Le prime risposte che i famigliari di un malato mentale ricevono sono in genere discordanti, ricche di contraddizioni, disorientanti tanto che alla fine non fanno altro che confermare una condizione di confusione, di allarme e una visione pessimistica del futuro. Salute mentale, pregiudizi e comunicazione sociale
Nel campo della comunicazione sociale dobbiamo scontare non solo un ritardoma soprattutto una pesante pregiudiziale (pregiudizi) che ha stravolto fino aigiorni nostri qualsiasi comunicazione relativa alla follia.
La comunicazione è sempre stata talmente priva di significati operativi al finedi un avvicinamento al problema della follia in quanto sovrabbondante,ridondante di immagini assolutamente distorte, esagerate e improntate apregiudizi che la stessa psichiatria ha sempre costruito e alimentato.
Non solo i cittadini hanno sempre percepito la follia, il folle, la malattiamentale attraverso le lenti distorcenti del pregiudizio, ma anche dolorosamentequesti pregiudizi hanno improntato le conoscenze degli stessi familiari, dellemadri, dei padri determinando colpevolezza e vergogna. Gli stessi pregiudiziintorno al disturbo mentale sono vissuti alla stessa maniera dalle stessepersone che del disturbo mentale soffrono.
Accettare di avere una malattia mentale significa accettare di collocarsi infondo alla scala sociale. Di qui il rifiuto della malattia e la scelta piuttostodel ritiro, dell’isolamento, del rifiuto strenuo e tragico.
Comunicare non può essere altro che affrontare questo problema e perseguirefinalità di cambiamento che alla fine sono definibili come terapeutiche pertutti.
E’ evidente quanto oggi sia possibile, attraverso la potenza del sistemamediale, affrontare con maggiore speranza di successo ma consapevoli dellepermanenti contraddizioni, il tema dell’informazione.
Sappiamo quanto ancora oggi proprio la potenza distorcente dei mezzi rappresentaun elemento di ulteriore rafforzamento dei processi di stigmatizzazione, divissuti pessimistici, di alimentazione dei pregiudizi.
Chi non è coinvolto personalmente in un problema di disturbo mentale comefamiliare, come paziente o come cittadino vicino non sa nulla se non ipregiudizi che ha acquisito nel corso della vita. Questa è la condizione dichiunque si trovi a dover affrontare all’improvviso il problema.
Il cambiamento che abbiamo registrato in Italia in questi ultimi 20 anni se daun lato ha prodotto nuove prospettive, un diverso diritto per le persone affetteda disturbo mentale e ha reso evidente l’assenza di conoscenza, dall’altro lepolemiche, che sul cambiamento si sono attivate, hanno paradossalmente favoritoforme di informazione superficiali attente alla polemica, allo scandalo, allacontrapposizione, alla fine schiacciando e disattendendo il bisogno vitale diconoscenze e riconfermando la tragicità della malattia mentale, il pessimismo,la pericolosità delle persone "malate di mente".
Informazione per affrontare la malattia mentale
Pensiamo che soltanto ai familiari, ai genitori che si trovano ad affrontarel’esordio di un disturbo mentale in un proprio figlio. Le prime risposte chericevono sono in genere discordanti, ricche di contraddizioni, disorientantitanto che alla fine non fanno altro che confermare una condizione di confusione,di allarme e una visione pessimistica del futuro. Oggi i familiari, le loroassociazioni hanno ben compreso quanto sia necessario conoscere il problema,essere informati per poter affrontare con tutte le proprie risorse integre unprova di per sé drammatica e una battaglia che spesso si rivela cruciale per ilfuturo.
Ricerche recenti e lavori ormai decennali di sostegno ai familiari rendonoevidente quali e quanti informazioni devono essere messe in campo:
sulla natura del disturbo mentale, sulle cause, sugli esiti possibili;
sull’impiego delle terapie farmacologiche;
sulla molteplicità dei percorsi terapeutici e sulla loro integrazione;
sui servizi, le modalità di accesso e di funzionamento;
sulle possibilità di aiuto per i familiari che riducono il carico e ilcoinvolgimento soggettivo;
sui sintomi;
sulla possibilità di costruire relazioni utili di convivenza malgrado lamalattia.
