8. Superare il concetto di accessibilità della natura. L’esperienza della Fondazione per lo sport Silvia Rinaldi
- Autore: Alberto Benchimol
- Anno e numero: 2017/ 8 (monografia su educare includere all’aria aperta)
di Alberto Benchimol, progettista e fundraiser in ambito sociale
Mi avvicino all’handicap come maestro di sci negli anni ’80, in Italia non si faceva niente specialmente nello sci. Mi era capitato di andare negli Stati Uniti che erano anni luce avanti all’Italia e avevano tanti programmi per la disabilità. Nel 1984 sono diventato maestro di sci e ho iniziato a occuparmi di sci lavorando con gli Istituti Ortopedici Rizzoli. In Trentino feci un corso di specializzazione e oggi sono docente della provincia autonoma di Trento nella formazione dei maestri.
La mia fondazione si chiama “Fondazione per lo sport Silvia Rinaldi Onlus”. Silvia Rinaldi è la figlia di uno dei fondatori principali, Giuliano Rinaldi, che è deceduta in montagna. In onore della figlia il padre fondò uno sci club. Dopo le Olimpiadi di Torino ho visto che la disabilità e lo sci stavano prendendo una grande spinta e ho proposto al padre di creare una fondazione intitolata a Silvia, lui ha acconsentito insieme alla figlia Paola e alla mamma.
La Fondazione, essendo una Onlus, si occupa di sport per persone con disabilità. Ci occupiamo di progetti sportivi con persone disabili e, marginalmente, con ragazzi che hanno disagio sociale. Poi la mia idea è stata quella di fare attività integrate, non limitarci solo a gruppi di persone disabili, ma usare lo sport come strumento di integrazione. Le attività vengono svolte con tutti i livelli di abilità e anche con ragazzi e adulti non disabili.
In natura non esistono barriere architettoniche insuperabili
Ci troviamo con persone che hanno la disabilità certificata, ma quando ci mettiamo alla prova fisica, come sciare, possono passare tranquillamente avanti a persone non disabili. Per ogni disabilità esiste un livello di prestazione che noi andiamo a scovare, in modo che ogni persona possa stare con gli altri e fare le cose al suo livello. Ognuno ha il suo settore di disabilità, tu puoi essere disabile in montagna rispetto a Simone Moro che scala gli 8000 metri. Io stesso sono disabile a correre rispetto a chi fa i 9’90 sui 100 metri. Per non parlare di sportivi con disabilità come Alex Zanardi che dimostrano che con l’allenamento si può superare qualunque limite.
Noi lavoriamo nell’ambiente naturale, dove non ci sono barriere architettoniche, o meglio, ci sono, ma ci sono altre soluzioni. Uno scalino di 1 metro in montagna può essere di fianco a uno scalino di 20 cm. Si possono sempre trovare soluzioni in un ambiente aperto. Nella natura si può scegliere: se faccio trekking, posso scegliere fra vari percorsi, dal facile al più difficile. Al contrario se una città ha molte barriere architettoniche, rimane con molte barriere architettoniche e in un certo posto non ci arrivi.
Le attività della Fondazione
Seguiamo un progetto con l’ASL per i disabili adulti con i quali facciamo trekking nei parchi di Bologna: Villa Ghigi, Parco Talon, Parco dei Cedri, Parco dei Ciliegi, Villa Angeletti, Giardini Margherita.
Poi organizziamo anche mini trekking in luoghi dell’Appennino: Monte Sole, Corno alle Scale, Cimone, Lizzano. Andiamo anche al mare d’estate.
Cerchiamo percorsi ogni anno un po’ diversi per esplorare il territorio circostante. Non solo l’ambiente riduce le barriere architettoniche, ma l’ambiente ha un valore per se stesso. A parte l’aria più pulita, il contatto con la natura fa bene ai disabili e ai ragazzi. Lo diceva Konrad Lorenz: senza contatto precoce e continuativo con la natura, la persona non si sviluppa bene.
