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Autore: admin

Dietro all’altare, Messaggero di Sant’Antonio, Febbraio 2012

Ricordo che il giorno della mia Prima Comunione, nel 1970, fu un disastro. Che le cose sarebbero andate così lo si poteva anche prevedere: pensate che la preparazione alla Comunione non la ricevetti come gli altri bambini al catechismo, ma dalla maestra delle elementari (speciali) che al tempo frequentavo. Il sacerdote della mia parrocchia mi riteneva incapace di accedere ai contenuti e di esprimere una fede consapevole. Il giorno della cerimonia, mentre tutti gli altri bambini erano seduti uno fianco all’altro, ben visibili davanti all’altare come veri protagonisti del dono del sacramento, per me e i miei genitori era stata invece predisposta una postazione sul retro della tavola eucaristica. Nessuno quindi poteva sapere che eravamo presenti in chiesa, tanto più che il Cardinale quando elencò i nomi dei bambini “dimenticò” di pronunciare il mio.
La disabilità, all’epoca, metteva infatti profondamente in crisi l’istituzione religiosa cattolica, impreparata a gestirne le implicazioni se non dal punto di vista assistenziale, come già accennavo in un articolo di circa due anni fa. Per il mondo della disabilità, d’altra parte, l’accesso ai sacramenti veniva considerato inutile, la salvezza per loro era già scritta, già data, né a loro veniva chiesto di far (ri)vivere quei sacramenti nella vita della comunità. Credo che ancora oggi potremmo ritrovare casi simili, nonostante le tante persone che vivono con responsabilità all’interno della Chiesa. A questo proposito desidero condividere con voi questa lettera che mi ha dato molta gioia e speranza:
“Ciao Claudio, per la Prima Comunione ventisei tesori che si apprestano a ricevere per la prima volta l’Eucaristia. Uno dei bimbi è autistico. Si è preparato come tutti anche grazie all’aiuto della sorellina. Quella mattina quando è arrivato in chiesa aveva paura di tutta quella gente. La sorellina lo ha accompagnato ed è rimasta con lui. Alla fine è salito all’altare, ha alzato le braccia al Cielo e si è messo a gridare “Grazie! Grazie! Che bello! Grazie!”. È stato l’unico che ha capito il dono grande che gli è stato fatto ed ha ringraziato. Qualche mamma, aveva un po’ storto il naso, perché il bimbo riceveva il sacramento con gli altri…(…) Come vedi, i veri disabili siamo noi”. M. A.
Di questa lettera mi piace sottolineare il ribaltamento dei ruoli: i genitori degli altri bimbi scettici a fronte di un’apertura piena da parte della parrocchia e non una chiesa restia a mostrare una parte del suo gregge. Il merito, in questo caso, va al percorso che la Chiesa ha voluto garantire a un suo membro con un deficit psichico, non un deficit di fede.
Credo che dei passi in avanti siano stati fatti…avete voglia di raccontare anche voi le vostre prime comunioni?
Scrivete a claudio@accaparlante.it o sul mio profilo di Facebook.

Claudio Imprudente
 

Un paese di navigatori… e di eroi. Superabile, Febbraio 2012

In queste ultime settimane l’eco sul naufragio della Costa Crociere ha inondato, nel vero senso della parola, i mass-media nostrani.
Ormai siamo tutti esperti di inchini e scialuppe, conosciamo a memoria la biografia di capitan coraggio Schettino e siamo consapevoli della pericolosità degli scogli: tutti i nostri idoli del passato, da Cristoforo Colombo fino al buono e paffuto Capitan Findus sono così svaniti nel buio…
Alcuni giorni fa navigando sul nostro www.superabile.it ho letto una notizia, proprio su questa vicenda, che mi ha stuzzicato alcune riflessioni.
Protagonista un’anziana disabile di origine tedesca, Lilli Knepeck, in crociera per festeggiare le nozze d’oro col marito, che, durante il naufragio è stata miracolosamente salvata dal nipote diciannovenne Omar Brolli, fattosi strada tra la folla in panico, mentre il personale di bordo la intimava caldamente a tornarsene in cabina a riposare…
La notizia ha fatto praticamente il giro del mondo, tant’è che, cito dall’articolo, “Omar non va a scuola da giorni, è sempre in giro fra trasmissioni televisive. Sul suo profilo facebook fioccano i complimenti dai compagni di classe […]”
Potrei di nuovo scrivere, e di materiale ce ne sarebbe in abbondanza, su come siamo ancora troppo indietro per quanto riguarda l’accoglienza e la sicurezza dei disabili sui mezzi pubblici (qui addirittura stiamo parlando di una nave da crociera), sulla formazione del personale addetto e sulla scarsa organizzazione dell’equipaggio. Tutto vero.
A me però preme maggiormente parlarvi di un argomento a cui tengo molto.
Mi pongo delle domande: il salvataggio della signora disabile è differente dalla messa in sicurezza delle altre quattromila persone a bordo?
E se lo è, in cosa consiste questa differenza? Questo giovane nipote, che ora gira per radio e televisioni, è davvero l’unico esempio di coraggio in questa tragedia? Se sua nonna fosse stata normodotata, avrebbe avuto lo stesso risalto?
Proprio di questo voglio parlare, della spettacolarizzazione della disabilità.
Troppo spesso viene utilizzata la disabilità come megafono, per ampliare situazioni già di per sé drammatiche, troppo spesso vengono esaltati gesti che dovrebbero essere naturali come eccezionali. Pensateci, in una situazione del genere non avremmo cercato tutti noi di salvare un nostro parente in difficoltà, disabile o meno?
Non voglio sminuire l’azione di Omar, assolutamente. Voglio solo parlare di parità e inclusione, al di là di un supposto atto di eroismo.
Ancora oggi infatti la disabilità vista dai media fa ancora un effetto particolare, come direbbero gli addetti ai lavori, fa audience. Perché? Lo chiedo a me stesso ma lo chiedo anche a voi…
Personalmente forse, vorrei solo, già da ora, un integrazione più reale, dove la disabilità non diventi il pretesto per puntare la riflessione sul commuovente caso del singolo, evitando così di andare a fondo sulle effettive e scomode cause che ci hanno portato e ci portano a confrontarci con certi tragici avvenimenti. La disabilità in questo senso, dovrebbe essere solo una condizione tra le tante, una testimonianza importante magari, ma non la notizia in sé.
Mi rendo conto di essere provocatorio con queste affermazioni ma credo che porsi domande come queste e tentare di darsi delle risposte sia oggi una necessità e un dovere per tutti per guardare in faccia la realtà senza ipocrisie e sterili buonismi.
Allora mi accontento di sognare, per guardare al futuro con ottimismo e mi diverto persino a scomodare anche il pluripremiato film di James Cameron Titanic…Quando tra cento anni un subacqueo, invece di un prezioso gioiello, ritroverà una carrozzina in fondo al mar Tirreno, avvolta da alghe e molluschi, non sarà molto sorpreso. Si interrogherà soltanto sulla visione di quella presenza, testimonianza di una vita passata, sommersa tra le tante.
Non penserà, speriamo, a Omar, penserà alle cause di quella scoperta, perché, per dirla con Bertold Brecht: “Beato il paese che non ha bisogno di eroi”.
E voi vi sentite più navigatori o eroi?
Scrivete come sempre a claudio@accaparlante.it o sul mio profilo di Facebook.

