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5. Riflessioni attorno ad alcune esperienze

Le proposte e le esperienze di tempo libero cambiano a seconda del territorio in cui si realizzano, dell’utenza a cui si rivolgono, degli obiettivi che ci si pone ma anche degli alleati che si possono trovare nei contesti in cui si realizzano. Ciò non è sempre ovvio e, anzi, sarebbe auspicabile che ogni progetto potesse trovare il proprio personale modo di esprimersi, adattandosi ai bisogni dei partecipanti, in relazione al contesto nel quale si svolge il progetto.
In questo capitolo abbiamo raccolto alcune esperienze, con caratteristiche abbastanza differenti, che ci permettono di mettere in luce alcuni aspetti che riteniamo interessanti nel momento in cui si pensa all’organizzazione di un progetto di tempo libero.

5.1. Vado al museo
di Paola Bartoli, Fondazione Dopo di Noi di Bologna

L’esperienza proposta dalla Fondazione Dopo di Noi di Bologna mette in luce come la relazione con le agenzie culturali del territorio possa diventare una risorsa sia da un punto di vista di diversificazione delle possibili attività, sia per ciò che riguarda la possibilità di vivere i luoghi della città come tutti, con l’obiettivo cioè di poter godere della loro bellezza.
Nell’affrontare la complessa tematica del “dopo di noi”, grande attenzione viene riservata a progetti che intendono stimolare e potenziare le autonomie abitative e relazionali delle persone con disabilità, al fine di avviare percorsi per la vita indipendente, al di fuori del contesto familiare.
In questi percorsi di sviluppo delle autonomie, la gestione del tempo libero ha una grande importanza perché va a colmare vuoti che generano discriminazioni ed esclusioni rispetto alla possibilità di frequentare i luoghi e di partecipare alla vita sociale. Il progetto Vado al Museo intende quindi offrire un incoraggiamento all’acquisizione di autonomie e un loro consolidamento, proponendo alle persone con disabilità un ambito di esplorazione solitamente precluso perché ritenuto troppo complesso e che mette in moto competenze, creatività, aggregazione e inclusione. Come terreno per sviluppare questa sfida si sono scelti alcuni musei del Sistema Museale di Ateneo della città di Bologna, che i ragazzi con disabilità sono andati a visitare in seguito a incontri preparatori. L’obiettivo era quello di conquistare e affascinare un potenziale nuovo pubblico, messo nelle condizioni non solo di pianificare un’uscita, ma di confrontarsi con un contesto stimolante anche se a volte ostico.
Non, quindi, fruitori passivi, ma protagonisti del proprio incontro con nuovi luoghi e conoscenze. Il progetto ha visto il coinvolgimento di circa dieci persone con disabilità intellettiva che hanno visitato cinque musei, una volta al mese.
Gli incontri preparatori alla visita sono stati ospitati nelle aule didattiche dei diversi Musei e sono stati condotti dagli insegnati che il sistema museale ha messo gratuitamente a disposizione del progetto. Durante gli incontri, sono state fornite ai ragazzi alcune informazioni sul luogo che avrebbero visitato e sulla collezione ospitata. A carattere divulgativo, questi appuntamenti erano orientati ad appagare le più ricorrenti curiosità e gli interrogativi più profondi, lasciando spazio allo stupore che anche la scienza che si vuole rigorosa e razionale non manca di destare. Per le visite, invece, si è ritenuto di lasciare i ragazzi liberi di percorrere gli spazi museali senza una guida per consentire al loro sguardo di stupirsi ed emozionarsi, soffermandosi su ciò che avrebbero ritenuto meritevole di interesse.
A conclusione del percorso, si è pensato di organizzare alcuni incontri con i partecipanti insieme a un gruppo di lavoro coordinato dall’Associazione Culturale Mirada per elaborare racconti a fumetti relativi alle visite effettuate. Disegnatori e sceneggiatori professionisti lavoreranno quindi a fianco delle persone con disabilità che saranno protagoniste delle storie realizzate.
Ogni museo visitato sarà quindi raccontato attraverso una storia a fumetti che sarà poi divulgata sui siti internet dei partner del progetto e su altre piattaforme digitali.

5.2. Effetti collaterali
di Stefano Truccolo e Gennaro Spina, educatori

Ciò che raccontano i due educatori, dipendenti pubblici, mostra il valore di quella che possiamo chiamare contaminazione degli spazi. Il successo di un progetto di tempo libero, infatti, si misura anche dalla sua capacità di perpetuarsi o riprodursi indipendentemente dall’intervento di un mediatore.

