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autore: Autore: Annalisa Brunelli

Meglio morto che in manicomio

“Buone  notizie! – attaccai, disponendo il documento appena firmato in un’apposita cartella – Tentiamo con l’infermità mentale!”.
Alla donna si spense il sorriso sulle labbra.
“Più che un tentativo – incalzai constatando la delusione dei suoi occhi – Ho parlato con il professor Puligheddu, lui è disponibile a studiare il nostro caso!”.
Le mani di Franceschina Pattusi presero a sfregare un panno invisibile sulle sue ginocchia.
“L’estraneità è fuori discussione! – arrancai – L’orologio del Solinas è stato trovato in tasca a vostro nipote. Se la cava con un ricovero. Volete la forca?” esagerai. Stavo perdendo la pazienza.
Franceschina Pattusi trattenne un singhiozzo.
“No” disse semplicemente.
“No?” feci eco come se non avessi capito.
“No! – ripetè lei dopo essersi schiarita la gola – Meglio morto che in manicomio”.
“Ma vi rendete conto? – mi sgolai – vi rendete conto di quello che state dicendo? Abbiamo l’assoluzione a portata di mano!”.
Franceschina Pattusi continuava a scuotere la testa.
“Guardate che così non risolviamo niente – provai, calmandomi un poco – Bisogna che lavoriamo con quello che abbiamo. L’ho studiato bene questo caso: non ci sono alternative: vostro nipote se la può cavare solo in… quel modo”.
“E che vita gli prepariamo, s’abbocà? Una vita sulla bocca di tutti ca est unu maccu? A farsi ridere dietro dai ragazzini?”.
[…]
Da solo, nel mio ufficio ero infuriato. Maledetta ignoranza. Mi faceva imbestialire il pensiero che tutto quanto era spacciato per affetto non era nient’altro che bieco egoismo. Sa zente. Quello che dice la gente. Quello che pensa la gente. Ero infuriato: un malato rischiava il massimo della pena perché la gente non sapesse che era malato. Per questo. Che a ripetermelo mi faceva salire il sangue al cervello.
Franceschina Pattusi era stata chiara. Disse che era un marchio che si sarebbero portati tutti, come un segno a fuoco sulla fronte. Pattusi sos maccos. Anche i fratelli sani: Elias e Ruggero, che avevano diritto a una vita in mezzo agli altri, senza vergogna. Che la malattia è roba da custodire dentro casa, non roba da esporre a tutti. E Clorinda? Sua sorella minore, che marito avrebbe trovato con un matto in famiglia? Così andava, non era mica semplice affrontare gli sguardi della gente! Franceschina Pattusi disse che parlavo bene io, che problemi non ne avevo grazie a Dio, che non dovevo vergognarmi di niente grazie a Dio”.
(Marcello Fois, Sangue dal cielo, Frassinelli, 1999, pp. 44-45)

Ambientata alla fine dell’800, questa seconda indagine dell’avvocato Bustianu si muove intorno a Filippo, giovanissimo e orfano, affidato alle cure delle zie, insieme ai due fratelli maggiori. È solo scavando con ostinazione e sbattendo ripetutamente contro i muri di silenzio della zia, che viene a sapere, e noi con lui, dei problemi (psichiatrici? di comportamento?) che il nipote ha manifestato fin da bambino. Eppure, pur nella certezza della sua innocenza, la zia è disposta a lasciarlo condannare per omicidio. Meglio morto che matto.
In queste poche righe, ritroviamo tutto un mondo, un insieme di sentimenti e di convinzioni che fino a poco tempo  fa accomunavano tante famiglie di persone con un qualche tipo di disabilità. Ora, forse, abbiamo fatto un passo avanti e i genitori non provano più vergogna di fronte al deficit del figlio o della figlia.
Ma se invece di un deficit questo figlio, o questa figlia, avessero l’Aids? Oppure, più semplicemente, il loro orientamento sessuale si discostasse da quello che comunemente si ritiene normale? Siamo sicuri che non ci siano ancora delle Franceschina Pattusi a lottare con le unghie e con i denti per mantenere il segreto fra le mura di casa? Negando, in questo modo, la stessa essenza della persona, non riconoscendone l’identità e l’unicità di cui anche tutto questo fa parte.

10. La stanza di mio fratello: qualche lettura per gli adulti

Clara Sereni (a cura di), Amore caro, Milano, Cairo, 2009
I fratelli Amurri, Oliviero Beha, Barbara Garlaschelli, Kicca Menoni… Persone note, accomunate in questo libro dalla vicinanza a persone più fragili, con disabilità psichiche o fisiche. Persone che, come dice Clara Sereni nell’introduzione, “trovandone il tempo fra i mille e mille impegni diversi della loro vita, hanno compiuto uno sforzo di confessione non facile: chi legge con sguardo ignaro può non crederci, ma anche questo è un outing, di quelli che può succedere, su di un piano o su un altro, di pagare a prezzo di mercato […] Per queste ragioni, mettere insieme Amore caro ha richiesto molto tempo, molte energie, molta cura. Il risultato è un regalo che tutte e tutti quelli che hanno scritto mettono a disposizione di lettori e lettrici. Con la speranza forte che possa aiutare altri a trovare le parole per dirlo, la forza di uscire dall’isolamento muto e impotente in cui tante persone si rinchiudono e sono rinchiuse”.

Gaia Rayneri, Pulce non c’è, Torino, Einaudi, 2009
“Io ho pensato che Pulce non c’è e non ci sarà mai, non c’è per i periti e non c’è per i libri di mamma Anita, non c’è per le maestre perché non suona Bach, non c’è per i paparazzi perché suo padre non l’ha violentata, non c’è per tutti noi perché lei non è e non vuole essere come noi ce la immaginiamo. Pulce è qui e sorride allegra come sempre, sembra contenta di tornare a casa”. “Mi interessava raccontare i fatti in modo oggettivo – dice l’autrice –. Non mi va di incanalare il dolore nelle solite categorie: rivendico il mio diritto ad avere uno sguardo distorto, un’emozione distante. Ho cercato di non dipingerci come eroi, ma come una normale famiglia, in bilico tra affetto e nevrosi”. Una storia vera raccontata con gli occhi della ragazzina di allora.

Karl Taro Greenfeld, Fratello unico, Milano, Piemme, 2010
“Nell’amare Noah non c’è nient’altro da guadagnare se non quelle lezioni di pazienza e disponibilità e generosità e altruismo. Forse se si trattasse di mio figlio o mia figlia avrei sentimenti diversi, ma lui è mio fratello, e non sono i doveri di un fratello diversi da quelli di un genitore? Sostanzialmente, mi dico, la mia più grande opportunità di essere felice sta nel voltare le spalle e andarmene. Ma so che non posso”. La storia, vera, di una relazione profondissima e terribilmente dolorosa, tra due fratelli.

Anne Icart, La stanza di mio fratello, Milano, Corbaccio, 2010
“Non si da mai la parola ai fratelli e alle sorelle degli handicappati, che invece sono spesso molto più soli dei genitori. Soprattutto quando quei fratelli e sorelle non sono numerosi. Viene da considerarli meno colpiti dall’handicap perché non sono la carne della carne dell’handicappato […] Ho capito che si poteva amare e odiare allo stesso tempo. E dirlo. Pentirsi, avere rimorsi, ma ammirare. E dirlo. Che il ruolo della sorella di un handicappato non è più facile di quello di suo padre o di sua madre. E dirlo. Che è diverso. Che ci si rimane imprigionati per tutta la vita, dalla nascita alla morte. Che si passa per tutti gli stati. Ma che il ventaglio di sentimenti, dal peggiore al migliore, offerto da tale fratellanza sbilenca è un vero e proprio dono. E dirlo”.

Carlo Gnetti, Il bambino con le braccia larghe, Roma, Ediesse, 2010
“Raccontare questa storia era per me un’esigenza incontenibile: nell’ultimo periodo della vita di Paolo, quando ormai avevo capito che la sua strada era segnata e non sarebbe riuscito a sopravvivere a cure di psicofarmaci così pesanti, avevo già cominciato a tenere una sorta di diario per evitare che alcuni ricordi potessero smarrirsi”. La storia del fratello dell’autore dalle prime manifestazioni del suo disagio mentale agli ultimi giorni della sua vita, sullo sfondo di un’Italia che si sta riprendendo dalla guerra e dell’inarrestabile processo di cambiamento che ha portato alla riforma Basaglia.

Annamaria Bonucci, Il futuro è lunedì, Milano, Corbaccio, 2011
“Me n’ero accorta. Alessandro aveva qualcosa che non andava, ma non gli davo tanto peso. A casa nessuno lo faceva per cui per me era la normalità […] Ciò che in casa di sicuro non pesava, fuori, a contatto con la gente, diventava un problema e mi resi conto che non era solo Alessandro il diverso ma anche io: la sorella”. L’autrice ha tre anni quando nascono i gemelli, uno dei quali con la sindrome di Down. In questo libro ne ripercorre la storia, che si snoda a partire dagli anni ’60 quando ancora non c’è integrazione scolastica e l’unica soluzione pare quella di ricoverare il bambino in un istituto per sordi e per ciechi. Una vicenda strettamente intrecciata con la sua storia personale e, sullo sfondo, con la storia di quegli anni ancora difficili per chi aveva una disabilità.

