Conversazione con Francesca Ortali, responsabile dell’ufficio progetti esteri dell’Aifo.
Come siete arrivati a lavorare in Mongolia su un progetto di RBC?
Nel periodo in cui siamo arrivati in Mongolia c’erano pochissime ONG e ancora oggi, a dire il vero, se ne contano poche. Quest’anno il progetto ha compiuto vent’anni. A compierli, in realtà, non è stata la nostra collaborazione ma “Tegsh duren”, il programma che in lingua mongola significa “pari opportunità”.
Ci siamo capitati perché la Mongolia era uno di quei paesi che l’OMS aveva identificato nel suo progetto pilota per implementare la riabilitazione su base comunitaria. Stiamo parlando dei primi anni ’90. Il rappresentante dell’OMS della Mongolia chiese all’OMS centrale di iniziare il progetto, dopo di che l’OMS ci propose di andare a vedere se c’erano le possibilità di fare uno studio di fattibilità e così iniziammo. Si trattava di un periodo molto difficile per la Mongolia, a causa del crollo dell’Unione Sovietica. Nel giro di sei mesi la popolazione si è trovata improvvisamente senza riscaldamento, senza acqua, senza petrolio.
La Mongolia era uno stato separato, nel senso che non era annesso all’URSS ma era conglobato e dipendente in toto da tutto il blocco sovietico. Ci sono due o tre generazioni di mongoli che hanno vissuto sotto l’egemonia russa. Tutta l’economia, quindi, era strettamente connessa alla Russia, dipendeva da lei e quando questa è caduta la Mongolia di riflesso ne ha sofferto moltissimo.
Anche se ricca di risorse naturali?
Di risorse naturali era ed è ricchissima ma la struttura economica e politico-amministrativa dell’URSS non li lasciava affatto indipendenti.
Nel ’92 si viveva dunque piuttosto male e il problema era iniziare a cambiare la mentalità della popolazione. Dopo due generazioni sotto l’URSS e in cui ti dicono che non devi pensare in prima persona ma lo fanno gli altri per te e tu fai solo quello che ti è assegnato, è difficile cambiare, ci vuole tempo.
Spiegami meglio che cos’è “Tegsh duren”
“Tegsh duren” è più che altro una sorta di programma, che al momento si estende in tutta la Mongolia; ora sta iniziando un loro programma portato avanti dal Ministero della Salute, che sarà inserito nei programmi di salute di base, perché, così come ci sono i programmi di vaccinazione, si vorrebbero inserire anche programmi di riabilitazione su base comunitaria.
All’interno del programma ci sono diverse attività. A partire dalla formazione, che è una formazione a cascata che comprende tutti i livelli amministrativi, da quello centrale a quello sotto distretto, alle piccole unità abitative.
Di che tipo di formazione si tratta?
Formazione rivolta ai medici e ai paramedici. Si va dalla formazione specialistica a ortopedici, a medici di famiglia, ai feltcher che sono figure intermedie, né medici di famiglia né infermieri, che seguono un certo numero di famiglie nomadi utilizzando il motociclo o il cavallo. L’hanno scorso abbiamo fatto una ricerca proprio sui feltcher, sul loro ruolo e la loro formazione e dei bisogni formativi ai quali possiamo venire incontro con progetti di RBC.
L’altra parte importante è la riabilitazione socio-economica che passa anche attraverso il credito rotativo; dei fondi cioè che passano da un gruppo all’altro. Ad esempio per un anno vengono date cento capre femmine a una famiglia, vengono ingravidate, e mentre i nuovi nati rimangono alla prima famiglia, tutte le capre passano a una seconda.
Si chiama fondo rotativo di animali, invece di dare gli interessi in denaro li dai con gli animali da allevare; in Mongolia funziona bene perché gli animali, di fatto, sono la vita per i nomadi, non possono vivere senza, soprattutto per quelli più vulnerabili della società che sono le persone disabili. Avere un gruppetto di animali li stimola sicuramente, tornano cioè a vivere economicamente ma anche socialmente, perché questo gli permette di essere riconosciuti dato che possedere un branco di animali procura una certa considerazione.
A proposito di persone disabili come vengono coinvolti nel progetto?
Questo progetto ci ha portato sempre più vicino alla Federazione delle Persone con Disabilità e alle organizzazioni di persone con disabilità stesse. Sin dall’inizio le abbiamo coinvolte ma nelle associazioni di persone con disabilità la leadership e la gestione non sono molto spiccate.
L’obiettivo di un programma di riabilitazione su base comunitaria è sì formare i professionisti ma occorre lavorare molto sulle persone disabili, occorre operare per un loro empowerment [rafforzamento/presa di coscienza – ndr]. Abbiamo avuto un finanziamento dall’ONU e nel 2006 abbiamo iniziato questa formazione specifica a due livelli per le organizzazioni di persone con disabilità che dovevano far parte della federazione. Naturalmente per le persone che non abitavano a Ulan Bator ma in campagna questo discorso è stato ancora più difficile da fare.
Da quest’esperienza è scaturito un manuale di formazione in moduli che la Provincia di Milano ha tradotto in italiano e altre lingue; l’ha pubblicato e l’ha utilizzato per la formazione del proprio staff e delle associazioni di persone con disabilità della provincia di Milano.
Ritornando alla Mongolia tutte queste formazioni hanno fatto sì che la rete delle persone con disabilità si è rafforzata talmente che ha fatto un rapporto “ombra” per la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. Hanno addirittura ratificato la Convenzione prima dell’Italia.
Parlami del rapporto con i giornalisti locali, frutto anche questo di un processo…
Abbiamo sempre insistito sull’importanza della visibilità e di come fare comunicazione, attraverso video, foto… In questo caso abbiamo coinvolto la Commissione Nazionale per i Diritti Umani, che è un ente governativo che dovrebbe essere formalmente l’istituzione che si occupa di tutte le questioni riguardanti i diritti umani e quindi anche i diritti delle persone disabili.
La collaborazione in Mongolia con questa Commissione è stata molto interessante e sono state prodotte ottime pubblicazioni e video in lingua mongola. L’anno scorso addirittura ne hanno realizzato uno molto particolare che riguardava la formazione dei funzionari di polizia riguardo al loro relazionarsi alle persone disabili.
Per quanto riguarda il mondo dell’informazione ci si era resi conto che in occasione di un evento che riguardava i disabili, i giornalisti non venivano mai e, se venivano, non raccontavano i fatti focalizzandosi sui diritti umani ma molto spesso usavano un tono pietistico. Poi pian piano i giornalisti si sono avvicinati ai nostri responsabili e proprio loro stessi hanno chiesto di ricevere un corso di formazione. Da questo rapporto sono venuti fuori video, documentari, articoli, spot televisivi sul tema della disabilità finanziati dal progetto o su loro iniziativa.
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- 3. Disabilità e Organizzazioni Non Governative tra ONU, UE e Italia
- 4. “Saper coinvolgere la società civile”
- 5. Sitografia
- 6. “Tegsh duren”, le pari opportunità nelle vaste steppe mongole (Pagina attuale)
- 7. La Rete Italiana Disabilità e Sviluppo
- 8. Il piano nazionale sulla disabilità in Kosovo
- 9. Fare RBC ad Alessandria d’Egitto
- 10. Asmaa e le altre
- 11. A Mandya si mette alla prova la riabilitazione su base comunitaria
- 12. Un’attività di inclusive education nei paesi in via di sviluppo
- 13. Il ruolo della comunicazione