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9. La metafora dell’arte

Come Centro di Documentazione di Bologna abbiamo condiviso diversi percorsi di riflessione con altre realtà culturali della città che, come noi, condividono la necessità di un confronto sul ruolo delle arti nel percorso educativo di bambini e ragazzi.
Con l’Istituzione Bologna Musei ci siamo trovati a riflettere attorno al concetto dell’accessibilità del linguaggio artistico e al valore dell’accesso all’arte, anche quella apparentemente meno comprensibile.
Anche con La Baracca – Testoni ragazzi abbiamo aperto un confronto sul tema dell’accessibilità, ovviamente legato al linguaggio teatrale soprattutto nel proporsi a un pubblico di piccolissimi.

9.1. A nessun bambino si nega una poetica
di Veronica Ceruti, responsabile Mediazione culturale e Servizi educativi, Istituzione Bologna Musei

È questo uno dei principi fondamentali che guida l’attività di mediazione culturale del Dipartimento educativo del MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna.
Da quasi vent’anni accompagno bambini e ragazzi nelle sale dei musei e registro il loro stupore davanti alle opere di artisti contemporanei, visioni e ambienti altri rispetto agli oggetti e alle immagini stereotipate che appartengono al loro quotidiano, che sono loro familiari. Quadri, sculture, installazioni capaci di innescare meccanismi seduttivi, di generare meraviglia, di sollecitare tutti i sensi, favorendo il risveglio dall’anestesia, da una condizione di apprendimento passivo e a breve termine.
Un aneddoto: sono con una terza classe della scuola primaria e mostro agli alunni il ferro da stiro con chiodi, realizzato da Man Ray nel 1921, non un’opera d’arte da museo, ma un intervento deliberatamente imprevedibile, assurdo, provocatorio. Gli occhi si spalancano, i bambini sono perplessi, non hanno mai visto niente di simile, certo non lo vorrebbero come Cadeau, Regalo, (è questo il titolo originale dell’opera), ma sono curiosi, le loro menti si accendono, e al mio invito “Proviamo a trovare un nome a questo lavoro” le mani si alzano e fremono. Ecco alcune risposte: “La vendetta della moglie gelosa”, “Ora sì che il bucato è davvero bucato” (!). Non sono solo titoli, ma vere letture dell’opera, in grado di cogliere e restituire l’ironia e la libertà immaginativa che caratterizzano il Dada, movimento d’avanguardia sperimentale verso cui il pubblico adulto mostra diffidenza, perché ancorato ai modelli della cultura tradizionale e troppo spesso pronto ad affermare “Questo lo potevo fare anch’io”.
Non voglio dire di non avere mai vissuto situazioni di difficoltà o che non vi siano temi difficili da trattare con i più piccoli, per ragioni diverse, ma si tratta sempre di trovare un modo, una strategia per neutralizzare l’imbarazzo, elaborare la paura, andare oltre il tabù. Un esempio: la mostra temporanea “Il nudo tra ideale e realtà” tenutasi alla GAM nel 2004: quadri, fotografie, sculture di corpi nudi, rappresentati e presentati nella loro verità, sensualità, fisicità senza veli. Come fare?  Sicuramente non censurare, non alimentare malizia e pruderie, ma trasmettere ai giovani visitatori l’importanza di un tema che ci riguarda tutti: ognuno di noi ha un corpo, ognuno di noi è corpo, fisico e emozionale. Si decide quindi di valorizzare in prima istanza la scoperta, non tanto di quello rappresentato, ma del Leib, il corpo vissuto: l’esperienza di laboratorio, che precede la visita in mostra, inizia con una serie di esercizi di psicomotricità, volti a sciogliersi e ad acquisire consapevolezza del proprio sé fisico. A seguire, un’attività da noi chiamata “L’artista e il suo modello”, volta alla scoperta del corpo dell’altro attraverso il tatto e le emozioni che ne derivano. In coppia, in piedi uno davanti all’altro, rivolti verso la stessa direzione: davanti chi interpreta il modello, dietro chi interpreta l’artista, bendato. L’indicazione iniziale è quella di appoggiare le mani sulle spalle del modello, il primo contatto deve avvenire molto lentamente, come se le mani dovessero procedere in una sorta di atterraggio sul corpo, proprio per favorire la consapevolezza rispetto alla sensazione fisica e psichica provata. Il palmo delle mani diviene così il punto di contatto, sismografo capace di registrare ogni oscillazione emotiva. Si rileva la temperatura della pelle, la consistenza, per poi scivolare lungo tutto il corpo del compagno, fermandosi là dove si incontrano situazioni anatomiche che si prestano a scoprire plasticità e potenzialità motorie. Nel momento in cui si arriva alle giunture (spalle, gomiti, ginocchia, caviglie, anche), l’artista ha la possibilità di manipolare il corpo, per sondare le possibili torsioni e le posture che il modello riesce ad assumere.
Solitamente infatti, quando si guarda un corpo dipinto su una tela o scolpito nel marmo, non si prendono in considerazione le scelte compiute dall’artista: rappresentare il soggetto in piedi in posa, in piedi naturale, sdraiato, seduto, sospeso, vestito, nudo…
In seguito, la coppia si inverte e scambia ruolo, l’ascolto emotivo è così completo, il vissuto condiviso.
Questa esperienza, insieme alle altre previste nel percorso, rende la fruizione delle opere in mostra radicalmente diversa, più attenta agli aspetti iconografici, compositivi, plastici, molto meno distratta dalla semplice nudità. Si stabilisce infatti una sorta di empatia sia con il corpo esposto, sia con il suo artefice; l’esperienza acquisisce un senso proprio, a partire da un sentire soggettivo del sé e dell’altro da sé.
Non esiste artista, opera, pratica che non possa divenire pretesto per avviare percorsi di conoscenza e di rielaborazione validi per tutte le età, nella profonda convinzione che fare esperienza a contatto con l’arte generi beneficio e faciliti lo sviluppo della nostra identità, del nostro pensiero critico e della nostra capacità di comprendere il contesto storico, sociale e culturale al quale apparteniamo.

