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autore: Autore: Emanuela Marasca

L’autenticità di “Sarabanda Postcomunista”

a cura di Emanuela Marasca

Irida Gjergji, attrice e violista classica albanese, immigrata in Italia da più di dieci anni, ci racconta la sua personale storia di migrante e artista, culminata nell’incontro con il gruppo jazz Hora Quartet e il drammaturgo Andrea Cosentino, con il quale ha dato vita allo spettacolo di teatro-concerto “Sarabanda Post-comunista”. Una polifonia di linguaggi, un viaggio dai ritmi forti e delicati, un’improvvisazione jazz sul tema delle radici e del ricordo, alla ricerca della propria identità.

Cos’è per te la musica?
La musica è una cattedrale. È un mezzo per accogliere il divino, l’ultraterreno, l’universo tutto, Mozart.

Che posto occupa nella tua vita?
Nelle sue infinite variazioni e forme ha da tempo immemore plasmato la mia vita.

Che percorso musicale hai seguito?
Un percorso accademico. È stato fondamentale per me. La viola è uno strumento in cui non ci si può improvvisare. Bisogna avere la tecnica per essere liberi e bisogna apprenderla a tal punto da poterla poi dimenticare.

È stato difficile nel tuo paese, sotto il regime comunista, seguire la tua vocazione artistica?
La mia famiglia è stata perseguitata dal regime comunista. Sicuramente se il regime non fosse caduto, non mi sarebbe stato permesso di frequentare il Conservatorio di Musica e di studiare all’estero. Avevo sei anni alla caduta del regime e frequentavo già la scuola di musica della mia città. Ricordo la felicità dei miei genitori allora: era una felicità astratta, che ho capito tardi. Stavano cominciando a esistere in quel momento e a immaginare la libertà del domani dei loro figli.

Parlaci un po’ della tua scelta di immigrare in Italia: sogni, speranze, mancanze, difficoltà, integrazione…*
Sono arrivata in Italia per Venezia, il Colosseo e Bellini. Il linguaggio dei sogni è differente dal linguaggio della realtà. Ovviamente, come tutti gli immigranti, ho avuto dei traumi da transculturazione. Ho sublimato questo vissuto scrivendo il testo autobiografico a cui ho successivamente dato voce e musica nello spettacolo “Sarabanda Postcomunista”.

A cosa pensi quando si parla di “diversità”?
La diversità è una qualità. Incontrare ciò che è lontano da me, incappare in un proverbio sconosciuto, sentire uno strumento nuovo, una parola diversa dalla mia per dire “meraviglia” è un guadagno.

Come è nato il vostro progetto e il vostro gruppo “Hora Quartet”?
Avevo scritto da poco “Sarabanda Post-comunista”, una biografia traslata sul tema delle radici, da cui ha successivamente ha preso nome l’omonimo spettacolo. Una riflessione sulla condizione di emigrare/immigrare e l’incertezza di questo doppio passo. Non volevo rinunciare alla musica e immaginavo di comporre lo spettacolo di brani, suoni e ritmi della tradizione popolare albanese rivisitandoli. Per questo ho proposto la collaborazione a tre musicisti di estrazione jazzistica, Giacomo Salario al pianoforte, Emanuele Di Teodoro al contrabbasso e Walter Caratelli alla batteria. In questo progetto abbiamo deciso di unire le nostri doti musicali e autoriali muovendoci in entrambi i casi a nostro agio, tanto all’interno dei canoni della musica balcanica, quanto nella composizione di brani originali, in linea comunicativa diretta e immediata con le atmosfere del testo.
Terreno comune è stato il tentativo di intrecciare il suono alla parola e di farla fluire naturalmente in aneddoti di stupore e danze animate. La complessità di fondo del testo si è avvalsa della consulenza drammaturgica di Andrea Cosentino, uno dei più noti attori e autori della scena teatrale contemporanea di cui non potrei mai dimenticare i consigli sul senso dello stare in scena, reinventandolo ogni volta con giocosità. Consigli jazz, i suoi.

Come si sono intrecciati i vostri percorsi? Non c’è una propensione artistica che ne annulli altre nonostante il mio percorso musicale sia diverso dai musicisti con i quali collaboro. Il tema caldo che ci unisce come artisti di questo progetto è un valido motivo di rieseguire i brani. “Sarabanda Postcomunista” è un viaggio dai ritmi forti e delicati. È l’ossessione di esplorare mondi sonori noti a me ma sconosciuti ai miei compagni. È la loro fatica di avere avuto nel periodo delle prove una musicista classica ma anche una custode della musica della sua terra e di averle immerse entrambe completamente nel jazz… A volte ne uscivo spaesata ma era lì che il testo e la musica cominciavano a funzionare.

Quali obiettivi ti/vi siete dati? Sono stati raggiunti?
L’obiettivo principale raggiunto è la leggerezza profonda che ho in scena quando suono e quando recito. La paura dell’errore, che eredito dalla musica classica, con loro diventa terreno di ricerca per nuove esplorazioni. Il jazz è un modo, per me, di fare finalmente teatro vivo, musica viva. L’obiettivo che mi sono data è di approfondire lo studio dell’armonia jazz e di esplorare l’improvvisazione con la viola.

Quali sono i tuoi/vostri punti di riferimento musicali?
Non sono monomaniaca della musica classica e sto maturando un gusto per il jazz, godendo di buoni ascolti e concerti suggeriti dai miei colleghi. Il nostro è uno spirito nomade che ci porta ovunque, dalla lirica alle avanguardie elettroniche. Cerchiamo di filtrare con il nostro gusto, provando alla nostra maniera, nel nostro suono.

Qual è lo spirito del vostro gruppo?
Sentire l’urgenza al contempo di creare e il rispetto della tradizione. Hora, dal quale prende nome il nostro quartetto, significa il luogo di appartenenza, il ritorno in casa. Nel nostro caso vorrei che fosse il palco, il locale, il teatro dove stiamo suonando o il battere semplicemente il piede a ritmo della musica, il nostro spirito, la nostra casa.

Quali, a tuo parere, sono gli aspetti positivi di questa esperienza?
Far riaffiorare le mie radici, far ritornare la musica ascoltata nell’infanzia in una nuova forma, condividendola con tutti, è stata un’esperienza catartica.
Ogni volta che vedo in tv le navi piene di immigrati africani, mi viene in mente la mia amica Maria Adele, che lavora in un centro d’accoglienza per richiedenti asilo: dopo aver visto il mio spettacolo, mi disse di sperare che anche i ragazzi di cui si è presa cura, un giorno, possano parlare attraverso la musica e il teatro del loro percorso migratorio, contribuendo ad arricchire e meticciare la società come “Sarabanda Postcomunista” sta facendo. Il suo feedback mi ha particolarmente commosso e toccato perché mi ha indotto a pensare a un parallelismo tra il mio vissuto e quello della mia gente con la situazione contemporanea.

Un concerto, una tournée alle porte, l’attenzione dei media. Tutto questo cosa rappresenta per te?
Spesso la creazione è un processo lungo e sofferto, fatto di frustrazioni e scoraggiamenti. La risposta positiva del pubblico ha solidificato la nostra unione e reso prezioso il tempo investito.

Cosa vorresti/e raccontare e/o trasmettere al pubblico? Cosa vorresti/e che arrivasse al pubblico durante le tue/vostre esibizioni?
L’Albania della mia infanzia, quella del regime comunista ma anche quella post-comunista appunto. L’Italia immaginata e quella vissuta. I sogni dell’arte che si intrecciano con le difficoltà dell’essere immigrante ma senza mai perdere l’ironia e la leggerezza che è la caratteristica principale del testo. Lo scorrere fluido e sincopato del jazz, i tempi dispari, quasi imprevedibili delle danze balcaniche che colorano le atmosfere ora nostalgiche, ora divertenti del monologo.
La polifonia dei linguaggi, l’autenticità che è un caposaldo di questo lavoro.