Claudio Imprudente

 

La disabilità al telecomando

Per conoscere e seguire cambiamenti significativi negli ambiti più vari è spesso alla “periferia” che occorre volgere lo sguardo. Se lo puntiamo solo verso il grande, il già noto, il centro, che è un centro per certi versi imposto e conservato al di là dei meriti qualitativi

che gli vengano riconosciuti, rischiamo non solo di perdere numerose e preziose notizie e di trascurare movimenti rilevanti, ma anche di restare inermi e sconsolati di fronte ad un mancanza di cambiamento che, a ben vedere, è solo apparente. E’, invece, “ai margini”, nel piccolo e dal piccolo, dal basso che il più delle volte si sviluppano dinamiche e si propongono modelli e soluzioni innovative, pionieristiche e, ad uno sguardo attento, inclusive.
In questo caso, in realtà, parlare di periferia sarebbe inappropriato, perché la vicenda si svolge a Roma; però il canale che ospita la trasmissione di cui parleremo si colloca fuori da quelli che, ancora, in Italia vengono identificati come canali di massa, ovvero i primi sei o sette del nostro telecomando…Ed è una notizia che, due anni dopo, si pone in controtendenza rispetto ad un’altra che al tempo mi aveva colpito non poco, una storia che, immediatamente, avevo collocato in Italia e, invece, con mia grande sorpresa (e non sollievo…) riguardava una nazione “insospettabile”, ovvero l’Inghilterra: numerosi genitori avevano protestato sonoramente perché, per condurre un programma rivolto ai bambini, la BBC aveva scelto una ragazza, attrice, nata con un avambraccio solo. Insospettabile, peraltro, la rete televisiva stessa, anche perché, come ho riportato in un articolo di qualche mese fa, la stessa BBC da diversi anni trasmette Something special out and about (Qualcosa di speciale in giro), un programma per la prima infanzia, il cui fulcro sono alcuni bambini con disabilità – perlopiù affetti da sindrome di Down – chiamati a intrattenere i giovani spettatori. Questo format televisivo prevede, quindi, che le persone disabili figurino come animatori, cioè che siano loro a «fare qualcosa per» e non a «ricevere qualcosa da». Esperienza inspiegabilmente negata alla conduttrice di cui sopra.
Eccoci al punto centrale del nostro articolo: Gold Tv, dai primi giorni di novembre 2011, sta mandando in onda, in tutto il Lazio, la prima trasmissione televisiva interamente condotta da un giornalista con disabilità grave. Si intitola I Dintorni dell’Handicap, ha cadenza settimanale e affronta i temi della disabilità e dell’attualità. Condotto da Andrea Venuto, il giornalista disabile in questione, il progetto è nato da un’idea di Mario De Luca, presidente del Forum regionale sulle disabilità ed è stato realizzato dal Forum regionale del Terzo Settore ed Editare 2000 srl in collaborazione con Roma Salute News.
Altro aspetto rilevante è che per la realizzazione della trasmissione è stata decisiva la collaborazione di numerose cooperative ed associazioni che operano nel campo del sociale (Insieme, Agenzia per la vita indipendente, Centro per l’autonomia, Coop. Agora’, Coop. Cotrad, Coop. Iskra, Coop. Nuova Sair Coop. Omnia, Coop. Solcoe l’Unione Italiana lotta alla Distrofia Muscolare Sezione Laziale Onlus). Diverse organizzazioni che hanno voluto sostenere il progetto d’informazione sull’handicap per valorizzare e far conoscere il proprio operato e, contemporaneamente, affrontare le problematiche del settore. Tutto il materiale video, inoltre, è prodotto dalla cooperativa sociale integrata Matrioska, una realtà che ha accolto ex ospiti dell’Orfanotrofio di Begoml, ormai adulti, che hanno vissuto in Bielorussia e che oggi sono cineoperatori, montatori, fotografi e anche registi. Ragazzi che, nonostante abbiano tutti una diagnosi di polifrenia, hanno già al loro attivo numerosi cortometraggi e veri e propri film-documentari che realizzano e scrivono in piena autonomia.
Credo sia interessante riportare questi dettagli, per mostrare che la presenza nel ruolo di conduttore di una persona disabile, già significativa in sé, in questo caso è “solo” la parte più evidente, emergente di un progetto che vede il “mondo” della disabilità porsi come produttore di informazione, come suggeritore di un immaginario, di un modo di intendere e interpretare la realtà circostante, la realtà di tutti, non solo quella che tocca più da vicino chi vive una disabilità in maniera più o meno diretta. Indubbiamente un’esperienza da seguire con attenzione e da raccontare perché possano crearsi altre occasioni affini, in particolare in una nazione, l’Italia, in cui la moltiplicazione delle fonti delle notizie e delle modalità con cui vengono date è una necessità vitale per la costruzione di una cittadinanza consapevole e attiva.
Scrivete come sempre a claudio@accaparlante.it o sul mio profilo di Facebook. E buona informazione a tutti!

