La circolarità del processo d’insegnamento-apprendimento attraverso la pratica della documentazione educativo-didattica
“Questa sorte di inevitabile manipolazione ci conferma
che la vita delle cose della mente, e di conseguenza la
vita rappresentata con un codice qualsiasi, è un’altra vita”
(D. Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina Editore, 1995)
Gli attori coinvolti nella documentazione del Progetto “L’incontro con l’altro” sono gli studenti della I A del Liceo Scientifico “Marie Curie” di Savignano sul Rubicone (a.s. 2003/2004), l’insegnante di italiano e chi documenta è l’insegnante di sostegno.
Il contenuto della documentazione attiene a un progetto nato in risposta a una situazione problematica relativa all’integrazione di F., uno studente disabile, e che poi si è sviluppato come percorso educativo e formativo per l’intera classe passando attraverso lo smascheramento degli stereotipi sul “diverso”. Come spesso capita la necessità di risolvere una situazione “bloccata”, in cui le persone sperimentano un senso di impotenza e di frustrazione, impone ai docenti e in genere a chi lavora e vive in contesti educativi, di trovare delle soluzioni alternative andando a scoprire le risorse umane e materiali, le strategie e gli strumenti, utili a fronteggiare tali situazioni.
“L’incontro con l’altro” è una risposta creativa a una situazione di disagio e il processo-percorso di documentazione che ne illustra le fasi è il filo di Arianna che consente ai protagonisti del Progetto di ripercorrere, con maturata consapevolezza le tappe della crescita personale scaturita attraverso l’“altro”, e che permette di ricostruire le tracce di ciò che è stato fatto insieme e che insieme è stato sofferto, vissuto, condiviso.
La prima parte della documentazione, in forma cartacea, attesta le reazioni degli studenti e le attività scaturite dalla lettura della versione ridotta del racconto Il Paese dei ciechi di H. G. Wells effettuata dall’insegnante di sostegno. La finalità era quella di sensibilizzare i ragazzi alla comprensione e accettazione del deficit del loro compagno di classe. Bisognava creare un’occasione di incontro e, perché no, di crisi, che mettesse in moto qualcosa. Quel racconto è stato il primo di una lunga serie di “oggetti mediatori” (in gran parte brani di narrativa, ma anche schede esplicative e film), il primo importante filtro fra insegnanti e studenti, fra loro e F.
D’altronde la letteratura, con il suo linguaggio metaforico ed evocativo, che cosa è se non un filtro interpretativo della realtà? Il linguaggio metaforico della narrativa ci permette di entrare in un altro mondo e di prendere le distanze da quello in cui siamo inseriti ogni giorno, che rischia di essere l’unico possibile; la narrativa serve per riuscire a comprendere meglio una realtà che troppo spesso diamo per scontata e che crediamo regolata da leggi assolute e immodificabili.
L’utilizzo del racconto fantastico Il Paese dei ciechi ha permesso agli studenti di entrare in una dimensione in cui le strutture logiche vengono sovvertite, le prospettive vengono ribaltate e le aspettative tradite: il normale diventa diverso, la devianza diventa regola. Nel paese dei ciechi colui che vede si trova nelle stesse condizioni di un cieco nel “Paese dei vedenti”. La cecità, una volta divenuta norma, è il valore, la vista è invece il difetto, l’handicap che determina l’inferiorità e l’emarginazione.
Da quel momento, su sollecitazione dell’insegnante di sostegno, gli studenti attraverso un brainstorming hanno individuato con quali forme di diversità misurarsi: “diverso” come colui che non rientra nella “norma” sociale, “diverso” come colui che è escluso da un gruppo sociale, “diverso” come un disabile, “diverso” come l’altra faccia della medaglia, come ognuno di noi allo specchio. Le insegnanti e gli studenti hanno fissato tre incontri con l’“altro” a cadenza mensile definendo come spazio di lavoro l’aula. Ogni incontro iniziava con la visione di un film-stimolo, a cui seguiva un questionario e/o il dibattito, poi seguivano altre attività (lavori di gruppo, scrittura creativa, ecc.) con tempi e modi diversi.
Con il passare dei mesi le attività si sono arricchite di un valore aggiunto: F. è diventato l’occasione, l’imprevisto, la risorsa che ha aiutato gli altri ad aprire gli occhi sulla complessità e la varietà del reale. La documentazione attesta la partecipazione di tutti gli studenti, attraverso i loro elaborati e le loro riflessioni, e soprattutto attesta il protagonismo di F. che ha scritto la sua autobiografia grazie all’“incontro” con una compagna.