Il progetto per cui lavoriamo non si occupa di tempo libero. Non è tra le premesse operative né tra gli obiettivi attesi. Le conseguenze sul piano dell’uso del tempo libero della nostra attività sono dunque da considerarsi “effetti collaterali”.
Per capire meglio di cosa parliamo sarà necessario dare un minimo di informazione sulla natura del progetto che stiamo conducendo. Il primo dato riguarda il nostro status: operiamo in un servizio a gestione diretta (quindi pubblico, non appaltato al terzo settore) rivolto alla disabilità adulta. Quattro anni fa il responsabile del servizio per cui lavoriamo si presentò nelle strutture (centri diurni) con il mandato di abbandonare le stesse per “territorializzare” la nostra azione. Ovviamente nessuno capì nulla. Il primo anno trascorse tentando di dare un significato pratico alle parole d’ordine che ci erano state impartite. Le linee guida erano sintetizzate in tre obiettivi generali: incrementare le autonomie delle persone coinvolte; rendersi “attraenti” offrendo prestazioni alla comunità; perseguire la presa in carico comunitaria (progressiva scomparsa dell’operatore in favore di una gestione totalmente indipendente – o a bassissima soglia di protezione – della relazione tra utente e tessuto sociale di appartenenza).
Bisognava uscire dal sistema dei centri diurni in cui avevamo operato fino a quel momento, cercare luoghi attrezzati per ospitare una comunità indipendente, capace di autosufficienza per quanto concerne trasporto, alimentazione e igiene. Il luogo, preferibilmente non un appartamento, doveva essere frequentato da un pubblico eterogeneo e occasione di confronto, relazione e scambio di utilità, secondo il presupposto che il disabile sarebbe stato preso in carico dalla comunità solo se capace di offrire una contropartita.
Gli operatori destinati al progetto, le cosiddette risorse umane, sono stati quantificati nel numero di due. Gli utenti da sei a nove (alcuni su cinque giorni, altri presenti una o più giornate), reduci dall’esaurimento del percorso nel Servizio di Integrazione Lavorativa oppure usciti dal sistema scolastico senza prospettive di immediata occupazione.
La risposta alla domanda è venuta tre anni or sono dall’ASD Rugby Pordenone, società che conta circa quattrocento iscritti e una prima squadra che milita nel campionato nazionale di serie C. Come si conviene la squadra dispone di una Club House, luogo aperto alla frequentazione degli associati e dei simpatizzanti e sede deputata a giocare il “terzo tempo” (nel rugby i tempi di gioco sono tre: due sul campo e uno a tavola fraternizzando dopo la battaglia condotta sul campo). La Club House, che dispone di cucina, bar e sala da pranzo, oltre agli spazi destinati alle funzioni organizzative (segreteria, presidenza…), era il luogo ideale, e a portata di mano, per sperimentare processi di autonomia e integrazione. L’azienda sanitaria locale (AA- S5) e la ASD hanno così sottoscritto una convenzione che prevede che la UET (Unità Educativa Territoriale) venga ospitata a titolo gratuito in cambio di una collaborazione che prevede l’espletamento di semplici mansioni (parte delle pulizie e del riordino, parte della manutenzione del verde e delle strutture…).
L’aspetto saliente di questa esperienza però non si è caratterizzato in questo scambio ospitalità/lavoro, che pure si è prodotto e continua a generare reciproca utilità. L’aspetto più rilevante si è rivelato essere quello su cui meno si potevano accampare pretese o aspettative. Ciò che sopra ogni altra cosa ha determinato il valore di questa esperienza è stata la possibilità concretizzata di generare relazioni positive e naturali, non forzate, non indotte ma spontanee. Così spontanee da non necessitare della mediazione degli operatori per mantenersi vitali. Una delle conseguenze, forse la più inattesa per quanto auspicata, è stata l’estensione della frequentazione ben oltre i limiti dell’orario di operatività del servizio. Una frequentazione spontanea, dettata dal reciproco piacere dell’incontro, che è andata a occupare quello spazio definito tempo libero. Senza entrare nello specifico delle singole situazioni va detto che il fenomeno della gestione spontanea del tempo libero non riguarda tutte le persone a vario titolo coinvolte nel progetto: abbiamo individui che si muovono autonomamente nel territorio utilizzando il trasporto pubblico, altri che vengono impediti dal farlo dalla famiglia, livelli di funzionalità eterogenei, età, esperienze e interessi diversi. Tutte circostanze che determinano ovviamente risposte non omogenee. Le persone più indipendenti, con maggiore propensione all’iniziativa, hanno però avviato relazioni, non dipendenti dal progetto e non mediate dagli operatori, con gli attori non istituzionali (gestori della Club House e collaboratori della ASD) entrati a far parte della loro quotidianità. Così ormai da qualche anno sugli spalti del campo di gioco a fare il tifo per la squadra di casa ci sono le persone con cui lavoriamo, lì allo stesso titolo di tutti gli altri tifosi e con lo stesso scopo: godersi qualche ora di sport la domenica pomeriggio.
Se dovessimo assumerci il rischio di sintetizzare la richiesta che ci viene fatta dall’utenza, alla luce dell’esperienza in cui abbiamo investito tutte le nostre energie negli ultimi tre anni, potremmo esprimerla in una parola ambigua, temuta, spesso evitata da chi lavora in questo ambito: normalità. Quello che ci viene chiesto, e quello che insieme abbiamo generato, è una normale esperienza di vita e di relazione, dove ogni componente si sente finalmente libero di esprimere gusti, inclinazioni, interessi, affetti… come dovrebbe accadere in qualsiasi mondo ideale.