9. Anche se Giulia non è bella: un percorso bibliografico tra i libri per bambini e ragazzi sul tema dei fratelli

Il tema dei fratelli è parte integrante della letteratura infantile: fiabe, albi illustrati, romanzi ne offrono mille esempi diversi. Ma quando un fratello o una sorella ha una disabilità? Stranamente assente (o comunque poco presente) nella letteratura per adulti, questo aspetto è affrontato nei libri per ragazzi fin dagli anni ’90. I primi libri che ne parlano sono rivolti ai ragazzini più grandi e dimostrano sensibilità, capacità di empatia e di comprensione per i sentimenti di questi fratelli e sorelle messi un po’ in ombra oppure schiacciati dal peso, a volte molto faticoso da portare, della disabilità. Nel corso degli anni la tendenza a parlarne si è accentuata e sono comparsi anche libri per i più piccoli.
Le storie sono realistiche e, soprattutto, il racconto delle giornate passate insieme, dei sentimenti suscitati, spesso ambivalenti, dà voce ai tanti bambini che non sempre sono ascoltati o non hanno il coraggio di dire apertamente quello che provano. Alcuni di questi libri sono fin troppo crudi nel rappresentare le difficoltà legate alla convivenza con disabilità difficili quali quelle psichiche e al carico di responsabilità richiesto a questi fratelli sani, sui quali si riversano tutte le aspettative dei genitori.
Proprio alla paura e al rifiuto fanno riferimento due libri tra i quali corre un filo sottile di collegamento. Parliamo di Mia sorella è un mostro e del recentissimo È non è dove questi sentimenti risaltano nettamente. Il secondo libro, però, compie un passo avanti e si conclude con una considerazione semplice ma di grande potenza evocativa: “Sara non assomiglia a nessuno. Credi che esistano due pietre, due cani, due foglie o due persone uguali?”. Quindi Sara è lontana da tutti, non assomiglia al resto della famiglia… Va esclusa per questo? La risposta, chiara e netta, è no. Anche se a volte può essere davvero scoraggiante, come ammette desolata la sorella qualche pagina prima.
Caratteristica comune delle storie che vi proponiamo è l’attenzione a disabilità di tipo cognitivo o psichico, non a caso quelle con cui è più difficile fare i conti per le maggiori difficoltà di relazione e di comprensione.
Abbiamo voluto segnalare anche due libri che raccontano storie di fratelli, di rapporti difficili, di sentimenti contrastanti che li accomunano a tutti gli altri qui raccolti ma i cui protagonisti (ed è una novità di questi ultimi anni) sono un ragazzo omosessuale in un caso e transessuale nell’altro. Ci preme precisare che non li abbiamo aggiunti perché consideriamo in qualche modo le differenze di genere come una disabilità ma perché sono libri belli in cui quello che emerge ed è dominante sono le relazioni fra fratelli, ricche e significative.
Infine, appena arrivato dall’esposizione alla Fiera del Libro per ragazzi di Bologna un libro svizzero, non tradotto in italiano: è uno dei sessanta libri selezionati per la mostra internazionale dei libri per bambini e ragazzi con disabilità curata da Ibby, segno che, anche a livello internazionale, l’attenzione verso i fratelli è sempre maggiore.
Elisabeth Laird, Un fratello da nascondere, Trieste, EL, 1993
Il tema della morte si intreccia a quello dei fratelli in questo bel romanzo per adolescenti, narrato in prima persona da Anna, che a dodici anni si trova a dover affrontare i problemi connessi alla nascita del nuovo fratellino, idrocefalo. Attraverso gli occhi della protagonista, si narra dei due anni di vita del bambino e dell’intenso e positivo rapporto che si crea fra lui e la sorella, dei problemi fra i genitori, delle difficoltà con la scuola, delle amicizie. Fino alla morte improvvisa del piccolo che offre lo spunto all’autrice per una lucida riflessione sulla scomparsa di una persona cara e sul come la vita prosegue “dopo”.
Jane Slepian, Le rose del Bronx, Milano, Mondadori, 1996
Spesso il tema della diversità si traduce solo in un invito, più o meno esplicito, all’accettazione, mentre in questo libro si affrontano temi più scottanti e forse meno appariscenti, ma non per questo meno veri e concreti: le ansie e le aspettative dei genitori, la necessità-dovere di accudire una sorella diversa, le divisioni che tale diversità può portare in famiglia. La storia di Skip che ha una sorella di quindici anni, dalla mente semplice come quella di una bambina piccola, si dipana senza cedimenti mettendo sempre più in evidenza la necessità (e la difficoltà) di una scelta da parte sua. Da un lato l’amica, la libertà, l’assenza di obblighi, l’affetto incondizionato delle coetanee. Dall’altro la famiglia, la sorella, il padre adorato. In un crescendo di tensione, il libro si avvia alla conclusione semplice, forse un poco scontata ma senz’altro positiva, il cui messaggio non può non essere inteso e capito fino in fondo dalle adolescenti cui il libro è rivolto.
Paula Fox, Festa di compleanno, Milano, Mondadori, 1998
Il libro racconta di Paul e di Jacob, suo fratello, con Sindrome di Down. È davvero difficile incontrare una storia che abbia interesse a scoprire il rapporto fraterno in una situazione dove è presente il deficit e che lo fa in toni non favolistici ma ancorati al disagio e alla fatica di accettare questo legame. È Paul che racconta questa difficoltà: attraverso le sue emozioni intense e contraddittorie entriamo nella quotidiana convivenza, rileggiamo con gli occhi di un bambino quanti cambiamenti suscita la nascita di un bimbo diverso. Il libro accompagna Paul e Jacob lungo l’arco di sette anni. Possiamo seguire lo sforzo di Paul per non essere tirato dentro a una situazione che non vorrebbe vivere, le sue resistenze e gli slanci, le domande e i silenzi. È solo dandosi il tempo di sentire disagi e incomprensioni che Paul può vivere pienamente il momento di riconoscimento di Jacob come fratello, unico e diverso e parte della sua vita.
Angela Johnson, Sussurri, Milano, Mondadori, 1999
È difficile vivere con una sorella diversa e lo è ancora di più quando la diversità che la segna è imprevedibile. È Sophy, adolescente, che racconta la sua vita al fianco di Nicole e della sua schizofrenia. Una tematica difficile, dolorosa, di cui si fa fatica a parlare. L’autrice riesce a dar voce alle paure e alle angosce di Sophy, sorella di carta di tanti fratelli e sorelle reali, riesce a farci capire come sia possibile insieme amare e odiare una sorella così. Ci dice come sia facile precipitare in un abisso di disperazione ma ci dice anche, con estrema chiarezza e decisione, che non sempre si precipita e che, anzi, è possibile guardare avanti e sperare ancora. Un libro coraggioso che affronta il tema delicatissimo delle sofferenze mentali e affida un forte messaggio di speranza a un personaggio emblematico, la signorina Onyx che ha perduto tutto all’epoca del nazismo.
Ludovica Cima, Lele goal!, Padova, Messaggero di Padova, 2000
Giovanni e Lele sono fratelli: accomunati dalla passione del calcio, ma con una differenza. Lele ha la Sindrome di Down. Una storia di relazioni tra fratelli, raccontata con semplicità ma senza nascondere i momenti di fatica.
Marie-Hélène Delval, Susan Varley, Un fratellino diverso dagli altri, Milano, Einaudi, 2002
È stata una gradevole sorpresa trovare questo libretto rivolto ai ragazzini più giovani in cui i protagonisti sono conigli ma in cui il tema della diversità viene affrontato in modo molto concreto e reale, non attraverso metafore come accade quasi sempre nei testi per i più piccoli. È la sorellina di Toto che ci racconta com’è la vita con un fratello con la Sindrome di Down, sottolineando anche le fatiche e i momenti di rifiuto per arrivare a un’accettazione piena che sa tener conto del deficit ma sa vedere anche tutto il resto.
Martha Heesen, Mia sorella è un mostro, Milano, Feltrinelli, 2002
Questo bel romanzo punta il riflettore sui sentimenti di rifiuto e sulle difficoltà che devono affrontare i fratelli e le sorelle delle persone disabili, sul loro rapporto con la famiglia e il resto del mondo. Certamente tanti si riconosceranno nella protagonista e nella sua vita difficile. Sicuramente è un bene che non si sentano soli e che sappiano che altri provano i loro stessi sentimenti. Ma troviamo inadatto il libro a bambini di 10-11 anni (come vorrebbe l’indicazione della collana). A 10 anni ci deve essere posto per la speranza e, se pure è difficile vivere con un fratello o una sorella diversi, è necessario sapere che si può guardare avanti e che ci sono spiragli di luce e mani che sostengono e aiutano a diventare grandi.
Mary Rapaccioli, Anche se Giulia non è bella, Milano, Arka, 2002
“Nonno, è così brutto essere diversi?”. “A volte sì perché certe persone non capiscono e giudicano le cose o gli altri per quello che vedono. Succede anche a me. Pianto un seme e mi aspetto una pianta. Sulla busta dei semi c’è un pomodoro rotondo, così io mi aspetto che spunti una pianta di pomodori rotondi. Essere diversi è saper già in partenza che non sarai uguale al disegno che c’è sulla bustina dei tuoi semi, sarai diverso da quello che gli altri si aspettano da te. Ma alla fine sarà solo il tempo che ci dirà se quello che ci sembra solo diverso non è diventato qualcosa di speciale”. Pensieri, emozioni e vita quotidiana di una ragazzina alle prese con una nuova sorellina che ha la Sindrome di Down.
Anne Carling, Una sorella è una sorella è una sorella, Milano, Fabbri 2003
“Frikk abbassò lo sguardo su Viola; completamente immobile, la bimba muoveva gli occhi, ma sembrava non guardare niente di particolare. ‘Vivi in un mondo lontano’ disse Frikk tra sé. Un’idea gli si presentò all’improvviso: cantare! ‘Non ti abbiamo mai cantato la ninnananna che cantavamo quando eri nella pancia della mamma. Che sbadati!’. Si chinò lentamente su di lei e cominciò a cantare”. Dopo le prime settimane di vita in incubatrice, la sorellina di Frikk può finalmente andare a casa ma i medici non sanno esattamente che danni abbia subito il suo cervello. E Frikk, saggio bambino di sei anni, dopo essere passato tra le fatiche e le paure di questa differenza, sa indicare ai suoi genitori smarriti la strada della vera accettazione e dell’amore.
Janja Vidmar, La mia Nina, Reggio Calabria, Falzea, 2007
Una storia semplice che mostra una famiglia come tante altre, i genitori, due figli, il lavoro, la scuola. Nina però è “speciale”, lei “ha la sindrome” come racconta il fratellino Tommy, compagno di mille avventure. Un bel libro che, accompagnando Tommy mentre fa i conti con la diversità, permette ai piccoli lettori di avvicinarsi alla Sindrome di Down, e più in generale alla diversità, in un percorso di accettazione serena.
Marie-Aude Murail, Oh boy!, Firenze, Giunti, 2008
“Bart si sedette in poltrona e i due fratelli si guardarono. Li unì il medesimo sorriso, un misto di tenerezza e ironia. ‘Grazie per tutto’ disse Siméon. ‘Grazie per il resto’. Grazie di essere entrato nella mia vita senza avvisare. Grazie di averne cambiato il corso e di aver cambiato me stesso. Ma siccome tutto questo non si confessa quando si è il fratello maggiore, Bart non aggiunse nulla”. Tre fratelli, orfani, alla ricerca di qualcuno che si prenda cura di loro. Un fratellastro gay alle prese con se stesso e responsabilità più grandi di lui. Una storia delicata che tocca temi difficili dalla malattia alla diversità, dalle relazioni alle responsabilità.
Marie-Aude Murail, Mio fratello Simple, Firenze, Giunti, 2009
“Tutti gli sguardi si rivolsero su Simple. Aveva le mani sotto il tavolo e gli occhi bassi. ‘Sì, ecco’ disse Kléber ‘È mio fratello maggiore. È ri… ritardato mentale’ […] Perché il piccolo era il grande e il grande era il piccolo”. Cosa succede se in un appartamento di studenti parigini arrivano due fratelli di cui il più grande, Simple, ha il cervello di un bambino di tre anni? Una bella storia che affronta con ironia il tema della diversità e dei pregiudizi e indica nella capacità di ascolto e di immedesimazione una possibilità di contatto e di apertura.
Cynthia Lord, Niente giochi nell’acquario, Casale Monferrato (AL), Piemme, 2009
“A volte vorrei che qualcuno inventasse una pillola che fa guarire dall’autismo durante la notte. Come svegliandosi da un lungo coma, David mi direbbe: ‘Diamine, Catherine, dove sono stato tutto questo tempo?’ E diventerebbe un fratello normale, […] con il quale si può scherzare e anche litigare”. È la stessa Catherine che racconta la sua estate, le sue amicizie, l’incontro con Jason che non cammina e ha un grosso quaderno pieno di schede illustrate che gli permettono, indicandole, di comunicare. Ma soprattutto racconta il suo desiderio di “normalità”, la sua fatica ad accettare il fratellino e a non vergognarsi di lui mentre fa i conti con i pregiudizi che sono dentro ciascuno di noi.
David B., Il grande male, Bologna, Coconino Press, 2010
“Perché dovrei scocciare i miei genitori per una piccola esplosione nella mia testa quando hanno già abbastanza da fare con mio fratello?”. Questa lunga autobiografia a fumetti, che porta la firma di un maestro internazionale del graphic novel ed è considerata il suo capolavoro, racconta l’infanzia e l’adolescenza dell’autore e la storia della sua famiglia nella difficile accettazione dell’epilessia del fratello maggiore, mostrando le fatiche e i percorsi alla ricerca di impossibili guarigioni e di possibili soluzioni. La forma grafica non ne fa un libro per i ragazzi più giovani ma piuttosto per giovani adulti.
Julie Anne Peters, Luna, Firenze, Giunti, 2010
“Eh sì, le volevo bene. Non poteva che essere così. Lei era mio fratello […] Come ti ho già detto, sono un transessuale. TS, se preferisci. Dovevo essere una ragazza, e lo sono, ma sono nato nel corpo sbagliato. Una sorta di anomalia che mi porto dietro dalla nascita”. Liam-Luna narrato dalla voce della sorella, nel primo romanzo che nell’affrontare il tema dell’identità sessuale si ferma in particolare su quello della transessualità. Un tema difficile che si tende a nascondere, soprattutto ai ragazzi che invece ne sentono tanto parlare, spesso in maniera distorta, dai mass media. Tanto più è importante questo romanzo perché sono proprio le parole dei libri, le storie, che possono aprire la strada alla conoscenza, all’accettazione e al superamento dei pregiudizi.
Marco Berrettoni Carrara, Chiara Carrer, È non è, Firenze, Kalandraka, 2010
“Un’ombra lungo i muri scivola e scompare. Chi è? […] è Sara, mia sorella! Lei è così, resta ore immobile, non parla, non ascolta, non guarda, spesso non partecipa a nessuno gioco”. Poche parole e intense, bellissime illustrazioni per dare voce a una sorella bambina che esprime tutto il suo sconcerto, la sua paura e il suo affetto per Sara che vive in un suo mondo lontano ma è capace di “un affetto infinito e indistinto e tra il genio dei suoi calcoli e i colori dei suoi disegni Sara si illumina!”. Poche parole che sanno però dare voce ai sentimenti di tanti fratelli e sorelle di carne che, ascoltandole, si sentiranno meno soli.
Doris Meißner-Johannknecht, Melanie Kemmler, Ein Geburtstag, Zurigo, BajazzoVerlag, 2007
La storia, con grandi illustrazioni e poche righe di testo, racconta di due ragazzini gemelli, uno dei quali, disabile, non vive in famiglia ma ritorna tutti gli anni per festeggiare a casa il compleanno. È il fratello non disabile a descrivere tutti i preparativi fatti per questo arrivo, dalla sistemazione della cameretta alla predisposizione dei giochi e della musica preferiti dal suo gemello, è sempre lui che pensa a quello che faranno. Pian piano alla gioia per il prossimo incontro si affianca il dolore per la disabilità del fratello che non potrà neanche mettere le candeline sulla torta perché non è capace, che sarà sempre così “come un bimbo nel lettino per tutto il tempo che vivrà”. Ed emerge la domanda che lo accompagna sempre “perché a te e non a me?” insieme alla profonda sintonia che, nonostante la lontananza, unisce i due fratelli.