I problemi da superare per poter soddisfare queste richieste non sono né pochi,né di semplice soluzione.
Le "scuole di pensiero", gli interessi, un passato istituzionale nonancora superato rendono necessaria un’intenzione e strategie ad hoc percostruire analisi condivise e accordi strategici sulle modalità di offrireinformazioni.
Attraverso un processo di progressive sottrazioni, le persone che soffrono didisturbo mentale finiscono per perdere la loro soggettività, la loroindividualità per diventare oggetti, malati da collocare in appositicontenitori.
Chi soffre di un disturbo mentale diventa, come abbiamo già detto, per séstesso e per gli altri, un malato di mente, il che sembra logico e naturale.Viene, in realtà, omologato , incluso, in una categoria inesistente – malato dimente – che assumendo come dominante la "parte malata", tuttosovradetermina.
Da questi processi traggono sostanza gli stereotipi che fissano la figura e ilruolo del folle (del malato di mente) nell’immaginario collettivo.
Un processi circolare di riverberazione tra istituzioni sociali, sistemagiuridico, istituzioni sanitarie, immaginario collettivo, luoghi comuni, sistemidi comunicazione di massa alimentano il permanere nel nostro sistema sociale dimassicci fenomeni di etichettamento.
Con sconcertante reciprocità stigma e pregiudizi si alimentano e si rafforzano.
Pregiudizi che trovano origine in epoche lontanissime, radicati nell’immaginariopopolare, contagiosi proiettano ancora ombre dense di disperazione, dipessimismo, di vergogna.
Pericolosità, inguaribilità, incomprensibilità, improduttività eirresponsabilità sono i pregiudizi che l’Organizzazione Mondiale della Sanitàha individuato come condizione diffusa che impediscono in tutti i paesil’accesso ottimale ai processi terapeutici ed emancipativi per le personeaffette dal disturbo mentale ed ha invitato i governi a fare tutto quanto inloro potere per fronteggiare la condizione di stigmatizzazione e di fatto didebolezza del diritto delle persone affette da disturbo mentale e delle lorofamiglie.
I pregiudizi contribuiscono ad impedire l’accettazione della sofferenza mentalee l’accesso consapevole alle cure.
Riconoscere di avere qualcosa che non va, di essere fuori di testa, di avere undisturbo mentale, significa accettare di essere malato di mente. Essere malatodi mente significa riconoscersi agli ultimi gradini della scala sociale.
Le associazioni di persone affette da disturbo mentale e quelle di cittadini efamiliari per la salute mentale riconoscono come problemi principali daaffrontare anche attraverso una corretta comunicazione i pregiudizi,l’ignoranza, la paura della gente e lo stigma che colpisce il paziente e la suafamiglia.
Anche il mondo scientifico condiziona negativamente la percezione comune
Stigma e pregiudizio che dominano l’immaginario collettivo sono nati e hannotrovato sostegno nel mondo scientifico.
Lo sforzo di catalogazione della medicina positivista, ma anche della attualepsichiatria, costruisce una classificazione delle malattie e dei loro sintomitanto puntuale quanto fragile nei suoi presupposti fondamenti scientifici.
La costruzione della diagnosi in psichiatria si legittima scientificamente comericerca ed estrapolazione di segni di malattia nel comportamento del malato; maessa in realtà finisce per esprimere un valore totalizzante sul complessodell’esistenza individuale e sociale della persona. L’intervento psichiatrico,fondato sul modello medico risalendo a ritroso nella storia, finisce perrappresentare un potente condizionamento nella stessa analisi dello sviluppostorico della sofferenza della malattia. La vita concreta viene sottoposta ad unlavoro di ricodifica a posteriori. Il comportamento viene progressivamente, nelcorso della storia, oggettivato e incanalato nei canoni previsti dalla diagnosiposta.
La storia, in termini clinici, "l’anamnesi", altro non è che laricerca dei segni della malattia.
I fatti della vita vi appaiono solo in quanto fattori scatenanti, semplicisituazioni di stimolo che accelerano il "processo" patologico checomunque viene dato come esistente.
Questa priorità del patologico, spinta all’estremo arriva ad invalidare i gestipratici, le scelte, la vita concreta delle persone perché tra esse e lamalattia resta un salto, in senso logico ed analitico.