5.3. Voglio uscire!
di Rita Bagnoli, Cooperativa Solaris di Carate Brianza

Al centro di questa esperienza due elementi interessanti: i volontari come primi interlocutori per l’attivazione di relazioni non educative e il più possibile aperte; il protagonismo della persona disabile che ha la possibilità di avanzare proposte attorno alle quali aggregare l’interesse di altri.
Il Servizio Valore Volontario nasce come risposta alle esigenze di tempo libero per le persone con disabilità giovani e adulte che presentano la richiesta, anche attraverso i loro genitori (sollievo familiare), di poter fare qualcosa durante il proprio tempo libero.
Una richiesta che si trasforma nel perno della filosofia del servizio, la risposta a una banale esigenza spesso negata: “Voglio uscire!”.
Fin da subito è stata necessaria una segreteria in grado di raccogliere le richieste delle persone disabili e rendere possibile la loro trasformazione in un atto concreto: l’incontro tra un volontario e una persona disabile che vede il realizzarsi di un piccolo sogno.
Il Servizio Valore Volontario intende configurarsi come servizio sociale e non come semplice agenzia di tempo libero. La sua struttura è modellata in modo da poter accogliere le richieste di aiuto da parte di persone in situazione di disagio, analizzarne i bisogni, adoperarsi per dare una risposta e adeguarsi alle diverse nuove necessità.
Le proposte che il Servizio effettua sono attività inserite nel contesto sociale presso le normali agenzie di tempo libero (pizzerie, discoteche, birrerie, ecc.) e quest’ultimo aspetto è il segno distintivo dell’idea alla base dell’organizzazione. Non vengono organizzate attività presso la sede delle associazioni appartenenti, che vengono utilizzate esclusivamente come un ufficio organizzativo, ma ci si rivolge esclusivamente, salvo rare eccezioni, alle offerte che il territorio e la città mettono a disposizione.
Il Servizio, insomma, vuole riproporre e avvicinarsi il più possibile alla normalità sociale.

I principi cardine su cui poggia tutta l’attività sono:

  • il tempo libero è un “diritto” fondamentale: negare questo significa togliere alla persona uno spazio importante di vita, di crescita e di espressione di sé. Stabilire che il tempo libero sia un diritto sgombra il campo da parole come “possibilità” o “opportunità” e fissa un principio che sancisce l’importanza e l’inviolabilità dello spazio di tempo libero per le persone con disabilità;
  • la persona disabile è una persona sotto tutti gli aspetti: portatrice di sentimenti, desideri e bisogni, è titolare di diritti e di doveri. Proprio per questo bisogna riconoscere, nella diversità che caratterizza tutte le persone, lo stesso diritto a soddisfare bisogni e interessi anche legati alla voglia di svagarsi e divertirsi. È un principio importante perché ha permesso di intraprendere iniziative per la promozione del diritto al tempo libero e alla libera circolazione e fruizione degli spazi cittadini e non;
  • il rispetto dell’individuo: è il valore necessario e fondamentale per riconoscere e valorizzare la diversità, l’originalità e la soggettività. Questo concetto deve essere applicato tanto ai soggetti con disabilità, quanto ai volontari. Spesso il volontario, infatti, in nome di una sorta di identificazione come persona sana, buona e fortunata, è portato ad aiutare l’altro dimenticando se stesso, le proprie esigenze e i propri limiti cercando di esaudire tutte le richieste.

In una relazione con una persona disabile questo atteggiamento, tutt’altro che equilibrato ed equo, non fa che confermare il disequilibrio della relazione, la disparità delle condizioni dove il sano è colui che aiuta, accontenta l’altro e, a volte, addirittura si sostituisce a lui mentre il disabile è colui che deve essere aiutato, in continua condizione di dipendenza e che non può fare altro che adeguarsi a questo ruolo, pena la perdita del ruolo del volontario.

Un equilibrio delicato
Uno degli aspetti più controversi e pieno di contraddizioni è quello del diritto al tempo libero in relazione con l’aspetto delicato e importante dell’incontro tra la persona disabile e il volontario, senza il quale crollerebbe l’impianto del Servizio.
La figura del volontario rappresenta indubbiamente l’elemento di primaria importanza sia per la possibilità di effettuare le attività che per l’originalità della sua figura.
Attraverso un’uscita si realizza la possibilità di allontanarsi dal contesto familiare permettendo la crescita, favorendo il normale passaggio all’adultità e la concretizzazione di quello spazio di confronto con persone non guidate da un’intenzionalità educativa, con cui potersi misurare e dove poter esercitare finalmente piccole o grandi scelte.
Durante quell’uscita il volontario è un compagno di serata, una persona che decide di condividere del tempo insieme ad altre per un interesse comune. Quello che succede tra queste persone dipende direttamente dalle persone coinvolte.
Si allaccia, a questo punto, un’altra considerazione, centrale per il Servizio: il tempo libero diventa un ambito di vita, il più possibile vicino alla realtà di tutti i giorni, di conseguenza non può essere troppo protetto o filtrato.
Riassumendo possiamo definire la proposta del Servizio come quello spazio dentro il quale avviene la cosa più importante, cioè la relazione tra la persona con disabilità e il volontario. Questo incontro può esaurirsi nello spazio della serata o può svilupparsi nel tempo e quindi acquisire un valore non predefinito.
Un’altra riflessione riguarda lo strumento principale che il Servizio ha identificato come facilitatore dell’incontro tra volontario e utente: il divertimento.
Elemento costruttivo del tempo libero, il divertimento avvicina in maniera più soft, ma a volte più efficace le persone tra loro. Avere la possibilità di conoscere la persona con disabilità come capace di divertirsi e far divertire ci permette – e lo permette anche alla persona disabile stessa – di cambiare la percezione stereotipata.
La persona con disabilità è generalmente abituata a rapportarsi con persone “specializzate” (medici, fisioterapisti, educatori, psicologi, ecc.), in relazioni finalizzate alla cura e spesso fatica a impegnarsi in un rapporto diverso dove è chiamato a farsi conoscere e apprezzare per come è e per come è capace di essere.
Compiere queste azioni o avere la consapevolezza che si potrebbero compiere e ri- cercare come compierle, è un fattore altamente educativo per la nostra utenza, oltre a favorire la conquista di autonomia.