Piccoli Lettori

La diversità nei libri della prima infanzia

anell Cannon – Stellaluna – Edizioni Il punto di incontro – 1996

Stellaluna, una pipistrellina separata dalla madre prima di aver imparato a volare, precipita in un nido di uccelli insieme ad altri piccoli e impara che non tutte le creature alate si nutrono di frutta o volano di notte.
E’ una storia di conoscenza reciproca e di disponibilità: così seguendo l’esempio di Stellaluna il resto della nidiata prova ad appendersi ai rami a testa in giù e a volare di notte, come la piccola pipistrella cercherà di appollaiarsi su un ramo e di apprezzare lo strano cibo dei suoi nuovi amici.
E’ una storia di amicizia nella diversità
Rimasero tutti appollaiati in silenzio per un bel po’. Come possiamo essere così diversi e sentirci così simili? Riflettè Flitter.
E come possiamo sentirci così diversi ed essere così simili? Si meravigliò Pip.
Penso che sia un bel mistero, trillò Flap.
Sono d’accordo, disse Stellaluna, ma noi siamo amici. E questo è certo.

Lucia Scudieri – Volare – Fatatrac – 1997

Poche parole, splendide illustrazioni a tutta pagina per questa storia-metafora del crescere e della diversità molto adatta anche a lettori piccolissimi.
E’ tutto giocato sul contrasto del colore e sulla forza delle immagini il messaggio del libro: un piccolo corvo nato bianco insegna ai fratelli corvi, neri, a volare sotto lo sguardo prima scettico e poi conquistato di mamma corvo ancora forse scombussolata da quel figlio così diverso dagli altri due.

Antonella Abbaticello – La cosa più importante – Fatatrac – 1998

"Qual’è la cosa più importante?" E’ attorno a questa domanda che gli animali del bosco di Pratorosso discutono accanitamente proponendo a turno come risposta la loro caratteristica predominante, così per il coniglio sono i denti la cosa più importante, per il riccio gli aculei, per la giraffa il collo lungo.
La sorpresa risiede nella pagina ripiegata che, una volta aperta, ci fa incontrare tutti gli animali del bosco "accessoriati" di volta in volta di un elemento predominante. Abbiamo così coccodrilli alati, leoni dalle lunghe orecchie, elefanti spinosi. E’ divertente e significativo ad un tempo vedere le facce sbigottite degli animali così trasformati e irriconoscibili per primi a loro stessi fino alla soluzione finale dove, grazie, all’intervento del gufo saggio, ognuno degli animali riprende possesso delle caratteristiche proprie. La pagina finale, infatti, ce li presenta tutti vicini, amici, diversi l’uno dagli altri.

Josef Wilkon – C’è cavallo e cavallo – Edizioni Arka – 1997

Per i più piccoli c’è il delizioso libretto " C’è cavallo e cavallo" dove si racconta dell’incontro di un giovane curioso puledro con un grosso ippopotamo. Dalla considerazione che appartengono entrambi alla famiglia dei cavalli si arriva alle caratterizzazioni: il puledro sa saltare e l’ippopotamo sa nuotare. Il testo è accompagnato da disegni divertenti ( dello stesso autore) che ci mostrano il tentativo dei due animali per acquisire le competenze reciproche. E così vediamo un puledro grossissimo che però lo stesso non galleggia ma rischia di affogare e un magro ippopotamo che non riesce lo stesso a saltare. E’ stato sciocco cercare di diventare a ogni costo uguali. Risero entrambi. Decisero quindi di essere lo stesso amici. Così come erano.

