I libri hanno una grande qualità, quella di trasformarsi nel momento in cui si trovano tra le mani delle persone. Laboratori, percorsi formativi, incontri, biblioteche alla fine del mondo, rappresentazioni della realtà, incontri con la diversità, contenitori della memoria.
Insomma, il libro è uno degli strumenti più malleabili e maggiormente utilizzati, soprattutto quando si vogliono affrontare argomenti di difficile approccio.
Abbiamo raccolto alcune esperienze che, in modo diverso, descrivono come è possibile costruire
percorsi di mediazione per relazionarsi con argomenti o situazioni che possono metterci in difficoltà.
8.1. Gianporcospino è in gran buona compagnia. Come parlano di disabilità i libri per bambini e adolescenti
di Annalisa Brunelli e Giovanna Di Pasquale, pedagogiste
Dalle sue origini, dalle favole e dai racconti mitici, tutta la letteratura è piena di immagini di diversità: eroi ed eroine di volta in volta troppo piccoli, nascosti sotto fattezze animali, bizzarramente deformi, afflitti da misteriose infermità.
“La schiera dei Pollicini, dei Principi Porcelli, dei Gianporcospini, delle principesse che dormono in eterno, che non possono parlare o che non sanno ridere è sterminata; viene dalla lontananza del mito, attraversa la fiaba popolare, si insedia nei romanzi per bambini e ragazzi e arriva fino a noi”. (1)
Queste presenze parlano a tutti i lettori perché permettono un riconoscimento forte tra ciò che accade dentro al libro e ciò che accade nella nostra vita. Nel percorso di crescita, a molti, per non dire a tutti, succede di entrare nei territori anche oscuri del corpo che cambia e muta e di sentirsi per questo un po’ come il Brutto Anatroccolo.
Ma questi racconti sono anche uno specchio particolare per chi, partendo da una situazione di concreto svantaggio, deve misurarsi con il mondo dei sani, della normalità.
Trovarsi raccontati cioè presenti nelle storie e nei libri, diventa un aiuto per i bambini e ragazzi con disabilità a uscire dalla invisibilità permettendogli un confronto e un rispecchiamento per nulla scontato.
Accanto alla ricaduta personale che le storie possono produrre, c’è anche la consapevolezza che il mito, la fiaba popolare, il libro per bambini e ragazzi sono forme del racconto attraverso cui vengono rappresentate le idee sociali di una determinata situazione o categoria di persone; questo vale anche per l’immagine sociale della disabilità e per la sua evoluzione nel tempo.
I libri per bambini e ragazzi sono un’invenzione recente e nascono sul finire del XVII secolo. Rivolta prevalentemente a lettori della classe borghese, la letteratura infantile per lunghissimo tempo ha rappresentato la disabilità come malattia e i bambini con disabilità come bambini malati.
Solo agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso cominciano a comparire in modo corposo e sistematico testi in cui la presenza del protagonista bambino o ragazzo, disabile o svantaggiato, costruisce un intreccio in cui la disabilità o lo svantaggio vengono in qualche modo assunti come valore.
Innanzitutto diventano i protagonisti, quasi eroi, della storia piuttosto che essere simboli o incarnazioni della malattia. Ciò che però assume un reale e consistente rilievo è il fatto che la loro condizione viene restituita ai lettori senza nessuna commozione, senza le sfumature patetiche, senza gli intenti didattici, moralistici o ammonitori tipici di quasi tutta la letteratura per l’infanzia del passato.
I punti centrali diventano quindi: l’affermazione dell’identità e delle caratteristiche di ciascuno, preziose nella loro diversità; la ricerca della relazione; l’accettazione della diversità che è differenza, limite ma anche potenzialità, abilità diverse per ciascuno.
Le produzioni presenti oggi nel panorama editoriale
Il mercato editoriale oggi si presenta sotto un segno bifronte: da una parte si assiste alla iperproliferazione di titoli in uscita, dall’altra alla contrazione di vendite e di lettori. Eccezione positiva è costituita dall’editoria per bambini e ragazzi che, dal rapporto sullo stato dell’arte per l’anno 2014, cresce sia per i titoli prodotti che per la quota di mercato, che conquista.