Nella diagnosi psichiatrica i fatti, i gesti vengono accostati secondo un sensoad essi esterno in un meccanismo che li sovradeterminano.
il significato totalizzante della diagnosi apre necessariamente il terrenoall’incapacità, all’incomprensibilità, all’inguaribilità, alla pericolosità,se, come accade la malattia si sovrappone alla scelta, al libero arbitrio dellapersona.
Questo approccio che ancora affonda il sapere e l’agire psichiatrico hacontagiato molte delle scelte organizzative e la ricerca nel campo dellapsichiatria in questo secolo.
Una sorta di "pessimismo terapeutico" nei confronti dei disturbimentali più severi ha improntato le azioni e le aspettative degli psichiatri edella psichiatria.
Se un tanto ha prodotto il riferimento al determinismo naturalistico, ai modellibiologici non meno hanno confuso il quadro riferimenti monoculari ed ideologicia modelli psicologici, ermeneutici, sociologici.
La contrapposizione di modelli conoscitivi diversi (biologico-psicologico;psicologico-sociale ecc.) ha mostrato il suo limite anche se sono ancora intensi(e dannosi sicuramente) i tentativi di far prevalere questa o quella"scuola di pensiero". Ragioni molteplici, che travalicano il campodella dialettica scientifica e che sono alimentate più dagli interessi dimercato delle industrie farmaceutiche o dalle innumerevoli scuole di formazionein psicoterapia, ancora producono rigide estremizzazioni. L’informazionecondizionata da questi conflitti alimenta confusione e pregiudizi.
Tuttavia gli ambienti più attenti cominciano a proporre e a studiare modelliconoscitivi e interpretativi polimorfi, complessi, molto più articolati che inpassato e ad avvalorare, ad esempio, l’ipotesi multifattoriale nell’approccioallo studio delle cause della malattia mentale.
Diversi fattori che possono essere identificati come biologici, ecologici,culturali contribuiscono insieme, interagendo e completandosi, a costruire emantenere la salute mentale ovvero a determinare particolari ed individualicondizioni di vulnerabilità.
Questi elementi sono presenti nella vita di ciascuno. Alcuni ci sostengono, cioffrono possibilità di recupero, di vantaggio. Sono questi fattori protettivi.Altri elementi (fattori di rischio) quali una malattia fisica o piùinvalidante, la fragilità emotiva, particolari attitudini o disabilità di tiponeuropsicologico, una predisposizione di origine ereditaria, la problematicitàdei rapporti familiari, il particolare impatto nelle prime esperienze disocializzazione, la miseria materiale, l’isolamento relazionale nel propriogruppo di appartenenza, esperienze di vita istituzionali (orfanotrofi, collegi,carcere, ospedali) strutturano singolari condizioni di vulnerabilità cheincontrando eventi drammatici o comunque significativi e diversamenteintrecciandosi e interagendo tra loro possono determinare nelle persone (e nellaloro vita) condizioni di disagio fino al disturbo mentale grave e al bisogno diattenzioni e cure specifiche.
Al di là della diagnosi e dei pregiudizi
In questo quadro la condizione di benessere psichico si identifica megliocome una condizione di "fragilissimo equilibrio instabile" che proprioin quanto tale permette di produrre una gamma pressoché infinita dicomportamenti nelle situazioni più disparate; la capacità di stabilirerelazioni adeguate (e differenti) e di saper rispondere con comportamentipertinenti ai cambiamenti ambientali, cronologici, istituzionali chenaturalmente accadono nel corso della vita.
Queste ipotesi, soltanto tratteggiate, offrono intanto, possibilità di usciredalla "piattezza cognitiva" che si è determinata intorno al disturbomentale e rende molto meno predefinibile il decorso e l’esito dei disturbimentali stessi. Rende evidente l’essenza dei pregiudizi, offre strumenti nuovi epiù utili all’informazione. Come dire se è vero che particolari eventi efattori determinano e costituiscono il disturbo mentale è altrettanto vero chealtri eventi e altre condizioni possono determinare il benessere psichico.
Le esistenze delle persone sono sempre diverse e diverse le loro esperienze senon intervengono ad omologarle tutte le forme di istituzionalizzazione e diappiattimento proprie dei saperi e delle pratiche psichiatriche epsicoterapeutiche.
