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10-La carne e i circuiti

Umano è. Come la fantascienza racconta l’universo-handicap

Ne derivano queste assai impegnative domande: c’è e, se sì, qual è questa essenza? Chi e come stabilisce il limite oltre cui un cyborg non è più un essere umano? Ovvero, per estremizzare il discorso: è possibile o presto lo diverrà sostituire/modificare mani, gambe, denti, fegato, cuore, occhi, parte dello scheletro, le vene, grandi quantità di pelle… cosa rimane? Qual è il limite estremo? La sfi ha già immaginato (almeno dall’inizio del ‘900) un cervello umano che "vive" all’interno d’una scatola metallica-tecnologica oppure che viene trapiantato in un corpo interamente nuovo, che potrebbe anche non essere organico. Par di capire, a noi profani, che ingegneria genetica e robotica – insieme oppure ognuna per conto suo – non siano vicine a rendere ciò fattibile a breve ma ben pochi fra gli scienziati escludono che alla lunga ci si arriverà. Quel giorno proveremo paura o ammirazione? Ne segue un altro interrogativo, dopo aver preso atto che già abbiamo visto coniugare tecnologie e barbarie; ci sarà, quel giorno, chi (in nome di un’ideologia o d’una religione?) si metterà a misurare – con la bilancia d’un allegorico macellaio – la quantità di carne e di circuiti nei nostri corpi per poi rilasciare – o meno – una patente di "umanità"?
Quanti circuiti ci vogliono per "fulminare" l’anima o l’essenza umana? O, se preferite riformulare le domande avanzate sopra in termini seri e in una frase secca: cosa fa di noi esseri umani? Dato che qui il nostro argomento-principe è la fantascienza, seguiremo il ragionamento-racconto di un suo "guru", Isaac Asimov, nel bellissimo L’uomo bi-centenario da cui è stato tratto un mediocre film(34).