Claudio Imprudente

 

C’è nessuno? – Il Messaggero di sant’Antonio, dicembre 2011

L’andamento degli eventi non segue un corso rettilineo, prevedibile. È la storia stessa a non svolgersi in maniera lineare o, meglio, la lettura che ne diamo in base ai dati che riusciamo a raccogliere (più o meno affidabili). Scarti, strappi, variazioni, eventi occasionali e forse irripetibili e periodi connotati da una maggiore regolarità, almeno all’apparenza: sono questi gli elementi che caratterizzano lo sviluppo e la successione temporale dei fatti. A volte, addirittura, sembra di vivere una condizione schizofrenica. Alcuni eventi li avvertiamo come discordanti, inconciliabili, quasi che un caso smentisse l’altro appena il primo ha avuto modo di mostrarsi e, magari, di suggerire un’interpretazione di quanto avvenuto.
Questa sensazione di straniamento si fa tanto più evidente quanto più breve è il tempo che intercorre tra un evento e quello successivo che smentisce il primo. In alcune occasioni questo scarto, questa negazione di un fatto da parte di un altro ci colpisce particolarmente, lasciandoci spiazzati, inermi e – perché no – offesi. Soprattutto se, come scrivevo, la nostra ragione aveva ricostruito, da alcune premesse, un’interpretazione che reputavamo credibile, resistente nel tempo, affidabile per noi e non solo.
 
Come già accennato nell’articolo pubblicato sul numero di settembre del «Messaggero», l’università di Bologna mi ha conferito pochi mesi fa la laurea honoris causa in formazione e cooperazione. Un riconoscimento che, in quanto indirizzato alla mia persona, vi confidavo, ho subito interpretato come frutto di un lungo lavoro collettivo e – è questo che qui ci interessa – anche come parziale segno dei tempi, almeno dello sviluppo della cultura negli ultimi cinque decenni. Non è cosa di poco conto dichiarare pubblicamente che un disabile è meritevole per le sue capacità professionali. Si tratta di un traguardo che è il risultato di un processo, di un’evoluzione che mi sembrava innegabile, evidente.
Ma, e questo passaggio dalla storia alla cronaca non deve sembrare inopportuno, dal giorno del conferimento della laurea mi è capitato, nella comunità di famiglie in cui vivo, Maranà-tha, di subire tre o quattro «non-riconoscimenti» che mi hanno colpito e fatto dubitare. È successo quando alcuni avventori occasionali, pur vedendomi in giardino o nell’atrio d’ingresso, si sono sgolati in cerca di qualcuno (che non c’era o non rispondeva) in grado di dare loro informazioni, senza nemmeno provare a interpellare me che ero lì a due passi e disponibile. Un salto indietro di trent’anni nel giro di una settimana…
 
A ben vedere, la cosa si faceva involontariamente ironica, perché chi chiama un qualcuno generico solitamente usa questa espressione interrogativa: «C’è nessuno?». Mentre io ero fisicamente lì, un qualcuno c’era, anzi ero l’unico a esserci, presente e senziente. Ma non venivo affatto tenuto in considerazione come persona in grado di fornire delle indicazioni. Di nuovo un’ironia dolorosa, proprio a pochi mesi di distanza da un riconoscimento accademico per le mie capacità formative e informative.
Questo episodio serve a segnare in maniera evidente quante contraddizioni possano coesistere, non solo nel medesimo arco di tempo, ma anche nella stessa area geografica, addirittura probabilmente prodotte da persone simili per cultura e grado di studio.
Ma tutto ciò non ci spinga a riconoscere le ambiguità come una condizione immodificabile. Ci induca semmai a farcene carico in maniera doppia, a cercare un intervento nel mondo ancora più efficace e ostinato. Una buona intenzione per l’anno che sta per iniziare. A proposito, buon Natale e buon 2012. Scrivete a claudio@accaparlante.it o sul mio profilo di Facebook.
  