Tanti titoli dunque e tante proposte. In questo quadro possiamo distinguere in modo sintetico quattro famiglie rispetto al modo di approcciarsi al tema della differenza e disabilità.
La prima è composta da quei libri che trattano la differenza in modo ampio, facendo riferimento a tutti quegli elementi che nel mondo riportano alla presenza delle differenze, dalla natura, ai colori, agli aspetti fisici. Questo è un approccio che allarga la visuale permettendo di riferirsi alle tante specificità che attraversano la società come, ad esempio, ai bambini stranieri, portatori di una diversità da non cancellare ma da accogliere e scoprire.
La seconda è rappresentata da quelle storie che in modo mediato introducono alle differenze presenti nelle comunità, da quella familiare, quella amicale fino a quella più generale relativa alla società in cui si vive. Esempio tipico sono le storie che hanno per protagonisti animali che per le loro caratteristiche fisiche e caratteriali ben si prestano a evidenziare come la diversità sia costitutiva di ogni situazione del vivere insieme. Avremo quindi un draghetto che non sputa fuoco, un lupo gentile, un coniglio con un orecchio pendente, un camaleonte alla ricerca di un colore fisso oppure un orco piccolissimo e un folletto gigante. Attraverso un percorso di ricerca della propria identità, che solitamente prevede l’allontanamento dal gruppo o il tentativo di modificare le proprie caratteristiche fisiche, l’escluso arriva ad accettare la propria diversità e a farsi riconoscere dagli altri nella propria unicità, portando, di conseguenza, un cambiamento anche nel contesto di appartenenza.
Della terza famiglia fanno parte quei libri che scelgono, invece, di parlare di disabilità in modo esplicito e che spesso, presentano come protagonisti bambini/e, ragazzi/e con una disabilità precisa in un contesto di vita reale.
La quarta famiglia, infine, è composta da libri che, in modo artistico e metaforico, permettono di riflettere più che sulla diversità esterna su quella interna, provando a farci mettere in contatto con le paure e i desideri, facce della nostra identità che vengono messe in gioco nell’incontro con l’altro, con il diverso, con il fuori dal consueto.
Punti di attenzione nella scelta di libri che raccontano la diversità e la disabilità
In questi anni in cui abbiamo pensato e proposto il libro come ponte fra le esperienze, abbiamo incontrato tanti insegnanti, educatrici ed educatori ma anche genitori e nonni.
Insieme abbiamo letto e guardato i libri, ragionando su cosa scegliere e come proporre ai più giovani, attraverso le storie, un’occasione di incontro con aspetti della vita con cui non è facile convivere, che spesso mettono in difficoltà gli adulti prima ancora che i bambini.
Da questi incontri sono emersi alcuni punti di attenzione, indicazioni che possono orientare la scelta e che qualificano il libro come un’opportunità di incontro non solo fra le persone e le storie diverse ma anche tra parti differenti di noi stessi.
Questi punti di attenzione ci indirizzano verso:
– un libro che non abbia un intento dichiaratamente educativo, che non voglia programmaticamente insegnare qualcosa;
– un libro bello e ben curato, espressione di una progettazione attenta dietro al prodotto;
– un libro avvincente e attrattivo, perché è dentro il legame del piacere e della curiosità che possono passare tanti altri significati;
– un libro in cui la disabilità e la differenza non siano presentate come unica chiave d’accesso per incontrare i protagonisti e addentrarsi nella storia. La disabilità, come altri aspetti esistenziali, è un dato forte e non eliminabile, che va accostato a tutte le altre caratteristiche che raccontano le persone e le situazioni;
– un libro che non cada nel meccanismo della compensazione della difficoltà o del limite per cui un protagonista con disabilità o in difficoltà viene raccontato anche con capacità superiori o caratteristiche etiche super positive.
Un libro, insomma, simile a un ponte che avvicina le dimensioni emotive più difficili come la paura, il disagio, l’imbarazzo sempre presenti quando si affronta la diversità e la disabilità.
