Storia di una famiglia coinvolta nel progetto RBC di Mandara

Mi chiamo Asmaa e ho 25 anni. La mia famiglia è composta da mio padre, mia madre, mio fratello Islam, che è più grande di me e soffre fin dalla nascita di paralisi cerebrale; mia sorellina Yassemin, è invece affetta da disabilità mentale.

Potete immaginare lo shock dei miei genitori quando hanno scoperto che il loro figlio aveva un simile problema; si sono chiusi in se stessi, rifiutando di parlarne con chiunque e hanno iniziato a passare la maggior parte del tempo chiusi in casa.

La notizia del problema di mia sorella ovviamente non ha fatto che peggiorare le cose.

Come riflesso di questa situazione, tutti noi abbiamo vissuto quasi isolati; io soffrivo la solitudine e mi sentivo triste.

Dieci anni fa mia madre conobbe al mercato, mentre faceva la spesa, un volontario che cercava donazioni per le persone con disabilità, spiegando che cosa fosse la “Riabilitazione su Base Comunitaria”.

Tutti noi iniziammo ad andare all’incontro settimanale e a prendere parte al progetto.

All’inizio mio padre non approvava il nostro impegno quotidiano in tali attività e soprattutto era preoccupato per me, finché arrivò il momento del campo estivo. Gli chiesi il permesso di parteciparvi ma lui rifiutava completamente l’idea e ci vietò di continuare a frequentare il progetto.

Allora un membro dello staff Seti andò a parlargli personalmente e riuscì a convincerlo dell’utilità del progetto e dei benefici che la nostra stessa famiglia poteva trarne.

Pian piano anche mio padre iniziò a collaborare con noi; il nostro senso di responsabilità verso il progetto stava via via crescendo e io iniziavo a ricevere una formazione specifica presso il centro Seti, atta a sviluppare le mie capacità.

Nel 2004 ho vinto il riconoscimento come miglior volontaria nella celebrazione dell’“Award of Excellence”. Ora la mia famiglia ha un atteggiamento positivo e aiuta molte famiglie che sono ancora in uno stato di shock.

In questo momento sono la coordinatrice del progetto, mia madre è responsabile per il “comitato genitori” di Mandare e mio padre è membro del “comitato padri”. Abbiamo ottenuto un riconoscimento come miglior famiglia nella celebrazione dell’“Award of Excellence 2007”.

 

Storia di una madre nel progetto RBC di Radwan

Sona la mamma di una bimba di 10 anni che si chiama Nemaa che ha una disabilità multipla. Poco dopo la sua nascita scoprii la sua disabilità. Mio marito si vergognò in tal modo che si rifiutò di vederla; parecchie volte uscì di casa e smise anche di parlarmi.

Un giorno mentre stavo facendo spesa al mercato incontrai una giovane che era una volontaria nel progetto RBC di Radwan. Cominciò a parlarmi del progetto e della possibilità di inserire mia figlia nel programma di riabilitazione. All’inizio rimasi perplessa perché i medici mi avevano detto che mia figlia era irrecuperabile.

Lei aveva sei anni quando andai per la prima volta all’appuntamento e mi meravigliai quando vidi parecchie madri che avevano il mio stesso problema: e io che pensavo di essere l’unica al mondo a essere in questa situazione.

In poco tempo cominciai a diventare più ottimista quando vidi i primi progressi.

Un giorno durante una formazione per le madri, capii che avrei potuto aiutarle costruendo io stessa degli strumenti educativi.

Un’altra sorpresa fu quando i volontari e le altri madri si accorsero che avevo una certa abilità nel cucire, nel disegnare e progettare questi strumenti. Col tempo divenni la loro insegnante, partecipando a delle mostre e guadagnando anche dei soldi.

Il risultato più importante è che ho raggiunto la fiducia in me stessa e che posso superare i problemi che mi si presentano.

 

Storia di una persona religiosa islamica nel progetto RBC di Kabbary

Mi chiamo Sheik Ahmed Saleh e sono il responsabile della moschea di Kabbary.

Io non sapevo nulla di disabilità e pensavo che i disabili non potessero fare nulla, che fossero per le famiglie solo un peso e una vergogna. E pensavo che sarebbe stato meglio metterli in luoghi separati fino alla loro morte.

Ma nel marzo del 2006 alcune madri con figli disabili mi chiesero di inserirli nelle attività della moschea. Io non volevo ma essendo una persona religiosa non potevo dirlo: così accettai controvoglia pensando che dopo una o due volte non sarebbero più tornati.

Incontrandoli cominciai a conoscere il progetto di riabilitazione su base comunitaria e mi rammaricai per le idee che avevo prima.

Da quel momento iniziai a partecipare a tutte le iniziative del progetto e tentai di aiutarli nelle attività per l’integrazione; ma non mi limitai a questo, cominciai a raccontare questa esperienza anche alle altre persone che frequentano la moschea.

Adesso, come responsabile per le moschee di Alessandria ovest sensibilizzo le comunità sui problemi delle persone disabili e sui loro diritti.

(S.V. e N. R.)

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