Superare l’alfabeto – Il Messaggero di sant’Antonio, novembre 2011

Nell’aprile del 2008, forse qualcuno di voi lo ricorderà, il «Messaggero di sant’Antonio» pubblicò un mio articolo dal titolo La tavoletta magica, nel quale raccontavo il valore extra-tecnico dell’ausilio che utilizzo per comunicare, una tavoletta di plexiglass nella quale sono impresse tutte le lettere dell’alfabeto. Dall’altro lato della tavoletta c’è una persona che, seguendo il movimento dei miei occhi, compone, lettera dopo lettera, le parole e le frasi che io voglio trasmettere, e le ripete a voce alta, così che io possa interagire con le altre persone. In quell’occasione avevo deciso, appunto, di raccontare cosa comporta, soprattutto a livello relazionale, la condivisione di quel mezzo di comunicazione con chi ricostruisce ed enuncia quello che compongo con gli occhi. Per chi volesse rileggerlo, l’articolo è ancora on line sul sito del «Messaggero».

In quella testimonianza non avevo privilegiato un aspetto di fondo, forse il più importante, ovvero la questione della pluralità dei linguaggi e dei modelli comunicativi, che – spesso non ci si riflette abbastanza – vanno ben oltre il più comune codice alfabetico e danno la possibilità di esprimersi e «condividersi» anche a chi non ha accesso, per le ragioni più varie, al comune linguaggio.
Ho usato volutamente la parola «comune»: in realtà, per quanto il codice alfabetico sembri il più naturale possibile, è, al contrario, convenzionale, cioè frutto di convenzioni, e là dove c’è convenzione c’è apertura alla pluralità, all’invenzione, alla creatività. La pluralità, ovviamente, non è solo «in uscita», ma anche «in entrata». Non ci sono infatti solo molteplici possibilità di e per esprimersi, ma anche molteplici modalità di apprendere e catturare informazioni (chiamiamole così, in senso neutro). Un esempio è il mondo dei libri per tutti e dei libri accessibili, un universo davvero affascinante, ricco, colorato, molto interessante anche dal punto di vista estetico (la qual cosa non è secondaria). È il tema della monografia del numero della rivista «Hp-Accaparlante» di settembre 2011, dal titolo Leggere per vivere. Libri per tutti e accessibilità della lettura.

Vi è mai capitato di avere tra le mani un libro tattile per bambini sia vedenti che non vedenti? Oppure, vi è mai capitato di condividere la lettura in simboli con vostro figlio, a prescindere dalla presenza di un deficit che giustifichi il ricorso a un sistema simbolico di quel tipo? Ci sono, poi, alcuni codici che nascono per far fronte a delle necessità, ma si dimostrano di interesse (e anche utili) in ambiti per cui, inizialmente, non erano stati pensati: e questo è uno degli aspetti più interessanti e «integrativi» che si possano immaginare.
Un discorso peraltro molto simile a quello valido per l’accessibilità architettonica: realizzata per chi ha particolari esigenze, rende un ambiente migliore per tutti, non solo per la minoranza. Faccio un esempio: un libro in simboli dentro una scuola dell’infanzia avvince non solo il bambino per il quale il libro è stato costruito «su misura», cioè adattato ai suoi bisogni specifici, ma anche i compagni, e diventa uno strumento da condividere, esplorare e gustare assieme. Evade dalla funzione per cui è stato pensato e si apre al mondo, agli altri, diventando, a seconda dei punti di vista, ancora più funzionale e, al contrario, meravigliosamente slegato dai vincoli stretti della funzionalità. Si rivela molto efficace anche per velocizzare il processo di apprendimento della lingua da parte di un adulto straniero… senza disabilità. Avvicina, accorcia le distanze, contribuisce a costruire un contesto culturale e relazionale più vivo. Scrivete (anche in simboli, se volete) a claudio@accaparlante.it o sul mio profilo di Facebook.

 

Adattare non significa semplificare – Superabile, Novembre 2011 – 2

Nell’aprile del 2008, forse qualcuno di voi lo ricorderà, "Il Messaggero di Sant’Antonio" pubblicò un mio articolo dal titolo "La tavoletta magica", nel quale raccontavo il valore extra-tecnico dell’ausilio che utilizzo per comunicare. In quell’occasione avevo deciso, appunto, di raccontare cosa comporta, soprattutto a livello relazionale, la condivisione di quel mezzo di comunicazione con la metà che rende possibile il suo utilizzo, ovvero chi ricostruisce ed enuncia quello che compongo con gli occhi. Non avevo privilegiato un aspetto di fondo, forse il più importante, ovvero la questione della pluralità dei linguaggi e dei modelli comunicativi, che, spesso non ci si riflette abbastanza, vanno ben oltre quello più comune alfabetico e danno la possibilità di esprimersi e "condividersi" anche a chi non ha accesso, per le ragioni più varie, a quel codice comunicativo. Che sembra il più naturale possibile ed è, al contrario, frutto di convenzioni, convenzionale, appunto: e là dove c’è convenzione, allora c’è apertura alla pluralità, all’invenzione, alla creatività.

La pluralità, ovviamente, non è solo "in uscita", ma anche "in entrata": ovvero, non ci sono solo molteplici possibilità di e per esprimersi, ma anche molteplici modalità di apprendere, "catturare" informazioni (chiamiamole così, in senso neutro). E il mondo dei libri per tutti e dei libri accessibili è davvero un mondo affascinante, ricco, colorato, molto interessante anche dal punto di vista estetico (e non è secondario). E’ il tema della monografia del bellissimo numero della rivista Hp-Accaparlante di settembre 2011, dal titolo Leggere per vivere. Libri per tutti e accessibilità della lettura.

