“Bisogna collegare la parola handicap a parole vive, che non si facciano imbrigliare dal sapere scientifico”. “E’ la percezione del limite, è il come si vive questo limite che fa la differenzacreativa”. Quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito: per una nuova immagine dell’handicap

Se qualcuno leggendo questo titolo dicesse:- "Ma cos’è questa roba? Nonleggerò mai questo articolo, alla larga!"- lo capirei, perché forsesarebbe stata la mia reazione qualche anno fa. In effetti la gente si tiene allalarga dall’handicap e dalle persone handicappate perché crede che non siainteressante o divertente stare con queste persone. Da un lato ciò ècomprensibile e anche giusto (infatti se ritieni che stare con una persona nonti possa portare niente di utile è bene starne lontani). Dall’altro èsbagliato perché dell’handicappato abbiamo tutti una immagine spesso distorta,a cominciare dall’handicappato stesso.
A ben vedere questi articoli sull’estetica dell’handicap, fanno pensare a queilibri tipo Cento modi di fare la polenta. L’utilità é data dalle connessioni,analogie, spunti per connettere il cosiddetto "mondo dell’handicap" alMondo. Altrimenti la polenta (senza i cento contorni o modi di cuocerla) rimanesempre polenta e detto fra noi, da sola, senza neanche un minimo di olio, édifficile da affrontare (bisogna avere molta fame, o essere, come me, veneti).Questi articoli dunque non parleranno solo di handicap, ci mancherebbe. Anzitraggono spunto dall’handicap per parlare di qualcos’altro che é molto piùinteressante.

9 punti non sono un quadrato

Per spiegare meglio osservate e provate a risolvere questo celebre problemino:

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connettere tutti i 9 punti con solo 4 linee senza staccare la penna dalfoglio. La difficoltà principale in questo gioco è di considerare questi 9punti come un quadrato. In effetti noi vediamo un quadrato formato da 9 punti,non vediamo i 9 punti presi singolarmente. La percezione del problema,l’immagine che ce ne facciamo già inficia profondamente il nostro tentativo ditrovare una soluzione. Prendiamo questo quadrato di 9 punti come una metaforadell’handicap: se cercheremo di superare o risolvere questo problema tracciandolinee all’interno del quadrato non riusciremo mai a trovare la soluzione. Laparola handicap è una parola impoverita perché collegata troppo spesso solo ase stessa (ai disabili, i loro famigliari, gli operatori del settore,all’insegnante di sostegno, ecc … ). E’ una parola povera di vita perchécollegata spesso ad un sapere tecnico, scientifico, specifico (medico,pedagogico, psicologico, ecc … ). L’unico modo di risolvere il problema dei 9punti è di uscire dal quadrato, scoprire che non c’è un quadrato ma solo 9punti, scoprire che il quadrato è solo un modo di vedere i 9 punti. Bisognacollegare la parola handicap a parole vive, che non si lascino imbrigliare dalsapere scientifico: ad esempio collegare l’handicap allo sport, alla danza, allavoro (vedi ad esempio il calcio in carrozzina, la CanDoCo Dance o per miaesperienza diretta il Progetto Calamaio). La nostra rivista HP-Accaparlante giàdal suo nome presuppone proprio questo: una H, lettera muta, che invece parla,non solo di se stessa ma anche di esperienze, di strumenti, di creatività. Nonè il parlarsi addosso, non è la logica triste delle varie "giornatedell’handicappato", sempre più simili alle sagre della castagna, chetuttavia almeno un significato gastronomico ce l’hanno. A Torino, durante unodei corsi di formazione che teniamo come Progetto Calamaio, una insegnante,persuasa dai nostri argomenti e dal dubbio che già da tempo aveva maturato, hafatto autocritica promettendo che si sarebbe adoperata per cambiare il nomedella sua associazione, Gruppo Amici Handicappati (GAH). Quando la percezioneche abbiamo dell’handicap è sbagliata inevitabilmente, pur in buona fede, sicommettono degli errori ed è per questo che noi del Progetto Calamaiososteniamo che l’handicap prima di tutto è un problema di tipo culturale. Eproprio per questo siamo anche molto ottimisti: quando un bambino di otto annivede in televisione una gara fra atleti disabili non potrà fare a meno diconsiderare come naturale il desiderio di un disabile di fare sport, per lostesso motivo per cui solo pochi anni fa ciò sarebbe stato impossibile.L’immagine del disabile cambia e molto in fretta grazie ai mezzi dicomunicazione.

