Quali sono i dati caratterizzanti, le problematiche emergenti, gli aspetti che giudicate particolarmente rilevanti per descrivere i tratti principali della vostra realtà?La collaborazione tra Comune di Forlì e la cooperativa CAD è iniziata circa due anni fa come una scelta quasi obbligata. Nel senso che non ci entusiasma l’idea di esternalizzazione come enti pubblici i servizi.
Come operatore mi trovo fortemente d’accordo con la scelta fatta, la  mia esperienza è positiva perché gli anni precedenti non avendo un rapporto stabile con un’associazione o cooperativa in grado di supportare con continuità il processo per l’integrazione scolastica, avevamo ingressi di persone (supplenti) nella sezione discontinui, con la conseguenza di interventi poco efficaci nei confronti dei bambini disabili inseriti.
In questo senso il percorso attivato con la CAD ha significato la possibilità di lavorare con continuità.
In questo momento come Comune abbiamo dieci bambini che sono presenti e iscritti nella scuola dell’infanzia con le insegnanti di sostegno CAD e un insegnante part-time comunale;  nel nido sono due i bambini inseriti e abbiamo due insegnanti di sostegno comunali sempre part-time.
Poi c’è una “galassia”, definiamola in questo modo, di bambini con disagio sociale sempre più accentuata.
C’è una crescita esponenziale di questa situazione, di bambini in difficoltà con cui gli insegnanti devono fare i conti.
Mi pare di poter dire che il rapporto tra Comune e cooperativa CAD sta crescendo, ci misuriamo tutti i giorni sui problemi, stiamo attivando anche percorsi di formazione comune.
(Bruno Lombardi)

Nonostante la nostra cooperativa abbia un’esperienza molto ampia, quasi trent’anni di attività nel settore del lavoro di cura e dell’handicap, questo servizio è stato attivato in tempi recenti e su questo abbiamo bisogno di irrobustirci.
Forse per questo un dato che salta agli occhi è che le nostre educatrici, rispetto alle educatrici comunali, sono più giovani, sia per età anagrafica che per esperienza  professionale. C’è un percorso che bisogna costruire perché c’è un gap sia a livello di esperienza che culturale.
Sia noi che il Comune siamo intenzionati a costruire un percorso insieme e a integrarci. Per noi le insegnanti comunali sono una grossa risorsa proprio nel quotidiano e le nostre educatrici hanno molto da imparare. Dal canto loro possono mettere molta voglia di imparare e motivazione al lavoro, si buttano nelle attività e anche questa è una caratteristica importante.
(Monia Castagnoli)

Quali sono le linee principali, le “parole chiave” attorno a cui avete strutturato le politiche educative che sostengono il lavoro di integrazione nelle strutture educative e scolastiche?L’esperienza comunale sull’integrazione risale a più di trent’anni fa. Allora furono fatte scelte anche forzando la legge, forzando addirittura i rapporti con il personale per cui i bambini furono inseriti nelle strutture educative nell’ottica di un intervento (ed è questo il passaggio chiave) che fosse il più possibile precoce. Un ambientamento precoce in una struttura come il nido è una scelta che in prospettiva paga, paga con diversi tipi di deficit perché le attenzioni che vengono messe in gioco prima al nido poi alla scuola di infanzia (richiesta di relazione, percorsi, attività) danno al bambino con deficit la possibilità di essere aiutato a costruirsi un modo di rapportarsi con se stesso e con il mondo. In questo senso per noi è importante che l’incontro fra l’istituzione nido e scuola dell’infanzia e il bambino avvenga il più possibile.
L’altro problema è capire se, come e quanto siamo pronti, preparati e formati ad affrontare l’incontro e la quotidianità con i bambini disabili (il “deficit” che abbiamo fra le mani).
Per questo l’altra parola chiave è la formazione continua. Per molti aspetti la nostra esperienza trentennale ha costituito una cultura che non avevamo e questo rapporto quotidiano ha costretto moltissimi insegnanti ad imparare. Il Comune ha dato il sostegno della formazione; su questo versante il percorso formativo non si è mai interrotto, sempre avendo cura di analizzare il quotidiano, i casi emblematici che le insegnanti avevano per le mani.
Questo ha creato una cultura forte anche se ci sono delle luci e delle ombre: il rischio nelle relazioni interne (che c’era prima e c’è anche oggi con la CAD) è il rischio potenziale di una sorta di delega  reciproca per cui l’insegnante di sostegno viene caricata di responsabilità che certamente ha ma che vanno gestite in una logica di condivisione, pena la gestione in proprio del bambino da parte dell’insegnante di sostegno. È chiaro, è giusto che un bambino che ha bisogni relazionali deve avere una figura di riferimento forte ma è importante che abbia la possibilità di conoscere ed entrare in relazione con tutte le figure che sono presenti nella sezione. (Bruno Lombardi)