Barbara Resch – L’elefante con le orecchie rosa – Emme edizioni – 1988

Perché si nasconde l’elefante? Perché ha le orecchie rosa e nessuno vuole giocare con lui. Con estrema semplicità e disegni accattivanti l’autrice racconta l’eterna storia del diverso che solo i piccoli sanno accettare. Il linguaggio è immediato e geniale la soluzione per fare accettare agli altri animali le orecchie rosa: la provenienza da una misteriosa Terra Diversa che può essere dappertutto in cui vivono scimmie che non sanno arrampicarsi e giraffe dal collo corto.
Una fiaba quindi sull’accettazione della diversità e sulla valorizzazione degli aspetti positivi (attraverso le orecchie rosa, fonte di derisione, si può vedere un mondo bellissimo, tutto rosa). E’ proprio questo il meccanismo che porta a riscoprire gli altri e a guardarli con curiosità alla ricerca della diversità di ciascuno e della conseguente ricchezza che a ciascuno può venire proprio da questa diversità.

Eric Carle – Il camaleonte variopinto – Mondadori

Per piccolissimi un libro dalle belle illustrazioni molto colorate. E’ la storia di un camaleonte che non vuole più essere camaleonte e desidera essere altri animali. Ogni volta viene accontentato ma solo per una parte ( proboscide, zampe ecc.) finché torna camaleonte ed è contento.

Gerda Wagener, Jozef Wilkon – Lupacchiotto – Edizioni Arka – 1997

Per i più piccoli un altro racconto sulla diversità. Il lupacchiotto protagonista non ama cacciare né pescare e non fa paura a nessuno. I genitori sono contrariati e preoccupati, i fratelli lo prendono in giro, così lupacchiotto avvilito scappa e incontra un topolino che gli offre il suo aiuto. Gli porterà la pelle di una tigre poi gli aculei di un istrice e infine denti di leone. Le illustrazioni che accompagnano questi "doni" e i travestimenti del lupo fanno intuire il risultato finale, quando si presenterà al branco. Una grande risata risolverà i problemi di lupacchiotto che conclude: E’ meglio rimanere come sono. Se nessuno a me fa paura, perché mai dovrei fare paura agli altri?

Paul van Loon – Il lupetto mannaro – I criceti Salani – 1996

Quando Dolfi, abbandonato dai genitori quando era piccolo, compie sette anni scopre di essere un lupo, anzi un lupetto mannaro. Si apre così questo tenerissimo libro dove tra le righe ma in modo molto esplicito si legge l’invito ad accettare le diversità e a trovarne gli aspetti positivi. Per consolarlo e indurlo ad accettare il suo nuovo provvisorio stato un uomo misterioso gli sussurra: Lupi mannari. Credi di essere l’unico? Nessuno è mai l’unico caso al mondo. Nessuno è l’unico cieco o l’unico povero. Nessuno è l’unico ciccione…Se imparerai a padroneggiare il tuo dono scoprirai quanto è speciale… L’uomo si rivelerà essere il nonno, anche lui lupo mannaro ma non solo nelle notti di plenilunio (Sono stato io a sceglierlo…mille volte meglio boschi che una casa di riposo per anziani).
Il lieto fine è assicurato per un libro rivolto a bambini non tanto grandi ma godibilissimo da tutti.

John Wilson, Jozef Wilkon – L’elefante più piccolo del mondo – Arka – 1997

L’elefante di questo incantevole libro non era più grande nemmeno di un gatto domestico! E, per un elefante, essere tanto piccolo era la cosa più triste che potesse capitare. Così decide di lasciare la giungla e di andare a vivere in una vera casa. Le sue ricerche sono lunghe e difficili finchè non incontra un bambino che lo porta con sé e per farlo accettare dalla mamma lo fa passare per un gatto ( per prima cosa Paoli insegnò all’elefante a camminare a ritroso come un gambero, tenendo ben piegate le orecchie, e a muovere la proboscide come una coda. Poi dipinse sul suo sedere la faccia di un gatto…. ma bisogna vedere le illustrazioni!"). Scoperto il trucco la mamma lo porta al circo ( per un elefante non c’è posto che al circo) dove finalmente potrà vivere felice. Pur nella conclusione un po’ scontata e stereotipata ( dove meglio del circo regno della diversità può trovare rifugio appunto un diverso?), il numero che gli trova il direttore del circo è ironico e divertente: l’uomo più piccolo del mondo solleverà con la sua forza straordinaria, un elefante. Così annuncia al pubblico ed è il successo e la felicità per l’animaletto che conclude è andata proprio bene che non sia cresciuto più di un gatto, altrimenti ora non mi troverei qui.
Se un rilievo va fatto è che sarebbe stato sufficiente concludere così. I bambini sono in grado perfettamente di leggere fra le righe e così le ultime quattro righe (Proprio così. Al mondo c’è posto per tutti, giganti, piccoli o di media grandezza che siano. E per ognuno arriva sempre il momento, vicino o lontano, in cui trovare la felicità e veri amici) suonano proprio come una lezioncina irritante, soprattutto se pensiamo che non sono certo i bambini che ne hanno bisogno

Gerda Wagener, Vlasta Barankova – Costantino – Arka – 1989

Costantino è un caimano che ama l’armonia della natura selvaggia e per questo viene isolato dai compagni tutti presi dalla ricerca del cibo. La scelta di allontanarsi dal gruppo, dettata da un senso di inutilità e dall’amore per la musica, lo porta ad "incontrarsi" con un corno da caccia che impara a suonare meravigliosamente: ormai non si vergogna più di essere stato giudicato diverso da tutti e inutile. Quando suonava il corno gli sembrava di possedere il mondo intero. Ed è proprio la musica che conquista tutti gli animali e gli permette di sentirsi felice e sicuro di sé. Ed è naturalmente il riconoscimento di questa sua abilità, che rende tutti felici, che porta i caimani ( e tutti gli animali) ad accogliere Costantino come uno di loro. La storia, accompagnata da bellissimi disegni i cui colori riecheggiano i suoni della musica di Costantino, è forse un po’ lunga per essere letta autonomamente ma ha un fascino che conquista sicuramente anche i più piccoli

Guj Couhaje, Marie-Josè Sacrè – L’ippopotamo volante – Arka – 1993

Un’altra storia di diversità, deliziosamente illustrata, che affronta, anche se con estrema delicatezza, il tema dell’amore. Poldo, ippopotamo con le ali (non più grandi di quelle di una farfalla) decide di esplorare il mondo perché nessuna signorina ippopotamo lo vuole sposare. Così troviamo Poldo a cavallo di un aereo (dentro non ci sta!) poi davanti a un supermercato dove viene scambiato per un cartellone pubblicitario. Il suo incontro con un altro fuggitivo (un canarino scappato dalla gabbia) dà il via ad altre avventure nel tentativo di trovare un rifugio. Ma l’idea del rifugio come nido porta inevitabili guai data la mole di Poldo. Quando ormai sembra che non resti altra soluzione che tornare in Africa, Poldo scopre in un circo (inevitabile proprio questo collegamento?!) una ippopotama come lui, con ali. E meno male che non decide di vivere lì anche lui ma invece con un finale meno scontato e più trasgressivo, la rapisce e vola con lei verso l’Africa facendo tappa alle Canarie, ovvio, dove lasciare Tuorlo d’uovo.
Una fiaba deliziosa sulla diversità, la diffidenza della gente, il calore dell’amicizia e dell’amore. Certo i grandi potrebbero dire che la conclusione che si può trarre è che i diversi si sposano con i diversi ma il messaggio che i bambini colgono immediatamente è che Poldo si "sposa" ed è felice. E questo è l’essenziale.

Klaus Kordon, Maire-Josè Sacrè – Il piccolo, il grande e il gigante – Arka – 1999

Un piccolo libro, delle splendide illustrazioni e un’originale invenzione che ci riporta a prima che gli uomini fossero appena un po’ più grandi o appena un po’ più piccoli degli altri. Merita davvero fermarsi a lungo sulla penultima doppia pagina dove l’illustrazione occupa tutto lo spazio e rende quasi superfluo il breve testo che racconta come un giorno un giovane piccolo s’innamorò di una fanciulla gigante e un giovane gigante si innamorò di un fanciulla piccola. "Che coppie", dicevano tutti. I volti sorridenti la dicono lunga e anche per i bambini più piccoli sarà chiaro che ben più della diversità conta la felicità.

Iva Prochzkova – Cinque minuti prima di cena – I criceti Salani – 1999

E’ più centrato sul rapporto papà-figlia e sulla ricerca delle proprie origini questo bel libretto che comunque si sofferma anche sulla diversità e più in particolare sulla cecità della piccola protagonista. Soprattutto sa trasmettere con chiarezza il messaggio che ognuno è diverso e che la diversità non è per forza un ostacolo. Infatti mentre tutti erano tristi perché Babeta non vedeva lei…vedeva a modo suo. In maniera del tutto diversa dall’altra gente (…) vedeva la mamma che ogni sera si drizzava sul suo letto per darle un bacio. Era bella. Odorava di crema da barba…

Gregoire Solotareff – Lulù – I girini Bompiani – 1996

C’era una volta un coniglio che non aveva mai visto un lupo…e viceversa naturalmente. Il testo coloratissimo è rivolto ai più piccoli e racconta dell’amicizia fra due animali diversi. Un libro sui pregiudizi (i lupi mangiano i conigli), le paure e il superamento di tali paure visto che l’amicizia è più forte.

Maria Sole Macchia – Il Signor Tazzina – Fabbri Editori – 1999

Cosa succede ad un personaggio illustrato se il suo disegnatore assai distratto dimentica di disegnargli un orecchio, particolare questo che lo fa assomigliare ad una tazzina per il caffè? Succedono molte cose scritte e soprattutto disegnate con uno stile ironico in questo libro che ci propone i pensieri e le azioni di un un uomo diverso deriso e triste ma non sconfitto. Anzi, a partire dalla sua diversità il signor Tazzina scopre le differenze di molte altre persone e in virtù di questo riconoscimento rifiuta di farsi aggiungere l’orecchio mancante e affronterà il mondo così come è e alla fine sarà ricompensato.