9.2. “Facciamo finta che…”. Incontro, gioco e ascolto per parlare a teatro di quello che ci pare e piace
a cura di Lucia Cominoli, educatrice e coordinatrice di http://laquintaparete.accaparlante.it Conversazione con Roberto Frabetti, regista e fondatore de La Baracca – Teatro Testoni Ragazzi di Bologna, Teatro Stabile d’Innovazione per l’Infanzia e la Gioventù.

Il teatro con il suo potere catartico è forse la forma d’arte per eccellenza che fin dalle origini ha messo al centro della propria esperienza i temi tabù, lo ha fatto soprattutto nei confronti della società, mettendone costantemente in discussione i costrutti. La società però, a volte ce ne dimentichiamo, si compone di adulti e di bambini che se usano modi diversi per comunicare spesso si trovano tuttavia insieme ad affrontare parole come “morte”, “paura”, “diversità”. Ma che cosa succede quando a teatro ci rivolgiamo ai più piccoli? Come è lecito muoversi all’interno di queste parole?
Bisogna capire quando è il momento giusto per affrontarle, se quello è effettivamente il momento, se ne vale davvero la pena o se non sia un modo, al contrario, per soddisfare la propria vanità di espressione adulta. Bisogna riuscire a portare le parole nel modo giusto quando effettivamente si ritiene sia importante affrontare in quel momento quel particolare argomento così intenso e delicato. È una risposta molto ambigua la mia, ma tante volte mi sono trovato di fronte ad adulti che hanno un bisogno estremo di adultizzare i bambini e credo che una cosa importante sia invece rispettare prima di tutto le loro curiosità. Non c’è nessuna parola e nessun tema che non si possa usare o affrontare, il problema è trovare la ragione. Credo che parlando di bambini sia necessario distinguere tra i piccolissimi, quelli cioè sotto i 36 mesi e quelli che già hanno cominciato a frequentare la scuola dell’infanzia fino ai 6 anni. Piano piano, salendo e salendo crescono in loro domande… Ecco, quando si sente che le loro domande si stanno facendo strada credo che sia importante rispondere e trattare con loro anche i temi più alti. A questo proposito ho visto anni fa uno spettacolo di teatro ragazzi dedicato ai bambini della scuola dell’infanzia di una compagnia danese che trattava senza paura il tema della morte e lo faceva con estrema delicatezza. Lo spettacolo però funzionava non solo perché era ben fatto ma anche perché sapevamo che per i piccoli spettatori era quello il momento giusto per parlarne al di là del contesto. Ci sono tanti modi per parlare ai bambini della diversità e del dolore. Io ti parlo per esperienza e la mia è un’esperienza ormai quarantennale che si è sempre costruita nel rapporto diretto e nell’incontro con i bambini. Non si può prescindere da questo, almeno per quanto mi riguarda. Credo sia sempre importante costruire prima un setting di rispetto, dove gli adulti parlano perché ritengono che sia realmente importante per i bambini e va fatto con gradualità. Per fare un semplice esempio, se ora ci trovassimo a dover parlare di morte ai bambini, e questo vale benissimo anche per i più piccoli, io li porterei a esplorare per prima cosa il buio, che per molti può rappresentare un luogo sconosciuto, vicino all’infinito e per l’appunto alla morte. Alla complessità si arriva piano piano con molta delicatezza e molta attenzione.

Rispetto alla vostra esperienza diretta di tecnici del teatro, in che modo operate delle scelte artistiche sul che cosa dire o non dire ai bambini all’interno di uno spettacolo che tratta un tema tabù o più semplicemente un tema considerato complesso?
Il teatro secondo me funziona quando tra chi racconta e chi ascolta si crea un accordo di sensibilità. Capire come nasce e perché non penso abbia molto a che fare tuttavia con la tecnica se non in termini di finzione scenica.
Le scelte per me sono condizionate da richieste, magari non esplicite, che arrivano continuamente dai bambini quando li incontri durante gli spettacoli o li frequenti a scuola o nei laboratori o in altri contesti… Ci sono domande che senti nascere e che lasci filtrare dentro di te e cominci a sentire l’esigenza di dare delle risposte, senza mai dimenticare una cosa fondamentale: il teatro è soprattutto un incontro. Quando parlo di ambiente di rispetto intendo quindi che il bambino si accorge se l’adulto che ha davanti a sé e che sta lavorando per lui, sia esso un attore o un danzatore, è onesto e sincero, se sta parlando cioè di qualcosa di vero e che in quanto tale lo tocca. Si tratta di equilibri che spesso hanno poco a che fare con scelte logiche esplicite dal punto di vista tecnico ma che partono piuttosto da sensazioni che nello scambio umano adulto-artista e bambino possono diventare molto forti.

