3. Ulisse dimenticato
“Di Saturno figliuol, padre de’ numi,
re de’ regnanti”, così a lui rispose
l’occhiazzurra Minerva: “egli era dritto
che colui non vivesse: in simil foggia
pera chïunque in simil foggia vive!
Ma io di doglia per l’egregio Ulisse
mi struggo, lasso! che, da’ suoi lontano,
giorni conduce di rammarco in quella
isola, che del mar giace nel cuore,
e di selve nereggia; isola, dove
soggiorna entro alle sue celle secrete
l’immortal figlia di quel saggio Atlante,
che del mar tutto i più riposti fondi
conosce e regge le colonne immense
che la volta sopportano del cielo.
Pensoso, inconsolabile, l’accorta ninfa il ritiene e con soavi e molli
parolette carezzalo, se mai
potesse Itaca sua trargli dal petto:
ma ei non brama che veder dai tetti
sbalzar della sua dolce Itaca il fumo,
e poi chiuder per sempre al giorno i lumi.
Né commuovere, Olimpio, il cuor ti senti?
Grati d’Ulisse i sagrifici, al greco
Navile appresso, ne’ troiani campi,
non t’eran forse? Onde rancor sì fiero,
Giove, contra lui dunque in te s’alletta?”
(Libro Primo)
Ulisse è scomparso, prigioniero di Calipso e di un mondo che ha regole tutte sue, rischia di essere dimenticato perché nessuno racconta di lui. Nella dimenticanza cadono tutti i problemi, le proposte, le idee che non hanno voce.
E la disabilità ha voce, trova spazio cioè, in tv e nei mass media in genere? E come viene affrontata? A indagare ci ha pensato il rapporto Censis Oltre il Giardino: i disabili e le disabilità in televisione, rilevazione che ha per tema come e quanto la tv racconti di disabilità.
La ricerca è stata pubblicata nel giugno del 2003 e le analisi sono state effettuate nel bimestre compreso tra il 15 febbraio e il 15 aprile 2003. Nella ricerca vengono presi in considerazione indici quali:
– gli spazi (in termini di tempi) dedicati all’argomento;
– la frequenza;
– le reti televisive che se ne sono occupate;
– il tipo di trattamento della notizia;
– il tono.
Spazi
Secondo i dati Censis in televisione, nel periodo esaminato, gli spazi dedicati alla disabilità risultano per un 22,5% dei casi certamente contratti (fino a 1 minuto e 30 secondi); tuttavia nel 25% delle unità d’analisi si arriva a 3’30’’, nel 26,3% a 6’30’’ e un buon 26,3% si assesta oltre i 6’30’’. In generale, nella maggioranza dei casi (51,3%) lo spazio dedicato al tema disabilità è compreso tra i 3 minti mezzo e i 6 minuti e mezzo. Tanto o poco? In sé, considerati i tempi televisivi, sarebbe un buono spazio, ma non dobbiamo dimenticare che le unità d’analisi rilevate sono complessivamente nell’arco di 2 mesi. Ciò vuol dire, in sintesi, che di disabilità non si parla frequentemente; quando accade però il tempo dedicato è dignitoso.
Modi di trattamento della notizia
Si parla di disabilità soprattutto con servizi filmati (47,5%) o dibattiti (33,8%). Viene per un 36% circa usato il genere “storie di vita”, seguito a buona distanza dalle inchieste.
Usare il genere storie di vita significa affrontare la disabilità con il racconto e l’esperienza vissuta. Difatti nelle unità di analisi è quasi sempre presente una persona con disabilità.
Infine, se le persone disabili sono in tv (poco ma con “buoni spazi”) in effetti parlano poco. A parlare, per loro, è spesso il conduttore della trasmissione, ma questo riteniamo sia un comportamento generalizzato che si verifica quasi sempre e con qualsiasi tipo di ospite che non appartenga allo star system dettato da necessità di tempi stretti più che da altre motivazioni.
Di che cosa si parla?
Gli argomenti trattati sono molteplici, specialmente le difficoltà quotidiane. Uno dei temi più trattati rimane quello medico, ossia riabilitazione, percorsi terapeutici, ricerca medica, seguito dal tema delle barriere architettoniche. Non mancano comunque altri argomenti come gli aspetti della vita affettiva, la tecnologia, i problemi ambientali e lavorativi.
Altro aspetto interessante è che si parla di disabilità ma soprattutto per sensibilizzare il vasto pubblico. Non si è ancora arrivati all’ideazione di trasmissioni di servizio indirizzate in maniera specifica alle persone disabili.
Spettacolarizzazione?
