Partiamo da un racconto di Leo Szilard che, per chi non lo sapesse è uno dei padri (involontari) della bomba atomica. In Rapporto sul Gran Central Terminal – nell’antologia di racconti La voce dei delfini – ci provoca così: “Immaginate che colpo fu per noi atterrare in quella grande città e trovarla deserta. Da dieci anni viaggiavamo attraverso lo spazio. […] Quando finalmente atterrammo scoprimmo che su quel pianeta la vita si era estinta. […] A quel punto Xram si ricordò che circa 5 anni prima erano stati osservati misteriosi bagliori, tutti nella stessa settimana. Gli venne in mente che quei bagliori potevano essere stati prodotti da esplosioni di uranio. […] Ritenevamo che chi aveva costruito città così grande fosse dotato di razionalità per cui ci sembrava difficile che si fosse impegnato a trattare l’uranio per tanto tempo”.
Questo è il quadro di partenza: io ho un pochino barato tacendovi che il pianeta si chiama Terra mentre Szilard lo mette subito in chiaro. Quel che qui ci interessa – la difficoltà a decifrare un mondo alieno – però non riguarda l’energia atomica.
“Non sapendo da dove iniziare le ricerche, scegliemmo come primo oggetto di indagine uno degli edifici più grandi della città. Anche se non sapevamo cosa significasse Grand Central Terminal, non avevamo dubbi su quale fosse il suo utilizzo. Era parte di un primitivo sistema di trasporto basato su rozze macchine che correvano su rotaie tirandosi dietro vetture a ruote.
Per più di 10 giorni studiammo quell’edificio e scoprimmo dettagli interessanti e sconcertanti”.
Le scritte “fumatori” e “non fumatori” restano inspiegabili per gli scienziati alieni e certi dipinti che mostrano esseri con le ali confondono ancor più le idee.
“Nel grande spazio del Central Terminal trovammo stanze abbastanza piccole collocate a coppie e in posizioni abbastanza nascoste. Ciascuna di queste stanze (chiamate ‘Uomini’ e ‘Donne’) conteneva cabine che probabilmente potevano servire come riparo temporaneo per i terrestri mentre depositavano i loro escrementi”.
Ma restano molte domande irrisolte e… Szilard si diverte. Cosa significa la scritta “libero” all’ingresso di queste cabine? Perché si aprono solo con un gettone? E perché analoghi congegni nelle case non hanno il meccanismo apribile con un dischetto e la scritta “libero”? Cos’abbia a vedere la libertà con gli escrementi è un quesito che appassiona questi scienziati alieni. Così “saggi” da non credere che i terrestri possano essersi auto-distrutti con l’uranio.
Di paradossi e provocazioni simili (magari a ruoli rovesciati, cioè con i terrestri nella parte degli alieni che indagano) è piena la fantascienza. Chi è appassionato del genere ricorderà quantomeno il racconto Mai toccato da mani umane del caustico Robert Sheckley, il romanzo Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Strugackij (trasposto al cinema da Andrej Tarkovskij come Stalker) o lo sconcertante (soprattutto nel finale) Incontro con Rama dell’altro scienziato-scrittore Arthur C. Clarke.
Ma qui ci interessa l’alieno sociale che, anche nella metafora fantascientifica, a volte somiglia al nostro: questione di classe dunque.
Chi si rifà in qualche modo al pensiero di Marx già saprà che, per i borghesi, alieni sono i proletari e viceversa. E per quanto i rapporti (di potere) fra le classi cambino il capitalismo inevitabilmente fabbrica alieni. Nel 1982 Andrè Gorz ricorda – in Addio al proletariato – che già Adam Smith annotava che “molti padroni di fabbriche preferiscono impiegare operai ‘mezzi idioti’” e che poi Marx “descriverà il lavoro operaio, sia nelle manifatturiere che nelle cosiddette fabbriche automatiche, come una mutilazione delle facoltà intellettuali e corporali degli operai”. E Gorz riassume: “La fabbrica produce ‘mostri’”. Alieni. O umani mutanti direbbe qualche scrittore-scrittrice di science fiction.
Crumiro
Qui ci interessa la fantascienza che ha al suo centro l’alieno sociale dunque diverso, incomprensibile, “non umano” per ragioni di classe o per un particolare lavoro.
Un buon esempio è il racconto Crumiro (del 1957) di Isaac Asimov che vedremo in dettaglio.
Steven Lamorak è un sociologo terrestre che visita Altrovia, un planetoide terrestre, fuori dal sistema solare, con un diametro di un centinaio di miglia, patria di una colonia umana, formata da trentamila persone. Capiremo poi che qui si è sviluppato un rigido sistema di caste dove ogni lavoro è limitato a un particolare insieme di famiglie.
Il consigliere Blei spiega a Lamorak: “Dobbiamo rimettere tutto in circolo […] i rifiuti di ogni genere devono essere ritrasformati in materia prima”. Blei sembra imbarazzato e reticente però accetta di parlare del sistema di caste: “ogni uomo, donna o bambino sa qual è il suo posto”.