Organizzazione e operatività del Servizio
È estremamente importante iniziare la descrizione dell’operatività del servizio dai suoi utenti. Le proposte, infatti, nascono e si evolvono partendo dalle caratteristiche specifiche degli utenti che ne fanno richiesta, il tutto in una data situazione culturale e territoriale.
L’utenza del servizio è molto eterogenea per il tipo di disabilità, per la sua gravità e per i percorsi istituzionali effettuati.
L’età minima di ammissione degli utenti è diciotto anni mentre non è prevista una età limite. Questo per due fondamentali motivi: è necessario che la persona disabile sia maggiorenne e quindi abbia la capacità e possa assumersi la responsabilità di prendere decisioni mentre la non esistenza di un limite massimo è dovuto al fatto che crediamo che se una persona vuole e può divertirsi, l’età non debba essere un fattore discriminante. Per scelta dello staff operativo il Servizio è aperto a utenti del nostro territorio, cominciando da chi è già conosciuto all’interno dei nostri servizi.
I modi e le strade per arrivare al Servizio possono essere diverse:

  • attraverso una segnalazione da parte dell’operatore del servizio di appartenenza, il quale valutando l’idoneità della persona, segnala la possibilità di accedere al nuovo servizio e nel caso in cui la persona disabile sia interessata, si procede con l’incontro con gli operatori di Valore Volontario;
  • attraverso il passa parola, alcune persone contattano direttamente il servizio dicendosi interessate;
  • altri, invece, arrivano dopo lunghe ricerche presso uffici e sportelli informativi.

Per accedere al Servizio è necessario sostenere alcuni colloqui con gli operatori durante i quali, dopo aver valutato l’idoneità, si traccia un profilo dell’interessato arrivando a formulare una proposta di inserimento adeguata alle caratteristiche e alle preferenze della persona stessa. Inoltre vengono spiegate le modalità di utilizzo, le diverse possibilità, le regole.
Il Servizio, per ovvi motivi di sicurezza e organizzazione, limita l’ingresso ad alcune tipologie di persone disabili e questo perché realizzando attività in locali pubblici e in situazioni di grande contatto con persone è necessario salvaguardare la sicurezza e la tranquillità durante le uscite. Ricordiamo che la serata viene gestita solamente dai volontari (e non da educatori) che potrebbero non essere sufficientemente preparati alla gestione di casi gravi.
Per quanto riguarda le attività possiamo distinguere tre diversi filoni:

  • le uscite serali su richiesta: sono tutte le domande di uscita che le persone iscritte al Servizio rivolgono agli operatori. Per poter accedere a questa possibilità è necessario che la persona con disabilità contatti (personalmente, per telefono o con la posta elettronica), la segreteria effettuando la richiesta (che può essere più o meno specifica). La domanda accolta dalla segreteria, diventa la proposta di uscita per i volontari che hanno dato la loro disponibilità e che possono accettare o meno a seconda dei propri gusti e interessi. Le uscite possono essere singole o di gruppo. Sono le richieste degli utenti a essere i motori del servizio, generalmente si tendono a creare piccoli gruppi di 5 persone (1 auto) o una decina di persone in tutto (2 auto), salvo casi eccezionali come feste o compleanni;
  • i gruppi fissi: si tratta sempre attività di uscita serale, ma si distinguono in quanto sono veri e propri gruppi composti sempre dagli stessi volontari e dagli stessi utenti. Non hanno quindi una storia limitata a una uscita, ma diventano un punto di riferimento stabile almeno per l’arco dell’anno;
  • gli appuntamenti: al contrario delle uscite su richiesta, in questo caso si tratta di attività proposte dal Servizio e alle quali sia i volontari sia gli utenti possono aderire liberamente. Comprendono uscite pomeridiane, uscite serali speciali, gite, weekend, vacanze e feste. Sono spazi che si mantengono per diversificare il tipo di attività proposte e il loro contenuto.