Può capitare che gli adulti precludano l’accesso ai bambini, specialmente a quelli più piccoli, a determinati libri proprio per questi contenuti emotivi profondi che hanno a che fare con la tristezza, la rabbia, il senso di abbandono e di solitudine.
Sono emozioni importanti, difficili da maneggiare ma vitali, componenti essenziali dell’esistere. A noi è parso più volte che la censura posta all’accesso a questi libri derivi dall’ambivalenza di sensazioni che dalla pagina nascono e che toccano prima di tutto gli adulti, messi a contatto con parole e immagini che forano la cortina difensiva e che, per questo, provocano inquietudine e spaesamento, sentimenti che raramente abbiniamo alla lettura di una storia per bambini. Piuttosto che rinunciare preventivamente a proporre ai bambini questi libri, scelta che nasce in relazione a ciò che essi provocano in noi adulti, ci convince l’idea di percorrere insieme, adulti e bambini, lo spazio della lettura, spazio in cui possono trovare accoglienza e condivisione emozioni e pensieri anche e soprattutto quelli più duri e ingombranti.
L’articolo rielabora i contenuti delle relazioni presentate nel percorso formativo “Libri come ponti. Storie, libri, narrazioni per raccontare la diversità e la disabilità” rivolto ad educatrici e insegnanti, servizi educativi Cooperativa Labirinto e Comune di Fano, aprile-giugno 2014
Libri proposti nel percorso alle educatrici e insegnanti:
Eric Battut, Oh che uovo!, Bohem Press, Trieste, 2005
Mandana Sadat, Oltre l’albero, Artebambini, Bazzano (BO), 2004
Jçzef Wilkon, C’è cavallo e cavallo, Arka, Milano, 1997
Isabella Christina Felline, Animali di versi, uovonero, Crema (CR), 2011
Polly Dunbar, Perché non parli?, Mondadori, Milano, 2008
Suzy Lee, Mirror, Corraini, Mantova, 2003
Antonella Abbatiello, La cosa più importante, Fatatrac, Casalecchio di Reno (BO), 1998
Jeanne Willis, Tony Ross, Questa è Susanna, Mondadori, Milano, 2000
Virginia Fleming, Floyd Cooper, Sii amorevole con Eddie Lee, Giannino Stoppani, Bologna, 2001
Beatrice Alemagna, I cinque Malfatti, Topipittori, Milano, 2014
Isabelle Carrier, Il pentolino di Antonino, Kite, Piazzola sul Brenta (PD), 2011
Nicola Cinquetti, Il dono della farfalla, Lapis, Roma, 2001
Marco Berrettoni Carrara, Chiara Carrer, È non è, Kalandraka, Firenze, 2010§
Beatrice Alemagna, Nel paese delle pulcette, Phaidon, Milano, 2009
8.2. Leggere comodi libri scomodi
di Silvana Sola, Giannino Stoppani Cooperativa Culturale, presidente Ibby Italia
Dodici anni fa, in collaborazione con la Consulta delle Associazioni per il superamento dell’Handicap e il Comune di Bologna, come Cooperativa Culturale Giannino Stoppani, realizzammo una piccola pubblicazione, Dromedari e Cammelli, che indagava come l’editoria italiana per ragazzi si rapportasse al tema della disabilità, proponendo un percorso ragionato tra i libri e scegliendo 100 titoli che meglio raccontassero le differenze.
Avevamo da poco dato alle stampe la traduzione italiana dell’albo illustrato americano Sii amorevole con Eddie Lee di Virginia Fleming e Floyd Cooper, un picture book che raccontava la vita di un ragazzino Down.
“Sua madre le aveva raccomandato di essere amorevole con Eddie Lee, perché era sempre solo, perché nessuno voleva giocare con lui. Perché era diverso. Le aveva detto che era stato Dio a farlo così. Ma Christy pensava che, forse, in questo caso sua madre si sbagliava. Perché Dio non faceva errori…”.
Negli anni abbiamo continuato a cercare figure e storie che affrontassero temi scomodi attraverso parole calibrate, immagini ponderate, e nel rapporto stretto con Ibby Italia, la sezione italiana dell’associazione internazionale che si occupa della diffusione della lettura e del libro per bambini e ragazzi, abbiamo messo a disposizione i contenuti dei libri incontrati.