Roberto Piumini – Il paese di Chicistà – LEDHA, Lega per i diritti degli handicappati – 1996

E’ una storia di bambini. Bambini diversi e bambini uguali, bambini tutti interi e bambini così e cosà. E’ la storia dell’incontro fra questi bambini, della loro conoscenza reciproca che ci aiuta a capire meglio qualcosa intorno all’handicap. Il racconto, infatti, ci presenta dapprima l’handicap come qualcosa di separato, "il muro che circonda ed isola" e, nell’evoluzione della storia, come un filo che permette un riconoscimento, un incontro tra le diversità che noi tutti abbiamo.
Nonostante le fattezze di fiaba non è una storia semplice, non è una storia immediata. E’ una storia da ascoltare con un adulto al fianco che abbia voglia di fermarsi ad ascoltare i perché, i dubbi e le domande, anche le proprie, che sempre suscita l’incontro della diversità.
L’handicap non ha bisogno di separazione, esige sincerità e condivisione. In questo senso anche le parole di una favola possono aiutare.

Guido Quarzo – Talpa, Lumaca, Pesciolino – Fatatrac – 1997

Di correre proprio non era capace. Per la verità era lenta in tutto: lenta a mangiare, lenta a scrivere, lenta a vestisi. Però non si poteva dire che non sapesse fare tutte queste cose: anche se ci metteva più tempo degli altri, faceva tutto .(…) Naturalmente la chiamavano Lumaca. Ci aveva fatto l’abitudine a quel nome, e non si arrabbiava più. D’altra parte era così lenta anche ad arrabbiarsi…. Lumaca, insieme a Pesciolino e a Talpa, nasce dalla penna di Guido Quarzo, insegnante elementare e scrittore molto amato dai bambini che, nel bel libro edito dalla Fatatrac, tocca il tema della diversità. I tre bambini protagonisti dei racconti, accompagnati da splendidi disegni, parlano un linguaggio proprio, non giudicano ma ascoltano, non pongono domande imbarazzanti e non fanno della competizione un valore ma piuttosto una ridicola fissazione.

Hanna Johansen – L’oca che restava sempre ultima – I Delfini Bompiani – 1997

Sono sei le uova di mamma oca, ma l’ultimo è più grosso. Sono sei i piccoli che nascono ma l’uovo più grosso si schiude più tardi…e così attraverso tutte le tappe della crescita le piccole ochette dovranno fare i conti con il fratellino che resta sempre ultimo. Eppure sarà proprio questa sua caratteristica a salvare tutti dai cacciatori. Questa storia semplice, con bellissime illustrazioni in bianco e nero, rivolta ai bambini di sette-otto anni può essere letta ai più piccoli che non faranno fatica ad identificarsi con l’ochetta "diversa" (o con i fratelli impazienti…) e sapranno apprezzare la sua tenacia e la sua forza di volontà che le permetteranno di imparare tutto quello che sanno fare gli altri, anche se…per ultima.

Ursel Scheffler – Tutti lo chiamavano Pomodoro – Nord-Sud edizioni – 1997

A volte basta proprio poco per essere guardato in modo diverso. E’ il caso del signor Pomodoro, così soprannominato per quel suo naso rosso come un pomodoro maturo. E’ per coprire il suo naso che Pomodoro scambiato per un rapinatore e, inseguito dalla polizia, scappa dalla sua casa e si rifugia per tutto l’inverno in un luogo diroccato. Ovviamente non è lui il delinquente ma comunque quel suo naso rosso è lì a marcare una differenza con gli altri e la sua solitudine.
E’ un bambino, verso la fine della storia, attraverso la condivisione di un cibo, a vedere finalmente Pomodoro vicino ai suoi simili e a riconoscerlo come tale.

Kalle, Mattia, Ivan… e i loro Nonni

Un percorso bibliografico sul rapporto fra nonni e nipoti

Roberto Piumini
Mattia e il nonno
Edizioni EL – 1993

Torna in questo bellissimo libro il tema della morte, affrontato con altissima poesia e il linguaggio più adatto a far sì che questo passaggio possa essere affrontato dai bambini nel modo migliore. La passeggiata di Mattia insieme al nonno è un percorso attraverso la vita e i sentimenti, è da un lato per Mattia un percorso di crescita, di cambiamento e dall’altro per il nonno un cammino di progressivo abbandono, di lenta rinuncia a tutto ciò che è apparenza. Ecco infatti che il nonno rinuncia al denaro, alla maglia di lana, al tabacco…diventando progressivamente sempre più piccolo fino alla bellissima soluzione finale, quando finisce dentro Mattia …un bambino è un bel posto per viverci.
Merita riportare questo brano che non ha bisogno di commenti.

Mattia sedette contro la sponda del ponte. Guardava il sole rosso nel cielo di fronte: era il tramonto.
– Alzami un po’, per favore – disse il nonno – Da qui non vedo bene.
– Vuoi stare sulla mia testa, nonno? – disse Mattia.
– Bella idea! Starò come in un prato! – disse il nonno.
Mattia lo mise delicatamente fra i capelli. Il nonno era alto una spanna, e forse meno.
Rimasero a guardare il tramonto.
– E’ bello, vero? – disse Mattia.
(…)
Mattia restò zitto, perché si chiedeva come fosse diventato il nonno. Non sentiva più il piccolo peso sulla testa.
– Ora dobbiamo andare – disse il nonno.
Mattia alzò una mano per prenderlo, ma non lo trovò.
– Dove sei? – disse.
– Sono qui: cercami piano.
Mattia, pianissimo, tastò fra i capelli: il nonno era grande come una mentina. Lo prese delicatamente e lo guardò, nella poca luce della sera. Lo vedeva appena, e lo sentiva come un prurito nel palmo della mano: come quel moscerino nella pineta.
– Come facciamo nonno? – disse Mattia – Ho paura di perderti, così piccolino. Ti metto in tasca?
– Meglio di no, Mattia.
– E allora?
– Aspettiamo ancora un po’ – disse il nonno – Per ora tienimi nel pugno chiuso, e andiamo a casa. Vedrai che troveremo la soluzione.
(…)
Mattia camminava, e non sentiva più niente nel pugno.
– Nonno? – disse.
– Sì, Mattia?
– Niente, volevo solo sentirti.
– Eccomi qui – disse il nonno – Tutto profumato di peperone!
Mattia si fermò di botto. Erano proprio sotto un lampione.
– Come hai detto? Profumato di peperone?
– Già – disse il nonno, dal pugno.
Mattia avvicinò la mano alla faccia e la aprì piano piano: non vide niente.
– Nonno – disse con voce leggera.
– Eccomi – disse il nonno, invisibile.
– Non ti vedo, nonno.
– E’ perché sono diventato ancora più piccolo. Sono qui.
– Ma cosa dicevi del peperone?
– Non senti l’odore?
– No.
– Davvero? Annusa bene, Mattia!
Mattia avvicinò il palmo della mano al naso.
– Non sento, nonno.
– Più forte – disse il nonno – Devi annusare più forte, come facevo io con il tabacco, ricordi?
Allora Mattia annusò fortissimo, e l’aria gli fischiò su per le narici.
– Non sento nessun odore di peperone, nonno – disse.
– Infatti non c’è – disse il nonno: ma la sua voce non veniva più dalla mano: era come intorno, o dentro Mattia.
– Che è successo, nonno? – chiese Mattia.
– Ho fatto un piccolo trucco, Mattia. Ti ho fatto annusare forte la mano per poter entrare dentro di te. Se ti avessi detto di mettermi in bocca, credo che non l’avresti fatto, o ti sarebbe molto dispiaciuto.
– Allora sei dentro di me, adesso?
– Sì.
– E questa è la tua voce?
– Sì, ma la senti solo tu, adesso.
– E come stai, nonno?
– Benissimo, Mattia. Un bambino è un bel posto per viverci.

Un libro che i bambini ameranno senz’altro, un libro da far leggere ai grandi che fanno tanta fatica ad affrontare certi temi e ad accettare la realtà della vita e della morte.