Raccontaci in breve le esperienze più interessanti che hai/avete vissuto nella tua carriera musicale.
Abbiamo conosciuto tante persone con questo concerto-spettacolo, sono nate nuove collaborazioni, abbiamo inaugurato mostre e festival. Ho amici nuovi che ho conosciuto grazie a questo spettacolo e ne sono davvero felice.

Quali sono i tuoi/vostri progetti per il futuro?
La sfida è la volontà e la tenacia di promuovere “Sarabanda Postcomunista”. Non deve avere la sfortuna di tanti pro- getti che finiscono nello stesso giorno del debutto, per dare un senso a tutti i sacrifici fatti da me e i miei compagni e guardare con fiducia verso nuovi progetti futuri.

Il tempo di AllegroModerato

a cura di Emanuela Marasca

Tic… tac… tic… tac… L’orologio
le ore, il tempo, il tempo che scorre… Notte, giorno, il tempo solare… Autunno, inverno, primavera, estate, il tempo delle stagioni…
Tic… tac… tic… tac… Il metronomo
L’orologio dei musicisti…
È lui che misura e scandisce il tempo in musica…
Adagio, andante, mosso, allegro, moderato…
“Tieni il tempo” mi ripeteva continuamente il mio professore di violino, quando eseguivo gli studi per violino di Curci, e le mie ore di studio passavano dall’adagio… all’andante… al mosso… all’allegro moderato.
Ma l’orologio? Lui continuava a scandire il suo ritmo… Tic… tac… tic… tac… Il mio gatto continuava a sonnecchiare sul mio letto… A volte mi chiedevo se le sue fusa andavano a ritmo dell’orologio o del metronomo. Il suo era un tempo lento… E il mio? Abbastanza variabile!
Spesso oggigiorno si sentono frasi come “Non ho tempo”, “Il tempo passa troppo in fretta”, “Ammazzare il tempo”, “Ognuno ha i suoi tempi”. Io mi soffermerei su quest’ultima frase “Ognuno ha i suoi tempi”, cosa vuol dire? Il rispetto del tempo, il tempo che ognuno di noi per caratteristiche fisiche, psichiche e in relazione al contesto di vita si dà.

“Allegromoderato” è il tempo che ha scelto di darsi un’orchestra di Milano davvero particolare, composta da una cinquantina di musicisti tra cui persone con deficit psichici, che abbiamo contattato e che il presidente Marco Sciammarella porta avanti con grande impegno e con svariate attività.
Ve la presentiamo…

Il tempo di AllegroModerato
AllegroModerato è una cooperativa nata nel 2011 dall’esperienza ventennale della scuola di musicoterapia Esagramma, è gestita da insegnanti con competenze specifiche e con una lunga esperienza nella pedagogia e nella didattica musicale speciale. Le famiglie sono parte integrante della cooperativa e partecipano attivamente alle iniziative.
AllegroModerato accoglie persone molto diverse, con storie, famiglie e patologie diverse: ad esempio sindrome autistica, sindromi genetiche (Down, Williams, X fragile…), ritardo cognitivo, disturbi del comportamento, disturbi generalizzati dello sviluppo, disabilità sensoriale.
Sono persone che spesso fanno fatica a indirizzare il pensiero, modulare le emozioni, differenziare le esperienze, elaborare la complessità dei rapporti. Questo può impedire l’immagine di un sé come adulto, la condivisione di eventi gratificanti e prestigiosi, la conquista di solide e personali passioni, l’assunzione di responsabilità, la condivisione di spazi e tempi che non siano solo funzionalmente riabilitativi ma relazionai, cooperativi e comunicativi.
Ogni soggetto umano, per quanto sia compromesso dalla malattia nella propria autonoma dotazione di risorse e competenze, ha diritto alla possibilità di maturare la propria immagine di sé e la propria capacità di fronteggiare la realtà in termini adeguati alle capacità di cui
dispone e che può anche conseguire mediante opportuni itinerari di formazione e sostegno.
AllegroModerato crede che anche nel quadro di uno stato pronunciato di deficit psichico e mentale, l’educazione estetica (quella musicale in modo speciale) presenta caratteristiche idonee all’introduzione di una dimensione qualitativa dell’esistenza e dell’integrazione personale.
La musica è un’esperienza immediata, accessibile, gratificante. La musica ha anche un range di complessità sintattica e combinatoria molto elevata. Questa ricchezza consente elaborazioni significative dell’esperienza personale: ascoltarsi e ascoltare. Coinvolge e rinforza l’aspetto partecipativo mentale ed emotivo e permette modulazioni e condivisioni del “pensare” e del “sentire”. Permette modulazioni ed espressioni di pensieri ed emozioni anche quando la parola, gesto, rappresentazione sono compromesse.
Proprio là dove la difficoltà della gestione del pensiero, nel modulare le emozioni, nel differenziare le esperienze, elaborare i rapporti è più compromessa, più elevata/ricca deve essere la risposta musicale, che allora appare come una protesi raffinata e complessa. La musica colta porta in sé una collaudata attitudine a nutrire il legame del sentire e del pensare. L’idea quindi è che ricchezza e complessità possano nutrire l’evoluzione di atteggiamenti mentali, emotivi, relazionali migliori. Non ci sono criteri di preclusione, per ognuno viene studiato un percorso che tiene conto delle caratteristiche ed esigenze particolari.

Le attività
I corsi attivi in AllegroModerato sono: Propedeutica Orchestrale, Corso Orchestrale di Strumento, Musica da Camera, Coro, InBand, MusiMatica e l’Orchestra Sinfonica.
Sono praticati tutti gli strumenti dell’orchestra, in modo particolare i legni (violini, viola, violoncelli, contrabbassi), le percussioni, marimba, pianoforte conduttore. Mentre per la InBand sono utilizzate tastiere, sax, batteria. Il Coro ha un repertorio vario: canti popolari e di autori contemporanei, musica antica, colonne sonore e melodie composte espressamente per il Coro.
L’Orchestra è il punto di arrivo dell’impegno degli allievi nei corsi individuali e di gruppo, e i risultati che consente di ottenere sono importanti. Suonando insieme, infatti, gli allievi con difficoltà possono realizzare la soddisfazione di mettere in pratica le conoscenze musicali acquisite nei corsi Orchestrali di Strumento e Musica da Camera, e partecipare al risultato condiviso, sperimentando forme di cooperazione, attenzione, reciprocità, in modo responsabile e apprezzato. Un successo, anche in termini di padronanza di sé e di risultati comunicativi, che spesso sorprende chi ascolta e che va al di là di ogni aspettativa.

Concerti
Per sostenere la cultura della solidarietà, L’Orchestra, il Coro, la InBand e la Musica da Camera si esibiscono anche al di fuori dei consueti spazi da concerto, con particolare attenzione al lavoro sul territorio.
I musicisti di AllegroModerato suonano in orchestra con musicisti professionisti o con altre orchestre e si esibiscono in tutta Italia e all’estero, partecipando a numerosi concerti ed eventi di grande prestigio. Citiamo alcune esperienze nazionali ed internazionali: a Gyor con i giovani dell’Orchestra Filarmonica di Gyor, a Mosca in occasione del Moscow International paramusical Festival, a Milano nel maggio 2025 con i musicisti inglesi della Charity Symphony Orchestra di Southampton, oppure con musicisti italiani come Stefano Bollani a Treviso, con Eugenio Finardi a Milano, con Mussida a Bolzano.