Vi è mai capitato di avere tra le mani, di leggere con le mani un libro tattile per bambini vedenti e non vedenti? Oppure, vi è mai capitato di condividere la lettura in simboli con vostro figlio, a prescindere dalla presenza di un deficit che giustifichi il ricorso ad un sistema simbolico di quel tipo? Alcuni codici nascono per far fronte a delle necessità, ma si dimostrano di interesse (e utilità) anche in ambiti per cui, inizialmente, non erano stati pensati: e questo è uno degli aspetti più interessanti e "integrativi" che si possano immaginare. Un discorso peraltro molto simile a quello valido per l’accessibilità architettonica: realizzata per chi ha particolari esigenze, rende un ambiente migliore per tutti, non solo per la minoranza. Faccio un esempio: un libro in simboli dentro una scuola materna affascina, avvince non solo il bambino per il quale il libro è stato costruito "su misura", cioè adattato ai suoi bisogni specifici, ma anche i compagni e diventa uno strumento da condividere, esplorare e gustare assieme. Evade dalla funzione per cui è stato pensato e si apre al mondo, agli altri, diventando, a seconda dei punti di vista, ancora più funzionale e, al contrario, meravigliosamente slegato dai vincoli stretti della funzionalità. Si rivela molto efficace anche per velocizzare il processo di apprendimento della lingua da parte di un adulto straniero…senza disabilità. Avvicina, accorcia le distanze, contribuisce a costruire un contesto culturale e relazionale più vivo. Scrivete (anche in simboli, se volete) a claudio@accaparlante.it o sul mio profilo di Facebook. (Claudio Imprudente)

La voce dei partecipanti al convegno Erickson

Sono uno scandalo perché…

… sono un’insegnante bravo e appassionato, a differenza di certi dei miei colleghi!!!
… sono una maestra di sostegno, lo faccio perché amo farlo e dopo cinque anni non passerò su un posto comune.
… nonostante le barriere e gli ostacoli che incontro ogni giorno nel mio lavoro di insegnante, non perdo la voglia di creare qualcosa di nuovo con quello che ho per far si che ognuno scopra e segua la sua strada.
… faccio l’insegnante, ho 54 anni e faccio le capriole con i bimbi.
… sono un dirigente scolastico e credo ancora che la scuola possa fare “miracoli”.
… perché credo nella scuola di tutti e per tutti.
… perché sono rimasto bambino.
… richiedo da diversi anni un contributo fisso alla scuola per allestire un sito web sui temi della diversità e dell’handicap. Mi dicono che non ci sono soldi e, tra le righe, che non devo essere così fastidioso… Ho deciso di farlo gratis! Ulteriore scandalo!
… chiedo ad una scuola privata superiore il pei e la valutazione per l’alunno che con cui lavoro.
… siamo tutti uguali e tutti diversi.
… c’è sempre una possibilità.
… lavoro nella scuola da 42 anni e ancora ci credo.
… non voglio perdere te, che sei diverso da me.
… credo in una pedagogia della possibilità e della responsabilità. E perché dichiaro che nessuno è normale!
… insegno a tutti il diritto alla diversità!
… non accetto che si dica: Tanto più di questo non si può fare!
… vedo sempre la persona davanti al problema, ed è bellissimo! Allora diventa facile superare gli ostacoli e immaginare possibilità.
… la scuola siamo tutti noi che abbiamo partecipato al convegno e ancora crediamo al nostro lavoro.
… sono una maestra e sono uno scandalo perché non voglio mettere i voti ai bambini!!!
… sono un dirigente scolastico e sono ancora innamorato della scuola e dell’atto educativo… e soffro, soffro tanto quando vedo negli occhi di alcuni colleghi l’orgoglio di un ruolo che altro non è che servizio, e quando vedo negli occhi di alcuni docenti l’indifferenza verso gli allievi.
… pretendo ‘troppo’ dal bimbo che seguo a scuola: lui ha la sindrome di Down.
… sono riuscito dove altri non riescono nonostante l’handicap e sono una persona positiva.
… so pensare e ho un cuore che pensa.
… credo in un cambiamento, sogno un cambiamento dando importanza alle gocce d’acqua che cadono nel mare.
… penso che l’autonomia non stia solo in una abilità motoria, ma sia anche una capacità di pensiero libero che sappia andare oltre le barriere.
… voglio pensare con la mia testa e non sto mai zitta.
… sono importanti le ‘persone’.
… mi sono permessa di prendere un giorno di permesso non retribuito per partecipare ad un convegno internazionale, autofinanziandomi, per accrescere la formazione nel mio ambito lavorativo.
…credo che i miei splendidi alunni con disabilità potranno ottenere dalla vita tutto quello che vorranno, scegliendo la vita che più piace a loro.
… insegno a tutti il diritto alla diversità!
… nei consigli di classe della mia scuola continuo a proporre di ragionare sulla programmazione e sul progetto educativo. Per i prof il progetto è perdita di tempo, solo teoria e parole.
… perché credo ancora nella forza della diversità e nel potere della dualità e della condivisione delle emozioni… buona vita!
… mi commuovo per le piccole cose, per i piccoli progressi (che sono grandi). Perché amo il mio lavoro!
… la mia passione non può essere retribuita e mi sento libera.
… miracolosamente non ho smesso di sognare.
… faccio la dirigente scolastica e credo nell’integrazione.
… sono un’insegnante di sostegno. Il mio sostegno sono stati i bambini che ho seguito che mi hanno dato la forza di non arrendermi mai!
… spesso incontro più diversamente ‘abili’ (?) tra i colleghi che tra i ragazzi e con i primi non ci sono proprio strumenti!
… credo nella formazione e nel confronto all’interno dell’istruzione.
… mi piace ridere e sdrammatizzare.
… sono partita in Erasmus, a La Coruna, 9 mesi, con le mie due carrozzine e… una(sola) mano attiva.
… non sono uno scandalo ma ancora mi disegnano così! Non sono disabile , sono una persona e in quanto tale sono diverso da te. Quindi chiamami con il mio nome.
… vivo in prima persona la diversità e insegno ai miei allievi il valore e la ricchezza di chi è diverso. Il diverso può insegnare a vivere a chi si protegge nella normalità!
 

