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Il Laboratorio Teatrale Integrato. Bambini e disabili sulla scena della diversità


Utopici e rari, luoghi capaci di superare le distanze per mezzo dell’immaginazione. Sono questi i “Teatri Possibili” che desideriamo incontrare nella nuova rubrica dedicata alla diversità e alle arti performative. Esperienze e pratiche in trasformazione per superare i limiti del corpo e del presente.
Per questo numero di “HP-Accaparlante” proponiamo l’Istituto Piccolo Cottolengo Don Orione di Genova dove l’integrazione si fa anche sul palco. Da quattro anni, infatti, l’Istituto ospita al suo interno il Laboratorio Teatrale Integrato, coinvolgendo i bambini delle scuole elementari e le proprie ospiti con disabilità nella realizzazione di uno spettacolo annuale, rappresentato e condiviso pubblicamente con gli abitanti del quartiere cittadino. Un esperimento coraggioso e innovativo su cui abbiamo intervistato Giuseppe Pellegrini, curatore e conduttore del progetto.

Partiamo dagli esordi di quattro anni fa. Come nasce l’idea del Laboratorio Teatrale Integrato all’interno dell’Istituto Cottolengo Don Orione ?
Tutto è cominciato con la mia entrata in Istituto per l’appunto quasi quattro anni fa. Già allora si utilizzavano degli strumenti teatrali volti all’educare e le persone disabili avevano sperimentato su di loro che lo stare in teatro, così come il provare a farlo, fa bene, distende cioè le tensioni, è capace di tirare fuori  il meglio di noi. Essendo poi l’Istituto collocato in un quartiere molto popolato, fin dall’inizio, non appena sono entrato, ho pensato che sarebbe stato bello integrarci anche con il resto dei suoi abitanti. Così, sono partito con il proporre l’attività teatrale con le persone disabili ai bambini del catechismo mettendo in scena Il Flauto Magico di Mozart. Partendo dai propri limiti e possibilità, i bambini hanno cantato e recitato con disabili riuscendo a portare a termine lo spettacolo con ottimi risultati.
L’anno successivo invece, ho deciso di proporre un laboratorio più strutturato e continuativo in una scuola. L’idea infatti era proprio quella di attuare un percorso condiviso, in cui non fossero solo i bambini a venire a trovarci in Istituto ma in cui anche noi potessimo uscire per mettere a frutto nella scuola la nostra esperienza. Ed ecco che, da questo incontro, è nato il Laboratorio Teatrale Integrato. Al momento ormai, ogni lunedì, due classi della Scuola Solari, che dalla seconda abbiamo portato alla quarta elementare, vengono da noi in Istituto per partecipare insieme a un percorso che ci porta a realizzare uno spettacolo. Più che lo spettacolo, tuttavia, il vero focus è il laboratorio, dove si concentra gran parte del processo. Aggiungi un posto a tavola è stato il nostro secondo spettacolo, partito da un testo comico celebre e condito con musiche molto coinvolgenti.
Lo scorso anno abbiamo invece fatto un salto in più, creando noi un vero e proprio copione, e a provare siamo andati all’interno della palestra della Scuola Solari e questo, per le nostre ospiti, non è affatto un fatto scontato.

Da chi è composto oggi il gruppo del Laboratorio Teatrale Integrato?
Insieme ai 37 bambini delle elementari e alle loro insegnanti c’è il gruppo multiforme delle nostre ospiti, tutte donne, dai 31 fino ai 65 anni. C’è quindi un triplo livello su cui lavoriamo: su di noi, cioè sull’équipe di educatori che propone il Laboratorio Teatrale Integrato, sui docenti e ovviamente sulle ospiti e i bambini.
Tutto questo è impegnativo, affascinante ma è anche un percorso piuttosto lungo. Il gruppo è davvero molto grande quindi si va avanti a piccoli passi. Oggi siamo giunti a creare, come accennavo, un copione tutto nostro, Il Baule Magico dei desideri, un testo autobiografico, nato a partire dalle storie delle nostre ospiti, che accanto ai bambini lavoravano così sui propri testi e racconti, sulle musiche che prediligevano, le scenografie…

