Si chiama prima informazione il delicato momento in cui il medico dovrebbe dire ai genitori che il neonato ha qualcosa che non va.
Per cercare di capire come i medici coinvolti (ginecologi e pediatri) si comportano in questi casi e per conoscere l’esperienza diretta dei genitori, abbiamo realizzato un’inchiesta. Abbiamo intervistato 10 pediatri e 23 ginecologi dei centri di nascita pubblici e privati (tutti situati in provincia di Bologna) e 12 famiglie cui era nato un bambino con malformazioni negli ultimi sei anni

Le risposte dei medici

Per quanto riguarda i medici, le domande del questionario chiedevano a chi disolito spettava il compito di comunicare ai genitori la notizia e come venivadata, a chi veniva comunicata (al padre o alla madre), se veniva scelto un postoin particolare, come veniva seguita la famiglia successivamente.
Dall’esame delle risposte ottenute si osserva che il più delle volte è ilneonatologo a fornire alla famiglia la prima informazione (26), mentre ilginecologo partecipa in una minore percentuale di casi (11 casi, di cui 7 nelcaso del ginecologo che abbia seguito personalmente la donna durante lagravidanza). Per il colloquio viene scelto uno studio medico o un’altra sederiservata in 27 casi, la stanza di degenza della madre in 8.
La maggior parte dei medici preferisce in genere parlare con il solo padre (23)e meno frequentemente con entrambi i genitori (8), nessuno affronta il problemadirettamente con la madre da sola.
19 medici contro 14 preferiscono aspettare piuttosto che comunicareimmediatamente il loro sospetto diagnostico, usando una certa cautela (13 casi)in attesa dell’esito degli esami cui viene sottoposto il bambino.
Quanto all’attenzione che viene rivolta alla personalità dei genitori ed allaloro psicologia 14 medici contro 11 dicono di non prenderla in considerazione e4 dicono di valutare tali aspetti se possibile o quando già sia emerso qualcheproblema. Infine si nota che i nonni non vengono mai contattati, se non in duecasi.
Come affrontano i medici le modalità della comunicazione?
La maggior parte (22) discute i vari aspetti del problema più o menoestesamente, mentre 9 si limitano ad un’informazione semplice e concisa. Secondo20 di loro il messaggio trasmesso è piuttosto positivo ed ottimistico e tieneconto delle potenzialità future del bambino, mentre 8 medici dicono diattenersi strettamente alla letteratura medica. Tutti in genere offrono lapossibilità di un secondo colloquio per ulteriori chiarimenti.
I medici intervistati seguono canali propri di aggiornamento sulle patologie danoi indicate (12) o hanno partecipato ad incontri o si documentano tramite l’IMER(18), il gruppo di studio sulle malformazioni congenite della regione EmiliaRomagna
Al momento della dimissione 16 medici indirizzano la famiglia verso associazionidi genitori con lo stesso problema, 17 verso assistenti sanitarie o sociali deldistretto di appartenenza o altre figure del servizio materno infantile, 12 astrutture ospedaliere, 3 non danno alcuna indicazione.

Un’informazione affidata alla buona volontà del singolo?

Se vogliamo trarre da questa indagine qualche considerazione, possiamoconcludere che generalmente il delicato compito di fornire alle famiglie laprima informazione viene svolto dal pediatra, che l’affronta con maggioredisponibilità. Talvolta però questi non valuta bene quale influenza possaavere il suo messaggio sull’accettazione del figlio da parte dei genitori. Se imessaggi trasmessi vengono recepiti in modo negativo (per i contenuti stessi oper il modo di esprimerli, oppure perché molto vaghi e sommari), il padre e lamadre vedranno nel figlio soltanto gli aspetti problematici dell’handicap econtinueranno anche nel futuro a considerarlo più che altro un handicappato.
Nelle strutture dove, contrariamente a quanto da alcuni affermato, ancora ogginascono bambini con handicap, la prima informazione non dovrebbe essere affidataalla buona volontà o alla sensibilità del singolo, ma dovrebbe essere bencodificata (esistono a questo proposito vari lavori pubblicati in letteratura).Ciò per evitare quei casi in cui genitori giovani ed entusiasti per la nascitadi un figlio vengano aggrediti e colpevolizzati o abbandonati di fronte ad unproblema che andrebbe invece affrontato e discusso insieme con la massimacompetenza, fornendo nel contempo le informazioni utili per iniziare subito aviverlo nel miglior modo possibile.