Progetti speciali
Il progetto “Tutta un’altra musica” consiste in un’attività di laboratori musicali/ orchestrali per i bambini degenti presso i reparti di pediatria dell’ospedale Niguarda Ca’ Granda e dell’ospedale San Carlo di Milano all’interno dei quali vengono realizzati. È caratterizzato dalla figura dei tutor, musicisti con disabilità fisiche o psichiche della Cooperativa AllegroModerato che intendono svolgere un’attività di volontariato mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie competenze musicali a favore dei bambini degenti. È caratterizzato anche dalla singolare situazione che vede stare insieme bambini normodotati e persone con disabilità che, accomunati dall’esperienza del limite, cercano di affrontarlo positivamente in un’esperienza di condivisione e di bellezza.
Va a configurarsi quindi come un ribaltamento dell’immaginario comune che identifica la persona con disabilità solo come oggetto di cure e non come portatore di abilità.
Ciò che motiva l’impegno delle persone disabili di AllegroModerato a dar vita al progetto “Tutta un’altra musica” e quindi di prendersi carico di persone deboli, o altrettanto deboli, è il profondo bisogno da parte loro di vivere l’esperienza della donazione di sé, del proprio tempo, delle proprie capacità in una dimensione di gratuità. Questa, da una parte, indica la maturazione di un vissuto umano educato e per questo in grado di incidere nel reale, e dall’altra comunica una dimensione della disabilità che non si esaurisce nel mero limite fisico o psichico, ma anzi, che trasforma proprio l’esperienza del limite in una ricchezza da donare.
C’è però un altro tipo di motivazione che sottende il progetto e riguarda i secondi beneficiari, ovvero i bambini degenti negli ospedali. Il ricovero di un bambino in ospedale rappresenta, per lui e per i suoi genitori, un momento estremamente delicato, spesso doloroso e difficile da affrontare. Inoltre la degenza, prolungandosi anche per mesi, rischia di diventare un tempo privo di stimoli per la mancanza di attività specifiche e adeguate a vivere quel tempo in una dimensione educativa e non di abbandono del piccolo a (ACP) e dalla Società Italiana di Scienze Infermieristiche Pediatriche (Sisip), solo un ospedale su tre offre ai bambini l’opportunità di partecipare ad attività ludico-creative (letture, laboratori e altro).
“Orchestra in spiaggia”: ogni anno AllegroModerato organizza nell’ultima settimana di giugno uno stage musicale al mare. Il lavoro è finalizzato all’approfondimento della musica d’insieme in un contesto di condivisione e convivialità. Un’occasione per trovare nuovi stimoli musicali e fare esperienze di autonomia e responsabilità. Il corso è dedicato ai musicisti che vogliono tuffarsi in un’esperienza di musica a tempo pieno e realizzare, alla fine del corso, un concerto sinfonico importante. “Un’Orchestra a scuola”: AllegroModerato realizza laboratori orchestrali rivolti agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado. Il particolare approccio proposto consente a tutti, anche senza conoscenze musicali pregresse, di sperimentare il significato di fare parte di un’orchestra sinfonica. In più, suonare con i musicisti con disabilità esperti permette agli studenti di vivere un’esperienza particolarmente significativa ed emozionante. I laboratori di “Un’Orchestra a scuola” possono essere realizzati presso la sede di AllegroModerato o presso gli istituti scolastici.
“Orchestra in classe/scuola” è invece un approccio originale agli strumenti rivolto a studenti delle scuole primarie, secondarie e superiori, che eseguono rielaborazioni di pagine famose della letteratura sinfonica. Il metodo infatti, consente di esplorare gli strumenti musicali e la sintassi della musica colta senza le necessarie conoscenze tecniche e teoriche. Questa esperienza assume valore maggiore per le classi che accolgono bambini o ragazzi con difficoltà, perché occasione di reale integrazione e condivisione. “Seminari musicali residenziali”: per un fine settimana piccoli gruppi composti da allievi e insegnanti lavorano insieme in luoghi piacevoli al mare o in montagna. Un’occasione per fare esperienze musicali, di autonomia e responsabilità, in un contesto di condivisione e convivialità.
Infine “Musica Dentro”, concerti e laboratori nelle Carceri.

Insegnare musica con una cura speciale alle diverse abilità: succede a “Resonaari”, in Finlandia

A cura di Emanuela Marasca, Alessio Plona, Massimiliano Rubbi

Markku Kaikkonen è direttore della scuola “Resonaari” Special Music Center di Helsinki, in Finlandia. Una scuola di musica che ha sviluppato speciali soluzioni musicali-educative anche per persone che hanno qualche problema o difficoltà nel prendere parte alle normali lezioni di strumento musicale. Lo abbiamo contattato in una lunga intervista via skype per saperne di più.

Cosa è per lei la musica?
Ѐ una parte importante della mia vita personale ma anche la mia professione. Come insegnante di musica e pedagogista, per me l’importante è scoprire come rendere possibile a tutti fare musica, e credo che questo mondo sarebbe migliore se tutti avessero la possibilità di imparare a suonare uno strumento e di suonare insieme. Io credo che la musica sia fondamentalmente una connessione sociale tra tutte le persone, e il mio compito come insegnante di musica è di rendere questa connessione possibile, in modo che questi effetti e significati positivi si creino automaticamente. 

Qual è stato il suo personale percorso nella musica? E come è entrato in contatto con il mondo della disabilità?
Nella scuola di musica ho iniziato con la musica classica e nel tempo libero suonavo in rock band, poi ho studiato insegnamento musicale presso l’Accademia Sibelius dell’Università delle Arti di Helsinki, e ho iniziato a essere sempre più interessato alle persone che hanno problemi dell’apprendimento in questa area. Durante i miei studi, ho incontrato persone che hanno lavorato nell’area dell’educazione speciale con le arti, come la danza, per esempio Wolfgang Stange a Londra, o il mio insegnante Petri Lehikoinen che ha lavorato in vari luoghi con diversi stili musicali. Ne ho tratto vantaggio, e così mi sono orientato a questa speciale area dell’insegnamento.

A cosa pensa quando pensa alla diversità in senso ampio?
Personalmente penso che siamo tutti differenti, e per questo siamo tutti dotati di individualità; abbiamo differenti punti di forza o di debolezza, e noi insegnanti abbiamo bisogno di affrontare ogni persona individualmente, credendo nelle sue potenzialità di apprendimento. A questo punto di partenza attitudinale aggiungo che dovremmo ricordarci di rispettare chiunque come artista, come musicista, e da queste basi abbiamo solo bisogno di trovare il modo migliore per ognuno per dare avvio al processo di apprendimento.

Ci parli della sua scuola, Resonaari, che crediamo sia stato il completamento del suo percorso professionale: come si lavora, quali sono le attività musicali in programma? Come possono chiedere di entrare nella scuola le persone con disabilità?
In Finlandia abbiamo lezioni di musica per tutti alla scuola primaria, secondaria e alle scuole superiori, come una educazione musicale generale, ma non ci sono strumenti da suonare, come il violino o la chitarra, solo le basi generali della musica. Abbiamo poi un ottimo sistema di scuole di musica, a cui si iscrive chi vuole imparare a suonare uno strumento come hobby. Resonaari è una tra queste scuole, e ha sviluppato speciali soluzioni musicali-educative anche per persone che hanno qualche problema o difficoltà nel prendere parte alle normali lezioni di strumento musicale. Facciamo tutto il tempo lavoro di ricerca e sviluppo nell’area dell’educazione musicale speciale, il che rende la nostra scuola leggermente differente rispetto alle altre nella zona di Helsinki. Allo stesso tempo, da quando abbiamo avviato queste connessioni con il lavoro di sviluppo e di ricerca, abbiamo una buona rete nell’area di Helsinki, in Finlandia e un po’ anche a livello internazionale. In questo modo, credo che ciò che abbiamo fatto a Resonaari abbia avuto grande effetto in modi variegati e in diverse aree: i corsi di musica e di educazione speciale, e anche la musicoterapia. Resonaari è quindi una scuola di musica, ma allo stesso tempo è qualcosa in più di una scuola di musica.