Dopo il colloquio e la promessa di poter visitare il giorno dopo il pianetino, Lamorak sfoglia il giornale locale. Nulla di interessante salvo un articolo che gli risulta incomprensibile. “Sotto il titolo ‘Richieste immutate’ si leggeva: ‘Non vi è stato alcun cambiamento nel suo atteggiamento di ieri. Il Consigliere Capo, dopo un secondo colloquio, ha annunciato che le sue richieste continuano a essere irragionevoli e che non possono essere soddisfatte per nessuna ragione al mondo’ […] Lamorak rilesse l’articolo tre volte: il ‘suo’ atteggiamento, le ‘sue richieste […]. Di chi? Dormì malissimo quella notte”.
Nei giorni successivi Lamorak costringe Blei a dirgli la verità. “Igor Ragusnik è l’uomo che si occupa dei processi industriali direttamente connessi ai rifiuti […] ma noi non possiamo parlare con lui”. E ora Ragusnik “pretende uguaglianza sociale. Vuole che i suoi figli si mescolino ai nostri”. E minaccia di scioperare.
Blei dice a Lamorak: “come terrestre immagino che lei non possa capire”. E lui risponde: “come sociologo penso di sì” e “pensa agli intoccabili dell’antica India, a coloro che maneggiavano i cadaveri, ai guardiani di porci nell’antica Giudea” ma anche ai tabù terrestri, altrettanto forti: “il cannibalismo, l’incesto, la bestemmia sulle labbra di un uomo devoto”.
Se Ragusnik continuerà lo sciopero, il sistema di smaltimento rifiuti si bloccherà e l’intera colonia morirà a causa delle malattie. Lamorak chiede di parlare con Ragusnik… per video-telefono; di persona non è possibile.
Il dialogo è difficile. Lamorak ha di fronte un uomo disperato: “perché dobbiamo vivere in isolamento come se fossimo mostri? […] Non mi arrenderò. Muoia pure d’infezione tutta Altrovia, compresi me e i miei figli ma non cederò”.
Lamorak capisce che nessuna delle due parti è disposta a cercare compromessi. E annuncia: “Lo sostituirò io” pur sapendo che sta “tradendo un uomo brutalmente sfruttato”.
Non dirò come finisce il racconto. Se volete leggerlo lo trovate, fra l’altro, nell’antologia di Asimov pubblicata (nel 1987 dalla Nord) con il titolo Le migliori opere di fantascienza. Nell’introdurre il racconto, Asimov scrive: “Credo che questo sia un racconto importante […] invece precipitò nella più totale indifferenza”. Beata ingenuità: il saggissimo Isaac sembra incapace di vedere che non si tratta solo di una metafora della condizione dei “negri” negli Stati Uniti di allora ma più in generale di svelare la rigida divisione in classi della società.
Molte altre suggestioni, visioni e metafore sociali dell’alienità sociale potrebbero essere raccontate. Non c’è qui lo spazio necessario. Chi deciderà di proseguire questo cammino si confronti soprattutto con James Ballard, John Brunner, Damon Knight, il tedesco Joachim Zelter (che in La scuola dei disoccupati ha immaginato una società-incubo che abbia come suo faro la costruzione del curriculum), di nuovo Le Guin e Sheckley e italiani: i due Vittorio (Catani e Curtoni), Valerio Evangelisti e magari Primo Levi che scrisse alcune storie di fantascienza che inizialmente il suo editore editò con uno pseudonimo con la curiosa giustificazione che uno scrittore così legato alla tragica realtà dei lager non avrebbe dovuto, con lo stesso nome, pubblicare storie di fantascienza.
Invece la buona fantascienza ha raccontato molto sulle oppressioni presenti e future aiutandoci a capire dove si annidano nuovi pericoli. Potremmo essere tutti alieni (alienati) in un certo tipo di mondo che si va costruendo. Ad affrontare questo tema – anzi a scardinarlo – è Frederik Pohl, uno degli autori fantascientifici più importanti, sin dagli anni ’50.
Incatenati al 15 giugno
Vediamo, in estrema sintesi, Il tunnel sotto il mondo, lungo racconto che Pohl scrisse nel 1954.
“La mattina del 15 giugno, Guy Burchardt si svegliò da un sogno. Gridava”.
Poco dopo Guy si rassicura: tutto è a posto, era solo un incubo. Per strada nota qualcosa di strano: una pubblicità più aggressiva del solito. Poca roba in fondo. È insolito che il suo capo non sia in ufficio visto che il 15 giugno “è il giorno della denuncia fiscale per il trimestre”. Guy potrebbe andare a cercarlo in fabbrica ma non gli garba perché in una precedente visita era rimasto abbastanza scosso: “non c’era un’anima, soltanto le macchine”.
