di Alessandra Pederzoli

Nel dicembre del 2000 si è costituita formalmente l’ANPIS, Associazione Nazionale Polisportive per l’Integrazione Sociale. Tale associazione attualmente conta l’adesione di circa 90 polisportive o enti che, diffusi su gran parte del territorio nazionale, a partire dalla prima metà degli anni Novanta, si sono progressivamente costituiti come strumento di promozione sociale e lotta alla marginalità nei diversi settori del disagio psicosociale. Oggi ANPIS è capace di coinvolgere circa 2000 persone a livello nazionale.
Le polisportive sono nate inizialmente sulla spinta di operatori e utenti di servizi pubblici e cooperative sociali, operanti nel settore della salute mentale, ma sono cresciute successivamente anche nell’ambito del disagio giovanile e della tossicodipendenza. Il moltiplicatore di una simile progettualità va rintracciato in una precisa prospettiva teorica e pratica che unisce concetti chiave come “prevenzione” e “promozione della salute” attraverso un costante lavoro di co-costruzione di responsabilità sociale e civile, tesa alla promozione di individui e gruppi attivi e partecipi alla vita.
È ormai pratica diffusa e consolidata su tutto il territorio nazionale l’attiva collaborazione tra i Dipartimenti di Salute Mentale (Centri di Salute Mentale, Centri Diurni, Day Hospital, ecc), gli enti di promozione sportiva e l’ANPIS nella promozione della salute mentale.
A partire dalla Toscana, che è stata la prima realtà regionale a muoversi, oggi in tutte le regioni italiane a eccezione della Calabria, è presente un Coordinamento Regionale: il luogo di incontro delle polisportive e dei gruppi sportivi iscritti che operano a livello regionale, degli operatori dei Centri di Salute Mentale coinvolti, i volontari e quanti abbiano scelto la pratica dello sport per la reintegrazione sociale. I contatti instaurati tra i gruppi, così come gli scambi fra gli operatori coinvolti sono stati stimolo nel tempo per la nascita di molte altre progettualità accomunate da una medesima intenzionalità. Tale collaborazione vede innanzitutto lo sport come strumento privilegiato per innescare processi aggregativi di prevenzione e promozione sociale dei soggetti deboli con difficoltà di inserimento nei circuiti sociali ed economici: persone seguite dai Servizi di Salute Mentale ma anche adolescenti, giovani e adulti che si trovano ad affrontare difficoltà familiari o legate ai contesti sociali più generali. L’obiettivo primo della prevenzione è fondamentalmente un mutamento delle condizioni che influiscono sulle storie personali e sui destini di tali storie; a partire dalle condizioni materiali, ecologiche, sociali, culturali e psicologiche.
Quando si tratta di pensare a mettere in atto dei mutamenti si pone come prima questione, oltre a quella degli obiettivi, quella del metodo e degli strumenti che non possono prescindere da alcune considerazioni di fondo che ne diventano il motore.

Il valore aggiunto dell’essere rete e in rete
Perché creare una rete come quella di ANPIS, organizzata a livello nazionale e poi a livello regionale ancor prima che locale, per mettere in atto pratiche sportive per la riabilitazione e la prevenzione? Evidentemente, a prima vista, questo non fa che complicare il tutto.
Allora è interessante andare a scoprire, oltre alle motivazioni della scelta dello sport come strumento, come ha ben delineato Ennio Sergio nel suo intervento, anche ciò che ha spinto il costituirsi di una realtà associativa come ANPIS per vederne il valore aggiunto.
Innanzitutto è bene tener presente che le ricerche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità indicano come il sostegno sociale sia uno dei principali fattori predittivi positivi del decorso della schizofrenia; a partire da queste considerazioni e dal pensare al sostegno sociale come a una delle funzioni della rete sociale delle persone, risulta proprio come il legame sociale diventi uno dei cardini della cura. Con la consapevolezza di come sia proprio il sostegno sociale uno dei fattori di prevenzione del disagio psicosociale, un concetto che discipline quali la psicologia di comunità e la psichiatria sociale reputano centrale per la produzione di salute.
Da queste considerazioni prende il via l’azione dei gruppi sportivi che scelgono proprio l’associazionismo come forma organizzativa, in quanto si tratta di una forma di aggregazione fra le persone dettata dalla condivisione di obiettivi comuni. Di fatto quindi il “fare associazione” diventa la modalità culturalmente sancita di produzione di legame sociale che nel tempo si è inoltre dimostrato un luogo di condivisione e di sostegno per quanti vi siano coinvolti. Questo di ANPIS è un associazionismo che si propone come aperto a tutta la cittadinanza, in quanto in esso non esistono degli spazi in cui si riconosce e si colloca la “normalità” e spazi in cui si riconduce invece la “malattia”. Questo di fatto è una precondizione importantissima a un efficace processo di reinserimento sociale che sia autentico ed efficace.
Ancora oggi la collettività purtroppo vive la dimensione del pregiudizio, vive cioè nell’attribuzione di stigma e di (dis)valore alla realtà della salute mentale. Il pregiudizio, di per sé, non costituisce una deformazione del processo di conoscenza ma semplicemente rappresenta la forma dell’approccio reale, nel senso della preconoscenza (senso comune) che si viene a costruire nelle persone in riferimento a una certa porzione della realtà, all’interno di determinate condizioni strutturali. Così la collettività si trova a vivere una condizione di non-interazione con la malattia mentale in quanto realtà che continua a essere separata; gli operatori dei servizi vivono un’interazione con i propri utenti che si intreccia in ambienti separati quali la clinica, i servizi di Salute Mentale o in contesti comunque protetti; i familiari invece vivono una relazione che si dispiega nell’assistenza che alterna mura domestiche a luoghi di cura o assistenza.
ANPIS e l’attività sportiva dunque dove si vanno a collocare?