In Resonaari includete anche persone normodotate, o siete più specializzati nell’inclusione musicale di persone con disabilità, come in una scuola speciale?
In Resonaari quasi tutto il nostro lavoro ha una sorta di aspetto speciale nelle modalità di apprendimento. Allo stesso tempo, Resonaari sta avendo tante cooperazioni con artisti finlandesi, e non siamo chiusi nella nostra casa, ma siamo aperti alla società, è qualcosa che proviamo a fare. Una maggior cura per l’apprendimento, in alcuni casi, significa che dobbiamo cercare soluzioni pedagogiche nuove, totalmente nuove; in alcuni casi, dobbiamo dedicare davvero molto più tempo rispetto al normale nell’insegnare qualcosa, e ci sono diverse soluzioni educative speciali. Abbiamo bisogno di cura poiché è una scuola speciale, ma, allo stesso tempo, veramente aperta alla società e alla collaborazione con le scuole attorno a noi.

Una domanda pratica: a quale età gli studenti possono accedere a Resonaari e come li coinvolgete? La scuola è aperta al pomeriggio, qualche pomeriggio a settimana, una volta a settimana?
Nella scuola pubblica gli studenti hanno una lezione di musica, ma possono iscriversi a una scuola musicale come Resonaari o un’altra scuola, e così vengono dopo la scuola, o per alcuni dopo il lavoro, e possono dedicarsi al loro hobby. Iniziamo con lezioni individuali, una volta alla settimana, ma appena è possibile, man mano che gli studenti iniziano a esercitarsi, proviamo a farli suonare a coppie o a piccoli gruppi, per poi passare nelle band. La maggior parte degli studenti che frequentano le scuole musicali in Finlandia hanno una lezione musicale a settimana o due, e forse dopo scelgono anche lezioni extra ma non tutti i giorni. Quanto all’età, l’educazione musicale in Finlandia è precoce e molto buona, e normalmente i gruppi di educazione musicale di prima infanzia sono aperti a tutti. I bambini iniziano la scuola a 7 anni, dopo un po’ iniziano anche una lezione di strumento, e se gli insegnanti si accorgono di qualche bambino con difficoltà nell’apprendimento o nella partecipazione, in quel momento è normale che chiamino noi e chiedano se possono accedere a Resonaari perché abbiamo più esperienza nel gestire queste difficoltà.

Il normale percorso degli studenti finisce intorno ai 20 anni, quando dovrebbero andare al lavoro; per tutti loro è la fine dell’esperienza anche con Resonaari, oppure continuano a tenersi in contatto con la musica suonando anche in età adulta nella scuola?
Dipende: abbiamo anche adulti che hanno studiato musica come hobby, o persone che vengono al Resonaari quando sono teenager, e così rispetto alle normali scuole di musica finlandesi, dove ci sono questi limiti di età, a Resonaari è leggermente differente perché nel nostro caso l’età non è importante, verifichiamo la situazione individualmente. Abbiamo anche gruppi dove abbiamo persone anziane, e siamo fortunati perché abbiamo la possibilità di testare nuovi tipi di didattica anche con queste età.

Come detto prima, quando si insegna musica si deve avere cura di competenze, abilità e approcci individuali. Quanto al suonare insieme, riuscite a integrare i diversi tipi di disabilità, di età, e anche di livelli in una band?
Sì, se pensiamo al suonare in una band è semplice dare differenti tipi di compiti a ogni componente, così la band è un sistema davvero inclusivo. Ad esempio, anche se uno può suonare con un solo dito, la sua parte artistica può essere davvero importante per il risultato finale in un’esibizione, e così, se abbiamo differenti background o abilità in una band nei differenti esecutori, la questione pedagogica è come creare arrangiamenti con parti importanti per tutte le persone, anche se hanno background leggermente diversi.

Mi è stato detto che usa un metodo didattico denominato Figurenotes per insegnare, leggere e ascoltare musica. Può dirci chi ha creato questo metodo, e come lo ha incontrato e scelto di introdurlo a Resonaari?
Il mio collega Kaarlo Uusitalo ha sviluppato originariamente il metodo Figurenotes e poi me lo ha proposto, e abbiamo iniziato a collaborare nel 1997 facendo test e creando molti progetti pilota con differenti gruppi-obiettivo su Figurenotes, in contesto pedagogico ma anche di riabilitazione o anche terapeutico. Abbiamo semplicemente creato diversi tipi di progetti pilota per scoprire se e quando Figurenotes funzionasse bene, pensando all’educazione musicale speciale e alle persone che hanno difficoltà a capire la cosiddetta notazione convenzionale; per loro possiamo essere una chiave importante per il mondo della musica.

Nel suo lavoro giornaliero, quali sono le principali difficoltà che deve affrontare ogni giorno a Resonaari e come superarle?
Il lavoro per gli insegnanti è sempre una situazione un po’ nuova; non so se sia una difficoltà o ciò che rende il lavoro divertente, perché le persone sono così diverse e hai sempre bisogno di trovare nuove strade e usarle, trovare soluzioni migliori e insegnarle. Questo rende il lavoro interessante, ma qualche volta anche frustrante, e quindi è importante avere colleghi, è importante condividere idee e incontrare altre persone. Io sono felice che a Resonaari abbiamo una buona squadra e condividiamo le nostre esperienze e idee, ma sono felice anche di essere parte di questo processo in Finlandia, all’estero e anche in Italia, così impariamo sempre di più.

Ci racconti dei suoi studenti. Quali sono i generi musicali e gli strumenti che preferiscono?
A Resonaari insegniamo soprattutto la cosiddetta musica afro-americana, per cui suoniamo in band e usiamo tastiere, chitarre, bassi e batterie, ma anche altri strumenti come la fisarmonica o il flauto, e alcune persone suonano il violoncello e strumenti di questo tipo. Stiamo quindi imparando questi generi musicali, abbiamo il rap, la dance, abbiamo una country band, una band che suona musica heavy, altri ancora che suonano pop, abbiamo anche il rock and roll. Ci sono però altre scuole di musica che hanno iniziato a lavorare con differenti tipi di gruppi e che hanno iniziato ad aprirsi a persone con bisogni educativi speciali, ed è possibile che abbiano uno stile musicale totalmente differente, come musica classica o altro, quindi il metodo non implica un genere musicale particolare. 

Ha mai avuto studenti che hanno frequentato la sua scuola e dopo hanno fatto della musica la loro professione?
Sì. Molti dei nostri studenti fanno musica come hobby, ed è qualcosa di divertente per loro, la scuola è nata con quello scopo; ma ora, dopo quasi 20 anni di lavoro, alcuni dei nostri studenti stanno iniziando a fare della musica la loro professione. Questi musicisti in particolare, i Pertti Kurikan Nimipӓivӓt, hanno rappresentato la Finlandia allo Eurovision Song Contest. Loro suonano punk. Sono tutte persone con disabilità intellettiva. È davvero divertente ripensare a quei musicisti quando imparavano a suonare, non comprendendo quasi niente di cosa significasse suonare insieme, e adesso la musica ha iniziato a essere la loro professione. C’è anche un’altra band, “Resonaari Group”, formata da alcuni dei nostri studenti, per cui la musica ha iniziato a essere una parte sempre più importante della loro vita: paghiamo loro un salario, e nel contratto c’è il titolo musicista. Ora abbiamo 2 musicisti a tempo pieno, sono persone con disabilità dello sviluppo intellettivo, e questo significa che dobbiamo ripensare a cosa significa essere musicista professionista per sviluppare questa professione, e certo questo è stato interessante per me e per i miei colleghi. L’area dell’educazione musicale speciale è davvero interessante perché è aperta e crea possibilità di apprendimento per tante persone, e in questo modo può anche aprire, per alcuni, la possibilità di lavorare come musicista o nel business della musica.