Le famiglie raccontano

Le domande poste invece ai genitori chiedevano di raccontare la loroesperienza diretta di "prima informazione", le emozioni che avevanoprovato e infine alcuni suggerimenti su come questa comunicazione dovrebbeessere fatta. Delle 14 famiglie intervistate, 12 avevano avuto un bambino con lasindrome di Down e a 2 era stato diagnosticato al figlio un diverso deficitmentale.
Il momento della comunicazione della diagnosi è differente nei due casi,infatti mentre con relativa facilità si sospetta di essere in presenza di unasindrome di Down (pur essendo necessaria la conferma da parte del cariotipo, lamappa cromosomica), quando ci si trova di fronte a patologie neurologiche divaria natura la complessità di un inquadramento diagnostico richiede tempilunghi di osservazione ed approfonditi accertamenti.
La prima informazione, nei 14 casi esaminati, è stata generalmente data alpadre per primo (8 volte) o ad entrambi i genitori (2 volte); è stata fornitadal pediatra del nido (7 volte) o dal pediatra della struttura ospedaliera doveil bambino veniva trasferito per patologia (4 volte) o dal ginecologo (2 volte).In un solo caso fu fornita dalla caposala.
Da quanto riferito emerge che il personale parasanitario non viene in generecoinvolto, anzi assume spesso un atteggiamento sfuggente di fronte al problema;in un solo caso, tra quelli di nostra conoscenza, un’infermiera si soffermòspontaneamente a parlare con la madre di tale problematica perché ne avevaavuto esperienza diretta.
Nei casi della sindrome di Down il sospetto è stato comunicato subito dopo lanascita del bambino, a volte in uno studio medico (2 volte su 12), a volte nellacamera di degenza della madre (3 volte su 12), qualche volta nel corridoio onella stanza del cambio dei neonati (2 volte su 12). In 5 casi i tempi dellacomunicazione sono stati più tardivi.
Dalle impressioni dei genitori emerge che alcuni medici sono stati piuttostovaghi e poco chiari nell’esporre il problema (4 casi su 14), altri hanno datoinformazioni essenzialmente negative e con note di commiserazione per il futurodel bambino e della famiglia (5 su 14). Altri medici hanno fatto un colloquioprolungato nel corso del quale si sono dilungati su tutti i vari aspetti delcaso, disegnandone a volte un quadro ottimista e positivo (3 su 14) oassolutamente negativo (2 su 14).
Molto raramente (in un solo caso) è stato richiesto un incontro successivo perulteriori chiarimenti con il medesimo medico: probabilmente perché le famigliesi sono rivolte a persone di loro conoscenza o al personale medico dellastruttura ospedaliera che accoglieva il bambino per ulteriori accertamenti ecure o alle associazioni dedite a queste problematiche.
Alle famiglie è stato consigliato, spontaneamente o su loro richiesta, dirivolgersi alla propria Usl in 3 casi, alle associazioni specifiche in 6, mentrein 4 casi non venivano suggeriti i percorsi successivi da intraprendere.

Un’informazione data male per 7 famiglie su 14

L’impressione finale che emerge dai colloqui effettuati con i genitori è cheessi hanno vissuto un’esperienza di primo contatto con il problema del lorobambino appena nato piuttosto negativa: 7 genitori su 14 cambierebbero, potendo,l’esperienza che hanno allora vissuto e dai loro commenti si possono ricavarealcuni suggerimenti per il personale medico che si trovi di fronte a questodelicatissimo compito.
La comunicazione della diagnosi o del sospetto dovrebbe essere più rassicuranteed ottimistica e più aggiornata sulla realtà attuale della sindrome di Down esulle potenzialità future di chi ne è affetto. In tale occasione bisognerebbeevitare di dilungarsi troppo su tutta la gamma dei problemi clinici descrittinella sindrome, in quanto ciò creerebbe nei genitori delle paure esagerate, chenon hanno poi sempre riscontro nella realtà.
Anche per le altre patologie neurologiche, per le quali non si possono fareprevisioni categoriche per il futuro e delle quali bisogna seguire nel tempo glisviluppi, è necessario fornire ai genitori, oltre ad un quadro realistico dellamalattia, anche gli strumenti per affrontare la condizione del figlio,accennando alle varie possibilità terapeutiche e riabilitative conosciute edindirizzandoli verso eventuali strutture specializzate in tali patologie.
Tale comunicazione dovrebbe essere effettuata in ambiente riservato e,possibilmente, ai due genitori insieme. In entrambe le situazioni bisognafavorire l’avvicinamento precoce al neonato e l’allattamento, perchéun’accettazione migliore del proprio bambino è senz’altro facilitata dalprecoce contatto.

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