Nel 2009, a firma Ibby Italia, è uscito un volume di riflessioni, brani e pensieri intitolato La differenza non è una sottrazione, una pubblicazione che chiamò a raccolta studiosi, specialisti, illustratori, scrittori, librai, editori, insieme in una rete virtuosa che ha fatto dialogare il libro con forme diverse di disabilità.
Negli anni l’associazione Ibby Italia, e con lei le realtà che la sostengono e la fanno vivere attraverso il lavoro volontario, ha permesso, con i propri suggerimenti, una presenza italiana nella collezione Outstanding Books for Young People with Disabilities, selezione internazionale di libri sulla disabilità raccolti attraverso diverse sezioni Ibby sparse nel mondo. Collezione che biennalmente si arricchisce di nuove proposte. Tra i libri scelti quest’anno un titolo a me particolarmente caro, La maglia del nonno, pubblicato da Biancoenero, un libro che vede accanto un bambino e un nonno che perde, giorno dopo giorno, pezzi di memoria. Un libro che affronta, con una lingua delicata e presente, e con illustrazioni che tengono il filo della storia, il tema dell’Alzheimer. Mentre la collezione Outstanding Books for Young People with Disabilities da Toronto si sposterà nei vari paesi che ne faranno richiesta, il 2016 saluterà una sezione speciale del Bologna Ragazzi Award, promosso da Bologna Children’s Book Fair, dedicata ai libri che affrontano, con modalità diverse, il tema della disabilità. Una biblioteca ideale che vedrà gli editori, presenti in Fiera, inviare le loro migliori proposte che affrontano tematiche scomode.
I libri sono un ponte, sono straordinari strumenti di relazione capaci di portare ai bambini e ai ragazzi temi complessi, argomenti difficili, facendoli diventare occasioni di scambio. I libri, fuori dalla retorica, invitano bambini, ragazzi, adulti, a non chiudersi all’interno del perimetro del già visto, ma aprono alle molte forme di incontro che la vita può riservare, invitano a immaginare nuove soluzioni ai problemi dell’esistenza, a trovare altre occasioni di visione, perché, come ci suggerisce il grande artista Jimmy Liao, che il tema della disabilità e della fragilità dell’esistenza lo ha più volte messo in pagina, “se cercate bene, c’è sempre una via d’uscita”.
Penso per esempio a Un fratello da nascondere di Elizabeth Laird, centrato tutto sul rapporto fra fratello e sorella:“Grave ritardo mentale e fisico, diceva la lettera che la madre ricevette dall’ospedale. Non occorre essere un genio della medicina per capire che non significa nulla di buono. Ma questo non diminuì il mio affetto per Ben, anzi me lo fece amare ancora di più, mi fece desiderare di proteggerlo da quelli che non avrebbero capito, che magari avrebbero riso, o provato imbarazzo, o che l’avrebbero guardato con fastidio”.
Il romanzo della grande scrittrice neozelandese, purtroppo ora disponibile solo in biblioteca, esprime al meglio il perché se ne debba parlare: perché per affrontare ciò che apparentemente appare scomodo al cuore e alla ragione, i ragazzi, le famiglie, gli insegnanti non possono essere lasciati soli, perché la condivisione non ha effetti miracolosi, ma aiuta ad affrontare meglio il presente e a immaginare un futuro.
Un altro libro, da poco sugli scaffali nell’edizione italiana in catalogo per Gallucci, racconta con garbo e voluta leggerezza, la diversità come risorsa. Il titolo: I fantastici cinque, albo illustrato nato per le pubblicazioni della Tate. Un libro, firmato dal grande Quentin Blake, che dichiara che ognuno di noi ha doti speciali che può mettere a disposizione degli altri.
I libri aiutano ad accendere la mente, convivono con le tecnologie e, a volte, le superano per potenzialità intrinseche: Ibby Italia lo ha verificato nella risposta entusiasta raccolta negli Ibby Camp nati per sostenere l’apertura di una Biblioteca Ragazzi a Lampedusa e per creare occasioni quotidiane di incontro con il libro e la lettura sull’isola; ne ha avuto prova nelle esperienze con ragazzi, con adulti educatori, con bibliotecari, con magistrati, nella circolazione della Biblioteca della Legalità; lo ha visto nell’iniziativa corale Liberi di Leggere nata come risposta ai libri censurati da amministratori digiuni dei contenuti che la letteratura per ragazzi promuove, e disattenti ai principi della Costituzione.