Ulf Stark
Sai fischiare Johanna?
Piemme, serie azzurra – 1997

La casa di riposo, la malattia, la morte…sono tutti temi difficili che si è restii ad affrontare con i bambini, soprattutto i più piccoli. E invece è proprio a loro che si rivolge questo bel libro che racconta di come Berra, che vorrebbe avere un nonno, lo trova in un anziano di una casa di riposo e stringe con lui un’affettuosa e intensa amicizia.
Il linguaggio è semplice, il racconto breve si snoda fra piccoli episodi apparentemente semplici: la prima visita e la felicità di essere nonno ma anche di essere nipote, la prima uscita in giardino
– Avevo quasi dimenticato che fosse così – dice (il nonno)
– Cosa? – chiede Berra.
– Li sentite gli uccelli? chiede il nonno.
– Sì – rispondiamo.
– Li sentite i profumi? – chiede ancora.
– Certamente – risponde Berra.
– Non dimenticate mai queste cose – dice il nonno.
la costruzione di un aquilone con lo scialle più bello della moglie e, al posto della coda, la sua migliore cravatta (che però non vola per mancanza di vento!); poi il nonno prova ad insegnare a Berra a fischiare (ma non è facile imparare!!) e infine la festa per il compleanno del nonno..
Il racconto denota grande attenzione e con molta delicatezza e poesia avvicina i bambini al momento in cui avverrà il distacco da una persona cara. Meritano di esser lette le ultime pagine in cui, con grande serenità, viene descritto il funerale del nonno
Quando cessa la musica, arriva un prete, che si mette a parlare. E’ un discorso abbastanza breve.
– Nils era un uomo allegro. Soprattutto alla fine – dice – Gli volevamo bene tutti. E così non ha mai dovuto sentirsi solo, anche se non aveva parenti.
A quel punto Berra alza la mano, e la muove finchè non lo guardano tutti.
– Veramente era il mio nonno – dice.
Poi tutti si avvicinano alla bara e ci mettiamo sopra dei fiori. Io e Berra ci andiamo per ultimi. Facciamo un inchino, e Berra appoggia la rosa di Gustavsson sopra tutti gli altri fiori.
Poi rimane lì, anche se io lo tiro per un braccio.
– Adesso devo fischiare! – dice – Sentirai come fischio bene.
Berra si mette a fischiare, tanto forte che si sente l’eco in tutta la cappella.
Fischietta "Sai fischiare, Johanna?"
– Come ti è sembrato? – chiede quando sono fuori.
– Perfetto – rispondo – Adesso puoi essere soddisfatto.
– Infatti lo sono – risponde Berra.
Restiamo in piedi nel vento a guardare la bara che viene portata nel carro funebre da un paio di uomini con i guanti neri.
– In fondo è stato bello – commenta Berra.
Poi il carro funebre se ne va.
Noi salutiamo con la mano finchè non sparisce dietro la curva.
– Adesso cosa facciamo? – chiedo io a quel punto.
– Proviamo l’aquilone – risponde Berra – perchè oggi si è alzato il vento.

Angela Nanetti
Mio nonno era un ciliegio
Einaudi ragazzi – 1998

Ancora un libro che parla dei nonni, o meglio del rapporto fra nonni e nipoti. Non solo, parla anche della morte dei nonni.
Divertente, trasgressivo e decisamente comprensivo nei confronti del nipote Tonino, il nonno Ottaviano ha una grande capacità di ascoltare le esigenze del nipote, anche se non espresse (…"se ascolti con attenzione e ti concentri puoi vedere un mucchio di cose"…) e gli trasmette un grande amore per la natura, partendo dal ciliegio Felice (…"ascolta il ciliegio che respira…) piantato dal nonno il giorno della nascita della sua unica figlia (la mamma di Tonino), cresciuto e curato con amore. Un amore trasmesso al nipote che proprio nel ciliegio riesce a "ritrovare" il nonno dopo la sua morte.
Le riflessioni sulla malattia e la morte percorrono un po’ tutto il libro e sono poste ai bambini con grande delicatezza ma senza nulla nascondere della realtà. Dopo la morte della nonna Linda, Tonino con l’aiuto del nonno, rimasto solo e un po’ triste, riesce a rielaborare il lutto e a dire:
"..se non si muore finchè uno ti vuole bene, come ha detto il nonno, visto che la persona morta non si vede, vuol dire che si trasforma. Perciò la nonna di sicuro era diventata un’oca.
(…).
– Anch’io ho pensato a qualcosa del genere sai? – disse il nonno – e io che cosa potrei diventare?
Non avevo nessun dubbio
– Un ciliegio – risposi.
– E tu?
– Non ci ho ancora pensato, ma forse mi piacerebbe diventare un uccello. Così verrei a farti compagnia e a mangiarti tutte le ciliegie.
Peccato che l’autrice non sia riuscita a mantenere l’equilibrio fra la parte dedicata al rapporto fra Tonino e il nonno e il resto. Infatti la famiglia di Tonino e i nonni paterni sono eccessivamente litigiosi, poco capaci di ascoltare, troppo concentrati su se stessi, insomma pieni di difetti.
Vengono rappresentati un po’ tutti i clichè, primo fra tutti quello che vuole il marito morbosamente legato ai suoi (noiosissimi) genitori e la moglie che non li può vedere. Ovviamente questo vale al contrario per i genitori di lei, causa di continui litigi che porteranno alla separazione fra i due.
Ma perchè appesantire di altri problemi (seri e ormai conosciuti e sperimentati da troppi bambini sulla propria pelle) un libro altrimenti così poetico e che comunque già affronta un argomento delicato e doloroso? E perchè poi, se quella è stata la linea scelta, l’autrice si "pente" e in un eccesso di buonismo e amore per il lieto fine fa tornare insieme i genitori che decidono di vivere in campagna, nella casa del nonno Ottaviano, lontano dai noiosi nonni paterni e addirittura decidono di avere un’altra bambina.
Questo piuttosto è un messaggio che manca di realismo, come a dire che tutte le storie sono a lieto fine. Ma molti bambini sanno purtroppo che non è affatto così.

Guus Kuijer
Graffi sul tavolo
Gli Istrici Salani – 1996

E’ proprio vero che la grande abilità di questo bravissimo scrittore è quella di "capire quei pensieri che i bambini non sanno esprimere a parole" come ci viene detto all’apertura del libro. Un libro semplice con una scrittura piana e lenta, dove non succede apparentemente niente di importante. Dove però i piccoli (o meno piccoli) lettori vengono delicatamente posti davanti ad alcuni temi difficili: la morte, la vecchiaia, l’incomprensione.
Attraverso la voce di Madelief, piccola protagonista che, come il piccolo principe, non rinuncia mai alle domande, e vuole sapere tutto quello che accade e quello che è accaduto, l’autore suggerisce che bisogna vincere la paura che può nascere dalle diversità, dalla differenza di età e di sentire; si può trovare la strada che porta al cuore delle persone anche di quelle più insopportabili e inavvicinabili. Dietro il muro alzato per difendersi c’è sempre una persona sola e affamata d’amore.

Peter Hartling
La mia nonna
P iemme, serie arancio oro – 1996

Kalle, rimasto senza genitori a cinque anni, va a vivere con la nonna e cresce con lei.
Il racconto si snoda fra piccoli episodi della vita di tutti i giorni visti dagli occhi del bambino ma anche da quelli della nonna che alla fine di ogni capitolo annota le sue riflessioni personali.
E’ un abile stratagemma che ci permette di vedere la stessa situazione anche dal punto di vista della nonna e quindi aiuta a capire che ci possono essere opinioni e reazioni diverse ma non per questo ci si deve allontanare.
Il linguaggio semplice ma realistico non nasconde nulla e con delicatezza mostra anche "cose brutte" della vecchiaia, quelle che, soprattutto ai più giovani, possono fare paura. Dopo una visita ad un’amica che vive in una casa di riposo, la nonna riassume tutte le paure del bambino (e anche le sue) in alcune frasi che, ci pare, non hanno bisogno di alcun commento:
Sono esattamente vecchia come quelli lì. Solo che io non vivo lì in mezzo, ma con te, con un bambino. Allora la vecchiaia ha un altro aspetto. La vecchiaia diventa terribile quando, a furia di vedere vecchi, si perde di vista la vita, sai. Ecco tutto. Ma il mondo ha paura dei vecchi. E tu pure, Kalle.
Il tema dell’istituzionalizzazione dei vecchi, della perdita dell’autonomia, così come il tema della morte, devono essere affrontati e non nascosti. E’ di nuovo la nonna che, al termine del racconto, prepara Kalle alla possibilità della sua stessa scomparsa e, dichiarando Ho in programma di vivere il più a lungo possibile, Kalle. Ma impegnarsi non basta, può solo contribuire, lo pone davanti alla realtà senza drammi, aiutandolo a crescere.