Come reagiscono i bambini a questo incontro e, viceversa, qual è  la risposta delle ospiti?
Noi cominciamo alle 9:30 e le ospiti entrano in sala prove molto prima dei bambini, un momento che genera subito un grande stato d’attesa e di emozione, che, ovviamente, è andato nel tempo crescendo. Si tratta di un gruppo in formazione, un gruppo che sta cominciando a condividere parte della sua quotidianità e della propria vita.
Spesso non si vede l’ora che arrivi la volta successiva per poterci rivedere e poter ricominciare.
Quando poi deve iniziare lo spettacolo, la voglia di farsi vedere e di mostrare al pubblico il lavoro fatto è a dir poco esplosivo!
Dai bambini poi escono molte cose, ho tanto materiale derivato da loro, disegni, frasi citate dallo spettacolo che spesso sono le loro stesse battute, quello che ne nasce è una rielaborazione sempre molto spontanea. I bambini scoprono che anche se ci sono degli attori e delle attrici con difficoltà poi si trovano delle soluzioni. Il passo successivo è giocarci sopra e divertirsi insieme.

Sembra che il perpetuarsi di quest’incontro abbia maturato nel tempo i suoi frutti. Con la crescita dei rapporti e delle amicizie sono cresciute di pari passo anche le vostre competenze…
Sì, con Il Flauto Magico siamo partiti da un testo tratto da un libro per bambini che ci ha proposto un’insegnante, che poi abbiamo riadattato e rielaborato a modo nostro.
Con Aggiungi un posto a tavola, abbiamo affrontato invece le esilaranti pieghe della commedia. Grazie a questo spettacolo, in seguito siamo addirittura entrati agli Arcimboldi di Milano, dove l’attore Gianluca Guidi ci ha permesso, con tutto il gruppo di bambini e ospiti, di fargli un’intervista.
Poi siamo passati a Il Baule Magico dei desideri, partendo direttamente da noi. Nel Baule, oltre alle storie autobiografiche c’è anche la presenza del mare, un luogo che racconta… Abitando noi a Genova, un giorno siamo andati proprio sul mare, bambini e ospiti, lì un cameraman ci ha ripreso e ne ha fatto un docufilm. Questo momento, e il fatto che sia stato documentato, per noi è molto importante, perché si è focalizzato sul processo. In questo docufilm c’è anche uno spezzone in cui i bambini fanno un racconto che poi è stato inserito nello spettacolo, oltre che dei momenti di gioco che noi viviamo all’interno del laboratorio che poi vanno a introdurre quello che si fa la volta successiva.

Alla fine si conclude sempre con un momento di festa, di solito una bella tavola imbandita al centro dell’Istituto. Tutti gli anni ci diamo così appuntamento per l’anno successivo, lasciamo un dvd del percorso ai genitori dei bambini e cerchiamo di venderlo per finanziare l’attività.

Più l’Istituto ci presta attenzione, più, ovviamente, è facile per noi fare ogni anno dei passi in avanti.

Come sono state preparate le insegnanti che hanno affiancato i bambini in questo percorso?
Ho cercato di parlare con loro del concetto di inclusione e integrazione ma soprattutto di quello di qualità. Ho spiegato loro quelle che erano per me le necessità e l’efficacia dell’appoggiarsi al percorso teatrale e ho chiesto loro di partecipare a patto di stipulare insieme un contratto iniziale:  sospendere per un attimo il giudizio e lasciare spazio ai bambini di esprimersi in libertà.
Questo contratto è stato il fondamento di tutto il nostro laboratorio, così come il focus sul processo, una cosa che era molto importante far capire loro. Insieme abbiamo monitorato il percorso, cercando di confrontarci su quello che stava succedendo. Se con tutto lo staff educativo, gli insegnanti e i genitori potessimo incontrarci più spesso credo che si potrebbe fare un ulteriore salto.

Esiste la possibilità di replicare il progetto o di estenderlo alla cittadinanza, al di là del lavoro sul quartiere?
Direi proprio di sì, noi quest’anno stiamo infatti già proseguendo il percorso. In laboratorio al momento stiamo lavorando molto sull’oggetto simbolico specchio, qualcosa che riflette ma chissà che cosa… E poi sul nome. I primi tre mesi li abbiamo spesi tutti intorno a questo tema. Sono assolutamente convinto che le nostre ospiti integrate con i bambini possano sempre regalarci moltissimo. Fare delle repliche da qualche altra parte sarebbe per noi fantastico, per noi e per chi ci ascolterebbe. Il tutto sempre condotto con molta umiltà, so che ci sarà ancora tanta strada da fare ma so anche che quello che abbiamo fatto è reale. E allora alla cittadinanza cosa possiamo dire? Beh, per esempio che si può pensare a un mondo diverso. 



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