I punti immaginari

Una volta abbiamo proposto il problema dei 9 punti in una scuola media e unaragazza ha detto: "Forse per risolverlo bisogna fare perno sui puntiimmaginari!" e subito dopo ha risolto il problema. E’ proprio qui ilsegreto, fare perno su punti immaginari esterni al quadrato (le parole vive dicui si parlava prima), sforzarsi di immaginare questi punti, produrre una nuovaimmagine di handicap. Qui dobbiamo fare perno sulla nostra creatività perchéuna caratteristica essenziale dell’atto creativo è proprio quella di usciredagli schemi cui il pensiero abitudinario ci imbriglia. E’ per questo che valela pena di affrontare una tematica come quella dell’estetica dell’handicap.Certo un po’ alla volta, perché non si pretendono cambiamenti improvvisi: anchedopo aver trovato la soluzione, dopo cioè aver fatto lo sforzo di liberarsidalla percezione del quadrato, i 9 punti continuano a vederli come un quadrato.Allo stesso modo i seguenti due segmenti

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continuamo a vederli uno più lungo e l’altro più corto anche se a misurarliabbiamo visto che sono della stessa lunghezza. L’importante è iniziare,mettendo in crisi i luoghi comuni, facendo emergere quello che non si lasciafacilmente acchiappare, come ad esempio lo sfondo (ci accorgiamo dell’importanzadell’estremità dei segmenti quando li confrontiamo fra loro), o le cose troppoevidenti. C’è un bellissimo racconto di Edgar Allan Poe, La lettera rubata, nelquale la polizia e i servizi segreti cercano senza trovarla una letterasottratta ad un importante ministro. La cercano nella casa del sospettato, lacercano dappertutto, sezionano i mobili uno per uno. Non la trovano perchè lalettera è un po’ bruciacchiata fra le carte del camino, in bella mostra. Non latrovano perchè è troppo evidente, nessuno l’avrebbe nascosta lì e diconseguenza nessuno la cerca lì. E’ nascosta perchè non è nascosta, ènascosta agli occhi di chi complica le cose pensando che le cose sianocomplicate. Nell’handicap la bellezza è una lettera rubata.

Gli handicappati sono brutti?

Partiamo da questa domanda che forse potrà apparire in un primo momentobrutale ma ha il pregio di essere diretta e di porre con forza la questione. Inmolti casi vi è uno sviluppo del pensiero quando si è in grado di porre nuovedomande perchè sono le domande ad aprire nuovi orizzonti. Wittgenstein peròavverte che una risposta è possibile solo se la domanda ha un senso, il che inaltri termini significa che quando è possibile una domanda è possibile ancheuna risposta. La sensazione è che ormai sia venuto il tempo (culturale esociale) in cui possa emergere la problematica dell’estetica dell’handicap. Inpunta di piedi si fa avanti una maturazione culturale che permette le sfilate dimoda per donne handicappate o di corsi di trucco per donne cieche. Ma in chesenso parleremo di bellezza in questa serie di articoli? Sono convinto chel’essenza della bellezza sfugga alle parole, ad un discorso su di essa. Ilgrande compositore italiano Luciano Berio alla domanda "Che cos’è lamusica?" ha risposto candidamente: "Se sapessi che cosa è non lafarei".
In che cosa consiste la bellezza della musica? Se la sua bellezza fosseesprimibile in parole, se fosse trasmissibile esattamente attraverso i concettisarebbe riducibile a qualcos’altro e quindi cesserebbe di essere qualcosa diassoluto, di autonomo. Ma, nonostante questo, parlare della bellezza ha sensoperchè nasce dall’esigenza di esprimere una esperienza, fa parte dell’esigenzadell’uomo di comunicare, che a sua volta diventa attività artistica.
Come si può parlare di Dio, se la sua essenza è per noi inesprimibile? Dio sinasconde perchè la sua presenza ci annienterebbe e annientandoci non potremmoessere quindi liberi. La bellezza dunque si rivela ma anche si nasconde. Questaserie di articoli vuole stimolare il pensiero più che dare risposte o suggerirericette. Non vogliamo dunque "dimostrare" qui la bellezza deglihandicappati, perchè è un’operazione che non ha senso. Anzi è dannosa perchèpresuppone una forzatura che nell’estetica non è ammessa, cioè il "devivedere" le cose in un certo modo. La bellezza invece si lascia vedere dachi è in grado di vederla, da chi si è preparato a riceverla. Bisognasmetterla di pensare alle cose come riducibili ad un sapere di tipo scientificoe oggettivo, che non mostra le cose ma che le dimostra. 0 meglio possiamo direche esiste un tipo di sapere che si configura in un certo modo matematico e chefunziona in un certo ambito di discorso. In altri ambiti bisogna utilizzarealtre regole, altri giochi.

Tre obiezioni

Ma torniamo alla domanda:" Gli handicappati sono brutti?" pervedere se è una domanda che ha un senso e come tale ha già una risposta chebasterà scoprire. Inizialmente vale la pena di considerare tre obiezionipossibili all’emergere della domanda stessa, ovvero:
1) gli handicappati hanno problemi più importanti (assistenza, trasporto, ecc…) per cui non ha senso affrontare questo problema che tutto sommato èsecondario;
2) gli handicappati sono belli o brutti quanto le persone normodotate. Unaestetica dell’handicap non ha ragione di essere, anzi ghettizza ulteriormenteperché presuppone due categorie speciali, la bellezza e la bruttezza deglihandicappatì, come se fossero separate dalla Bellezza e Bruttezza con le Bmaiuscole.
3) gli handicappati SONO BRUTTI (e detto per inciso tu che ti poni questadomanda per lo meno hai una mancanza di tatto nel ricordare una cosa cosìevidente).

Prima obiezione
Evidentemente qui si considera la bellezza un problema di superficie di contro aproblematiche di sostanza, essenziali, primarie. In realtà ci si è resi contoche il problema handicap è un problema culturale, prima che medico eassistenziale. Sopravvivere non è la stessa cosa di vivere, come essere vestitinon è la stessa cosa di essere vestiti bene. Teniamo presente solo che appenatrent’anni fa era una cosa rivoluzionaria uscire in carrozzina ed andarsene perle strade. Adesso forse sono rivoluzionarie una carrozzina colorata o unaragazza disabile con le calze a rete, è solo questione di tempo. E’ certo cheil cammino dell’autostima passa anche per una valutazione estetica di noistessi.Una insegnante una volta ci ha raccontato l’episodio di una sua alunnadisabile che le ha fatto questa domanda: "Professoressa, perchè mi hannochiamata brutta handicappata?". Di fronte ad una domanda del generechiunque si sarebbe trovato imbarazzato nel trovare una risposta. Credo che siaimportante costruire giorno per giorno una nuova consapevolezza, attraverso attisemplici e quotidiani troppo spesso dimenticati: scegliersi un vestito, mettersiun profumo, personalizzare la carrozzina. Se il terreno è preparato anchedomande angoscianti, come quella della ragazza disabile, possono trovarerisposta. Certo non possiamo dare a qualcuno quello che non abbiamo già noistessi. Non possiamo pretendere la fiducia in se stessa in una persona cui nondiamo la nostra fiducia. E l’immagine che abbiamo degli altri è strettamentecollegata all’immagine che abbiamo di noi stessi. L’angoscia dell’insegnante èl’angoscia dell’alunna, come l’handicap del disabile è l’handicap delnormodotato. Questi articoli che sto scrivendo possono suggerire risposte nellamisura in cui capiamo che la domanda sulla bellezza dei disabili è una domandache interessa tutti.

Seconda obiezione
E’ più subdola perchè si basa su una evidenza tutta razionale del tipo"La Bellezza è uguale per tutti" come se al tribunale dell’esteticanon valesse anche il principio che la giustizia non è dare a tutti la stessacosa ma dare a ciascuno il suo. Una sinfonia di Beethoven, un coro sardo, unraga indiano: sono tre delle innumerevoli forme musicali, diversissime tra diloro ma nell’essenza del loro mistero accomunate. Ciò non significa che nonvadano ascoltate, studiate e capite proprio esaltando le loro differenze, leconcezioni musicali così per certi versi opposte dalle quali scaturiscono.Questa serie di appunti che vado scrivendo, che pomposamente chiamo esteticadell’handicap, vogliono solo essere una serie di suggestioni per guardareall’handicap da una angolazione forse poco frequentata.

Terza obiezione
Più che una obiezione alla domanda ne è una risposta, e definitiva,inappellabile. Cercheremo di andare oltre questa immediatezza dell’uguaglianzabruttezza-handicap. E’ l’immediatezza che va messa in discussione e questa è lacosa più difficile. Nel racconto La lettera rubata, Edgar Allan Poe avverte cheproprio le cose più evidenti risultano essere invisibili. Nei processi creativila consapevolezza dei contorni, dello sfondo è fondamentale perchè è propriouna non consapevolezza che determina la nostra incapacità ad influenzare ilnostro ambiente. Una persona creativa è in grado e si sente in grado diinfluire sulle cose, è consapevole del proprio ruolo di trasformatore dellarealtà. Bisogna mediare l’immediatezza, svelare ciò che è già svelato,bisogna agguantare ciò che è sfuggente proprio perchè da sempre è sotto inostri occhi.
Un’ultima precisazione prima di continuare. Ero abbastanza indeciso se parlaredi estetica dell’handicap o di estetica del deficit. L’handicap, comedifficoltà, richiama tutta una serie di categorie (lotta, coraggio,vittoria-sconfitta, eroe-antieroe) mentre il termine deficit mi sembra richiamipiù il concetto di limite. Non mi interessa l’estetica del coraggio,dell’Enrico Toti che lancia la stampella contro i nemici, o la tragicità dicerte figure di deformi della nostra letteratura. Pure questo aspetto c’è eandrebbe approfondito, ma mi sembra già esplorato, anche troppo. Mi interessainvece parlare di handicap in senso più ampio, includendo anche l’estetica deldeficit.

Handicap e identità

Certamente la prima spinta verso un nuovo modo di pensare che tiene contoanche dell’aspetto estetico delle persone disabili viene da queste stessepersone che fra le tante contraddizioni (e nei prossimi HP ne passeremo inrassegna alcune) con cui si trovano ad aver a che fare, vivonocontemporaneamente una duplice alternativa: da un lato la tendenza ademanciparsi dal proprio deficit e dall’altro a riconsiderarlo non solo intermini negativi ma anche positivi. Una cosa di cui soffre una persona condeficit è l’identificazione, operata dagli altri e da se stessa, della propriapersona con il proprio deficit. Esemplifico: quando vedo un normodotato vedo unapersona umana ma quando vedo una persona con tetraparesi spastica vedo unhandicappato. E’ successo e succede così anche alle donne che da anni cercanodi modificare la loro immagine di sesso debole per misurarsi con il modelloforte di uomo. Però c’è un’altra tendenza che è quella che porta unhandicappato non tanto a superare il deficit, il che è utopico perchè non èpossibile annientarlo, ma a riconsiderare in modo concreto e realistico leproprie caratteristiche determinando la nascita di un che di originale.Consideriamo ad esempio gli sport per disabili, in cui i disabili non competonocon i normodotati ma nello stesso tempo la bellezza ed i valori essenziali dellosport restano intatti, restano gli stessi. Continuando l’analogia con il mondofemminile, come le donne, emancipandosi da una immagine negativa, riscoprono escoprono il piacere di essere donne, così anche gli handicappati, anche se ilcammino in questo senso è ancora lungo, scoprono che è importante unaemancipazione sia da sè che dal modello forte di uomo. Cioè si cerca di usciredalla diversità, intesa come estraneità, e nello stesso tempo si scoprononella propria diversità delle risorse ed una unicità che vale la pena divalorizzare.

