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I rischi di una sovrapposizione patologica

Dal punto di vista della psicopatologia Romana Negri elenca alcuni profili particolarmente significativi per la loro rintracciabilità nell’esperienza quotidiana di contatto con alcuni bambini o adulti disabili e con il loro modo di interagire.
Il primo profilo evidenzia una sorta di indifferenziazione totale con l’oggetto, cioè con l’altro da sé e con le parti interiorizzate di questo primordiale interscambio. Si trova in persone con un alto grado di disagio che non tollerano contatti diversi da quello cutaneo. Persone con gravi handicap che facilmente cadono in uno stato di grave angoscia, arginabile solo a fatica e con un contenimento fisico nel senso letterale del termine. Questa condizione di incontenibile disperazione può assumere la forma di frequenti atti di auto-aggressività e di distruttività verso di sé o verso l’esterno, spesso inspiegabili rispetto alla ricerca delle cause che hanno scatenato tale disperazione. Essere bloccati, abbracciati, tenuti stretti dall’esterno, è l’unica modalità che può consentire una lenta e faticosa riconquista dello stato precedente, stato spesso caratterizzato da una condizione di chiusura, immobilità o solo ridottissima capacità di comunicazione con la realtà circostante.
E’ importante sottolineare come la difficoltà abbia origine da una impossibilità di una identità separata e come questa possa essere tamponata, nelle sue espressioni di angoscia, proprio a partire dal corpo, dal contatto, dal confine fornito dall’esterno.
Un secondo quadro psicopatologico è caratterizzato dal prevalere di componenti autistiche, da condotte di estraniamento, da un uso degli oggetti come conferma primaria del proprio sentire, e così via. Questo stato di smantellamento del Sé è l’espressione di una incapacità del bambino di unificare e fare proprie le stimolazioni che, a partire dal corpo, dovrebbero via via diventare, nel corso dello sviluppo, percezioni e sensazioni collegate al mondo delle emozioni, del sentire, dell’entrare in relazione.
Il corpo e le sue sensazioni sono paradossalmente utilizzate per mantenere un distacco, un non-contatto tra la stimolazione e il mondo emotivo perché sentite come troppo angoscianti e pericolose; tale mancata coesione del Sé (Gaddini, Bion) rende particolarmente difficile ogni tipo di relazione. L’unico contatto accettato da queste persone è molto spesso quello con oggetti inanimati o dal funzionamento meccanico e la gran parte degli stimoli del proprio corpo e del corpo dell’altro, nelle occasioni di vicinanza e di scambio umano, non evocano condizioni di benessere, calore, piacere, comunicazione e così via.
Un terzo esempio delle conseguenze prodotte da una difficoltà nel processo di separazione e quindi di costruzione di una individualità sufficientemente autonoma, è rappresentato da bambini e adulti con deficit che manifestano comportamenti prevalentemente improntati all’imitazione. Sono persone che ripetono e copiano atteggiamenti e modalità di chi sta loro vicino, senza che questo possa diventare esperienza propria da cui apprendere. Questi bambini non riescono a simbolizzare, cioè a riempire con pensieri, idee, fantasie proprie, lo spazio potenziale (Winnicott) che la separazione e l’alterità evocano e producono; le loro condotte sono di conseguenza soprattutto condotte di tipo adesivo, che riconducono a una condizione di passività nella quale molto difficilmente trova spazio la dimensione creativa dell’agire e dell’essere in relazione in modo attivo e propositivo.
Un’ulteriore modalità patologica di organizzazione del Sé riguarda bambini che prediligono vivere in un mondo fantastico, nel quale vestire i panni degli adulti che si prendono cura di loro: genitori, terapisti della riabilitazione, operatori. Preferire "essere l’altro" diventa l’unica opportunità praticabile in un contesto relazionale nel quale il bambino non ha potuto avvalersi, nei legami affettivi, di un oggetto (relazione-persona) capace di contenere ed elaborare dentro di sé proiezioni dolorose e intollerabili per il mondo emotivo del bambino.
La mancanza di una funzione che possa sostenere, da parte dell’adulto, contenuti emotivi angoscianti in presenza di una malattia o di una menomazione, impedisce al bambino di tollerare a sua volta quelle parti bisognose di aiuto, malate, incapaci e deprivanti. La elevata difficoltà che questi bambini si trovano ad affrontare diventa così la difficoltà di immaginarsi, sentirsi, viversi come persone che includono nella rappresentazione di sè la propria patologia, il proprio svantaggio. Il dolore è negato, la disabilità è separata dalla propria identità, la diversità evitata attraverso il mondo fantastico, illusoriamente chiamato a sostituire un proprio mondo interno e una realtà tanto dolorosa da non trovare cittadinanza in nessuna delle relazioni più prossime al bambino. Tutto questo altera inevitabilmente il processo di crescita e la capacità di apprendere e di mediare con il mondo circostante. Viene impedita l’accettazione della dipendenza e quindi, in definitiva, l’autentico riconoscimento del limite da un lato, e della soggettività dall’altro. In fondo, in un’ottica che si occupa di sviluppo psicosessuale l’altro è "usato" per garantire questa costruzione fantastica proprio perché il bambino non ha potuto godere della capacità dell’adulto di "farsi usare" e quindi essere aiutato a ricollocare dentro di sé anche aspetti della proprio realtà psichica e corporea esperiti come inaccettabili, inadeguati, indegni.
Questa incapacità di riconoscersi bisognosi di aiuto influisce sulla percezione di sé incluso il contatto col sé corporeo e diventa determinante nella costruzione delle diverse modalità relazionali.
Con questi bambini la sensazione più frequente che l’adulto avverte nei loro riguardi oscilla spesso tra due estremi: da un lato ci si può sentire magicamente inglobati nella realtà fantastica nella quale essi si mantengono, in una condizione di legami e vincoli impalpabili in cui "tutto" è possibile; dall’altro lato è altrettanto viva la percezione di inutilità ed autenticità di ciò che si gioca all’interno della relazione intuendo anche la grande vulnerabilità che queste persone nascondono e che rende molto complesso il lavoro di avvicinamento autentico al loro essere più vero, che nasconde l’area di sofferenza impensabile, nel suo significato di non-pensabile.
Alcune tessere del mosaico rappresentato finora si possono raccogliere in tre aree:
– i confini del proprio corpo e i suoi significati
– le sensazioni che hanno origine attraverso il corpo
– gli aspetti comunicativi e relazionali che il corpo riceve e produce nell’incontro con l’altro

I processi psicopatologici delineati mostrano, con diverse gravità, come queste tre aree sono profondamente intrecciate tra loro e come la presenza di un deficit possa intervenire in qualsiasi momento ad interrompere o alterare la necessaria sintonia che queste aree richiedono.




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