Risulta evidente da questa esposizione che il problema dell’informazione intornoal disturbo mentale può essere affrontato solo riconoscendo la contagiositàdel pregiudizio che la psichiatria ha alimentato.
La procedura, le pratiche cliniche e le istituzioni che operano il"riconoscimento" del disturbo mentale sono state investite dal lavorodi smontamento dei saperi (deistituzionalizzazione) che le fondano. Non è piùpossibile oggi informare riferendosi alle "contagiose" oggettivazionidella psichiatria.
Sembra ormai evidente ampiamente condivisa, nel nostro paese, la scelta alpromuovere la crescita e il rafforzamento dei soggetti (e dei loro diritti) ecostruire strategie di "riconoscimento" capaci di salvaguardare egarantire insieme molteplicità di percorsi e di identità alle persone:percorsi di normalità, strategie per la normalità in grado di contagiare lerelazioni sociali, i luoghi di lavoro, la famiglia. Queste strategie assumonotanta più forza quanto più il problema dell’informazione e delle conoscenzeviene intenzionalmente e responsabilmente affrontato.
Informare rispettando alcune regole
Nella pratica e col rischio consapevole di semplificazione può esserepossibile oggi lavorare nel produrre conoscenze e informazioni condividendo ocercando di rispettare i seguenti assunti:
Le dinamiche psicologiche del "sano" si ritrovano sia purequantitativamente alterate nel "matto".
La malattia mentale (il disturbo mentale) non può più essere definitadall’attributo dell’incomprensibilità. Si può comprendere soggettivando,(singolarizzando) quella particolare persona, quella particolare vita, quelparticolare contenuto. La valorizzazione della storia dona senso alle esperienzepiù estreme. La ricerca di senso negli accadimenti più"incomprensibili" costruisce il valore della storia.
La comunicazione (la relazione) compromessa (alterata) con le persone, con ilcontesto costituisce un fattore non più trascurabile nella produzione dicomportamenti disorganizzati, incongrui, inadeguati, rischiosi. I fattorisociali e contestuali assumono valore non solo nel concorrere alla produzionedel disturbo ma anche nel condizionare il decorso e l’esito.
La persona che soffre di un disturbo mentale conserva sempre una propriadimensione umana. Il "pazzo" non può essere definito radicalmentediverso, alieno. La malattia mentale non definisce più "alienazione"globale.
Le persone affette da disturbo mentale possono essere curate, possono guarire.In ogni caso è possibile attenuare (ridurre) gli effetti dei comportamentidisturbanti e favorire il mantenimento delle relazioni.
La reclusione manicomiale come l’isolamento e l’emarginazione sociale è sempredannosa. Istituzionalizzazione, isolamento ed emarginazione possono esseredefiniti "fattori di rischio" anzi costituiscono la disabilitàconnessa alla malattia mentale.
Il lavoro della "psichiatria comunitaria" deve sapere ricollocare inun campo di tensione nuovo il mandato di controllo sociale e la necessariaaspettativa terapeutica. Il binomio "controllo-cura" può definire unordine di discorso nuovo e produttivo.
La contaminazione della normalità rappresenta oggi la più importante viad’uscita dalla spirale disturbo mentale-etichettamento-emarginazione se è veroche il "contagio", l’alimentazione dei pregiudizi passa attraverso leopinioni, il valore e le attese che le persone e la collettività costruisconointorno alla questione del disturbo mentale.
Nel nostro paese le leggi di riforma dell’assistenza psichiatrica e laconseguente chiusura del manicomio hanno rappresentato la prima misura (nelmondo) che si è rivelata capace di avviare processi efficaci di fronteggiamentodella stigmatizzazione, del pregiudizio, dell’esclusione sociale.
L’informazione sociale nel campo della salute mentale deve poter partire daqueste premesse per accrescere le competenze della comunità. La comunitàsoltanto riconoscendosi come insieme di soggetti, di storie, di esperienzesingolari, può trovare la capacità per rimontare pregiudizi secolari,contagiosi e penalizzanti per le persone affette da disturbo mentale che pertutti i cittadini.
(*) Psichiatra, Dipartimento salute Mentale di Trieste