Così, narrando, siamo giunti alla fine di questa trattazione. Per concludere, quale che sia la predisposizione genetica, essa deve tuttavia essere innescata da fattori ambientali per manifestarsi (18 pag. 119), e il setting arte terapeutico madre/bambino rappresenta l’opportunità di ritrovare il filo del discorso interrotto o del dialogo mai esistito, attraverso la rappresentazione artistico/creativa, contenuta in un luogo e in un tempo definiti e protetta dalla presenza del terapeuta. Rappresenta inoltre per la madre la possibilità di ritrovare fiducia nella propria capacità materna, e anche di poter riorganizzare oggetti interni feriti o assenti, e per il figlio di poter continuare a essere figlio prendendo distanza dalla madre.

Sentirsi visti all’interno del legame, come abbiamo osservato negli studi sullo still-face, significa sia per la madre che per il bambino la possibilità di ricominciare a sentire di esistere, e questo fin dalla gravidanza poiché “il processo artistico aiuta sia a esprimere le paure e le angosce, sia a recuperare le proprie parti buone e accoglienti” (13 pag. 166), essendo in grado di ripristinare quella sintonizzazione che sta alla base della frase “Io cambio quando tu ti palesi, tu cambi quando io mi manifesto” (18 pag. 39).

I desideri si realizzano nella notte più buia, che si vedono le stelle.

(Matteo, 6 anni) (16 pag. 43)

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