Noi siamo partiti storicamente con persone non vedenti e siamo partiti con l’attività sportiva dello sci con persone non vedenti. Poi ci siamo allargati a 360°, anche a seconda del tipo di richieste che ci arrivano da chi ci contatta, come le famiglie per esempio, che ci prospettano un problema e con cui cerchiamo una soluzione. Ad esempio con l’arrampicata per i non vedenti. Sono un gruppo di 3 ragazzi che hanno iniziato con i nostri corsi, e poi hanno proseguito verso l’agonismo; a quel punto noi non c’entriamo più perché non ci occupiamo di sport agonistico. Sono le Federazioni che se ne occupano con il Coni e le società sportive.
Pur venendo dallo sport paralimpico, non mi occupo di agonismo, perché poi ci vogliono allenatori.
Oltre alle persone non vedenti nel settore dell’arrampicata si è aperto il fronte dei bambini con autismo. A Bologna è stata aperta la palestra in via del Fonditore, “Urban Clymbing”; l’arrampicata è uno sport in ascesa, è anche diventata disciplina olimpica, ci sarà a Tokyo, non so se è già anche sport paralimpico. A Bologna mancava questa possibilità, una palestra di arrampicata. Opportunità anche per i ragazzi con disabilità. Essendo in ambiente chiuso non ha gli inconvenienti dello sci come la nebbia e il freddo.
Il trekking lo facciamo con adulti con disabilità psichica e relazionale, a questi si è aggiunto un gruppo di ragazzini con la sindrome di Down e da quest’anno un ragazzo sordo. I sordi hanno la sola esigenza di avere a fianco un interprete per il linguaggio dei segni, quindi con noi vengono anche i loro operatori e i loro educatori. Facciamo un progetto con il Comune di Bologna che si chiama “Parchi in movimento”, assieme alla UISP. Ogni volta bisogna vedere con che tipo di persone si ha a che fare, non c’è uno standard. Bisogno capire le esigenze essenziali, come se c’è bisogno di una carrozzina, o se un non vedente ha bisogno della guida.
Oltre lo sci facciamo ciclismo; i non vedenti e le persone in carrozzina vanno in tandem o con le handbike. Ci sono anche handbike elettriche e fuoristrada. In passato abbiamo fatto un progetto con l’ex Provincia a Monte Pizzo; la Provincia comprò 2 carrozzine elettriche che si guidano con un joystick con cui si potevano anche fare le salite, il noleggio di queste due carrozzine era gratuito, ma adesso il progetto è finito.
Non creiamo percorsi adattati
La natura offre più alternative ai disabili che non le nostre città. Noi non pensiamo a percorsi creati ad hoc, non andiamo a modificare l’ambiente, primo perché non abbiamo i soldi, secondo perché il disabile deve poter scegliere, non può essere relegato a un percorso che può fare solo lui.
Occorre superare l’idea di percorso adattato o open, si va a vedere di volta in volta, cercando di rimuovere gli ostacoli, ma soprattutto cercando di individuare le alternative che offre la natura. Vogliamo anche superare il concetto di accessibilità che è perdente, sia per i limiti che ha, sia perché si pone il problema della valutazione su ciò che può o non può fare la persona disabile. Ci sono trekking in montagna dove persone disabili vanno e persone non disabili non vanno. Ci sono persone con disabilità che vanno sull’Everest e sul K2. Come si fa a dire che un percorso è accessibile o meno? Non si tratta tanto di modificare l’ambiente, quindi, ma sono le persone che si organizzano, tenendo conto delle caratteristiche di chi è coinvolto.
L’arrampicata in questo senso è eccezionale. Ci sono percorsi con varie difficoltà, e la persona si allena per superare i propri limiti come fanno i normodotati. Non possiamo dire a priori cosa può fare e dove arriverà. Bisogna superare quest’idea dell’adattamento dell’ambiente e dei percorsi, oltretutto è complicato anche dal punto di vista della manutenzione e le attrezzature finiscono poi per cadere in disuso.
Fondazione per lo sport Silvia Rinaldi Onlus
Via San Felice 22, 40122 Bologna
info@fondazioneperlosport.it
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