Libri trovati, da leggere seduti comodi, altri da cercare: buoni libri per tutti, perché bellezza e qualità di contenuto sono ottime chiavi per affrontare la vita, nell’agio e nel disagio.
8.3. Formare una coscienza storica: le gocce di memori
Abbiamo chiesto a Morena Melchioni, del Laboratorio delle Meraviglie, Scuola Media di Marzabotto (BO), un’insegnante e un’amica con cui collaboriamo da tempo, di raccontarci il lavoro che svolgono rispetto al racconto e all’elaborazione della memoria, anche e soprattutto quando la memoria ha a che fare con la guerra o le stragi e agli strumenti che hanno deciso di utilizzare per fare ciò.
Ci racconti cos’è il Laboratorio delle meraviglie?
Da anni portiamo avanti un progetto che, partendo dal ricordo dell’Eccidio di Marzabotto, crea ponti di memoria e sprona alla cittadinanza attiva. Tutto è nato nel Laboratorio delle Meraviglie della Scuola Media di Marzabotto. Inizialmente pensato dagli educatori e dagli insegnanti di sostegno della scuola, per offrire ai ragazzi certificati, con disagio sociale o appena arrivati da paesi stranieri, uno spazio che rendesse possibile l’apprendimento indiretto, attraverso attività esplorative e creative, si è poi aperto a tutti valicando le pareti scolastiche. I nostri laboratori, infatti, nel tempo si sono ampliati proponendo attività di approfondimento su tematiche di educazione alla cittadinanza che coinvolgono la scuola intera: insegnanti, alunni, fino alle famiglie e alla amministrazione comunale, proseguendo quindi anche fuori dalla scuola. Anzi i progetti che stiamo portando avanti sulla Memoria e la Legalità si estendono perfino a livello nazionale e internazionale.
Puoi farci un esempio?
Il primo lavoro che abbiamo realizzato è Gocce di Memoria. Si tratta di una installazione che rappresenta le 770 vittime della strage nazifascista di Monte Sole.
I numeri sono parole e non sono visibili, così abbiamo pensato di creare tante gocce bianche, una goccia per ogni vittima. Ogni anno creiamo queste gocce in maniera differente (con la carta, l’argilla, la tela) accompagnando questo lavoro artistico a momenti di riflessione, studio, teatro e musica che conducono alla realizzazione di spettacoli. Le tematiche che affrontiamo riguardano il legame del presente con il passato, ci occupiamo di temi che vanno dall’antimafia alla Costituzione, dai diritti umani al femminicidio, dalle guerre al terrorismo.
I ragazzi formano la loro coscienza storica confrontandosi tra loro e creano con le loro mani la Memoria. Tutti gli anni partecipiamo alla Commemorazione della Strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980 portando il nostro contributo. Lì abbiamo portato le gocce in tutte le loro forme, realizzato uno spettacolo teatrale e donato al Comune di Bologna un’opera composta da 85 gocce di argilla.
È per questo che avete realizzato un libro in simboli sulla strage del 2 agosto?
Nel luglio del 2014 stavamo preparando il quaderno didattico in Widgit Symbols dedicato a Monte Sole. In quell’occasione abbiamo incontrato la storica Cinzia Venturoli, che lavora per il Centro di Documentazione sullo Stragismo, per pensare con lei alla maniera di partecipare quell’anno alla Commemorazione in stazione. Guardando il nostro libro in simboli è stato spontaneo pensare all’idea di realizzarne uno anche per il 2 agosto. Così, insieme a lei, abbiamo narrato la strage dell’Italicus e la strategia della tensione attraverso schede corredate da fotografie e da una traduzione del testo con simboli associati alle parole.