Quel giorno continua ad andare in modo “sbagliato”: piccole cose fuori posto e, sulla strada del ritorno, altoparlanti minacciosi che urlano ossessivamente frasi del tipo: “Hai già un frigorifero. Puzza! Se non è un frigorifero Feckle, puzza. […] Sai chi ha i frigoriferi Ajax? Gli invertiti hanno i frigoriferi Ajax. Sai chi ha i frigoriferi Triplecod? I comunisti hanno i frigoriferi Triplecod. […] Vuoi mangiare cibo andato a male? O vuoi farti furbo e comperare un Feckle, Feckle, Feckle”.
Anche a casa sua Guy troverà stranezze, illogicità. Va a dormire perplesso. La mattina dopo apprende – dal giornale e dalla radio – con stupore che non è il previsto 16 giugno ma sempre il 15. Guy sta impazzendo?
Il racconto ha una svolta quando (con l’aiuto di un certo Swanson) il protagonista scopre che sotto la città corre un tunnel. Qualcuno sembra seguirli. “Russi? Marziani? Qualunque cosa fossero che cosa potevano sperare di guadagnare da quella pazzesca carnevalata?”.
La verità è a un passo: “Non sono russi e non sono marziani. Quella gente sono uomini della pubblicità. In qualche modo si sono impadroniti della città […] ci hanno catturato tutti, 20 o 30mila persone e ci tengono sotto il loro controllo”.
L’eterno 15 giugno è un grande esperimento sociale per testare nuovi prodotti. Il racconto di Pohl ha in serbo altre tremende sorprese ma, per il discorso che qui si va facendo, basta così. La dittatura di Pol Spot nel 1954 era di là da venire ma oggi è nelle pieghe del mondo reale. Guy è un uomo qualunque che si crede strano o impazzito (due varianti dell’alieno): in realtà è una marionetta. Non c’è forse peggiore alienità della impossibilità di gestire la propria vita.
E se sotto quei circuiti…
Anche i robot e gli androidi in molte storie fantascientifiche sono, con ogni evidenza, metafora del diverso – razziale o sociale – in cerca di integrazione. Se il termine androide vi lascia perplessi chiarisco subito: nella science fiction si intende una creatura artificiale che, a differenza del robot, è costituita di protoplasma e comunque non ha una prevalenza di parti meccaniche.
Anche se non c’è qui spazio per approfondire ulteriormente, qualche esempio di alieno “social-robotico” può aiutarci.
Uno dei romanzi più espliciti dove gli androidi sono a caccia dei “diritti civili” è il complesso romanzo (del 1951) Oltre l’invisibile di Clifford Simak.
Lo stesso Simak scava sul tema in alcuni racconti. Ora tocca a noi a esempio è la minuziosa cronaca del procedimento giudiziario nel quale i robot ottengono il diritto a “non essere più servi di nessuno”.
Con Il peggiore esempio Simak azzarda un’amara riflessione. Incontriamo Tobias, la disgrazia della città, vergogna pubblica, appunto “il peggior esempio, da non imitare mai”. Un giorno però Tobias dimentica di barcollare e sta per tradirsi.
“Lui doveva essere accettato come un umano […] Come vagabondo, ubriacone umano lui era uno scudo. Come robot, uno sporco robot ubriacone buono a nulla, non sarebbe contato nulla. Così nessuno sapeva”.
A sostenere l’inganno esiste persino una tassa (del quale tutti ignorano la vera destinazione) pagata alla Samru cioè “Società per l’Avanzamento e il Miglioramento della Razza Umana”. Il nome è con ogni evidenza simile a quello della Naacp (cioè National Association for the Advancement of Colored People) che nell’epoca in cui il racconto fu scritto si batteva – i risultati erano lontani da venire – per i diritti civili degli afroamericani.
Sarà poi Isaac Asimov a completare il discorso dei robot in cerca dei diritti civili nel famoso racconto (in realtà un romanzo breve) L’uomo bi-centenario. Chi non lo conoscesse ne trova una sintesi nel citato dossier che ho curato per “HP-Accaparlante” nel 2001.
A dar man forte all’ala più iconoclasta della fantascienza in quel periodo arriva, come si è già detto, Philip Dick. A proposito di creature artificiali e di metafore, nel racconto Impostore (del 1953) il protagonista viene accusato di essere un robot del nemico con una potente bomba incorporata. Lui fugge perché sa di essere innocente ed è con stupore pari al suo che, al termine del racconto, chi legge assisterà all’esplosione. Un tipico esempio del modo in cui Dick affronta la confusione fra vivente e meccanico, fra realtà e illusione, temi al centro di tutta la sua opera. Un tema sul quale torneremo più avanti.
Continua a leggere:
- Alieno è ...
- 1. Il primo contatto
- 2. Un rompicapo
- 3. L’alienità “razziale” e le sue metafore
- 4. L’alienità sessuale (e i suoi tabù)
- 5. Alienità dei corpi
- 6. Alienità sociale (Pagina attuale)
- 7. Qualche accenno sull’alienità religiosa
- 8. L’alienità totale (ovvero del pensare non accettato)
- 9. Un discorso non concluso
- 10. Tutti (o quasi) i libri e i film citati, in ordine di apparizione