Ormai da qualche anno il progetto prevede anche l’offerta di vacanze o weekend per tutti gli iscritti che ne fanno richiesta. Si cercano di soddisfare tutte le esigenze e di formare piccoli gruppi (7/8 persone al massimo) con un educatore e alcuni volontari.

Gestione del Servizio
Il Servizio Valore Volontario è gestito, attualmente, da due educatori professionali che si occupano essenzialmente della programmazione.
Operativamente i due educatori fanno riferimento a due ambiti diversi: Carate Brianza per Cooperativa Solaris e Lissone per Associazione Stefania. Gli operatori svolgono la regia per l’organizzazione dell’uscita e permettono così l’incontro che consentirà alle persone, disabili e non, di vivere esperienze di tempo libero. Per un operatore è necessario e importante acquisire conoscenze su tutte le persone pre- senti nel Servizio. Alcuni volontari, oltre alle normali attività, si rendono disponibili come supporto alla parte organizzativa.
La funzione dell’educatore nel Servizio Tempo Libero non si risolve solo nella progettualità, ma si sviluppa nella gestione delle richieste, nella formazione dei volontari, nell’incontro con le famiglie, nel continuo monitorare l’andamento del progetto rispetto alle proprie finalità e in tutte le attenzioni che una struttura complessa come questa necessita.
È inoltre l’operatore che, monitorando le possibili offerte, elabora progetti e ricerca i finanziamenti necessari alla copertura delle attività, progetta e realizza gli eventi di formazione, cura le campagne di ricerca volontari e il progetto delle vacanze a cui partecipa.
I volontari rappresentano indubbiamente la principale risorsa e paradossalmente, pur trattandosi di un servizio destinato e rivolto alle persone con disabilità, sono anche le figure che richiedono un maggiore investimento da parte degli operatori.
Rappresentano l’anima stessa del servizio e il fondamento della metodologia basata sulla relazione spontanea tra persone.
I volontari sono i primi realizzatori dell’integrazione delle persone disabili nel tempo libero, sono coloro con i quali gli utenti sperimentano relazioni spontanee e paritarie.
Al volontario vengono sottoposte mensilmente le proposte delle persone con disabilità (cinema, pizzeria, discoteche, concerti, ecc.) e ognuno, sulla base dei propri interessi, aderisce o meno. In pratica al volontario viene chiesto un impegno per un solo incontro mensile, con richiesta di fare cose normali e abituali e di provare a condividerle con le persone con disabilità.
Al centro di tutto rimane la relazione intesa come possibilità e opportunità d’incontro tra persone.
Come già evidenziato più volte, la formazione riveste particolare importanza nella gestione dei volontari. Pur ribadendo l’assenza di finalità educative e la non intenzionalità, la formazione consente la trasmissione di nozioni e modi di pensiero oltre che conoscenze pratiche utili durante le attività. Obbligatorio pertanto, per chi volesse fare il volontario, la partecipazione a un corso annuale e a serate di approfondimento.

5.4. Sperimentarsi nel quotidiano
di Leila Rumiato, Cooperativa Itaca di Pordenone

Una buona prassi è quella dei territori, intesi come reti di soggetti che collaborano su diversi livelli offrendo servizi spesso alle stesse persone, e che sollecitano le realtà della cooperazione sociale (che ovviamente di quei territori sono parte) perché immaginano risposte il più specifiche possibili. Ecco due esempi di progetti rivolti a persone con disabilità medio-grave.
Nati dalla sollecitazione dei servizi territoriali, delle famiglie e degli utenti di alcuni servizi alla disabilità adulta, si sono concretizzate due progettualità di tempo libero (Progetto Durante Dopo Noi e Gruppo Tempo Libero) il cui obiettivo principe è la socializzazione in ottica di contrasto della solitudine e dell’emarginazione, la partecipazione alla vita della propria comunità locale e allargata, attraverso il riconoscimento e il lavoro in gruppo di pari così da qualificare il tempo libero delle persone con disabilità, favorendo contesti aperti e destrutturati (diversamente da quanto avviene durante la settimana, nel corso della quale le persone con disabilità si trovano inserite in un contesto di centro diurno).
Entrambe le progettualità sono inserite entro una più ampia cornice progettuale in rete, orientata alla creazione di azioni di Cittadinanza attiva, attraverso la co- progettazione tra Enti Pubblici del Pordenonese (Ambito socio-assistenziale 6.4, Azienda Aas5, Comune di Maniago, Comune di Sequals) e Terzo Settore (Cooperati- va Itaca Pordenone), in collaborazione stretta con altri servizi territoriali quali la Comunità alloggio casa Carli1, Gruppo appartamento Il Girasole2, progetto UET So- limbergo3 e altri Servizi educativi territoriali.

Perché progetti di “tempo libero”?
Frequentemente il tempo libero della persona disabile rischia di essere vissuto, percepito, concepito come “tempo vuoto” rispetto ad altre “attività” occupazionali di vario ordine e grado; inoltre le persone con disabilità cognitiva, quand’anche lieve, si trovano nella difficoltà di poter mantenere la loro partecipazione a un gruppo di pari che spesso risultano “troppo veloci”, “troppo impegnati”, “poco disponibili” rispetto alle reali esigenze della persona con disabilità.
E ci si dimentica che, prima di essere disabili, esse sono persone con abilità e risorse importanti, attuali e attualizzabili, che troppo poco hanno la possibilità di potersi sperimentare nel quotidiano in situazione di pariteticità.