Questo lavoro è divenuto parte dei progetti sorti dalla collaborazione tra l’Assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna e l’Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, progetti che si prefiggono di conservare e trasmettere, in particolare ai giovani, la memoria e la conoscenza della strage del 1980 e delle vicende legate a quella drammatica stagione della storia italiana. Uno degli obiettivi di questi progetti è anche quello di individuare, anche sul piano metodologico, nuovi percorsi di elaborazione della memoria storica, a partire dall’acquisizione della conoscenza degli avvenimenti, che, raccontati attraverso un codice più accessibile quale è il linguaggio in simboli, diventano fruibili anche per i ragazzi con bisogni educativi speciali e per coloro che, per motivi diversi, sono lettori deboli.
Da questa prima esperienza è nata una collaborazione costante tra la scuola e l’Assemblea Legislativa della Regione Emilia Romagna, che ha continuato a supportare il nostro progetto provvedendo alla stampa degli altri libri che abbiamo realizzato in simboli: La strage di Monte Sole, Nella Notte e nella Nebbia (dedicato all’olocausto), La Costituzione italiana – Principi fondamentali
8.4. Non guardare, non sta bene
di Sandra Negri, coordinatrice Progetto Calamaio, Cooperativa Accaparlante
All’interno del laboratorio di idee che era il Centro Documentazione Handicap una ventina di anni fa, poco più che all’inizio della sua storia, “Non guardare, non sta bene!” fu una frase che stimolò fin da subito una certa curiosità e interesse. È una frase che Claudio Imprudente sentì rivolgere al proprio figlio da una madre preoccupata di… di cosa? Me lo sono chiesto allora e continuo a chiedermelo anche ora. Quale era la preoccupazione di quella madre? E nei confronti di chi?
Riesco a individuare tre possibilità.
La preoccupazione per Claudio, una persona con una grave disabilità motoria che se ne andava in giro sotto i portici di Bologna sulla sua carrozzina, spinto dal suo accompagnatore, un amico/a, un/a collega, una fidanzata, un operatore.
La preoccupazione verso il bambino, che mano nella mano passeggiava per la città con la mamma, probabilmente per un pomeriggio di relax e divertimento.
O la preoccupazione per se stessa, per le risposte che avrebbe dovuto dare alle curiosità del bambino?
Lo riesco a vedere, Claudio, a passeggio per la città. La testa appoggiata al poggiatesta un po’ inclinata sulla spalla, la bocca aperta, la lingua un po’ fuori dalla bocca e un filo di saliva che scende sul bavaglino. Il corpo magro seduto sulla carrozzina, un braccio piegato sotto il sedere e l’altro legato con un cinturino al bracciolo della carrozzina, i piedi appoggiati, che qualche volta cadono dando la sensazione che siano in pericolo e stimolano nei più coraggiosi il bisogno di segnalare a chi spinge la carrozzina che i piedi sono caduti e di evitare così a Claudio un gran dolore.
È sicuramente un’immagine che desta curiosità. Un’immagine verso cui non si ha sempre familiarità, in modo particolare non la si aveva alla fine degli anni ’80. Un’immagine che richiama quindi la nostra attenzione, il nostro sguardo, delle domande, il pudore di non essere scoperti in questo attimo di spontaneità e invadenza verso l’altro, un altro diverso da noi.
Questa diversità che spesso ci inquieta, ci mette in difficoltà e ci obbliga a sconvolgere i nostri punti di riferimento si porta dietro storie, identità, esperienze e tentativi per superare le distanze. Questo è interessante. Non la diversità in sé, quanto ciò che altre vite e altre identità affrontano nel proprio percorso. E a incuriosirci di più è proprio ciò che è lontano dal nostro familiare e consueto. Ma per avvicinarci a questo dobbiamo passare attraverso il contatto con dimensioni delicate che mostrano anche la fatica, il dolore, la rabbia per una condizione che porta in sé difficoltà.
Rispondere alle domande dei bambini sulla disabilità può essere difficile perché comporta una conoscenza e un avvicinamento da parte degli adulti a una realtà che ci mette a disagio, che ci spaventa perché ci richiama l’immagine della fragilità, della debolezza e del dolore. Per prima cosa dobbiamo permettere a noi stessi di farci delle domande e di darci delle risposte anche scomode. Se è difficile per noi avvicinarci al dolore e alla paura della diversità, è ben arduo lasciare avvicinare i bambini alla conoscenza di tale realtà, perché vogliamo proteggerli dalle esperienze difficili.