Uno spazio intermedio
Si tratta probabilmente di uno spazio intermedio tra i luoghi della cura e quelli invece della “normalità”. E lo fa coinvolgendo direttamente la collettività, sia nei suoi individui che presi singolarmente partecipano in vario modo alla realtà di ANPIS, sia nelle sue istituzioni. Questo significa cercare l’incontro con le persone, con quelle schiere di non addetti ai lavori, a cui viene data la possibilità di entrare in contatto con la dimensione del disagio psicosociale, per rivederne e rivalutarne i pregiudizi e per attribuire valore. Questo nel lavoro quotidiano non significa eliminare sofferenza/malattia o difficoltà/disabilità delle persone seguite dai servizi ma sicuramente ha contribuito a riformulare le attribuzioni di pericolosità, stupidità, imprevedibilità e asocialità che spesso sono associate alla malattia mentale o ad altre forme del disagio. Riformulazione che non è sostituzione di un pregiudizio negativo con uno positivo ma verifica, caso per caso e momento per momento dell’equilibrio fra sofferenza/malattia/necessità di supporto e assistenza e salute/possibilità di interazione e scambio.
ANPIS ha scelto di fare tutto questo utilizzando proprio lo sport come strumento. Solo facendo incontrare le persone si favorisce la conoscenza e solo favorendo la conoscenza si abbatte la diffidenza e il pregiudizio, per compiere un lavoro che è certamente un percorso per il benessere dei ragazzi utenti dei servizi. Evidentemente è anche qualcosa in più. Tutto questo operare infatti ha permesso ai familiari, da un lato, di interagire con il parente malato in situazioni che lo impegnano in attività sociali (quali gli incontri sportivi, per esempio) nelle quali anche lui contribuisce come protagonista e non come paziente in cura; questo consente alla famiglia anche di riformulare le proprie aspettative per vedere quanto ci sta oltre alla mera assistenza quotidiana. Dall’altro, ha permesso anche agli operatori di ricredersi sulle situazioni dei propri utenti, soprattutto per quanto riguarda le quote di benessere che essi possono esprimere in ambito non strettamente terapeutico, permettendo quindi un’efficace riformulazione dei percorsi ad hoc per i ragazzi.
I gruppi sportivi che fanno parte di ANPIS hanno costituito e costituiscono dei mezzi attraverso cui persone spesso completamente estromesse dal circuito economico-produttivo hanno potuto partecipare direttamente ad attività sportive, sociali, ecologico-ambientali, culturali e dunque recuperare una propria significatività sociale.
ANPIS, dunque, nel creare occasioni sportive, svolge un duplice ruolo: da una parte, permette ai ragazzi la riscoperta della dimensione del corpo e della sua cura (con tutti i ritorni diretti in termini di prevenzione della salute fisica); dall’altra, in generale, contribuisce all’idea dello “sport per tutti”, recuperando quote di popolazione estromesse o non interessate dalla pratica sportiva competitiva. Di fatto quindi l’agire di ANPIS e dei gruppi afferenti si realizza come modalità concreta di promozione della salute e di lotta ai processi di marginalizzazione di varie fasce di popolazione a rischio.
Questo è il senso che negli anni ANPIS e le persone che lo costituiscono hanno acquisito, nello stesso tempo opportunità progettuale nell’ambito della cura e presa in carico della malattia mentale e di altre forme del disagio e della devianza e modalità comunitaria di promozione di forme attive di cittadinanza. Nonostante questa indole comune occorre sempre considerare come le varie e numerose realtà nazionali presentino situazioni differenziate in funzione delle situazioni locali, dell’esperienza maturata dagli operatori e dai soci in generale, del rapporto che si è potuto istituire fra istituzioni sociosanitarie e operatori impegnati in simili esperienze.
I gruppi sportivi, oltre a ritagliarsi tempi e spazi nel corso della settimana per allenamenti e “preparazioni atletiche”, non perdono occasione per organizzare e promuovere incontri sportivi, e non solo, con altri gruppi: prima a livello locale, ma anche a livello regionale, interregionale e nazionale. Giusto per fare un cenno a quelli che sono gli appuntamenti principali a livello nazionale si può ricordare il torneo nazionale invernale di pallavolo, in programma i primi giorni dell’anno; la settimana di vacanza, sport e contaminazione estiva di inizio giugno, in programma per l’anno 2008 a Palinuro (SA) all’oggi la manifestazione con i numeri maggiori (coinvolte la passata edizione, 1300 persone); il torneo nazionale di beach volley di Rimini di fine agosto, sulle spiagge della affollata riviera romagnola e il trofeo di calcio settembrino di Prato (FI).

Ma tutto questo e probabilmente molto altro sta in poche parole di Federico del gruppo sportivo “Va pensiero” di Parma, lasciate agli studenti degli istituti superiori imolesi nel corso di un incontro di testimonianza: “Non siamo più pazienti, siamo diventate persone e, quando giochiamo, siamo sportivi. Siamo pazienti quando andiamo dal medico, o quando entriamo nell’ambulatorio dello psichiatra. Fuori siamo madri, padri, colleghi, compagni di gioco… capite ragazzi, cambia tutto. Siamo diventate persone con delle responsabilità negli ambiti in cui viviamo”.
 

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