E a tutto questo come rispondono i bambini? C’è uno spettacolo in particolare nei tuoi ricordi che ha scatenato reazioni inaspettate?
È difficile rievocare un episodio specifico, se uno spettacolo funziona, qualsiasi sia il tema, le reazioni che si scatenano sono più o meno sempre le stesse. Una reazione apparentemente molto semplice ma che in realtà è una grande reazione è innanzitutto il silenzio totale. Quando senti che dei ragazzini, dai nidi agli adolescenti, restano completamente in silenzio vuol dire che qualcosa arriva, qualcosa tocca. Ci tengo però a ribadire che per me la qualità della comunicazione a teatro non è data dal tema ma dal tipo di comunicazione che si instaura in quel momento. Penso che sia molto più ricco e formativo, sia per l’adulto che per il bambino, uno spettacolo che funziona bene semplicemente perché l’attore è onesto e il pubblico ha una gran voglia di ascoltare quella storia, che magari non contiene un tema poi così alto. Bisognerebbe pensare prima di tutto al buon teatro e non al teatro come veicolo per.

Chi lavora con i bambini sa bene quanto i più piccoli sappiano perfettamente distinguere il momento del divertimento da quello della serietà, succede anche giocando, e il teatro, in fondo, è proprio questo, un bellissimo gioco. Come accompagnare i bambini in questo sali-scendi?
Credo che i bambini abbiano un grande piacere a partecipare a tutti i meccanismi della finzione, che sappiano distinguere se quella che vedono è una finzione condivisa o un tentativo di non considerare completamente tutta la loro totalità. Io non posso dare informazioni finte. Se gioco in un equilibrio di finzione devo garantire sempre che ci sia una concretezza. L’equilibrio rimane sempre nel pensare che il gioco è un momento molto serio per loro. Nel momento in cui i bambini esplorano, cercano di capire quello che sta accadendo nel rapporto tra le diverse situazioni e lo fanno in una dimensione che, in quel momento, è funzionale sia filtrata dagli elementi della finzione. Quindi possiamo fare finta che l’oggetto che ho in mano sia una nave mentre invece è una foglia galleggiante… Nel frattempo stiamo studiando come galleggia una foglia in una pozza d’acqua o come una nave così grande possa stare in mare… Ci sono sempre dei doppi piani e l’equilibrio lo si trova nel fingere insieme in un momento di comunicazione concreta. Di sicuro e, questo è il patto, non ti racconterò mai storielle.

La mediazione dell’adulto, sia essa a teatro, a casa o a scuola è sempre fondamentale?
Sì, credo che la mediazione resti fondamentale su tutti i livelli, i bambini guardano gli adulti in continuazione, hanno quindi bisogno di adulti che si muovano in temi complessi con attenzione e rispetto. Io non credo che ci sia il bisogno di forzare i tempi ma bisogna essere prontissimi a rispondere a tutte le loro richieste, anche a quelle che ci mettono più in difficoltà. Loro sono dei grandi scienziati, dei grandi esploratori, sono loro a fare le domande, noi dobbiamo solo creargli intorno un ambiente in cui sappiano che possono esserci delle risposte.

Quali sono oggi i temi tabù per i più piccoli? Sono cambiati? Coincidono sempre con quelli degli adulti? In quali direzioni sta lavorando il teatro ragazzi?
Io credo che i tabù dei bambini siano pochissimi, credo che i maggiori siano quelli degli adulti che vivono insieme a loro, che eventualmente possono avere più o meno difficoltà a parlare di determinati argomenti o li ritengono più o meno giusti. I bambini guardano le cose molto direttamente, sono sempre molto laici. Una cosa gli piace, una cosa non gli piace, difficilmente giudicano in maniera pregiudiziale, non credo ci siano argomenti particolarmente tabù dentro i bambini, ci sono argomenti che gli adulti non ritengono sia il caso di affrontare, dalla sessualità al tema del dolore, o in cui trovano delle difficoltà rispetto al modo in cui affrontare il tema della diversità o come affrontare la relazione con altre culture… Io credo che i bambini abbiano molta voglia di conoscere e di scoprire e abbiano bisogno di raccontatori onesti che non dicano “questa è la verità” ma “una delle tante verità”, che non esauriscano cioè le risposte nella prima ma che ogni prima risposta diventi apertura e stimolo verso altre domande, idee, quesiti. Credo che questo sia un atteggiamento comune che oggi tutti dobbiamo tenere nei confronti dei bambini e degli adolescenti: rispettare il loro essere esploratori e il loro essere scienziati.



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