Andrew Martin si appresta a un’operazione chirurgica "indubbiamente pericolosa". Esita il medico-robot che lo deve operare: oltretutto, nei suoi circuiti è stata inserita una "legge" che gli impedisce di arrecare danno a un essere umano(35). "Ma io sono un robot" gli dice Martin. Dopo questo veloce colpo di scena, Asimov ci racconta – in un lunghissimo flasback – la vicenda di questo insolito robot sotto i ferri. Preso per fare il maggiordomo e giocare con la bambina della famiglia Martin, per caso Andrew rivela insolite doti artistiche. "Un difetto di fabbricazione" spiegano i costruttori (della Us Robot) quando viene loro sottoposto il caso. Gli oggetti scolpiti da Andrew piacciono, vengono venduti e il suo "padrone" gli apre un conto in banca: servirà per le "riparazioni". Dopo molti anni, Andrew si presenta al suo "padrone" con i 600mila dollari guadagnati vendendo le sue opere d’arte e gli chiede di accettarli "in cambio di qualcosa che solo voi potete darmi… la mia libertà". Si apre una complessa questione giuridica e simbolica, anche perché fra gli umani è forte l’ostilità verso i robot ("ci rubano il lavoro" è una frase che forse avete sentito anche in altri contesti). In tribunale, il giudice chiede ad Andrew che differenza farebbe per lui essere libero, se già ora il suo "padrone" gli lascia totale autonomia. "Forse niente, vostro onore, ma farei tutto con maggiore gioia. In quest’aula ho sentito dire che solo un umano può essere libero. A me pare invece che chiunque lo desideri dovrebbe poter essere libero". E fu questo – spiega Asimov – a convincere il giudice che nella sentenza scrive: "Non abbiamo il diritto di negare la libertà a un "oggetto" dotato di una mentalità così progredita da comprendere il concetto e desiderarne la condizione". Forse oggi, nel nostro mondo cosiddetto reale, parleremmo del diritto universale di cittadinanza.
Esiste però ancora una palese contraddizione fra quella definizione ("oggetto") e la condizione di libertà. La vicenda si snoda attraverso molti interessanti sentieri, narrativi e filosofici. Ma l’essenza – e quel che più appunto c’interessa – è che Andrew riesce a far sostituire il suo corpo di metallo con quello di un androide sperimentale, ovvero "di apparenza umana anche nella composizione della pelle". Passano molti anni e intanto Andrew studia da robo-biologo e disegna "un sistema che consenta agli androidi (cioè a me) di trarre energia dai carbo-idrati invece che da una batteria atomica… in parole povere di mangiare per alimentarsi. Se lo fa impiantare e l’esperimento riesce. È sempre più umano ma continua a escogitare "congegni capaci di trattare cibo indigesto e di espellerlo" e perfino organi genitali. La domanda che gli viene posta è sempre la stessa: perché desidera "peggiorare" il suo corpo così efficiente? Immutabile la risposta: voglio diventare un essere umano. E infine Andrew chiede di essere riconosciuto come tale. Questa nuova battaglia giuridica è molto più difficile della precedente… Il lungo flashback è concluso. Andrew è sul tavolo del chirurgo e gli ordina di eseguire l’intervento. L’ operazione riesce e rende mortali le sue cellule cerebrali, l’unica parte del corpo che non può essere sostituita. Ora Andrew è umano. "Quella sua ultima azione accese la fantasia dell’opinione pubblica. Tutto quello che aveva fatto prima non aveva commosso nessuno ma quando decise di morire, pur di essere dichiarato umano, il suo sacrificio fu troppo sublime per essere ignorato".
Sorvolando sulla (pericolosa? ambigua?) parola "sacrificio", notiamo che qui Asimov ha inventato una cyborg-izzazione al contrario: una creatura artificiale (e potenzialmente immortale) che sostituisce man mano i suoi circuiti pressoché indistruttibili con "carne" destinata a marcire. "Possiamo avere due classi di cyborg completi: un cervello robotico in un corpo umano oppure un cervello umano in corpo robotico" si commentò Asimov in un articolo. Secondo lui, un cyborg del primo tipo verrà accettato dalla maggior parte della gente come umano, mentre il secondo sarà classificato dai più come robot. Perché questo paradosso? "Dopotutto noi siamo, per la maggior parte della gente, quello che sembriamo" suggerisce lo scrittore-scienziato. Poi vista la non piacevole caratteristica (o è una generalizzata abitudine?) della razza umana di temere e perseguitare i diversi, Asimov conclude: "Guardiamo in faccia la realtà. I cyborg avranno i loro guai in ogni caso"(36).
Con questo "vedo nero" di Asimov (insolito in lui, che fu piuttosto ottimista per abito mentale) concordano molti scrittori di sfi. Vediamone un paio illustri. Il lungo racconto Fra tutte le donne nate di Catherine Moore(37) è un antenato del genere cyborg visto che fu pubblicato nel 1944; ci trascina nel dilemma di Deirdre, danzatrice "distrutta" in un incendio e pazientemente ricostruita: "Così questa sono io – disse -. Metallo, ma io. E lo divento sempre più a mano a mano che ci vivo dentro." E poi commenterà: "Una specie di mutazione, a metà strada fra il metallo e la carne (…) Immagino di essere super-umana", ma c’è un limite: "Il mio cervello si consumerà, entro una quarantina d’anni, non mi piace pensarci". Non del tutto assonante è uno dei padri della moderna sfi, Frederik Pohl(38) che scrive: "Non è facile per un essere di carne e sangue rassegnarsi all’idea che una parte del suo corpo sta per essere sostituita da acciaio, rame, argento, plastiche, alluminio e vetro". Più tranquillo Varley prima citato: in Millennium, un bellissimo romanzo(39) che mostra persino l’ambizione di "ricapitolare" la storia della fantascienza, si dice convinto che il futuro sia del cyborg: "Si trapianterà o s’innesterà tutto: arti e organi, gambe, reni, occhi". Al cinema si sono viste più brutture e angosce (soprattutto in senso filmico, ahi-noi) che altro; c’è però anche un tenero cyborg (Johnny Deep) in Edward, mani di forbice di Tim Burton.

Paranoie filosofico-religiose a parte, il vero rischio potrebbe essere che in una società orrendamente classista – come l’attuale – solo i ricchi possano dotarsi di un "magazzino dei corpi", utilizzando non solo le tecniche d’avanguardia ma persino (costerebbero assai meno) gli organi dei poveri fatti appositamente a pezzi. C’è chi nega che ciò sia già accaduto e parla di "leggende metropolitane" ma, pur con le consuete cautele verso chi vede orrori ovunque, esistono dati certi che ciò sia accaduto: fra l’altro le inchieste di alcuni giornalisti su quei villaggi in India dove chiunque può incontrare centinaia di persone che vivono con un solo rene… perché
l’altro è "volato" per pochi soldi in Germania o negli Usa. In questo caso di tratta di uno scenario – forse di massa – che non si colloca nel futuro lontano ma sul confine tra il presente e un domani molto prossimo.




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