Stefania M.

Io sono uno scandalo perché vivo in una comunità, senza i miei genitori, per una scelta personale.
Da tre anni vivo in una casa famiglia.
Una casa famiglia, per chi non lo sapesse, è un vero e proprio condominio, dove più persone, disabili e operatori, condividono lo stesso spazio, gli stessi tempi e le stesse attività. Tutto questo ha i suoi pro e i suoi contro, tanto per incominciare il dover sottostare a delle regole precise. È una condizione, bisogna dirlo, di semiautonomia in cui spesso non mancano le discussioni. Ma anche questo, poter discutere cioè, in fondo, è uno scandalo! Un disabile infatti, al contrario di quello che pensa la maggior delle persone, ha il diritto di arrabbiarsi e difendere le proprie opinioni. C’è da dire però che questa è una libertà che si conquista e per farlo il primo passo, per riuscire cioè ad esprimersi con convinzione, può essere quello di uscire dal nucleo familiare.

Dico questo perché nella società di oggi, si pensa ancora che i disabili abbiano bisogno di assistenza continuata e che quindi non si possa vivere al di fuori della famiglia.
Io vi posso dire che con l’aiuto di altre persone anche un disabile può fare una vita autonoma.
Nella mia esperienza personale posso assicurare che nella casa famiglia sono assistita per le esigenze primarie quotidiane, ma rimane la possibilità di svolgere la maggior parte delle azioni e intrattenere rapporti personali sinceri.
In famiglia questo è possibile ma spesso, raggiunta una certa età, più difficile. Chiaramente dipende da famiglia a famiglia ma, in generale, si può dire che i genitori tendono sempre a vederti piccolo e a tenerti in una sorta di stasi. Lì scatta la nostra volontà. Vi faccio un esempio: mia madre, anche per comodità, ancora oggi mi imbocca. Un giorno, ho deciso di prendere in mano il cucchiaio e di farle vedere che potevo benissimo mangiare da sola. Questo gesto è stato per lei davvero scandaloso! Per me invece ha rappresentato l’inizio di un nuovo percorso.
Il vero scandalo sta nell’avere voglia di cercare nuove strade per far le cose, se si vuole si può ed è tutta una questione di impegno. Ciò, credo, vale per tutti,non solo per noi disabili. Siamo uno scandalo! (disabili del mondo unitevi!)

 

Mario

Sono uno scandalo perché…

…amo la vita e mi piace gustarne ogni piccolo aspetto. Infatti penso che la vita mi appartenga, non è altro da me di ostile e distante, ma sento invece di esserne parte integrante in un gioco di scambio reciproco di stimoli e reazioni. Questo presupposto mi ha permesso di affrontare e vivere la malattia (sclerosi multipla) e la disabilità che ne è conseguita come eventi naturali. Non ho mai provato vergogna a zoppicare o a chiedere aiuto agli amici e ad occasionali passanti, non provo nessun imbarazzo a spostarmi appoggiandomi al mio deambulatore o, più ancora, salendo sulla mia sedia a rotelle elettrica, detta scooter, per raggiungere i miei luoghi di svago e libertà. Non esito a dialogare con chicchessia anche se molto spesso biascico o il mio modo di parlare è a scatti e molto rallentato. Tutto questo appartiene alle “dinamiche casuali” della vita.
Sono anche consapevole del fatto che la vita mi offre ogni giorno tante piccole liete sorprese che io cerco sempre di raccogliere per ottimizzare e rendere così la mia esistenza quanto più possibile sopportabile e gioiosa. Infatti il mio intento più grande e principale è quello di trasformare la vita e tutta la realtà che mi circonda in una sorta di “villaggio turistico” ricco di distrazioni e di relax. Cerco, in altre parole, di farmi piacere la mia vita, ricercando innanzitutto nel mio piccolo “io” motivi e spunti di felicità. Quanto più l’ambiente esterno mi è avverso tanto più questa ricerca di felicità in me diventa di primaria urgenza. A volte tutto questo “esercizio” mi riesce e ne sono pago, altre volte non mi riesce e mi dico di essere uno sciocco, ma in definitiva non dispero perché rimando i miei buoni propositi di serenità al giorno successivo. Ogni giorno, infatti, è uguale all’altro nelle sue linee di principio e mi vede impegnato a realizzare il mio consueto programma giornaliero minimo, costituito al mattino dal lavoro, presso il Centro Documentazione Handicap. Il lavoro che svolgo mi permette di incontrare e aprirmi alla società, recandomi nelle scuole o in convegni con i miei colleghi per dialogare e scambiare pareri, emozioni e pensieri con la collettività. Una cultura sulla disabilità, che possa essere il più possibile comprensiva di tutti i molteplici aspetti di tale realtà, non può prescindere da uno scambio conoscitivo diretto e reciproco tra la società e i diretti interessati, i disabili. In questo trovo una piena coincidenza tra lo spirito che muove l’intero mio gruppo di lavoro e la mia filosofia di vita che mi sprona ad aprirmi verso la realtà che mi circonda a trecentosessanta gradi, comprendendo così ogni aspetto del vivere quotidiano.
Al pomeriggio sono coinvolto in diversi impegni, dalla fisioterapia allo studio (inglese, matematica, storia), dall’incontro psicologico di auto-aiuto presso l’AISM di Bologna all’incontro, a carattere ricreativo, in qualche circolo sociale. Ho modo anche in questi ambiti di dare pieno adito al mio bisogno, più che naturale e spontaneo, di socializzare.
La sera, infine, mi adopero in tutti i modi per uscire di casa e recarmi o al cinema o in qualche ristorante/pizzeria mio preferito o, male che vada, posso scegliere di andare al McD
 

Stefania B.

