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4. Lavorare nel setting: alcuni elementi pratici

Io ho volato, gattonato e sono entrata dall’ombelico…

(Erika, 3 anni) (1 pag 155)

L’arte terapeuta che si trova a operare in setting madre/bambino può partire da elementi molto pratici quali l’esclusione di un certo tipo di materiale, il posizionamento di aree-rifugio nel setting, la realizzazione di campi di intervento posti ai vari livelli considerando le diverse altezze fisiche dei partecipanti, ma questo non può prescindere dal motivo dell’invio che a sua volta struttura il setting in modo pregnante e a volte definitivo. Inoltre tali elementi devono tener conto dell’età del bambino, poiché da zero a dieci anni vi sono distanze tali nell’uso del setting da non permettere di generalizzare, e nel breve periodo per la stessa coppia madre/bambino le differenze sono molto grandi.

La complessità del setting madre/bambino riguarda anche la protezione degli elaborati e sappiamo che “In alcune circostanze i bambini devono essere protetti dalle immagini degli altri […] per la loro sicurezza e il loro benessere” (20 pag. 266). Ma questo vale anche per la madre che, in presenza di problematiche gravi del figlio, va protetta dalle proprie immagini e da quelle del bambino, che a volte in modo molto diretto giungono a urlare nel setting il proprio bisogno di essere viste e definite anche verbalmente. Così il terapeuta in questo tipo di setting si trova spesse volte a impersonare un ruolo di mediatore tra esigenze opposte. Per lavorare con i bambini l’arte terapeuta ha bisogno di tenere con sé la sua parte adulta, per lavorare nel setting madre/bambino è necessario un forte equilibrio tra le due parti che compongono la sua storia, e alle quali dovrà attingere continuamente. Ed è fondamentale avere un tempo piuttosto lungo, dopo la seduta, per dipingere e fare emergere con forza ciò che prepotentemente ha evocato la sua storia, a volte anche intergenerazionale. 

Il processo creativo in genere passa essenzialmente due fasi, in sequenza quella più prettamente sensoriale e quella narrativa e simbolica. Durante la scelta dei materiali prevale il livello sensorio, attirano gli odori, i colori, come sono al tatto. Il livello sensoriale è immagazzinato nella memoria implicita, non è pensato né pensabile. I materiali scelti attivano le memorie, essi evocano qualcosa del vissuto del paziente dando luogo alla fase della narrazione. Così attraverso i sensi sono raggiunte le memorie che poi possono divenire un livello condiviso. Tale sequenza in arte terapia è ottimale, ma molte persone che per difesa hanno il livello sensorio inibito partono dalla narrazione. Nell’esperienza sensoria le due categorie, sempre soggettive, sono piacevole e non piacevole. Nel bambino mi piace vuol dire buono e non mi piace vuol dire cattivo. Dopo la fase sensoria vi è un passaggio che rappresenta l’oggetto transizionale, il protosimbolo. Quando all’immagine si attribuisce un significato nasce la narrazione. Scrive Alberto Comazzi che “il percorso terapeutico di uscita dal trauma corrisponde […] alla possibilità di raccontare la propria storia e al trovare un ascolto empatico” (23 pag. 257). Nello sviluppo del bambino le tre fasi sono attraversate in sequenza, così se il paziente preferisce una dimensione piuttosto che un’altra, dà all’arte terapeuta indicazioni sulla sua collocazione.

In genere nel setting madre/bambino l’elemento narrativo è preponderante poiché è utile a riorganizzare i momenti complessi, quelli in cui si confondono le varie esigenze, della madre e del bambino ma anche del terapeuta di contenere e riorganizzare per dare un ordine in sequenza alle varie azioni. Ma sono molto importanti i momenti in cui la relazione si abbandona al sensoriale, ai materiali in quanto tali e nella cui condivisione madre e figlio rievocano la possibilità di un dialogo istintivo che a volte non hanno avuto la possibilità di vivere. 

Il bambino che giunge nel setting con sua madre è emozionato, a volte preoccupato e ha due atteggiamenti corporei opposti; se sta fermo e si nasconde dietro la madre è utile aver preparato materiali affascinanti così da muovere la sua curiosità e facilitare l’inizio del lavoro. Se è irrefrenabile sarà importante avere previsto un setting con uno spazio ampio e morbido in cui il piccolo può correre senza farsi male. Assecondare lo sfogo corporeo fa sì che lui si senta accolto per come è, e si fidi di narrare il suo dolore, allo stesso tempo dona al terapeuta l’osservazione del movimento e i conseguenti spunti di riflessione. Una prima fase di espressione corporea forte è stata alla base di tutte le sedute madre/bambina nel caso Fratelli: Una chioccia tre pulcini. Sofia all’inizio di ogni seduta rotolava e correva irrefrenabile per poi passare, nella fase artistica, alla narrazione dell’assenza facendosi aiutare, da me e da sua madre, a ricalcare le impronte dei piedini su grandi fogli di carta appoggiati sul pavimento e infine uniti tra loro in percorsi nuovi.

Esiste sempre il pericolo che il lavoro con i bambini venga interrotto. Se si ha difficoltà a prendere in carico la famiglia possono nascere invidie, gelosie, spaccamenti; è necessario fare attenzione a non rompere equilibri familiari prima di riuscire a contenere. Vanno tenuti dentro sia madre che bambino così che lei non si senta fallita ma neanche abbia la sensazione di delegare troppo il terapeuta. Quando Nicola si è staccato da sua madre per corrermi incontro ho temuto che non l’avrei più rivisto, il setting si è impregnato del dolore di lei. Dopo aver fatto volare il piccolo in alto gli ho detto di correre dalla sua mamma. Così lui ha potuto ripetere molte volte il gioco degli abbracci (vedi caso Spasmo affettivo: L’ultimo cavallino bianco). 

Le fasi della crescita nel setting

Adesso cresco, cresco, cresco

(Chloé, 4 anni) (1 pag. 353)

Esistono alcuni temi legati all’età del figlio, che l’arte terapeuta può tenere in mente e che rendono più semplice l’individuazione della strada da percorrere nelle specifiche tipologie patologiche e che sono esemplificate nei seguenti paragrafi, prima di trattare della specificità dei casi.



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