Con questo “Resonaari group”, o con altri gruppi formati da studenti, non musicisti, avete scambi con altre scuole musicali? Riuscite a suonare dal vivo in altre scuole o per un pubblico aperto? E quale effetto ha la musica suonata da persone con disabilità sul pubblico, su un piano emotivo?
Facciamo molti concerti nella nostra scuola, dove i nostri musicisti si esibiscono in un ambiente sicuro, ma abbiamo spesso anche esibizioni in altri posti durante l’anno: una volta all’anno, per esempio, facciamo un concerto aperto a tutti in un night club a Helsinki, nel centro città. Abbiamo fatto anche grandi concerti al Savoy Theatre, nel centro della città, e ci siamo esibiti insieme ad artisti finlandesi, ed è stato interessante e magnifico per noi: questi artisti si sono incontrati con le nostre band e stanno tuttora collaborando, alcuni hanno iniziato a essere amici per i nostri musicisti, la trovo una cosa simpatica. Anche per il pubblico è molto bello, perché improvvisamente si trova a contatto con la diversità sul palco, e per la società che forse pensa che alcuni dei nostri musicisti sono emarginati, e adesso, improvvisamente, sono persone attive nel centro della società. Essere sul palco, esibirsi, per alcune persone è una cosa totalmente nuova, e gli altri cominciano a comprendere le potenzialità che tutte le persone hanno; forse non ci hanno mai pensato prima, ma ora, andando ai concerti e vedendo che è possibile, cominceranno a essere più aperte mentalmente anche in altri luoghi.

Ultima ma importante domanda: se dovesse raccontarci uno o due aneddoti che esprimono nel miglior modo la sua esperienza a Resonaari e il senso che questo tipo di scuola può creare nella società allargata, con un imparare a imparare che si estende anche a livelli diversi, quali storie sceglierebbe?
È una domanda difficile, ma se il punto di partenza sono i diritti umani che appartengono ad ognuno, noi abbiamo successo creando un sorriso per tutti, è davvero importante il sorriso quando qualcuno capisce e impara qualcosa. Quelli sono grandi momenti, perché aprono le porte alla motivazione o all’apprendimento, e se abbiamo successo nell’insegnare qualcosa, anche le persone che non hanno avuto prima queste possibilità di imparare improvvisamente sono in un processo di apprendimento. Forse qualcuno comincia a essere un musicista, non lo sappiamo, ma comunque comincia a essere più attivo e a vivere la società, ed è una piccola rivoluzione culturale. Come insegnanti, abbiamo bisogno di queste soluzioni educative musicali speciali e in questo modo creiamo una musica possibile per tutti e la rendiamo maggiormente inclusiva, con effetti in tutta la società.

“Resonaari” Special Music Center
Kulosaaren Puistotie 26
00570 Helsinki
Direttore: Markku Kaikkonen
markku.kaikkonen@resonaari.fi 

A ritmo di Afroeira…

Da un’intervista a Elena Rasia, giovane percussionista bolognese di 21 anni, che fa parte del gruppo “Afroeira”.

“Per me la musica è davvero tutto. Quando suono e quando ascolto musica, fin dalla mia infanzia, sono felice. Suonare mi dà energia e quando suoniamo per un pubblico ancora di più.
Amo la musica in tutti i sensi, quando ho un po’ di tempo libero vado ai concerti di qualsiasi genere, perché secondo me la musica è musica. Dipende poi se piace o no certo, ma può essere bella una canzone degli anni ‘70 anche per un giovane di 20 anni come me! In casa, la radio accesa o i cd non mancano mai!
Questa mia passione mi ha spinto, all’età di sei anni, ad avvicinarmi a uno strumento: il pianoforte; tuttavia non è andata tanto bene, perché avevo difficoltà a utilizzare le mani sulla tastiera.
Secondo me suonavo bene anche con un dito solo, seguendo gli spartiti, ma per i miei insegnanti il pianoforte non si doveva suonare in quel modo e non mi sentivo incoraggiata per niente.
Ho fatto anche un saggio, ma subito dopo ho abbandonato lo strumento.
Ma la mia vera passione fin da piccolissima sono state le percussioni, per cui alle scuole medie ho iniziato a fare lezioni di batteria. Ho continuato per quattro anni, anche se mi sono sentita spesso prendere in giro, forse perché è raro vedere una batterista in carrozzina; tuttavia visto che molti batteristi, che mi avevano sentito, mi hanno sempre detto che ho il ritmo “dentro” ho continuato… Avrei continuato comunque nonostante tutto!
Abbiamo studiato un modo, anche con le mie educatrici, per mettere ogni strumento della batteria nella posizione migliore per le mie braccia, perché appena ho iniziato a suonare, ho riscontrato difficoltà ad allungarmi. Abbiamo cercato inoltre il modo per incastrare il tutto, lasciando lo spazio necessario per la carrozzina, perché di solito i batteristi usano uno sgabello piccolissimo e senza schienale. La cassa è stato l’altro grosso problema quindi, appena iniziato col mio primo maestro, si è scelto di lasciarla da parte. I due anni successivi, cambiando maestro, sono stati i migliori per me; sono andata avanti molto velocemente, migliorando giorno dopo giorno sempre di più, riuscendo a fare stacchi, ritmi e assoli. Il maestro, quando serviva, suonava la cassa per me col doppio pedale.
Se si parla di diversità riguardo alla musica, per me la diversità non esiste! La musica riesce sempre a darmi felicità. È riuscita a farlo anche quando un insegnante di batteria di una scuola, nella quale ero andata a chiedere informazioni per iniziare un corso, non mi ha nemmeno fatto prendere in mano le bacchette, mi ha solo detto: ‘io non insegno a persone come voi’.
Quando ho deciso di intraprendere questo percorso musicale le persone a me vicine mi hanno sempre incoraggiata, sono riuscita a superare le difficoltà perché la mia famiglia mi ha sempre sostenuta; un grazie lo devo anche al mio maestro di batteria e, ovviamente, al mio gruppo.
Ecco… non vi ho ancora parlato del gruppo musicale di cui faccio parte ora…
Da luglio 2012 sono entrata in “Afroeira” sotto la direzione artistica e didattica del “mestre” Paolo Caruso, lì ho iniziato a suonare l’agogò, uno strumento a percussione della famiglia degli idiofoni, originario della Nigeria e successivamente diffusosi in Brasile. È formato da due o più campane di ferro senza batacchio di dimensioni conico allungate e grandezze diverse, unite alla base da una connessione che funge anche da impugnatura. Lo si suona reggendolo in mano (per attutire le vibrazioni) e percuotendolo con il lato di una bacchetta in legno o in ferro alla ricerca dei punti di migliore sonorità. Adesso lo sento proprio il mio strumento trovandomi benissimo. Ogni lunedì provo col mio gruppo divertendomi tantissimo!
Quando mi esibisco con “Afroeira” sento che il pubblico si lascia travolgere e si diverte tanto! Io suono da sempre per passione ma il mio sogno sarebbe fare della musica una professione”.