Io voto perché ritengo importante e fondamentale far valere le mie opinioni e per essere ascoltata con uno scopo ben preciso: mantenere e difendere dei diritti che, per i disabili ma non solo per loro, potrebbero andare perduti.
Voto anche nell’ottica di conquistare e ottenere nuovi diritti, per dare voce a quei diritti che non sono stati totalmente ancora messi in pratica. Di quali diritti sto parlando? Diritto per i disabili alla scuola e all’istruzione con la presenza di insegnanti di sostegno nelle classi, diritto al lavoro, diritto allo sport per tutti… tanto per citarne alcuni.
Strettamente collegato a questi diritti c’è poi la possibilità stessa di votare, di poter cioè entrare fisicamente nelle scuole e nei seggi elettorali.
A volte, per questioni di barriere architettoniche inadeguate, anche io mi sono ritrovata ad avere delle difficoltà di accesso e ogni volta che questo succede e mi trovo davanti al seggio, mi arrabbio molto.
Mi sento molto fortunata di avere la possibilità di votare in prima persona, nella consapevolezza che molti non lo possono fare. Per questo quando vado a votare lo faccio anche per mantenere i diritti di quelli che per le più diverse e svariate ragioni non votano all’esterno ma in casa.

L’ultima volta che sono stata a votare ad esempio, ho trovato difficoltà a capire il quesito sul Processo Breve e le Intercettazioni, temi politici non facili da trattare. Per quanto la persona disabile oggi non sia del tutto ignorante e abbia una certa cultura e possa accedere liberamente all’informazione, la politica resta complicata e non è mai alla portata di tutti. La politica, a mio parere, si esprime sempre in maniera poco accessibile, per quanto una persona sia andata a scuola, abbia studiato e frequentato corsi di vario genere, anche i più specializzati, affrontando e superando ogni tipo di difficoltà; per quanto sia un dovere per ogni singola persona tentare di uscire dalla propria ignoranza, per quanto una persona si possa informare, mettersi al corrente di quello che succede l’informazione soprattutto in politica sembra non essere mai abbastanza, che succede però? Di conseguenza che succede?
Certe persone non riescono a stare al passo con i tempi, quindi non arriveranno mai al passo con gli altri, per questi motivi la politica dovrebbe essere semplificata, come linguaggio, deve essere il più possibile resa accessibile quindi comprensibile per la collettività, anche ai più deboli, che ne pensate?

Ermanno

SONO UNO SCANDALO PERCHE’ USO IL CITYPASS

Per me è uno scandalo fare qualcosa di diverso rispetto alle cose normali. Io acquisto il citypass e nonostante abbia la carrozzina riesco a raggiungere con l’autobus anche Borgo Panigale, un quartiere dalla parte opposta rispetto a casa mia.
Sono uno scandalo perché quando io prendo l’autobus, il mio operatore avvisa l’autista dicendogli che deve salire una persona con disabilità. Io riesco a salire sul mezzo con una pedana.
Vado anche al multisala, sempre con il mio operatore, o in pizzeria o in Sala Borsa. Quando fa caldo facciamo un giretto per le strade di Bologna!
Mi piace andare in montagnola, che è aperta il venerdì e il sabato.
 

Tiziana

Sono disabile e lavoro come animatrice nelle scuole

Sono uno scandalo perché sono un animatrice del progetto Calamaio. Lavoro nelle scuole, e con le favole e il gioco metto in relazione me stessa e la mia disabilità con i bambini. Giocando con la mia disabilità dimostro che sono uno scandalo non solo con le persone che mi conoscono ma anche con chi non mi conosce. Sono una ragazza disabile e ho un lavoro.
 

Monica

-Non ho paura di lasciarmi andare
Per riuscire ad esprimere quello che sento, con tutte le persone che incontro, utilizzo un linguaggio semplice e diretto. I gesti spontanei hanno assunto un significato più rilevante per la mia vita personale e sociale. Mi sono accorta che uno sguardo, un sorriso, una stretta di mano (o di dita) mi arricchiscono di più che tanto vociare confuso E’ certo che il mio lavoro di animatrice ne risente positivamente. Incontri che ti lasciano una traccia indelebile. Sono uno scandalo perché nonostante l’immagine sociale del disabile sia molto negativa, io riesco a renderla più dinamica grazie all’uso del linguaggio immaginativo La conoscenza diretta di persone con disabilità grave, delle quali non faccio classificazioni, perché sono convinta che anche persone che a prima vista sembrerebbero passive di fronte alla realtà e al fluire degli eventi dovuti ai loro deficit, mi offre l’opportunità di tentare nuove strade di comunicazione basate sulle immagini e sui colori, attraverso l’uso di fotografie, dipinti, disegni che saltano fuori dalle mie poesie che diventano animate. Mi piace molto utilizzare il linguaggio delle figure, dell’arte impressionista che coglie le sensazioni e le emozioni del momento, di quello stesso attimo in cui si riesce ad essere coinvolti in un dialogo profondo al di là delle parole, che rende ricchi tutti coloro che partecipano alla comunicazione. Un’avventura che mi ha permesso e mi permette tutt’ora di crescere in tutte le dimensioni del mio carattere e delle mie capacità di ascolto, movimento e partecipazione alla vita che si fa sempre più piena. Per questo riesco ad abbattere i silenzi
Se c’è qualcosa che mi colpisce è il fatto di non riuscire più a stare immobile e passiva di fronte a un mondo che cambia così velocemente. Ogni cosa mi stimola a un dialogo approfondito e tagliente con chi mi sta vicino. Il mio obiettivo è riuscire ad alzare la voce e cercare di darla a chi non ne ha. So di creare delle crepe nel muro dei pregiudizi. Non mi spavento più se questo muro cade e si polverizza. La polvere che produce nel crollo e soprattutto il rumore non mi fa scappare.