La documentazione, quindi, ripercorre le tappe di questa esperienza educativa e formativa che ha permesso a chi ha documentato e ai ragazzi di rielaborare il proprio concetto di “diversità”, di riconoscere che tutti siamo vittime inconsapevoli di stereotipi e pregiudizi, e infine di concepire la diversità come un aspetto naturale della realtà.
Documentare non è stato assemblare del materiale o mettere insieme delle cose, ma è il prodotto di una rielaborazione di materiali raccolti nelle varie fasi del percorso, e soprattutto è il risultato di una forma di meta-riflessione sui processi educativi e relazionali che si sono attivati in classe, di valutazione sul lavoro svolto dall’insegnante e sugli apprendimenti degli alunni.
In questa prospettiva documentare vuol dire capitalizzare la cultura elaborata all’interno delle pareti scolastiche dandole una forma compiuta ma non finita, capace di arricchirsi e di produrre ulteriori stimoli anche attraverso la diffusione e, di conseguenza, le ricadute.
In particolare proprio questo tipo di documentazione, che nasce in un preciso contesto scolastico in cui i protagonisti, gli autori e i fruitori primari stanno dentro allo stesso scenario, attesta come il“fare cultura” a scuola comporti il ripensare alla relazione insegnamento-apprendimento come processo aperto, reciproco e circolare dove gli studenti sono al tempo stesso destinatari e promotori del processo educativo. Pertanto il “fare significato” diventa da un lato espressione individuale, perché vengono attribuiti significati alle cose in situazioni diverse e in occasioni concrete, dall’altro anche espressione collettiva perché si apprende sempre in un contesto comunicativo i cui significati vengono condivisi e negoziati in modo partecipato. “La missione di questo insegnamento è di trasmettere non del puro sapere, ma una cultura che permetta di comprendere la nostra condizione e di aiutarci a vivere; essa è nello stesso tempo una maniera di pensare in modo aperto e libero” .
La documentazione di questa esperienza educativa ha infatti permesso a insegnanti e studenti di trovare direzioni di senso alla propria pratica quotidiana dell’insegnamento-apprendimento: di tradurre i significati che nascevano nella relazione attraverso l’ascolto e la rielaborazione delle storie degli “altri” e, parallelamente, la narrazione di sé. Documentare ha consentito quindi di collocare le esperienze educative e didattiche in una storia dove si è costruita una circolarità fra chi narra e chi ascolta, fra gli autori e i destinatari; di pensare e ripensare a quello che si è fatto e attribuire valore ai contenuti e alle esperienze partecipate.
La documentazione, infatti, non viene dopo l’azione educativa e didattica, essa è il cuore stesso del processo didattico e formativo nel momento in cui avviene, perché essa è l’espressione della reciprocità del processo d’insegnamento-apprendimento.
Le ricadute di questo tipo di documentazione, che nasce in una precisa situazione scolastica, riattiva movimenti riflessivi che ricadono principalmente nello stesso contesto: gli insegnanti e gli studenti hanno potuto rivedersi nella documentazione e aumentare la consapevolezza di sé, del saper fare e del saper essere. Partecipare e copartecipare al processo della documentazione ha restituito senso di autogratificazione, di benessere e auto-efficacia. Significativa poi la ricaduta soprattutto sugli studenti che si sono riconosciuti in essa con i loro elaborati, con le loro reazioni emotive e hanno potuto constatare che si è verificata una crescita personale.
Questa documentazione ritorna ai ragazzi anche in una dimensione valutativa perché ha permesso di ricontestualizzare gli apprendimenti e i saperi raggiunti, sia quelli disciplinari sia quelli attinenti alla sfera individuale.
Pertanto documentare è ripensare la storia educativa, è un modo di restituire alla mente quello che pensa per permetterle di pensarlo diversamente. La documentazione svolge una funzione trasformatrice e rigeneratrice, è una via al cambiamento in quanto coglie, nel suo passaggio fra evento e traduzione dell’evento, nuovi significati.
Documentare è diffondere i processi che portano all’interiorizzazione di significati, alla scoperta di sé e del saper fare e all’assunzione di una prospettiva di indagine alternativa sulla realtà che ci circonda, vuol dire partecipare altri significati, acquisire altre idee di sé, costruire un’altra realtà.
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