Luca è affetto da tetraparesi spastica. Luca Pieri ha 50 anni. Nel 1983 si laureato in Scienze Politiche con il punteggio di 110. Luca è sposato con Carla, conosciuta 16 anni fa a Rimini ad un convegno sull’handicap. Insieme hanno una figlia di dieci anni, Bianca, ma i ragazzi in casa sono due. Con Luca, Carla e Bianca vive anche Andrea, in condizione di affidamento. Non è la prima esperienza del genere per la famiglia Pieri. Ce ne sono state già altre nel corso degli anni. Carla, la moglie di Luca, lavora come assistente sociale. Tutti insieme abitano a Bologna in una casa piena di oggetti, libri e giochi.  Una storia apparentemente normale, che anzi meglio si è articolata nei suoi sviluppi nel corso del tempo rispetto ad altre vicende legate alla disabilità. La malattia non ha impedito a Luca di costruirsi una rete affetti, di avere dei figli, di studiare. Eppure c’è qualcosa che non ha mai ingranato per Luca: il lavoro.
Nella nostra società il lavoro riveste una funzione identificativa, oltre a generare reddito. Come si legge più avanti l’inserimento nel mondo lavorativo per Luca ha rappresentato e rappresenta ancora uno scoglio pressoché insuperato. La sua ricerca di un posto di lavoro, che come previsto per legge dovrebbe trovare positiva soluzione, di fatto non ha mai avuto successo. I tentativi di inserimento sono falliti, nonostante le competenze professionali che Luca è in grado di mettere a disposizione del datore di lavoro.  

Luca partiamo dalla tua vita scolastica. Quali resistenze hai incontrato?
Le resistenze al fatto che io andassi avanti con gli studi provenivano dai miei genitori, e ci sono state fino all’inizio delle scuole superiori. Poi però vista la mia determinazione sono stato aiutato. In particolare dai miei fratelli.
Fino ad arrivare all’università. Come è stato l’approccio con il sistema?
Mi sono iscritto alla facoltà di Scienze Politiche. Frequentavo per tre giorni a settimana. Avevo scelto i corsi che più mi interessavano. Le altre materie le studiavo a casa. Una cosa che mi sembra importante sottolineare è che con i professori non mai avuto particolari problemi. E ho sempre trovato la loro disponibilità nel rispettare i tempi più lunghi a me necessari per sostenere gli esami.
Luca, nel passaggio dalle scuole superiori verso l’università, hai cercato di lavorare?
Fino alla fine dell’università non mi sono posto il problema del lavoro, almeno inteso come attività retribuita. Ero impegnato come volontario all’interno dell’Aias (Associazione italiana assistenza spastici).
Dopo esserti laureato con ottimo punteggio, si presenta il problema di inserirsi nel mondo del lavoro. Cosa fai, come ti muovi?
Intanto, era abbastanza chiara la consapevolezza, che se era stato relativamente semplice studiare, sarebbe stato molto più difficile trovare una occupazione stabile, riconosciuta e retribuita.
Mi sono iscritto al collocamento obbligatorio, e partendo da quella iscrizione ho fatto una serie di tentativi di inserimento lavorativi in diverse aziende bolognesi. Come la Sasib, per citarne una. Questi tentativi sono abortiti sul nascere. Le aziende mi offrivano soldi per rinunciare al mio posto di lavoro.
Sotto che forma, in che modo ti offrivano denaro? Uno stipendio per stare a casa?
La maniera più diffusa era quella di offrire un indennizzo per la mancata assunzione. Di questo non ero proprio contento, tanto che una volta tentai di fare causa all’azienda che non voleva prendermi in carico. Il pretore ha dato ragione all’azienda!
Con che motivazioni?
Semplicemente: non era possibile trovare una mansione a me adeguata.
Qualche esperienza positiva?
Interessante invece è stata l’esperienza con la casa editrice Il Mulino. Lì c’erano delle difficoltà oggettive di collocamento in azienda, però da parte de Il Mulino c’è stata una disponibilità significativa per realizzare una collaborazione improntata sul lavoro a domicilio. Mi venivano dati dei testi da correggere, materiale cartaceo da trasformare in file e da mettere a punto. Erano traduzioni a cui dare anche una certa forma grafica.
Questa esperienza continua ancora?
No, purtroppo per un periodo non mi è stato possibile lavorare, e quando mi sono ristabilito, quel tipo di collaborazione non era più praticabile.
Cosa fai a questo punto?