Anne Fine
Complotto di famiglia
Piemme, serie rossa – 1998

Davvero notevole e diverso dal solito questo libro di una delle più importanti scrittrici per ragazzi di lingua inglese. Le vicende della famiglia Harris (papà, mamma, quattro figli e una nonna non più del tutto autosufficiente e con un inizio di demenza senile) sono raccontate con un linguaggio insieme ironico, tenero e molto reale. Gli sforzi dei quattro ragazzini per evitare il ricovero della nonna in una casa di riposo portano ad un risultato surreale ma dai risvolti avvincenti ed estremamente incisivi e toccanti.
Durante la cena, Natasha annunciò ufficialmente che la nonna non sarebbe andata a vivere alla casa di riposo; Tanya e Nicholas fecero smorfie di trionfo e si congratularono con Ivan …
(…)
Ivan ha chiarito la sua posizione: la nonna deve essere accudita qui, in questa casa. Giusto? (…) Allora siamo d’accordo: vostra nonna continuerà a vivere qui e Ivan si occuperà di lei (…) Pulire, fare la spesa, darle da mangiare, prenderle la tazza e cambiare i canali della televisione, cambiare e lavare le lenzuola, pulire il bagno dopo che l’ha usato, darle le medicine, accompagnarla in bagno, rammendarle i vestiti, andarle a ritirare la pensione, comperarle le mentine, riempirle la borsa dell’acqua calda, ascoltare le sue preoccupazioni, organizzare le visite dal dottore, stare qui con lei dopo la scuola, di sera, nei fine settimana e durante le vacanze, tenere bene al caldo la sua stanza, accenderle la luce quando si fa buio, sistemarle la radio, sprimacciarle i cuscini, controllare che abbia sempre l’acqua nel bicchiere – le mani di Natasha danzavano allegre sui piatti – Cercarle gli occhiali, trovarle il libro, raccoglierle da terra lo scialle, aprirle e chiuderle la finestra, tirarle le tende, spedirle ogni Natale le sue ultime cartoline d’auguri, consolarla quando muore qualche sua amica, ricordarle di mangiare…
Stava elencando tutte quelle incombenze come se fossero cose da nulla e per niente impegnative, e come se negli ultimi anni non l’avessero tenuta impegnata per almeno metà del suo tempo.
– Decidete tra voi come fare, o lasciate pure che Ivan si occupi di tutto: a me non importa, io ho già fatto la mia parte, adesso tocca a lui.
Il ragazzino la fissò con gli occhi sbarrati.
Sophie esclamò:
– Cosa? Tutto?
– Tutto quello che vostro padre e io abbiamo fatto fino ad oggi.
– E voi? Che cosa farete voi due?
Svolgeremo i vostri lavori, naturalmente.
Quali lavori? – domandò Nicholas, sbalordito.
– Infilare ogni tanto la testa nella sua stanza, di solito quando l’altro televisore non funziona. Preoccuparsi all’idea che si trasferisca in un ospizio. Henry avrà qualche incubo riguardante sua madre. Io ho bisogno di dormire, e quindi potrei spolverare la sua chincaglieria sul cassettone il sabato mattina. Credo che sia tutto quello che avete fatto finora per lei. Ho forse dimenticato qualcosa?
L’autrice non nasconde dietro immagini edulcorate le "bruttezze" del diventar vecchi ma sa aiutare i ragazzi (parlando il loro linguaggio) a guardare negli occhi la vita che passa, affrontando le responsabilità che comporta il diventare grandi. Le vicissitudini dei quattro fratelli Harris alle prese con la nonna ci portano fino alla sua morte. Anche in questo caso l’autrice ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome e nel dialogo che si svolge al cimitero fra i due fratelli più grandi si può riassumere la sua grande capacità di mettersi nei panni dei più giovani, aprendogli gli occhi sulla realtà, sulle tristezze ma anche sulla speranza nel futuro.
(Sophie) Alzò gli occhi, e scrutò uno dopo l’altro i rami giganteschi, fino in cima.
– Ivan! – strillò, sconvolta – Ma non capisci cosa succederà? L’hanno seppellita qui sotto, a due metri di profondità. E’ la legge, devono aver fatto per forza così. Questo significa che adesso è tra le radici del tasso. Capisci cosa sta per accaderle? Verrà assorbita dalla pianta!
Ivan si sentì quasi male. Abbassò lo sguardo, per guadagnare tempo e controllare quanto gli aveva appena detto sua sorella, e poi lo rialzò. L’albero troneggiava su di loro, immenso, antico e magnifico, facendoli sembrare due creature minuscole. L’idea che il fragile corpo dell’anziana signora potesse in qualche modo opporsi a quella forza della natura era a dir poco ridicola.
Respirò a fondo per sconfiggere la nausea.
– Le farebbe piacere – disse, cercando di mostrarsi più calmo possibile.
– Piacere?
Ivan confortò sua sorella a proposito dell’albero così come lei lo aveva consolato per la storia della polmonite.
– Sono sicuro che ne sarebbe felice. Perché non dovrebbe? Una volta mi aveva detto che le piaceva pensare di far parte delle cose: sarebbe stata contenta di far parte di un albero.
– Lo credi davvero?
– Sì, certo.

Anke De Vries
Segatura in testa
I Criceti Salani – 1991

(I due bambini Trottano insieme attraverso il parco.
A un tratto vedono qualcosa per terra, fra l’erba. E’ una borsa marrone da ufficio.
Si avvicinano di corsa e la raccolgono.
– Di chi può essere? – domanda Frans.
Guardano dentro la borsa.
E’ piena di fotografie.
Vecchie fotografie.
(…)
– Ma questo è il signor Baas! – esclama Fransi, indicando un uomo nella fotografia.
– Il signor Baas? Lo conosci? – chiede Frans.
– Sì, abita a Villa delle Dune. E si dimentica tutto.
– Questo lo so – dice Frans – Stamattina girava nel parco. Si era dimenticato la strada. L’ho accompagnato io a Villa delle Dune.
– Lo faccio sempre anch’io – dice Fransi.
– Il signor Baas ha la segatura in testa. Un bel fastidio.
Molte persone anziane hanno "la segatura in testa", cioè dimenticano facilmente e confondono presente e passato. Appunto come il signor Baas, che vive in una casa di riposo e non riconosce nel signore stempiato che gli fa visita il figlio, una volta biondo e riccioluto.
L’incontro fra l’anziano signore e due bambini intraprendenti cambia tutto: con una trovata geniale i ragazzini riescono ad ottenere che la segatura abbandoni per un po’ la testa del signor Baas.
L’autrice ha scritto questo libro in memoria dei suoi genitori che in vecchiaia ricordavano solo episodi della loro gioventù. Il libro si rivolge ai bambini con un linguaggio semplice e, con grande delicatezza, li accosta al tema della demenza senile e del ricovero in casa di cura/riposo, presentandolo con realismo ma senza paure e senza spaventarli, aiutandoli a conoscere una "diversità" e a saperne cogliere gli aspetti positivi e di relazione.

Mino Milani
L’ultimo lupo
Piemme, serie rossa – 1993

Vale veramente la pena proporre questo libro ai ragazzi ma anche leggerlo ai loro fratelli più piccoli. Ci potranno trovare il rapporto fra le generazioni, la riscoperta dei valori veri, la capacità di ascoltare, l’incontro con la natura guidato da un vecchio: tutto questo attraverso gli occhi di Enzo, il piccolo protagonista, cittadino fino al midollo.
Prevenuto nei confronti del vecchio zio, scappato dalla casa di riposo (.."una bella casa per anziani, televisione, gioco delle bocce….hai un gran bravo nipote…) per tornare alla sua casa nei boschi, Enzo scopre che se uno scappa in quel modo …o in qualsiasi altro modo, qualche ragione ce la deve avere..".
Le sue riflessioni ci accompagnano lungo il percorso di conoscenza che lo porterà alla rivelazione sofferta dell’importanza del rispetto e della libertà. Arriverà quindi ad accettare le scelte dello zio, a comprenderle fino in fondo e a schierarsi dalla sua parte. Con un linguaggio poetico ma asciutto e senza falsi pietismi, l’autore ci propone la trasformazione di Enzo (salito in montagna, dallo zio, per aiutare i cacciatori a trovare e uccidere l’ultimo lupo della zona, il ragazzo li "tradirà" diventandone quindi il salvatore) come emblematica di una capacità di guardare le cose con occhi nuovi.

Brigitte Peskine
Risvegliarsi al tramonto
Edizioni EL, Ex libris – 1995

Scritto in prima persona da Nathalie, adolescente confusa e spaventata dalla propria crescita, in difficoltà con il resto del mondo (genitori, amiche, ragazzi…), questo libro tratteggia un bel rapporto fra nonna e nipote. Proprio per bocca di Nathalie dà vita alla paura della vecchiaia, della morte, della diversità e senza proporre soluzioni definitive né lieti finali zuccherosi indica alcune strade che possono aiutare a guardare la vita con maggiore serenità.

Carmen Martìn Gaite
Cappuccetto Rosso a Manhattan
Mondadori – 1999

Come nella famosa fiaba, Sara parte per portare una torta di fragole alla nonna che vive sola a Manhattan. Una riflessione sulla libertà che parla al cuore di tutti ma anche uno sguardo profondo ai rapporti fra nonni e nipoti. La particolarissima affinità fra Sara e la sua nonna Rebecca, un tempo cantante di music hall, è descritta in modo incisivo e mostra con grande semplicità, attraverso la penna magistrale di questa grande autrice, come i bambini siano in grado di andare oltre i pregiudizi, diritti al cuore dove sanno leggere i veri sentimenti delle persone, l’ansia di amore e la disperata solitudine di cui tante volte i vecchi di oggi sono circondati.

Anna Lavatelli
Tutti per una
Piemme, serie arancio – 1997

E’ una realtà molto romanzata, dove il lieto fine è obbligatorio, quella che viene descritta in questo libro che racconta le vicende di un gruppo di anziani di una casa di riposo. Eppure il suo pregio è proprio quello di descrivere, con gli occhi di chi ci deve poi passare il resto della vita, una realtà spesso sconosciuta e comunque temuta dai bambini. Le riflessioni che i protagonisti fanno fra di loro sul senso della vita, sulle aspettative verso il futuro, sulla capacità di essere ancora protagonisti attivi sono tutti inviti alla riflessione e ad una maggiore attenzione nei confronti degli altri.

Guus Kuijer
Ti perdi e trovi una nonna
I Criceti Salani – 1993
Guus Kuijer
L’isola Duegambe
I Criceti Salani – 1991

Segnaliamo questi libri che raccontano le avventure di Tin, intraprendente bambina di nove anni, del coetaneo Job e del piccolo Bas, per la presenza di Tilli, una vecchia signora cieca che Tin "adotta" come nonna. Difficoltà, strategie e soluzioni positive sono tratteggiate dalla penna di questo grande scrittore olandese che sa guardare il mondo dall’altezza dei bambini, sa portarli ad affrontare le realtà e le fatiche della vita vera con fantasia, ironia e tanta voglia di divertire.

Stepan Zavrel
Nonno Tommaso
Arka – 1992

Il libro ha tutti gli ingredienti per piacere ai bambini ma anche ai loro nonni!! L’ordinanza del sindaco che "per il loro bene" fa rinchiudere tutti i nonni in una casa di riposo con l’aiuto di squadre di acchiappanonni armati di ogni tipo di rete sarà vanificata proprio dai bambini che, soli, si accorgono che i nonni là hanno davvero di tutto ma nessuno di loro sorride.
Saranno i bambini, all’insaputa dei grandi (che tanto non si accorgono di niente) a liberare i nonni e a tenerli nascosti fino a quando anche i genitori non capiranno che il loro posto è lì, in famiglia, e che la loro presenza è preziosa per i bambini.