Tutto questo rappresenta per l’adulto una duplice prova: contattare le proprie emozioni difficili e poi condividerle con il bambino, aprendosi così alla fragilità, propria e dell’altro.
Da trent’anni gli educatori e animatori del Progetto Calamaio, disabili e non, parlano di disabilità nelle scuole. Lo fanno con una importante valigia degli attrezzi ricca di strumenti che mediano e facilitano questa delicata operazione. Il primo di tutti è la lunga esperienza di confidenza con la disabilità e con le emozioni che essa suscita. Partiamo sempre dal presupposto che la relazione con la diversità sia complessa nel primo impatto, proprio perché è un’esperienza di novità che ci porta incognite dell’altro e anche nostre. Abbiamo quindi bisogno di entrare in questa area di novità con rispetto, tempo e tanto allenamento.
L’incontro con la diversità non suscita solo timori, ma anche curiosità. Nei bambini in particolare, che non hanno bisogno di essere politicamente corretti, e che davanti a un corpo che si muove in modo strano o un ausilio che sembra un gioco magico, non trattengono sguardi stupiti e indiscreto interesse. Cosa succede se invece di rispondere alle loro domande con “Non guardare, non sta bene” li sollecitiamo a esprimere il loro desiderio di sapere? L’incontro diretto e la conoscenza delle persone con disabilità che si raccontano in prima persona fa sì che ciò che non si poteva nominare acquisisca un nome e una identità; ciò che era distante e indefinito si trasformi in qualcosa di familiare e conosciuto.
Avviene anche qualcos’altro. Tanto che alla fine dell’incontro, è passato in secondo piano non solo il disagio iniziale, ma anche la nostra disabilità. Perché con quella disabilità ci abbiamo giocato tutto il tempo e l’abbiamo fatta diventare un’occasione per entrare nella relazione con noi e non la causa di una distanza. Abbiamo giocato con la difficoltà di linguaggio di Stefania che mette il suo deficit a disposizione della classe e lo trasforma in una sfida. “Vi dividete in due squadre” dice lei. Sulle facce dei bambini c’è stampato un bel punto interrogativo. Non hanno capito nulla di quello che hanno sentito. E ci crediamo! Un altro animatore corre in soccorso dei ragazzi e chiede loro se hanno capito. Qualche temerario risponde di no. L’animatore allora li invita a chiedere a Stefania di ripetere. E lei ripete fino a che qualcuno non si butta e tenta una traduzione. Bene! Si inizia a giocare!
C’è la squadra del BIP e c’è la squadra del BOP. Ogni giocatore non lo sa ma ha nella propria tasca sinistra un pulsante magico che, se premuto, emette il suono che occorre per prenotarsi. Prova pulsanti:
BIIIIIIIIIIIIIIIIIP
BOOOOOOOOOOP
Tutto funziona! La tecnologia, aiutata dalla fantasia ci aiuta. Stefania comincia a pronunciare qualche semplice parola e chi comprende ciò che lei dice si prenota con il pulsante magico e tenta una risposta. Si tiene il conto dei punti e la gara si fa sempre più agguerrita. Dalle semplici parole, Stefania passa alle frasi. Il divertimento del gioco e la passione della sfida non fanno accorgere i ragazzi dell’aumento della difficoltà. Ma cosa più importante: hanno fatto dimenticare a tutti che Stefania ha un deficit che in un qualsiasi altro contesto rappresenterebbe un grande ostacolo alla comunicazione. Qui, ora, è diventato invece uno strumento di vicinanza e di divertimento. E brava Stefy! Ancora una volta il trucchetto ha funzionato!
L’incontro con l’altro nel Progetto Calamaio avviene così: entrando in relazione con aspetti che, in altre situazioni, possono essere punti di debolezza, facendoli diventare per noi punti di forza. Si tratta dei nostri deficit, che diventano occasione di gioco e di sfida.