Paolo Caruso, il “mestre”
Inizia a studiare da autodidatta ritmi e strumenti a percussione dell’area Afro-Cubana e Brasiliana. Frequenta i corsi specializzati della Drummers Collective di New York, studiando con insegnanti quali Frankie Malabe (Peter Erskine group) e Cyro Baptista (David Byrne, Paul Simon). Entra a far parte della band del cantautore Luca Carboni, con il quale effettua diverse tournée in Italia e all’estero. Partecipa alla realizzazione delle musiche sullo spot “I giovani e le discoteche” trasmesso su Videomusic e Raitre. Partecipa al “Festival del Ritmo e delle Percussioni” esibendosi insieme ai batteristi Daniele Tedeschi (Vasco Rossi) e Walter Calloni (Lucio Battisti, PFM). Con il gruppo “Cantodiscanto” risulta tra i vincitori del Premio Recanati delle Nuove Tendenze delle Musica d’autore nel 1994, trasmesso su Rai Due.
Si esibisce e collabora con: il cantante Willy DeVille, il gruppo inglese Urban Cookies Collective, Frontera, Funky Company, Sambahia, Mario Lavezzi, Stadio, Daniele Fossati, Gang, Alberto Solfrini, Nomadi, Paolo Rossi, Tosca, Vinicio Capossela, Vinx, Airto Moreira, Bob Moses, tournée teatrale “Kiss me Jesus” con Andrea Roncato, Samuele Bersani, Bruno Lauzi, Kikkombo Group, Mietta, Neffa, Spagna, Ridillo, Gianni Morandi, Eumir Deodato, Iskra Menarini, Arthur Maia, Marivaldo Paim, Guinga, Liron Mann.
È stato finalista al concorso internazionale sulle percussioni “Perc Fest 2000” insieme a Roberto Rossi, con il quale, unitamente a Felice Del Gaudio, ha pubblicato un metodo edito dalla BMG Ricordi: “La Sezione Ritmica Brasiliana” (comprensivo di cd).
Dal 1997 dirige e coordina l’Accademia Do Ritmo Afroeira.

“Afroeira”: la scuola, gli spettacoli, le parate
Accademia do Ritmo Afroeira nasce nel 1997 a Bologna grazie all’impegno del percussionista Paolo Caruso, appassionato ed esperto conoscitore dei ritmi afro-latinoamericani.
Le famose “scuole di samba” brasiliane, che sfilano per le strade suonando e ballando, sono formate da centinaia di percussionisti e ballerini che praticano tutto l’anno quest’attività, rendendola unica al mondo; Afroeira si propone, nonostante le differenti caratteristiche culturali, di ricrearne l’atmosfera e il festoso approccio alla musica.
I percussionisti si incontrano ogni settimana per dar voce alla prima grande Accademia del Ritmo afro latino americano di Bologna, suonando insieme i ritmi della tradizione brasiliana, africana e cubana.
Chiunque abbia voglia può partecipare agli incontri, dove troverà a disposizione una serie di strumenti quali surdo, rullante, tamborim, agogò, chocalho, cowbell, caixa, cuica, djembè, repique, reco-reco, pandeiro, ganzà e apito, quest’ultimo è un semplice fischietto, ma se il maestro e i direttori di “bateria” non l’avessero il Carnevale non inizierebbe!
Gli spettacoli di Afroeira si svolgono in due modalità, “le parate di strada” dove i percussionisti e il direttore sfilano, senza necessità di amplificazione, creando uno spettacolo itinerante dal coinvolgimento assicurato, e gli “spettacoli sul palco” dove i musicisti presentano i brani contenuti nei 2 dischi finora realizzati dal gruppo, composizioni originali e rivisitazioni di ritmi e canti tradizionali afro-brasiliani.
Dalla sua fondazione, Afroeira si è esibita in oltre 250 concerti in Italia e in Europa, in occasioni quali il Carnevale di Venezia, il Carnevale di Cento, quello Ambrosiano di Milano, il grande Karnaval der Kulturen di Berlino, il Festival Samba réPercussion di Monleon Magnoac, il Festival Sentieri Acustici-Itinerari Musicali e il Festival Internazionale Muntagninjazz; ha suonato in locali importanti tra cui il Barfly di Ancona, l’Estragon di Bologna e il Bandiera Gialla di Rimini; ha partecipato a eventi come il Gran Premio di San Marino di Formula 1, il Motor Show di Bologna e il World Ducati Week 2012: il più grande Raduno Mondiale Ducati; ha preso parte alla trasmissione di Rai 1 “Italia che Vai”; ha avuto occasione di esibirsi in concerto con Gianni Morandi, di partecipare al Percussionistica World Rhythm Festival, al Festival Latinoamericando di Milano (Expo 2007 e 2009); e poi ha animato feste di piazza, convegni, carnevali, festival, spettacoli in teatri, discoteche… affermandosi come una delle migliori scuole di samba italiane.
Il gruppo ha realizzato e prodotto due dischi: Afroeira Live (2003) e Tambores (2007)

Per saperne di più:
info@afroeira.com 

La musica non è altro che rumore, finché…

Di Manuela Marasca
La musica non è altro che rumore, finché non raggiunge una mente in grado di riceverla”.
(Paul Hindemith)

È stata questa citazione di Paul Hindemith (violinista e compositore) il punto di partenza di un laboratorio sull’ascolto, che ho proposto al gruppo delle “nuove leve” del Progetto Calamaio.
Ogni mercoledì, da un paio d’anni a questa parte, dedichiamo ai più giovani entrati nel gruppo di lavoro questo spazio in cui, insieme a colleghi più esperti, lavoriamo sulla consapevolezza del proprio deficit per poter acquisire contenuti e competenze necessari a intervenire come animatori nelle scuole con l’équipe del Progetto Calamaio.
A questo laboratorio hanno partecipato: Diego, Danae, Giacomo, Francesca, (le “nuove leve” Calamaio), Lorella, Tiziana e Stefania (animatrici disabili del Progetto Calamaio), Saad (volontario), Concetta (tirocinante universitaria).
Venendo da una formazione musicale, volevo apportare in qualche modo la mia esperienza e, attraverso di essa, costruire un viaggio musicale e di sperimentazione sull’ascolto.
È stato di certo un percorso di sperimentazione anche per me!
Questo “viaggio”, composto di cinque tappe, è iniziato con queste domande: “Ascoltare e sentire per voi è la stessa cosa?”, “Che differenza c’è per voi tra suono e rumore?”.
Abbiamo iniziato così a ragionare sul fatto che “ascoltare” può significare ascoltare con attenzione, prestare attenzione a tutto; “sentire” invece può significare udire distrattamente.
Se consultiamo il vocabolario alla voce “ascoltare” troviamo proprio “udire con attenzione”, e fin qui ci siamo… Ma alla voce “sentire” troviamo: “avvertire sensazioni e impressioni suscitate da stimoli esterni; prenderne coscienza, provare sentimenti e reazioni emotive intime”.
Il sentire è quindi una conseguenza dell’ascoltare. Qualsiasi “cosa” arrivi al nostro orecchio, dà degli stimoli al corpo e alla mente e così avvertiamo emozioni, sensazioni, ricordi, odori e perfino sapori. Ricerche condotte da specialisti di medicina neonatale dimostrano come già nel periodo prenatale esista un’attitudine alla percezione e alla memorizzazione di eventi ritmici-sonori. Il feto si rivela sensibile a tutto ciò che è suono, ritmo e movimento, in stretto rapporto con affetto, fantasia e memoria.
Successivamente abbiamo ragionato invece sulla differenza tra suono e rumore.
Siamo arrivati a conclusione che il “suono” è qualcosa di gradevole che arriva al nostro orecchio, il “rumore” invece è quel qualcosa di sgradevole che arriva al nostro orecchio. In effetti questa differenza è molto soggettiva. Non ci resta che provare… Per cinque minuti tutti in silenzio… mettendoci in ascolto dei rumori e suoni che ci circondano. Sembra una cosa banale, ma pur essendo tutti nella stessa stanza, ognuno ha captato almeno un suono o un rumore diverso dall’altro, classificandoli anche diversamente. Questo ci ha fatto riflettere sul fatto che giorno per giorno siamo sottoposti a un inquinamento acustico e senza rendercene conto non facciamo più caso a certi suoni della natura, come il canto degli uccelli o il fruscio del vento tra gli alberi.
L’importanza del silenzio in questo caso ci ha dato modo di soffermarci e metterci in ascolto persino del nostro respiro, del nostro battito cardiaco, dei nostri pensieri e del nostro corpo.
Siamo poi passati ad analizzare il timbro e i diversi timbri di voce. Tra un gruppo di persone conosciute, si riesce a individuare la persona, anche senza vederla, dal timbro della voce o anche dai passi. Da qui siamo partiti con vari giochi per allenarci alla concentrazione e per sviluppare e raffinare il nostro “ascolto” nel distinguere i timbri di voce delle persone, e anche da quale direzione ci arriva un suono o un rumore. Alcuni giochi prevedevano di bendare gli occhi e vi assicuro che non è assolutamente facile orientarsi, seppur in un piccolo spazio, per identificare la provenienza di un suono. Per alcuni è stata un’esperienza nuova oltre che divertente!
Ho chiesto loro poi di compilare una scheda di identificazione sonoro/musicale.
Questo mi ha permesso di capire e conoscere meglio alcune caratteristiche, gusti, esperienze, abitudini dei partecipanti e le influenze sonoro/musicali cui sono abituati e che hanno fatto parte e/o fanno ancora parte della loro vita quotidiana.
Dopo molti giochi di allenamento è arrivato il momento dell’ascolto vero e proprio di un brano musicale. Ho proposto un brano new age molto rilassante con canti di uccelli, scorrere di un ruscello, con accompagnamento di un brano al pianoforte.
Ogni partecipante doveva decidere dove e come collocarsi, scegliere una posizione comoda. Alle persone in carrozzina ho detto che, se preferivano, potevano anche essere aiutate a sdraiarsi a terra. Tutte sono volute rimanere sulla carrozzina. Dopo 8 minuti di ascolto, a ognuno ho dato un foglio per descrivere sensazioni, emozioni, luoghi, ricordi o altro che affiorasse alla mente.
È stato un lavoro molto impegnativo e profondo da cui sono emersi molti aspetti interessanti. 

