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Dietro le quinte della cerimonia d’apertura

Da poche ore sono tutti sulle piste, o in campo a lottare in cerca di qualche medaglia. Le Paralimpiadi sono anche questo, è bello partecipare, ma se vinci è meglio. Certo che a guardarli sfilare sotto i riflettori del PC Place Stadium di Vancouver sotto gli occhi di sessantamila persone, sembravano tanti scolaretti in gita scolastica. Emozionati e euforici come quando si sale sul bus e la maestra comincia a fare l’appello. Un viaggio da ricordare, questo dei Giochi paralampici 2010: da filmare, fotografare, raccontare. Da documentare, insomma, in qualche modo e visto che non si sa mai come vanno a finire queste cose, tanti atleti hanno deciso di fare da sé, videocamera alla mano, ciascuno organizzandosi come poteva. Perfino mettendo a repentaglio il proprio equilibrio (quello fisico, nel senso che rischiavano letteralmente di cadere per terra o ribaltarsi…) e quello di chi gli stava vicino.

Quando lo speaker chiamava, saliva come un brivido alla schiena: prima l’Argentina, ultima – come da copione paralimpico – la nazione ospitante, il Canada. Un boato per gli atleti locali, in delirio ancora una volta il bellissimo pubblico del PC Place Stadium. Ma per tutti è stata una grande e emozionante festa d’apertura. “E’ difficile da descrivere. Ero veramente emozionato. Era tutto pieno di gente, e mi sono guardato intorno – racconta Jean Labante, Canada, del team di ice sledge hockey. Io rappresento una squadra molto unita, anche se ci sono atleti del team che non ho avuto il tempo di incontrare bene perché sempre impegnati alle prove Whistler: sono contento oggi di poterli rappresentare tutti”.

Si chiamano “flagbearers”, portabandiera, i capofila delle 54 delegazioni dei Paesi presenti alle Paralimpiadi di Vancuover. Uno per ogni Paese, per portare in gara i valori sportivi: Heath Calhoun, (USA) fa alpine skiing, ed è venuto per la prima volta ai giochi paralimpici: “Ho passato quattro anni di allenamento e lavoro duro. Essere qui oggi è elettrizzante, oltre che essere un onore per me”. Per tradizione il team americano seleziona sempre un veterano di guerra come portabandiera: “E’ giusto che accada così. Tutti sanno bene che noi abbiamo combattuto per la loro libertà, e questo per me ha un significato molto profondo…”. Con lui Alana Nichols (USA) campione di alpine skiing che è entrato nello stadio con la macchina fotografica, una video camera e altre due macchine fotografiche in prestito addosso. Dice: “Sì, ero molto indaffarato!”, con lui sono arrivate fin qui anche la sorella e la cugina: “Vengono dal New Mexico solo per venire a vedermi… Spero di non deluderle”. Il portabandiera della Gran Bretagna è Michael McCrwadie (GBR), campione di wheelchair curling: “Ad essere onesto ero un pochino nervoso. Questi sono i miei settimi giochi paralimpici, ma non avevo mai messo in conto che prima o poi sarebbe potuto toccare a me portare l’Union Jack. Per le gare poi sono ottimista, siamo molto preparati. Quest’anno non siamo i favoriti ma tutto può accadere…”.

Toby Kane, Australia (alpine skiing) è il più anziano del team. “In questo modo, portando la bandiera, sono diventato ancora più parte integrante del gruppo. O almeno, spero che sia così…”. Andre Cats, è il capomissione dell’Olanda, una delegazione composta da un solo atleta: “Confido nelle prossime olimpiadi di Sochi, in Russia, nel 2014. Noi in Olanda pratichiamo lo speed-skating, ma questa disciplina non è ancora uno sport paralimpico, per ora”. Sono in due invece gli atleti della Nuova Zelanda: per Peter Williams, (alpine skiing), è la prima volta. Sylvester Flis, Polonia, è eccitato e entusiasta: “E’ raro per le persone disabili che fanno sport vedere un pubblico così. Mentre marciavo ho pensato alla mia ragazza e a tutti quelli che mi hanno aiutato. Agli allenatori, gli organizzatori, a tutti quelli che hanno permesso uno spettacolo così grande” . L’Italia arriva a metà cerimonia. Allegra e festante, è una delle delegazioni più numerose. Portabandiera Gianmaria Dal Maistro, ipovedente, già vincitore di sei medaglie tra Nagano 1998, Salt Lake City 2002 e Torino 2006, tuttora detentore dell’oro nel Super Gigante di sci alpino. Emozionato e sorridente, mentre fa da capofila al team azzurro: “Portare questa bandiera è il riconoscimento della mia carriera sportiva. La speranza è quella di dare il massimo, a Vancouver, per ripetere i successi maturati a Torino quattro anni fa”. Spente le luci della cerimonia, si accendono i flash nelle piste e sui campi da gioco.

 

 

 




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