Ripercorrere a ritroso l’esperienza della formazione significa ragionare sull’analisi dei bisogni formativi: quali  sono state delle priorità e le attenzioni ai temi specifici in questi anni?Ci si è incentrati su aspetti salienti della pedagogia, come l’osservazione, che è uno strumento importante per tutti i bambini, è lo strumento di fondo, “obbligato” per l’insegnante di sostegno. Su questi aspetti abbiamo molte volte ragionato. L’osservazione non deve essere fatta una tantum e poi lasciata da parte: l’osservazione deve, se possibile, essere formalizzata e discussa, ripresa per poter vedere i fili conduttori che possono suggerire piste di azione; l’osservazione deve essere utilizzata. In questo senso le insegnanti vanno aiutate e sostenute. La formazione con persone che hanno culture diverse, diverse età ed esperienza può significare trasmissione di saperi e un modo sinergico di lavorare sui problemi.
(Bruno Lombardi)

Un’altra parola chiave che mi viene in mente è la documentazione, fortemente legata all’osservazione. Proprio l’anno scorso che era il primo anno di presa in carico del servizio, abbiamo concordato con il Coordinamento Pedagogico la costruzione e supervisione di una scheda individuale che accompagna il bambino, dove vengono raccolte e formalizzate e condivise le osservazioni e gli obiettivi del PEI. Adesso la stiamo sperimentando per verificarla, aperti a ogni ulteriore adattamento per poterla migliorare.
(Monia Castagnoli)

Nel quadro così caratterizzato per come lo state descrivendo, come definireste oggi lo “stato di salute” della qualità dell’integrazione dei piccoli nelle strutture educative e nelle scuole d’infanzia  della vostra  città?Lo stato lo definirei buono perché questi bambini sono comunque una ricchezza per l’esperienza che fanno i bambini e anche le insegnanti. Dopo di che l’insegnante ha l’onere di dover affrontare anche i problemi, per cui bisogna creare dei meccanismi tali che l’impegno per le insegnanti non sia troppo gravoso e gestibile. Un limite che abbiamo è che non sempre, come pubblica amministrazione,  siamo in grado di ascoltare quello che le insegnanti pongono in termini di interrogativi, di disagi portati e potenziali. Non sempre siamo pronti ad accogliere e riconoscere le difficoltà che le insegnanti portano.
(Bruno Lombardi)

 

Direi che lo stato di salute è tra il discreto e il buono perché c’è un discorso di continuità che la CAD ha garantito in questi ultimi due anni. Su questa base si possono costruire delle cose.
C’è un sodalizio fecondo con queste giovani ragazze della cooperativa. Se forse l’ente locale non ascolta fino in fondo la nostra voce, devo però dare atto che per quanto riguarda le questioni della disabilità il coordinamento è presente. Magari non tutte le istanze possono venir raccolte ma c’è uno sforzo di presenza, c’è un’attenzione a livello di coordinamento.
L’osservazione è il punto cruciale; usare l’osservazione significa poter fare un quadro di ogni bambino, un quadro flessibile costantemente in movimento, da aggiornare per ripartire. Questa dovrebbe essere anche la direzione principale di ogni formazione: un supporto a capire che ogni intervento non è mai definitivo ma si deve continuamente rivedere, rimettere in discussione e ritarare. Questo è il grande valore dell’osservazione; non è stato semplice da imparare, piano piano ci si è costruito questo saper osservare, saper ascoltare che ha permesso di uscire dall’atteggiamento
“ma adesso che cosa faccio?”
(Meris Pedrizzi)

Mi sento di sottolineare la centralità del rapporto tra insegnante di sezione e educatrice: non è semplice ma è necessaria una stretta collaborazione tra insegnanti di sezione e di sostegno.
Anch’io mi collego all’importanza dell’osservazione e della documentazione. L’osservazione del bambino ma anche del contesto è lo strumento principale per capire meglio chi si ha di fronte, una persona con limiti e capacità, per non dare nulla per scontato, per vedere le evoluzioni della situazione. L’osservazione è la base per costruire il mio intervento.
(Lorena Visotti)