Quali gli obiettivi?
Nella progettazione dei due percorsi (DDN e GTL), è stato chiaro da subito che gli obiettivi di servizio si intersecavano con gli obiettivi personali e individuali.
Possiamo sintetizzare gli obiettivi di lavoro in linea generale, in tre dimensioni:

  • individuali, per lo sviluppo del benessere emozionale, del benessere fisico, l’incremento delle risorse personali, potenziamento dell’empowerment soggettivo, ampliamento dell’autonomia personale;
  • di gruppo, quali la promozione e/o mantenimento delle abilità/competenze relazionali, promozione delle competenze comunicative e di ascolto attivo, inclusione sociale, aggregazione;
  • trasversali, come prosocialità, cittadinanza attiva, attività e partecipazione.

Naturalmente tali obiettivi sono stati diversamente calati sulla realtà di gruppo (due gruppi molto differenti) che abbiamo incontrato.

Progetto Durante Dopo Noi (DDN)

Il progetto è rivolto a persone adulte, con disabilità grave (cognitiva e fisica), che durante la settimana frequentano attività di centro diurno o occupazionali. L’idea progettuale che ha guidato il gruppo di lavoro è quella di consentire, pur nella “gravità” della disabilità, alla persona il diritto/dovere di essere soggetto attivo, impegnato in un proprio percorso di abilitazione che ne valorizzi al meglio tutte le potenzialità di sviluppo, inclusione, interdipendenza con la rete comunitaria e sociale in cui vive, superando la prospettiva infantilizzante – che vede il disabile, specie se grave, come l’eterno bambino da accudire e proteggere – per lasciare spazio a una visione volta all’adultità-possibile, promuovendo la valorizzazione della persona in quanto tale, offrendole un sostegno all’autonomia e arricchendo le sue opportunità di sperimentarsi.
Data la compromissione dovuta al grado di disabilità, si è scelto di organizzare due piccoli gruppi di 4/5 persone con tre operatori di diverse professionalità (1 educatore e 2 addetti all’assistenza), in modo che potessero trovare risposta sia le esigenze più socializzanti che quelle relative alla cura della persona in ottica di massimo rispetto della dignità.
Il gruppo, che si incontra nelle giornate di sabato e domenica (a weekend alterni) presso uno spazio messo a disposizione dal Comune di Maniago, vive e si sperimenta in una dimensione puramente ludica e relazionale, in uno spazio “fuori casa” che diventa il paese in cui essi risiedono e tutta la zona limitrofa, spingendosi anche fino al luogo di provincia più vicino; parole d’ordine “viversi il proprio tempo libero!”.
E così, iniziando da una colazione al bar tutti insieme, il gruppo stabilisce di volta in volta degli itinerari e/o delle attività che consenta loro di potersi vivere pienamente una giornata in compagnia, leggerezza e divertimento, “essendo paese”, “facendo paese”, ma anche svolgendo in gruppo quelle “normali attività” quali una chiacchierata al centro commerciale, un picnic nel parco o un buon pranzo a una sagra, escursioni sul territorio o ancora godersi un bel film al cinema… insomma, “niente di speciale…” e tuttavia tutta quella speciale normalità troppo spesso negata alle persone con disabilità grave. Il progetto ha altresì consentito ai famigliari delle persone inserite, di riappropriarsi di spazi propri, nella sicurezza e nella gioia di poter sapere il proprio figlio/familiare viversi la propria “normale-possibile-adultità”.
Gli operatori coinvolti sono chiamati a riconoscere la complessità dell’azione inclusiva e ad agire il proprio ruolo in un processo più ampio e globale, con un’attenzione a cogliere e rimuovere gli ostacoli che frenano o impediscono i processi inclusivi. In questo senso, l’operatore viene chiamato a favorire progettualità che si adattino alle persone rimettendo al centro le relazioni tra esse e la comunità di appartenenza, per favorire opportunità di esperienza sociale il più aderenti possibile al progetto di vita della persona stessa. Per raggiungere tale obiettivo, è fondamentale dapprima analizzare i bisogni, le aspettative e i desideri di ciascuno, manifesti o meno, e provare a individuare risposte che, oltre ad essere individuali e personalizzate, risultino anche flessibili.