Secondo quanto rilevato dal Censis, nelle trasmissioni televisive si tende a non porre eccessiva enfasi sulle dimensioni più esemplari della generosità e dell’abnegazione (creare “eroi di generosità”) né sugli aspetti più tragici. Anzi. Va sottolineato che, in controtendenza con quanto verificato con altri soggetti sociali (immigrati, minori) la cronaca nera è assente. Quando si tratta infatti di cronaca è nella gran parte dei casi cronaca bianca o, addirittura, rosa. Inoltre si cerca di evitare l’informazione estremizzata, drammatizzata, spettacolarizzata.
Spontaneità
Infine, se una trasmissione tende a trattare l’argomento disabilità lo fa per lo più spontaneamente, senza essere spinta da un evento o da una sollecitazione esterna. È per la maggior parte dei casi (70,9%) una scelta autonoma della trasmissione. Sporadica, ma spontanea.
La persona disabile in tv
Proseguendo nell’analisi dei dati scopriamo qual è l’identikit della persona disabile che va in tv:
– maschio (37,7%);
– giovane o adulto;
– affetto prevalentemente da disturbo motorio (48,7% dei casi).
La presenza femminile è ridotta (su sette unità di analisi si rilevano solo cinque casi in cui la persona disabile è donna), come pure i disabili anziani e bambini risultano completamente marginali.
Inoltre sono assenti gli altri generi di deficit, soprattutto la disabilità di tipo intellettivo e relazionale.
Quello che non è rappresentato è evidentemente ciò che più fatichiamo, come società e come singoli, ad accettare. Prima di tutto si tace la realtà della donna disabile: una donna che, come l’uomo, può avere disarmonie fisiche e che comunque si allontana dallo stereotipo di “oggetto perfetto” molto letterario e tipicamente maschilista; rimuoviamo l’immagine di anziani problematici tanto in contrasto con le pubblicità di persone della terza età dai “sorrisi smaglianti” e che sembrano vivere una terza giovinezza. Infine, si dimentica (consapevolmente) il disturbo mentale rispetto al quale la comunicazione sembra addirittura ignorare l’evoluzione della psichiatria moderna.
Quest’ultimo è un problema legato al tipo di “evoluzione” che ha intrapreso la nostra società, al modo che abbiamo di approcciarci alla malattia e alla morte. Il sociologo J. B. Thompson la chiama “dissequestro dell’esperienza”. Thompson, nel suo Mezzi di comunicazione e modernità. Una teoria sociale dei media, afferma che con l’emergere di sistemi di conoscenza specialistica come la medicina e la psichiatria, o istituzioni specializzate come gli ospedali e gli ospizi, certe forme di esperienza sono state allontanate dai luoghi di vita quotidiani e relegate in particolari ambienti: “Per esempio, l’esperienza della malattia cronica (fisica o mentale) o della morte di una persona amata sono regolate sempre più spesso da un insieme di istituzioni specializzate nella cura dei malati e nell’assistenza ai morenti”.
Quindi oggi, per tutti, incappare in casi come i carcerati o malati gravi è un fenomeno sempre più raro.
La parola agli utenti
E le persone disabili che cosa pensano della tv? Sul sito Disabili.com ho chiesto l’opinione degli utilizzatori del Forum. In generale gli utenti hanno riportato l’impressione di una tv che punta maggiormente sulla presentazione di casi limite, magari “strappalacrime” tali da generare un senso di pietà, tenerezza o compassione. In particolare, gli utenti hanno denunciato trasmissioni come C’è posta per te incolpata di aver sfruttato, più volte, ragazzi e ragazze Down a scopi di audience.
L’idea è che si tenda a presentare la persona disabile come vittima da commiserare o proteggere; un essere più debole da difendere. Quello che invece vorrebbero è una tv che sappia parlare dei problemi veri, quotidiani; per questo piacciono trasmissioni di denuncia come Striscia la Notizia o Le Iene capaci di realizzare servizi a partire da denunce dei disabili stessi.
Le trasmissioni in realtà ci sarebbero, ma, come lamentano alcuni, confinate a orari impossibili e proibitivi e per giunta su reti a pagamento.
Infine, è stato denunciato come la persona disabile sia presentata del tutto asessuata: il sesso e la sessualità rimangono un tabù mai superato.
Conclusioni
C’è in generale un malcontento diffuso perché questi “pochi minuti ma buoni” dedicati dalle reti televisive nazionali ai problemi legati alla disabilità non sono sufficienti, tanto più che tali trasmissioni sono più rivolte a chi disabile non è.
Allo stesso modo anche i telespettatori disabili si chiedono come trattare l’argomento, visto che le patologie di cui si potrebbe parlare in modo approfondito e scientifico sono tantissime.
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