazione e della partecipazione alla vita sociale anche di persone che rischiano di essere svantaggiate ed emarginate, siano sentiti come impegni di tutti. Forse in un paese come Calangianus, dove tutti si conoscono, che è quasi una famiglia allargata, può essere possibile questo tipo di integrazione vera, dove nessuno è lasciato solo. Se pensiamo con una metafora che l’handicap sia pesante come una tonnellata, è ovvio che qualsiasi persona, qualsiasi famiglia lasciata da sola ne risulterà schiacciata: se invece impariamo a dividerci il peso, se c’è una comunità pronta a condividerlo, questo verrà ad essere diviso per cento, per mille o diecimila…cosicché sarà molto più facile da portare.
L’handicap non è un problema irrisolvibile, anzi: ognuno può ridurlo partecipando, sostenendo le famiglie, le associazioni come l’ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi), la Consulta delle Famiglie, le cooperative sociali, la scuola…
“Sostenere” non è una cosa speciale ma è alla portata di tutti: vuol dire dare un’ora di volontariato, fare festa insieme, mangiare il pane carasau insieme, giocare insieme, lavorare insieme, condividere innanzitutto i piaceri della vita, che in Sardegna sono tanti e tanti…E’ questo essere comunità che a Calangianus come dovunque è la vera soluzione: sono convinto quindi che il lavoro per l’integrazione ad opera delle famiglie, della scuola, dei volontari sia una crescita di benessere che tocca veramente tutti perché è la comunità a beneficiarne, e non solo i cosiddetti svantaggiati…L’handicap allora non è un terreno speciale, solo per addetti ai lavori, non è una riserva indiana…ma è una forma di allenamento che rende più forti, una palestra che ci prepara per affrontare qualsiasi sfida, un punto di vista sui valori veri, una specie di liquore di mirto che condensa il meglio della terra… E che dire…buon mirto a tutti!
Claudio Imprudente
(claudio@accaparlante.it)
Medici senza mestiere – Superabile
Scritto da admin il . Pubblicato in Senza categoria.
Appena arrivato al Centro Documentazione Handicap, come ogni mattina stavo scaricando la posta quando un messaggio fra gli altri mi ha colpito anzi turbato parecchio. Un messaggio che ha fatto molta strada per arrivare fino al mio computer, ma un messaggio così arrabbiato e determinato che neppure un antivirus potentissimo lo avrebbe mai fermato. Chi mi ha scritto è una logopedista di Messina disperata a causa della situazione che sta vivendo, che mi lancia una richiesta di aiuto per una grave situazione. Non posso garantire la veridicità delle informazioni che ho ricevuto dal momento che abito a Bologna e non in Sicilia e soprattutto ci tengo a precisare che di solito evito di fare queste denuncie, ma questa richiesta mi è sembrata così angosciata che non ho saputo ignorarla.
Questa logopedista mi informa della grave situazione di messina in cui milioni di pazienti stanno rimanendo senza assistenza dal momento che i fondi della regione sono stati tolti e per colpa del direttore dell’Asl di Messina tutti i centri rischiano di chiudere (anzi, alcuni già lo hanno fatto) col risultato che molti terapisti e medici sono disoccupati e che molti pazienti ,soprattutto bambini anche gravemente disabili, sono rimasti senza terapia. Riporto inoltre le seguenti testuali parole della logopedista che mi ha scritto:
“La cosa ancora più scandalosa è che il direttore dell’Asl, che sostiene che non ci sono soldi, si è fatto un bellissimo studio tipo appartamento della grandezza di un intero piano del centro di igiene mentale e solo i suoi amici hanno la possibilità di ristrutturare i propri centri. Noi terapisti non sappiamo come fare, sono già stati fatti scioperi, cortei… ma niente. In più c’è una voce che dice che è stato il nostro governo stesso a togliere i fondi al sud.”
Mi sembra davvero assurdo che nel 2007 possano esistere ancora situazioni di questo genere, per questo mi piacerebbe che i mass media approfondissero questa notizia per accertarne la veridicità e, nel caso, denunciarne la gravità, poichè una cattiva sanità oltre ad esser anticostituzionale è anche un forte segnale di non integrazione. Chissà quanti casi del genere esistono che rimangono nell’anonimato. Per questo sostengo ed incoraggio chi come la logopedista che mi ha scritto denuncia senza paura queste gravi situazioni, credo che sia un esempio da imitare!
Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate, scrivetemi su claudio@accaparlante.it e buona sanità a tutti!