Quali sono, a vostro parere, i principali aspetti positivi attivati nel percorso di integrazione sperimentati fino a oggi?Aspetto di positività è che molti bambini con disagio hanno frequentato la scuola di infanzia e l’hanno fatto con interesse e curiosità, vivendo una condizione di benessere. Questo mi sembra un dato di realtà per molti bambini e quindi anche per molte famiglie che hanno vissuto come molto importante il passaggio dalla fase di inserimento a una vera e propria integrazione. Positività è quando un bambino, che vive una situazione anche molto grave, viene volentieri a scuola, manifesta con il sorriso, con il corpo, il piacere di venire nella scuola.
Positivo è quando anche gli altri bambini accettano e cercano il bambino in difficoltà, chiedono di lui e si relazionano con lui. Sono segnali che qualcosa si è mosso, che stiamo lavorando nel verso giusto.
(Meris Pedrizzi)

Il nostro primo obiettivo è quello di far star bene il bambino. Che possa venire serenamente a scuola. Questo alla famiglia fa molto piacere, aiuta a superare le preoccupazioni di lasciare in mano a qualcuno il proprio figlio all’interno di un gruppo allargato.
Quando il bambino è sereno, anche il genitore è più tranquillo e sicuro.
(Lorena Visotti)

La parola chiave benessere (così come autonomia, identità, competenza) è pensata per tutti i bambini. C’è un’attenzione specifica per il bambino con deficit, ma all’interno di un quadro che tende in termini generali ad aumentare le occasioni di benessere (autonomia, identità, competenza) per tutti i bambini. Il fatto che il bambino stia bene, che la famiglia sia serena permette anche all’insegnante di lavorare con più tranquillità e sicurezza. Di mettere in  atto un atteggiamento osservativo che aiuta a “essere” dentro la situazione.
(Bruno Lombardi)

Quali i principali aspetti critici e di difficoltà? E come si potrebbero superare?Per la mia esperienza un elemento delicato è dato dal rapporto con l’AUSL  che è sempre un po’ sul filo del rasoio. Il bambino con disagio va visto nella sua unicità. Noi abbiamo diversi incontri con gli operatori AUSL dove ci sono scambi e confronti sul loro modo di vedere, sui loro progetti. Il difficile è trovare il mio specifico ruolo e lo specifico ruolo della scuola, e mantenerlo, nel rapporto con l’AUSL. La tendenza è quella di dare degli obiettivi piuttosto specifici e c’è un momento critico che è quello della raccolta dei dati e della trasformazione  in un progetto di integrazione. Noi come insegnanti abbiamo bisogno di essere aiutate a sviluppare il piano nostro, che è quello pedagogico, e anche di essere rassicurate su questo.
Un altro aspetto di difficoltà è legato alla presenza sempre numerosa di bambini che vivono un disagio ma che non sono segnalati per questo: è un disagio che loro portano a scuola, nelle sezioni, e con cui fare i conti.
(Meris Pedrizzi)

Aggiungerei che non esiste un protocollo ufficiale di rapporti fra istituzioni; c’è uno scambio e una fiducia reciproci, ma forse la formalizzazione degli impegni aiuterebbe nel definire compiti e responsabilità.
Un limite che talvolta vedo è che le insegnanti possono correre il rischio di fare il mestiere degli altri, di “psicologizzare” il bambino e la sua famiglia: questo può derivare anche dal fatto che molte volte le insegnanti non sono consapevoli del grande valore professionale che hanno e vanno un po’ alla ricerca di altri modelli. Non dobbiamo avere l’ansia dell’errore, ma provare e sperimentare situazioni, proposte, giochi che approfondiscano  il ruolo e la proposta educativa per l’integrazione.
Come coordinamento siamo i referenti maggiori rispetto all’ambito dell’integrazione educativa e in particolare alle famiglie di bambini con deficit. Noi intendiamo fare leva soprattutto sulla formazione (sia insegnanti comunali che provenienti dalle cooperative). L’insegnante non può e non deve essere lasciata da sola.
(Bruno Lombardi)

 

Partecipanti al focus:
Bruno Lombardi, coordinatore pedagogico Comune Forlì
Monia Castagnoli, coordinatrice Cooperativa CAD Forlì
Meris Pedrizzi, insegnante scuola infanzia “Querzoli”
Lorena Visotti, educatrice CAD

Conduttrice: Marina Maselli, pedagogista Context-Bo, consulente Comune di Forlì

Continua a leggere: