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Dinamiche nuove che non sono la somma di due “problemi”

Prima di raccontare della ricerca vera e propria, delle interviste, dei risultati e delle prospettive future, vorrei fare un passo indietro, e tornare alla data del 17 giugno del 2004. Quella fu la prima data, in Italia, in cui venne affrontato pubblicamente il tema delle persone disabili omosessuali, con un convegno a Pistoia sull’argomento. Ero andata al convegno con Lorenzo Nencini, mio collega e amico del Centro Documentazione Handicap, con cui avevo già scritto di omosessualità sulle pagine di “Bandiera Gialla” (www.bandieragialla.it), un sito web di informazione sociale per cui collaboro. Dato che entrambi ci occupavamo soprattutto di disabilità, ci sembrava una buona occasione per aggiornarci sul nostro lavoro, e a quell’incontro conobbi Raffaele Lelleri, oggi responsabile nazionale Salute di Arcigay e coordinatore del progetto sull’omodisabilità. Da quell’incontro nacque poi un articolo, pubblicato proprio su “Bandiera Gialla”, e dalla conoscenza con Raffaele Lelleri e dalla lettura di quell’articolo partì l’e-mail di Priscilla Berardi per contattarmi. Quindi, per i famosi corsi e ricorsi della storia, si può dire che il coinvolgimento del Centro Documentazione Handicap iniziò dal 17 giugno, a Pistoia.
Per cui ripropongo l’articolo del 2004 , con i primi accenni alle tematiche delle persone disabili omosessuali.

Uno più uno non sempre fa due
Lavoriamo da tempo nel settore dell’handicap, abbiamo parlato di omosessualità, ma mai ci era venuto in mente di collegare i due argomenti. Disabili gay? Ebbene sì, proprio di questo si è parlato al convegno del 17 giugno 2004 organizzato dall’Arcigay di Pistoia in occasione della settimana del Gay Pride. Per la prima volta un’associazione che non si occupa strettamente di handicap ha tentato di affrontare uno dei temi più difficili: la sessualità delle persone disabili. Una delle carte vincenti di questo incontro crediamo sia stata la molteplicità dei punti di vista con cui è stato affrontato l’argomento: erano infatti presenti membri di associazioni gay, disabili dell’associazione “Vita indipendente”, rappresentanti del progetto QuBa (un progetto europeo che lotta contro tutte le forme di discriminazione) e infine i più diretti interessati, alcuni ragazzi gay disabili.
Tanta eterogeneità non è stato un particolare di poco conto…
Sono davvero i gay disabili i più diretti interessati all’argomento? Forse sì, ma non dovrebbero essere gli unici.
Il tema della disabilità o quello dell’omosessualità sono due aspetti di cui spesso si è parlato, e esistono molte associazioni che si occupano di queste tematiche… Ma cosa cambia se i due aspetti convivono? Uno più uno non sempre fa due. In generale, un disabile omosessuale si trova sottoposto a una sorta di doppia discriminazione, a una doppia diffidenza da parte della società, e finora i due aspetti della questione sono stati affrontati singolarmente. Ma i due aspetti insieme creano dinamiche nuove. Dinamiche che non sono la semplice somma di due “problemi”. Siamo tutti pronti ad affrontare questa “novità”?
Proviamo a ragionare un po’. Ad esempio: un ragazzo gay disabile a quale ente si deve rivolgere per trovare un riscontro?
Può andare all’Arcigay, per avere la possibilità di parlare di omosessualità, per avere un supporto ma anche, perché no, per conoscere e frequentare altri gay.
Ma se il circolo in questione ha delle barriere architettoniche che lo rendono inavvicinabile? Oppure, se gli associati del circolo non hanno la benché minima idea di come venire incontro anche ai piccoli problemi più elementari che una persona disabile può incontrare tutti i giorni? O peggio ancora, e non sembri paradossale, se nella comunità gay non tutte le persone sono sensibili al tema dell’handicap, ma addirittura nutrono intolleranza nei confronti dei disabili? Il fatto di appartenere a delle “categorie di minoranza”, a delle “categorie” discriminate, il fatto di condividere una diversità non salva dal pregiudizio o dagli stereotipi. Quindi non è così automatico che un omosessuale accetti con naturalezza un disabile e viceversa. E infine: è sempre così semplice trovare un operatore disposto ad accompagnare un disabile in un locale o circolo gay? Inoltre non dimentichiamo che per lo più le realtà associative omosessuali si trovano nelle grandi città, la provincia è spesso tagliata fuori… Spostarsi in centri più “accoglienti” può essere molto più complicato per ragazzi o ragazze disabili.
E tra le associazioni che si occupano di disabilità, quante sono preparate ad affrontare una tematica così intima? Di solito una persona disabile viene considerata “a-sessuata”, come se non avesse una propria sessualità da esprimere e da voler vivere. Lo pensa la società, ma lo pensano a volte anche le stesse associazioni di categoria, preparate ed efficienti ad affrontare tutte le questioni di assistenza e integrazione, ma un po’ meno all’avanguardia ad affrontare la sessualità. Se poi si sfocia nel campo dell’omosessualità la questione si fa evidentemente ancora più complessa.
Non dimentichiamo, inoltre, che spesso è la famiglia a occuparsi della persona disabile, e per molti disabili diventa difficile uscire o spostarsi senza l’aiuto di familiari e operatori. Quanti, anche tra chi è “normodotato” e eterosessuale, parlano delle proprie esperienze sessuali e dei propri desideri affettivi con la famiglia? Riesce una famiglia ad accettare che il proprio figlio o parente disabile abbia non solo una sessualità ma anche degli orientamenti omosessuali? Pensate solo a quante famiglie ancora oggi accettino con difficoltà o non accettino affatto l’omosessualità dei figli… Quindi fare coming out per un disabile gay diventa a volte impossibile. E se questo, per chi è “normodotato”, può essere ovviato nel rapporto con il mondo esterno, quello al di fuori della famiglia, con gli amici, nei locali, con l’esperienza più o meno diretta, per un ragazzo/a disabile questo mondo esterno non è sempre così accessibile.
Ben vengano allora le iniziative che riescono a intersecare le due prospettive. Il convegno di Pistoia è stato solo un primo momento di approccio, in cui si è iniziata a dare visibilità alla questione, si sono scambiate esperienze personali e sono state avviate delle idee per proseguire su questo terreno. Dopo Pistoia, il dibattito è proseguito a Bologna, il 10 luglio, e da Pistoia è nato anche un gruppo “virtuale”, su Internet, in cui poter continuare a discutere. La voglia di mettersi a confronto c’è, e questo è molto importante. Infatti la voce di una minoranza, e in questo caso si potrebbe dire di una minoranza nella minoranza, non sempre trova i mezzi da sola per uscire fuori e farsi sentire. Devono essere allora le associazioni che si occupano di handicap a formarsi e affrontare maggiormente il tema della sessualità e dell’omosessualità, devono essere i circoli gay e lesbici a organizzarsi per coinvolgere anche le persone disabili… Occorre infatti maggiore informazione e comunicazione, un po’ di voglia di parlare e magari anche un po’ di curiosità di provare a scoprire realtà diverse dalle proprie o da quelle standard che si hanno in mente. E chissà che magari parlare di questo non serva ad abbattere anche qualche stereotipo sulla categoria dei gay o sulla categoria dei disabili, categorie che un po’ tutti siamo portati a mettere una da una parte e una dall’altra, in ambiti e punti di vista completamente diversi, accomunate solo dalla diffidenza, o indifferenza, che per pigrizia ci portiamo dietro un po’ tutti.
Chi è motivato a seguire questa tematica può iscriversi al gruppo di discussione “17 giugno” (chiamato così proprio per ricordare la giornata del convegno di Pistoia, una data un po’ “storica”): il gruppo è online all’indirizzo http://it.groups.yahoo.com/group/17giugno/, per iscriversi mandare un’e-mail a 17giugno-subscribe@yahoogroups.com.
 




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