 

Tatiana

Io sono uno scandalo perché sono laureata in Scienze della Formazione.
A me capita, quando vado in giro per strada, di incontrare persone che non mi conoscono e che mi trattano da “poverina” ma che, appena mi presento e dico quello che faccio, cambiano totalmente atteggiamento. Rimangono stupite e a bocca aperta. Di solito infatti, la gente pensa che una persona disabile come me non si possa laureare e, più in generale, che non abbia delle potenzialità e invece!!
È paradossale perché quando si rendono conto di tutto il mio percorso cominciano, oltre che a guardarmi, anche a parlarmi in modo diverso, come se fossi una persona “normale”.
Arrivare a questo punto non è stato affatto facile, c’è voluta tutta la mia forza di volontà e l’aiuto dei miei genitori che hanno sempre creduto in me.
All’inizio infatti avevo pensato di provare a laurearmi in Lingue ma quando sono stata ricevuta dal preside di Facoltà mi ha risposto che non era possibile includermi perché non avevano gli ausili adatti a una persona ipovedente e ovviamente con difficoltà di linguaggio.
Ma io non mi sono arresa, sono passata a Scienze della Formazione perché comunque desideravo provare a conoscere anche questo mondo universitario e i temi sociali. A me piace molto studiare e dopo aver superato gli esami ho raggiunto il mio obiettivo, quello cioè di laurearmi.
Un passo successivo, per esempio, dopo la laurea e il master in Tecnologie per Migliorare la Qualità della Vita è stata la mia scelta di fare il Servizio Civile Nazionale presso il Centro Documentazione Handicap, dove lavoro da cinque anni come animatrice disabile.
Mi rendo conto che ogni incontro è diverso dall’altro ed è una sfida piacevole.
 

Mattias

Io do scandalo:

– portando nuove idee e promuovendo le mie.
Questo a mio avviso è un gran bel risultato in quanto scavalca l’idea comune secondo cui la persona avente deficit è passiva, avente solo bisogno di mera assistenza e non in grado di portare né nessun contributo né alcuna ricchezza alla società. Nel dirlo penso anche a quando mi trovo con i miei amici con cui a volte organizzo per trovarci assieme per correre in kart, o anche per giocare a calcio oppure stare insieme fissando appuntamenti,
– creando le occasioni per attuare le mie iniziative.
Anche commentando questo titolo trovo importante evidenziare quanto io sia diverso dall’idea comune che s’è creata la gente nella testa delle persone aventi deficit, infatti sono in grado di prendermi i miei tempi e spazi; in ciò penso di essere notevolmente differente da quella categoria, penso anche a quando decido di prendere la bici, di trovarmi con gli amici per andare a magnà qualcosa o annà al cinema. In una occasione, sono addirittura arrivato al lavoro in bicicletta,è vero, ero solo con mio padre ma ugualmente mi sembrava di imitare le processioni di trionfo romane, tanto ero felice!
– quando disegno so mettermi in gioco mettendo in crisi stereotipi.
E’ vero che è già da un po’ che non do molto in questa pratica e tralascio questa branca, ma quando mi impegno e ci provo nonostante i miei limiti so con certezza che non bisogna dare nulla per scontato ne impossibile e anche se so che non è nell’idea comune del disabile avere un abilità creativa, è per me un bello scandalo!
– mi sono organizzato autonomamente prendendo il bus per fare la spesa e pagando alle casse automatiche.
E come si dice, dulcis in fundo questo è stato il mio capolavoro di scandalo, tanto che in seguito ho ragionato: quanti altri disabili riuscirebbero nella storica impresa? Io invece, nonostante le difficoltà create dall’ incidente a cui è conseguito il coma durato sette mesi che ho avuto, dapprima mentre i miei non c’erano ho guardato in frigo quello che era necessario comprare e cosa no. Poi ho preso i soldi necessari stando attento a eccedere un po’; mi sono fatto la mia lista mentale, mi sono preso l’autobus timbrando il biglietto e avvinghiandomi saldamente all’apposito corrimano sono poi allegramente arrivato alla meta del Centro Borgo. Lì ho comperato il necessario, pagando alle casse automatiche, pigliando il bus e tornando a casa una volta concluse le operazioni. Adesso quindi ho la consapevolezza di poter riuscire in tante cose. Dovete sapere che per me questo è un risultato che ha del clamoroso, erano ben dieci anni che attendevo questo grandioso successo e ri-acquisire una simile abilità nel quotidiano è una cosa talmente bella che è inimmaginabile. Meno male, che non c’erano altri clienti in quel momento, anche se in altre circostanze simili non ho avuto particolari problemi a far ingrossare un po’ la fila…