La bellezza della imperfezione

Consideriamo queste due pubblicità molto famose qualche anno fa:
Televisore Supertriniton. La Perfezione
Fiat Punto. La Risposta
Siamo portati ad associare alla bellezza il concetto di perfezione. Una cosa chenon ha difetti, non ha deficit, è il massimo cui un uomo possa aspirare,diventa desiderabile e pertanto bella. Una cosa bella è una risposta, colma unalacuna, una insoddisfazione. E’ una pienezza che avvolge, che non lascia altridesideri. La perfezione ha una particolarità che la rende interessante per lanostra ricerca: esce dal tempo. Una cosa perfetta non è perfettibile, cioè èil risultato di un processo che si è compiuto, di un viaggio che è terminato.Una cosa perfetta rimane tale e quale nel tempo, non ha più senso parlare di unpresente, passato o futuro.
La perfezione per i greci ha a che fare con le cose finite, per i cristiani conl’Essere infinito. Per i greci l’infinito è un concetto negativo, irrazionale,al quale hanno contrapposto la bellezza e divinità di un mondo sferico,limitato ed armonico. Per i cristiani invece l’infinito è un attributo di Dioaccanto alla potenza, alla sapienza al non aver limiti di alcun genere. I Deigreci si possono rappresentare perché razionalmente indagabili, mentre il Diocristiano è al di là della portata umana, è imperscrutabile e non essendocila possibilità di farcene una idea non è possibile rappresentarlo se nonindicandolo solamente, per via indiretta. Il Dio cristiano è un Dio nascosto,non si può vedere perché lo sguardo umano non potrebbe sopportarne la vista.Quindi tutte le cose sono imperfette, tutte sono creature e uno solo è ilPerfetto, il Creatore.
Come è possibile una bellezza della imperfezione? Bella è una cosa che ispirain noi il senso dell’infinito, di Dio, del sacro, pur necessariamente essendofinita ed imperfetta. La perfettibilità diventa un attributo di tutte le coseperchè finite ed imperfette, anzi più una cosa è perfettibile e più sarà inun certo senso tendente all’infinito. Questo spiega perché un quadro non finitopuò essere più bello del quadro finito. Il suo non-essere finito stimolal’immaginazione e ci mette nella possibilità di entrare in rapporto conl’infinito.
Da questo punto di vista che differenze ci sono tra esseri umani ed esseri umanicon deficit? Non in senso assoluto, perchè sia un essere umano che un essereumano con deficit non sono perfetti, sono in trasformazione ed evoluzione. Certose li confrontiamo c’è una differenza ma è la condizione umana che liaccomuna.

Saggi e scarafaggi

A proposito della perfezione è interessante ricordare che lo scarafaggio éuno degli animaletti più antichi, sopravvissuto a cambiamenti ed a eregeologiche. Il suo segreto? Ha (o è) un organismo perfettamente adeguatoall’ambiente da non avere più bisogno di modifiche. Ha (o è) un organismo nelsuo genere perfetto. In che senso è bello? Per la maggior parte delle personeuno scarafaggio fa schifo ma quando Gregor Samsa si trasforma, nel raccontoMetamorfosi di Kafka, in un enorme insetto, tutto sommato vive la sua nuovaesistenza con piacere anche se sente tragicamente brutta l’inadeguatezzarispetto alla propria famiglia. L’idea di perfezione contiene moltesfaccettature e forse bisogna imparare a relativizzarla. L’essere umano in sèha un deficit di perfezione ma forse il problema non è il tendere ad uno statosenza difetti, senza disabilità, senza tempo, ma il fare i conti con il limite.E’ la percezione del limite, è il come si vive questo limite che fa ladifferenza.
Quando durante un corso di formazione abbiamo fatto vedere un filmato sul calcioin carrozzina dove si vedeva una rovesciata in area con conseguente gol, uncorsista ha esclamato: "Bello!". Questo atto sportivo è statoperfetto, perchè con perfetta scelta di tempo e un perfetto movimento, ilpallone è stato calciato in porta. Eppure è stato un atto sportivo in unosport, il calcio in carrozzina, dove giocano sia atleti normodotati sia atleticon deficit. Non è dunque il limite, ma la percezione del limite, il nostrorapporto con il limite che determina ora la bellezza ora la bruttezza. Bisognameditare a fondo questo proverbio orientale: "Quando il saggio indica laluna, lo stolto guarda il dito". Certo forse è più comprensibilel’atteggiamento dello stolto nel caso il saggio abbia nella mano un unico ditoperchè gli altri sono amputati. Non si vede mica tutti i giorni una mano con unsolo dito! Eppure lo stolto continuerà a perdersi la bellezza della luna, perguardare quella che per lui è la mano non di un uomo saggio ma solo di un uomodisabile.

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