Stefania: Ho provato un senso di libertà nell’ascoltare questa musica. Ho pensato a quando vado in vacanza, al mare, alle onde, all’acqua che mi dà una sensazione di piacere e di libertà e gioia, potendo muovermi nell’acqua senza la carrozzina e sentire il mio corpo libero, che si muove senza alcun aiuto. Ho pensato a quando andavo in piscina da piccola.

Francesca: Mi sono sentita molto tranquilla e ho iniziato a viaggiare con la mente, mi sono venute in mente delle foto di quando ero piccola in una casa immaginaria, molto bella e molto grande con la mia famiglia e con alcuni amici e c’era anche una persona anziana che mi raccontava le storie del suo passato… A un certo punto mi sono sentita un po’ di nostalgia addosso… Mi è venuta anche una gran voglia di scappare da qualcosa che non so cos’è…

Diego: Mi sono sentito bene, molto bene, mi è venuto in mente il mare. Mi sono sentito contento, più rilassato. Ho pensato a un paesaggio di montagna, con fiumi che scorrono e uccellini che cantano. Mi sono sentito più libero, solo in mezzo alle montagne e molto contento. Poi ho pensato di essere con una ragazza in questo posto di montagna…

Giacomo: Gioia, dolcezza, ho pensato al colore azzurro e ai violini…

Danae: Il canto degli uccellini è molto dolce. Mi sentivo come se stessi volando sopra le nuvole. Ho sentito anche il rumore di un tuono che a me fa molta paura perché è molto forte. Il ruscello mi ha fatto sentire come se nuotassi. Il piano mi ha fatto provare una sensazione di dolcezza.

Lorella: Mi è venuta in mente Senigallia, le onde e gli uccelli che volano mi hanno fatto provare tante emozioni interiori di serenità, camminare sulla spiaggia, l’odore della salsedine tra i capelli… La paura del temporale con lampi e tuoni mi hanno fatto sentire abbandonata a me stessa.

Nella maggior parte delle persone, dunque, è stata un’esperienza emozionale che ha suscitato un forte senso di libertà e si è attivato un effetto sul processo percettivo della sensibilità dando anche spazio a immagini e visioni fantastiche.
Gli elementi musicali che abbiamo sperimentato nell’ultima fase di questo laboratorio sono stati il ritmo e il tempo. Per una persona “normodotata” è quasi istintivo che all’ascolto di un brano musicale ritmato venga da battere un piede, scuotere la testa, saltare e muoversi se non addirittura scatenarsi e ballare. Questo, alle persone disabili non sempre accade o può accadere. Ho chiesto a ognuno di scegliere un brano musicale a piacere, e su questi brani abbiamo sperimentato con vari giochi i ritmi, per imparare a ricevere e stimolare le parti del corpo al ritmo, ascoltando un brano musicale. Qui si è potuto notare che all’inizio ognuno si limitava a muovere sempre le stesse parti del corpo, non avendo ancora appieno la consapevolezza delle potenzialità e dei limiti del proprio corpo.
Proprio tenendo a mente questo passaggio del nostro lavoro, ripenso alla frase del violinista e compositore Paul Hindemith da cui sono e siamo partiti. Alla fine del viaggio attraverso gli elementi della musica partendo dal rumore, poi il suono, il silenzio, il timbro, le emozioni e sensazioni, il ritmo e il tempo vorrei aggiungere alla frase di Hindemith un elemento: “il corpo”.
Allora “La musica non è altro che rumore, finché non raggiunge una mente e un corpo in grado di riceverla”.

L’incontro che genera il nuovo, nella musica e nella vita

Intervista a Davide Ferrari, direttore artistico della Banda di Piazza Caricamento di Genova, e ai suoi musicisti. La banda riunisce giovani musicisti che provengono da Giappone, Marocco, Messico, Argentina, Sri Lanka. Il progetto prende il nome da una delle aree più multietniche della città.
La musica è per me una via di vita da percorrere, una metafora, una scienza, un mezzo, un’arte meravigliosa. Riempie quasi totalmente la mia vita.