C’è l’esperienza in Comune. Lì ero stato assunto con un contratto a termine di 45 giorni per ritirare le dichiarazioni dei redditi. Ma si trattava di una mansione che non potevo assolvere, e sono stato incaricato di inserire dei dati in un archivio elettronico.
Ti è stato rinnovato il contratto?
No, ma questa consapevolezza era mia già all’inizio di quella esperienza.
Attualmente sono in borsa-lavoro in collaborazione con la Virtual Coop. Cerco notizie sul web, e poi le trasferisco sul sito della cooperativa.
Luca, mi sembra di capire che tu abbia una elevata competenza di natura informatica?
Diciamo che me la cavo con tempi paurosamente lunghi dato che per comandare la tastiera al posto del mouse uso un diverso sistema.
Oltre alle specificità legali, ci sono altri problemi, per trovare un lavoro?
Un problema serio riguarda l’assistenza personale sul luogo di lavoro. Un’esperienza interessante in questo senso l’ho vissuta presso la Camera del Lavoro. Non è scontato, in un luogo di lavoro, trovare la disponibilità dei colleghi ad aiutarti a mangiare o ad andare in bagno.
Oggi da dove proviene il tuo reddito?
Da una pensione di stato in primo luogo, dall’indennità di accompagnamento poi, e infine da borse-lavoro e consulenze.
Che genere di consulenz? Cosa dovrei scrivere sul tuo biglietto da visita? Dottor Luca Pieri, laureato in Scienze Politiche e… che altre qualifiche aggiungeresti?
Potrei occuparmi della pubblicazione di testi, di informazione legata alla disabilità, e in questo senso ho fatto parecchie esperienze di consulenza.
Sei ancora iscritto alle liste di collocamento? Arrivano offerte di lavoro?
Per ora no, ma sono in borsa lavoro.
Come sintetizzeresti il tuo impatto con il mondo del lavoro?
Dal mio punto di vista si è trattato del vero scoglio della integrazione del disabile.
Cosa si può fare? Le leggi che attualmente regolano il mercato del lavoro sono adeguate?
Da un punto di formale queste leggi sono abbastanza adeguate, ma manca una cultura condivisa.
Rispetto al collocamento di un disabile in azienda ci sono delle reali pregiudiziali. Il disabile è percepito come un costo, o peggio come un danno all’immagine dell’azienda. Nei vari tentativi di avviamento ho provato spesso questa sensazione. Non c’era neanche la disponibilità a studiare soluzioni.
Raccontami il primo giorno in azienda…
No. Preferisco raccontarti il primo contatto tra me e l’azienda. Era ancora in vigore la legge 482/68. L’ufficio di collocamento mandava una lettera di collocamento a me e una all’azienda. Naturalmente l’azienda non si faceva viva. Dopo un certo periodo di tempo ero io a telefonare. Generalmente si prendeva un appuntamento con il capo del personale. Andavo da solo o con un operatore. La dinamica era sempre la stessa. Il primo incontro era a senso unico: io parlavo e la controparte rispondeva ponendo argomentazioni di carattere negativo.
Raccontavo quello che potevo fare. In particolare ponevo l’attenzione su quelle mansioni impiegatizie che prevedevano l’uso del computer. Seguiva un secondo o un terzo incontro dove l’azienda continuava a rispondere negativamente alle mie richieste.
Ma cosa ti dicevano: nonostante la legge lo preveda lei non può lavorare con noi? E con quali motivazioni sostenevano questa tesi?
Rispondevano affermando che era impossibile trovare una mansione adeguata…
Ma tu non raccontavi che lavoravi già con il computer? Non descrivevi le passate collaborazioni?
Sì, ma non bastava.
Poi, dopo il rifiuto cosa facevi?
Una volta ho fatto una causa, altre volte ho trovato un accordo economico con l’azienda, più spesso chiedevo una mediazione da parte della CGIL, ma anche con il sindacato non si riusciva ad entrare.
Quanti sono stati i tuoi tentativi di inserimento?
Una decina, nell’arco di vent’anni.
Una storia che dura da parecchio. Sei ancora in cerca?
Diciamo che la motivazione è un poco calata.
Finora abbiamo parlato del tuo collocamento nel versante privato. Non hai mai provato nelle strutture pubbliche?
Avrò fatto almeno venti concorsi pubblici. Uno all’anno da quando mi sono laureato. Ma non ho mai superato la prova scritta. Questo risultato può essere interpretato in due modi: o la mia valutazione scolastica non rispondeva alla realtà, e questo solo in parte può essere vero. Oppure il mio compito veniva subito identificato, e classificato volutamente in maniera insufficiente.

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