Gruppo Tempo Libero (GTL)
Il progetto GTL è rivolto a persone adulte, con disabilità lieve e funzionalità medio- alta (con ritardo cognitivo), che durante la settimana sono impegnate in attività lavorative (Borsa lavoro) o in attività occupazionali diurne. L’esigenza di incontrarsi per “fare gruppo” è nata da richiesta diretta di coloro che ne sono diventati i partecipanti in seguito, e che segnalavano di vivere un senso di solitudine e isolamento che li faceva molto soffrire. I tentativi di aggregarsi a gruppi di coetanei erano per lo più falliti e per la maggior parte di loro si era strutturato un vissuto di esclusione e un senso importante di inefficacia e incapacità relazionale. Dalle osservazioni raccolte nei luoghi di lavoro o occupazionali, emergeva altresì una reale incompetenza o scarsa competenza relazionale, che probabilmente li aveva nel passato posti in situazioni di disagio.
Si è pertanto deciso di avviare il gruppo con la presenza di due operatori qualificati (una psicologa e un educatore) con il compito di facilitatori sia della comunicazione, che di eventuali pianificazioni e programmazioni si fossero resi necessari. Una delle maggiori difficoltà riscontrate nei componenti del gruppo era infatti risultata proprio la capacità di pianificare e/o programmare in maniera autonoma ed efficace, una qualunque uscita o attività di gruppo.
Al fine di rendere tutti i partecipanti responsabili della propria crescita e del proprio tempo, si è proceduto inizialmente con incontri individuali così da raccogliere e concordare con ciascuna persona gli obiettivi di lavoro e di crescita nel gruppo, e per i quali il gruppo avrebbe rappresentato uno strumento e uno spazio/occasione di sperimentazione. Durante tali incontri, ciascuna persona è stata guidata a individuare una propria risorsa da mettere a disposizione del gruppo. Successivamente, in gruppo sono state definite le regole di partecipazione e gli obiettivi comunitari.
Parola chiave “autodeterminarsi e crescere insieme” .
Durante i primi incontri sono emerse immediatamente diverse tematiche “calde”, che il gruppo ha voluto condividere proprio con l’intento di imparare a conoscersi (nel duplice significato e senso di conoscere se stesso e di conoscere gli altri componenti del gruppo): sofferenza comune per un passato di frequente bullismo subito; interesse alla dimensione affettiva e di sessualità; desiderio di sperimentarsi in uscite di gruppo di vario grado.
La scelta degli operatori è stata quella di orientarsi verso il cooperative learning, affinché il gruppo potesse diventare risorsa per il singolo e il singolo rappresentare risorsa per il gruppo. Tale scelta metodologica punta a incentivare i partecipanti ad agire “da adulti”, rendendoli sempre più protagonisti della propria vita. Per questo nei primi mesi si è scelto di lavorare su quelli che sono i principali compiti di sviluppo della persona verso l’adultità ma che risultavano compromessi nella maggioranza se non totalità delle persone coinvolte: fiducia di base, ovvero acquisizione e interiorizzazione di una “base sicura” da cui poter partire ed esplorare l’ambiente e sperimentarsi in nuove relazioni (in questo senso il gruppo poteva rappresentare una nuova base da cui partire); appartenenza ovvero il sentirsi accettato e sviluppare il senso di “far parte di…”; accettazione di sé intesa come capacità di darsi valore all’interno delle relazioni. Durante tutto il percorso iniziale (che si è definito più lungo di quanto al principio ipotizzato), i partecipanti sono stati coinvolti sia in attività ludiche (“aperitivi insieme”) che di riflessioni personali e interpersonali, sempre con l’obiettivo di crescita e condivisione. Importante è stato costruire un rapporto di fiducia tra i partecipanti in modo che potessero tutti sentirsi accolti e non giudicati per quello che dicono e fanno, avendo la possibilità di dare libera voce ai propri bisogni e desideri, diversamente da quanto spesso accade nel contesto lavorativo e familiare.
Dopo qualche mese, è stato possibile assistere ad attività di gruppo “autogestite” (seppur spesso supervisionata nella parte programmatoria dagli operatori) sempre più spontanee, frequenti e sempre più adeguate. Tuttavia il gruppo, su specifica richiesta dei partecipanti, ha voluto fortemente mantenere anche la parte dialogica, per confrontarsi su tematiche sempre più “di spessore”. Ne è nato così un percorso che a partire dall’approfondimento delle esperienze di bullismo subìto, ha affrontato tematiche sulle emozioni, sulle relazioni amicali, personali, fino a tematiche più propriamente legate alla sessualità. Il tutto condito da momenti ludici per lo più promossi dagli stessi partecipanti (caffè, aperitivi, pizze, balli insieme, ecc.) fino alla volontà di sperimentarsi, come gruppo in attività di ballo caraibico o programmare una “lista uscite” per tutto l’anno, che prevedessero sia uscite in autonomia (ad esempio sagre o escursioni sul territorio) che viaggi maggiormente impegnativi che richiedono il supporto di un operatore presente.
L’intervento educativo richiesto ai facilitatori in questo percorso (a differenza del DDN) si attua, in questo senso, attraverso l’instaurarsi di una relazione basata sulla fiducia, sulla confidenza, sull’empatia nonché sull’accettazione della personalità altrui, aiuto a reagire in maniera positiva alle sollecitazioni e ai cambiamenti e stimolo all’autovalutazione. Essenziale la disponibilità all’ascolto e all’accoglienza, in una posizione di “provocatore di pensiero”, ma nell’attenzione a “non sostituirsi” mai all’altro: l’operatore può aiutare la persona a raggiungere la piena autodeterminazione non solo realizzando percorsi in cui insegni a saper fare, ma anche creando opportunità di crescita emotiva e di supporto/promozione/sperimentazione delle proprie competenze relazionali.
In prospettiva futura si prevede di promuovere la massima autonomia nella gestione del proprio tempo libero e dare maggior spazio nell’affrontare tematiche di rilievo e/o di sofferenza e/o di crescita personale e/o di ruolo sociale su argomenti specifici. Si è inoltre costruita l’opportunità di collaborare con la scuola per progettare un percorso di prevenzione al bullismo in cui i partecipanti al GTL possano sperimentarsi come peer educator con i ragazzi delle scuole elementari e medie, raccontando i propri vissuti e le proprie esperienze, anche al fine di esorcizzare la posizione di “vittima” vissuta e sperimentata per molto tempo.