Nel settembre 2006 è nata l’idea di costituire questa orchestra. Da una sequenza di eventi violenti interetnici in città rinasce la necessità di tornare a lavorare sul territorio urbano, rivolgendosi agli immigrati offrendogli un’opportunità professionale e creativa. Ho lanciato l’idea, è stata raccolta prima da una cantante genovese che ha iniziato a sostenermi nel progetto, poi dal Comune di Genova. Con un’audizione si è formato il primo nucleo. All’inizio i musicisti hanno reagito ai miei stimoli con diffidenza e incomprensione. Con il tempo, la pratica, l’esperienza che si viveva e i risultati hanno portato una maggior fiducia e unione. Oggi c’è un gruppo affiatato, quasi come una famiglia, con tutte le contraddizioni del caso. Nel tempo si è sviluppata una dinamica più solidale, anche se non completamente. È stato un elemento centrale del percorso quello dell’altruismo.
Gli obiettivi erano quelli di offrire un’opportunità creativa e professionale, conoscenza e valorizzazione delle individualità all’interno di un gruppo, conoscenza di nuove musiche e di nuove tecniche compositive, conoscenza della creazione di un concerto e messa in scena, opportunità di ritorno economico con l’intento di portare in Italia e in Europa un messaggio di convivenza interrazziale pacifica.
Elencare i riferimenti musicali della Banda produrrebbe un elenco troppo vasto considerando le diversità geografiche e generazionali. Per quanto riguarda l’indirizzo musicale che cerco di sviluppare sono particolarmente interessato a esperienze come gli Einsturzende Neubauten di Berlino, in chiave world music.
Ogni musicista tradizionale è estremamente legato a ciò che si porta dietro nel suo viaggio migratorio dal suo paese a un altro. Per me credo sia importante, per costoro, lentamente separarsi e avvicinarsi ad altre musiche e culture, soprattutto quelle dei luoghi in cui si è scelto di vivere. È l’incontro che genera il nuovo, nella musica e nella vita. Restare legati a ciò che siamo è controproducente per la conoscenza. Osservare e cercare di comprendere nuovi e/o differenti linguaggi può essere molto utile per il processo di integrazione. Non sono interessato alla riproposizione di musiche tradizionali suonate da musicisti non appartenenti a quella cultura. Quindi propongo l’incontro da cui si genera una nuova tradizione, contemporanea, extraetnica.
Abbiamo realizzato fino ad oggi due produzioni. Babel Sound raccoglieva le musiche create nel primo anno di attività. Ha vinto un premio da Amnesty International e questo per me è una grande soddisfazione. È un cd dove si sentono ancora molto le diverse tradizioni dei partecipanti, miscelate. Il secondo, Nu Town, è stato realizzato più velocemente, con collaborazioni come con la Squadra di Canto tradizionale genovese di Trallallero con il quale abbiamo riarrangiato Dolcenera di De Andrè. Nu Town è più contemporaneo, nel senso non proprio del genere musicale, ma nel senso che ha ritmi più urbani, testi prevalentemente in italiano, quindi meno multiculturale.
Al pubblico vorremmo arrivasse la forza della convivenza fra razze diverse, l’energia delle tradizioni, soprattutto la sperimentazione, cercando di uscire dai luoghi comuni e dalla retorica della multiculturalità. I concerti della banda sono altamente energetici. Il pubblico è invaso da una pioggia di ritmi, suoni, danze, voci. Il pubblico credo recepisca fondamentalmente quanto detto prima, ossia la forza dell’incontro tra culture diverse che si uniscono. La diversità è una grande risorsa, un’opportunità di conoscenza, spesso imprevedibile. Ma soprattutto è un processo naturale, inevitabile. Anche nella musica è così, cercando di non fare a tutti i costi la cosa diversa, poiché, in quel caso, si diventa prevedibili e inefficaci.
Per quanto mi riguarda, dal 1995 collaboro con la confraternita Sufi Gnawa del Marocco e con loro le esperienze sono state sempre molto intense. Poi con i miei maestri, Tran Quang Hai, Vietnamita, Stella Chiweshe, dallo Zimbabwe, Yungchen Lhamo dal Tibet, Joji Hirota, Giappone. Recente una grande esperienza con Antonella Ruggiero, straordinaria cantante e Celia Mara, brasiliana. Per i ragazzi della Banda credo che alcuni concerti abbiano lasciato il segno, come quello a Sarajevo, e i concerti con Antonella Ruggiero e Celia Mara, in palchi molto importanti come in Piazza San Carlo a Torino o in Croazia davanti a 50mila persone.
Il futuro: torniamo a Sarajevo a fine febbraio, abbiamo iniziato a imbastire un terzo cd, cercare di fare cose utili.

Altre voci, altri suoni, altre storie: i musicisti della Banda
Per me la banda è un progetto socio-musicale: questa duplicità è la vera forza del gruppo. Mettere assieme aspetti musicali, estetici, contingenti, e soggettivi, con valori e ricadute più sociali e umane, forse altrettanto soggettive, ma altrettanto o forse più importanti! Questo progetto funziona perché fa crescere le persone che nel corso di questi quattro anni vi hanno preso parte… Davide, il direttore, e le molte esperienze fatte assieme, dai centri socio-educativi di Montpellier, ai ricoveri per vittime di guerra in Bosnia, alle piazze di tutta Italia, mi hanno permesso di poter vivere momenti musicali, emozionali, personali legati a concetti di incontro, scontro ma anche riconoscimento e solidarietà tra le persone, a maggior ragione con persone sconosciute, diverse… Certo sono parole, solo parole, ma quando vengono realmente esperite, come nella banda, allora acquistano valore e alimentano un circolo virtuoso che porta a nuovi incontri, nuova crescita, nuova musica… Ricordandosi anche di tutti i momenti difficili che fan parte della vita e che han fatto parte della storia della banda; quindi senza mai dimenticare che la grande fortuna di poter partecipare a questo progetto socio-musicale diventa automaticamente un grande dovere: dare il meglio di sé, attraverso il lavoro socio-musicale della banda, proprio per rispetto a chi è meno fortunato, e sapendo che proprio da queste persone si riceve l’energia e l’esempio per poter dare ancora. Grazie.
(Olmo Manzano Anorve – Congas – Italia/Messico)
C’era una necessità urgente di dare un’immagine di convivenza pacifica e piacevole fra le tante “razze” residenti nella città di Genova. E Davide Ferrari, il direttore artistico, ha sentito questo appello e ha cercato di colmare questo vuoto che purtroppo hanno molte società mondiali. La Banda di Piazza Caricamento non è altro che una proiezione della società genovese o ormai quella mondiale, su un piccolo piano, che può essere una sala prove, un furgoncino, una camera d’albergo, un palcoscenico… Le persone che vi partecipano hanno scelto di convivere condividendo ritmi testi e melodie delle loro proprie provenienze.
(Abdel – Darbouka Bongos / Voce – Marocco)
Non troppi mesi dopo l’assemblaggio della Banda, il nostro direttore artistico, Davide Ferrari, ci inviò un messaggio chiamandoci “Banderos”. Non poteva esser più sottile e acuto nel trovar un soprannome che si riferisse all’appartenenza alla Banda in quanto gruppo socio-musicale senza tralasciare le singole personalità, ognuna delle quali tira la macchinosa carovana alla sua folkloristica maniera. Solo grazie all’unione sinergica di culture, idee, suoni, scontri e incontri di abitudini e attitudini diverse riusciamo ad arrivare a ingaggi che a volte neanche aspiriamo a meritare. Un sound illegale che vorrebbe arrivare dove l’orecchio non vuole sentire.
(Nadesh – Voce/Danza – India)
Che dire? Per me la Banda di Piazza Caricamento è capitata in modo fortuito e inaspettato, da un incontro avuto al Teatro della Tosse con Paola Benvenuto. L’entrare non è stato così semplice perché una volta fatta l’audizione con un funky freestyle non è stato facile farsi accettare dagli altri componenti che lavoravano assieme da più di due anni ed erano abituati a un altro danzatore. Il cammino è durato quasi tutto il mio primo anno per farmi conoscere come persona e a livello artistico, come danzatore, e non nego che ci son stati dei momenti nei quali sentivo una sorta di “forma di razzismo” al contrario. Per fortuna credendo in questo bellissimo progetto e grazie anche al maggiore spazio datomi da Davide nel corso di questi quasi due anni, direi che adesso sono perfettamente integrato. La Banda per me è come un “ricco minestrone” fatto di tanti colori, suoni, odori, sensazioni, sapori che però possono cambiare continuamente e l’aspetto interessante, nonché stupendo, è il continuo scambio che si ha all’interno – provenendo da culture, storie, razze, caratteri differenti, esperienze artistiche diverse – e all’esterno – pubblico, collaborazioni, incontri con persone con sfaccettature varie. Questa è per me la banda non dimenticando mai, anche il carattere socio-culturale che è la radice dell’intero progetto.
(Matteo Scuro – Danza – Italia)