5.5. F.I.E.S.T.A.
di Roberto Parmeggiani

Quest’ultima esperienza mette al centro un aspetto abbastanza innovativo: la collaborazione di diverse associazioni impegnate sul medesimo territorio. Questo aspetto, a volte critico per la fatica di uscire dal proprio contesto di riferimento, ha però permesso di mettere in rete energie e progettualità nuove che individualmente sarebbe più difficile realizzare.
Il progetto F.I.E.S.T.A. (Fare Inclusione E Socializzazione Tramite Autodeterminazione per essere davvero liberi nel tempo libero) nasce all’interno del Comitato di progettazione integrata per la disabilità (COPID) organismo nato a Bologna allo sco- po di aprire un tavolo permanente di confronto tra i servizi sociali e sanitari e le associazioni di disabili e/o dei loro famigliari “finalizzato alla co-progettazione e alla condivisione di interventi innovativi su bisogni specifici del disabile”. Più in generale, obiettivo del COPID è quello di “contribuire allo sviluppo di una società solidale – si può leggere nel regolamento – in cui i diritti siano esigibili, in cui sia rafforzata quella coesione sociale che da sempre caratterizza la comunità locale e che rappresenta una risposta unitaria ai bisogni delle persone con disabilità e delle loro famiglie”.
Le funzioni principali del comitato sono quelle di stimolare e rafforzare una cultura di inclusione sui temi della disabilità, favorire la sperimentazione di buone prassi, promuovere la co-progettazione di rete e facilitare l’integrazione tra diversi servizi. In particolare, svolgerà il suo ruolo soprattutto attraverso azioni di progettualità, attiva e concreta, sviluppata in modo partecipato e integrato.
Le associazioni, oltre trenta, inizialmente coordinate dalla direzione Sociosanitaria del Distretto, hanno individuato alcune aree di intervento – area benessere, area sostegno, area autonomia, area formazione, area tempo libero – a partire dalle quali, divise in sottogruppi, hanno co-progettato interventi che potessero rispondere ai bisogni delle persone con disabilità in generale.
Quelle che si sono occupate in particolare di tempo libero – Aias onlus; Anffas; Centro Documentazione Handicap; Comunità dell’Arca – Arcobaleno, Passopasso; Agfa; Gli amici di Luca Onlus; DiDi ad Astra; Fondazione Gualandi a favore dei Sordi; Associazione Noi Insieme a Sherazad – dopo un percorso in cui hanno condiviso i bisogni legati al tema individuando come prevalenti quelli relativi all’occupazione del fine settimana, hanno sviluppato un percorso laboratoriale cercando di differenziare l’offerta in modo da raccogliere il maggiore interesse possibile. Oltre a quattro laboratori e a un servizio di sovra titolazione di spettacoli teatrali, sono stati preventivati alcuni eventi pubblici che avevano l’obiettivo di coinvolgere persone del territorio favorendo così inclusione e socializzazione.
Le diverse proposte, che hanno visto la partecipazione di circa trenta persone adulte con disabilità, di età variabile, si sono svolte il sabato pomeriggio alternandosi in modo da consentire a chi interessato di partecipare anche a più attività.
Il laboratorio teatrale e quello di danza aveva l’obiettivo di utilizzare l’espressione artistica come strumento espressivo capace di sviluppare nei partecipanti diverse competenze cognitive e comunicative, facilitando la socializzazione tra i membri del gruppo e la capacità di porsi in maniera creativa verso se stessi e gli altri.
Il laboratorio comunicare-cucinando, attraverso un vero e proprio corso di cucina e l’uso della scrittura in simboli per tradurre e rendere più accessibili le ricette, ave- va l’obiettivo di sviluppare abilità manuali, competenze cognitive e comunicative favorendo la relazione in un contesto piacevole e rilassato.
Nel gruppo Network i partecipanti hanno avuto l’occasione di migliorare le competenze di utilizzo dei social network con l’obiettivo di documentare, presentare e divulgare le esperienze dei diversi laboratori.
Il servizio di sovra titolazione, infine, ha permesso di rendere più accessibili alcuni spettacoli teatrali realizzati presso il teatro Arena del Sole di Bologna.
Il COPID, nato come sperimentazione per l’anno 2016/2017, continuerà la sua attività, anche in relazione con il Distretto Sociosanitario pur mantenendo la propria autonomia per ciò che riguarda la scelta delle aree di intervento e delle azioni attraverso le quali rispondere ai bisogni espressi.



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