Anthony Horowitz
Nonnina
Junior +10 Mondadori -1996

Appartiene al filone dei "nonni cattivi" e della fantasia più sfrenata questo divertente romanzo che vede il piccolo protagonista alle prese con la vecchia, cattivissima nonna e le sue amiche che vogliono servirsi di lui per tornare giovani. Nonnina concentra in sé tutti i tratti negativi che vengono solitamente attribuiti ai vecchi (dalla dentiera alle rughe…) e non è possibile trovarle qualche aspetto positivo. I vecchi da eliminare? Verrebbe fatto di pensare di sì se non fosse per un personaggio, la tata del protagonista, che sa riportare le cose sulla terra e dichiara decisa agli interrogativi del ragazzino: La vecchiaia è come una lente di ingrandimento: prende il meglio e il peggio di ognuno e l’ingrandisce. Nonnina è stata egoista e crudele per tutta la vita. Ma non puoi prendertela con lei per essere vecchia.

Ulf Stark
Il paradiso dei matti
Feltrinelli kids – 1999

Pur essendo un libro che parla dell’adolescenza e di tutto quello che comporta, raccontando la storia di Simone (una ragazzina dallo splendido nome francese che però in svedese non esiste se non al maschile…). La storia, divertente, trasgressiva, delicata è per noi significativa anche per la figura del nonno (si potrebbe dire il miglior attore non protagonista…) con cui Simone ha un bellissimo rapporto fatto di confidenza, affetto e reciproca fiducia. Lo strampalato vecchietto, di cui inizialmente sappiamo solo che è ricoverato in un ospedale per lungo degenti, piomba a casa della figlia dichiarando
Sono venuto qui per morire (…) Lo so, lo so! Forse è sconveniente. Ma in quell’ospedale del cavolo non si può morire in pace. Non si fa in tempo, con tutti gli esami del sangue e i termometri che ti infilano dappertutto e le lenzuola che devono essere cambiate e le pillole che bisogna mandar giù e tutte le altre scemenze che si inventano!
Il nonno accompagna e sostiene Simone in tutte le sue peripezie alla ricerca di se stessa e quando viene il momento organizza una festa d’addio cui partecipa dal suo grande lettone dove morirà sereno accanto alla figlia e alla nipote mentre la festa e la vita continuano nella notte.
Un altro libro in cui la morte viene affrontata con realismo e tranquillità, senza nascondere niente e senza spaventare.

Karel Verleyen
Mio nonno domatore di leoni
Gli Istrici Salani – 1997

Divertente e surreale questo nonno, scomparso in Africa tanti tanti anni prima, ricompare all’improvviso e vorrebbe venire a vivere con il figlio che non l’ha mai conosciuto. E così la storia si snoda fra l’esigenza di riconoscimento da parte del nonno, il rifiuto del figlio che non sa affrontare il cambiamento e la piena, immediata accettazione invece da parte del nipotino per il quale il nonno ritrovato inventa avventure mirabolanti. Inevitabile il lieto fine (Ai nipoti può benissimo nascere un nonno! Ad alcuni almeno…E a me è successo!) per un libro che, tra le risate, ci ricorda comunque l’importanza degli affetti e delle figure familiari.

Anke de Vries
"Segatura in testa"
I Criceti Salani – 1991

Abbiamo scelto alcuni testi che aiutano in modo significativo ad entrare in contatto con temi difficili quale la malattia e la vicinanza con la morte scegliendo per fare questo la figura dei nonni come figura mediatrice.
Molti dei testi recuperano in modo positivo l’immagine di persona vecchia che si avvicina, più o meno consapevolmente, alla fine della propria vita. Mettere a fuoco questo tema fa inevitabilmente sfuocare il resto rendendo centrale il rapporto che si crea fra il nonno o la nonna e i bambini.
In alcuni racconti però questa centralità del rapporto disegna un’immagine di nonni sopra le righe, con caratteri di eccezionalità, distanti dai tratti reali.
I nonni spiccano anche perché dietro loro c’è il vuoto famigliare. Riempiono l’assenza delle altre figure, in particolare dei genitori che non sono rappresentati come adulti di riferimento, sono lontani ( e come tale vengono allontanati dagli autori con stratagemmi vari).
Questa resa del quadro familiare in termini di assenza dei genitori è contraddittoria e problematica; tende da un lato ad idealizzare le figure dei nonni presentandoli, appunto, come super nonni, dall’altro induce a domandarsi come i bambini leggano questo vuoto, che alcuni libri disegnano in termini così forti, appare altrettanto irreale al pari dei quadretti idilliaci di tanti spot pubblicitari.
"Un altro degli elementi considerato da molti proibito nei libri per ragazzi è la morte. Intendiamoci, la morte come elemento risolutivo dell’intreccio, è stata sempre usata con abbondanza. Mamme morte che producono utilissimi orfanelli, eroici tamburini sardi o scervellati monelli che giocano col fuoco, piccoli ebrei nei lager, malatini di AIDS o vittime di faide tribali in Bosnia o in Ruanda. La morte straziante è uno degli ingranaggi fondamentali per mettere in moto la macchina del patetico, così presente specie nella letteratura ottocentesca, e comunque in quella che vuole ammonire ed edificare. La morte come evento, come spettacolo, come dato di fatto che in genere ci fa sentire colpevoli di essere sopravvissuti. Mai o quasi mai la morte come problema filosofico.
Eppure tutti i bambini si interrogano al riguardo, nonostante le risposte evasive e depistanti degli adulti (…). Uno dei miei libri per preadolescenti più amato dalle lettrici è Principessa Laurentina dove ho cercato di raccontare in modo realistico la reazione della protagonista alla morte della madre, avvenuta per un imprevisto incidente proprio mentre era in corso un profondo dissidio con la figlia. Ho notato che a leggere libri di questo genere i bambini e i ragazzini provano un senso di sollievo, non perchè se ne ritrovino consolati, ma perchè si sono almeno liberati dal peso angoscioso del silenzio, del non detto, del rimosso". (Bianca Pitzorno, Storia delle mie storie, Pratiche Editrice, Parma, 1995, pp. 137-138)

Nonni – rapporti fra le generazioni – figure di riferimento nella crescita

Un filone ricco di titoli è quello che vede i nonni come figure adulte di riferimento, solide rassicuranti (o anche "negative" in quanto custodi delle tradizioni) ma spesso sole nella totale (o quasi) assenza dei genitori.
Citiamo fra i tanti:
Patricia MacLachlan – Album di famiglia – Junior Mondadori +10 – 1993
Margaret Shaw – Ieri e domani -Gaia Junior Mondadori – 1993
Rhea Beth Ross – Solo donne in famiglia – Gaia Junior Mondadori – 1993
Gail Giles – Il respiro del drago – Junior -10 Mondadori – 1999
Roberta Grazzani – Nonno Tano – Piemme serie azzurra – 1992
Silvana Gandolfi – Occhio al gatto! – Salani Gli Istrici – 1995
Matilde Lucchini – Per fortuna ci sono i dinosauri – Junior- 10 Mondadori – 1994

Le facce della diversità nella letteratura infantile

Editoriale

Esplicitiamo il punto di vista da cui vorremmo cominciare per proporre questo numero monografico dedicato al rapporto tra le forme della diversità e la letteratura per bambini e ragazzi; tra le molti possibili chiavi di lettura con cui accostarsi a questo tema vorremmo privilegiare l’idea di una letteratura intesa come luogo di rivisitazione della vita quotidiana. Con quest’ultima la letteratura conserva legami diretti in quanto serbatoio di storie reali e potenziali che la creatività e l’immaginazione a volte riprendono, rivedono o stravolgono sempre comunque individuando nella dimensione quotidiana un punto di riferimento.

Ma che cosa è la quotidianità?

E’ qualcosa che ha a che fare con l’ordinarietà, la ripetizione, la routine. Tutta la nostra vita è intessuta di routines senza le quali diventerebbe impossibile vivere, pena reinventare, come novelli Robinson Crosue, le pratiche che contraddistinguono il passare dei giorni.
Quotidianità è la dimensione in cui siamo immersi, che attraversiamo, dentro cui agiamo e reagiamo. Per questa sua "naturalità ed ovvietà" è la dimensione con cui facciamo più fatica a confrontarci; la comprensione dei meccanismi che la sostengono è sotterranea, spesso non ricercata così come non è scontato il farli venire a galla.
Da molti punti di vista la quotidianità fatica ad affermarsi con valore, con senso e anche con piacere.
Spesso è la rottura che in un qualche modo ci fa riprendere contatto con il quotidiano, promuovendo una forma di consapevolezza maggiore.
Nella quotidianità noi conosciamo infatti anche la rottura dell’ordinario e del consueto: l’ignoto e la paura, la malattia e la morte, la nascita difficile e la convivenza con essa. Le forme di questa rottura si presentano a volte come evento inatteso e scioccante, a volte sotto il segno della cronicità e del non cambiamento e sono spiazzanti e difficili da interpretare.

Quale rapporto tra la quotidianità e la letteratura?

Partendo da queste riflessioni tra le molte valenze possibili, segnaliamo alcuni rimandi per noi particolarmente pertinenti rispetto al collegamento fra quotidianità e letteratura:

La letteratura come catalogo

Inventario del mondo che passa attraverso il rinominare le cose, il procedere alla conoscenza attraverso il linguaggio, il dare nome alle cose. E’ un rifarsi continuo a quel primo atto creativo che ricorre così forte in molti miti e testimonianze arcaiche e che rivediamo ogni volta che un bambino impara ad impadronirsi del linguaggio come processo sociale e socializzante, che ha bisogno dell’altro per compiersi.

La letteratura come mediazione verso la vicinanza con la propria e l’altrui esperienza

Molti di coloro che amano leggere ed ascoltare storie sentono ciò che così efficacemente uno scrittore importante come Proust affermava: "solo attraverso l’arte possiamo uscire da noi, sapere che cosa vede un altro di un universo che non è lo stesso nostro e i cui paesaggi rimarrebbero per noi non meno sconosciuti di quelli che possono esserci sulla luna. Grazie all’arte, anziché vedere un solo mondo, il nostro, lo vediamo moltiplicarsi…"
Quando il punto di vista, il mondo a cui l’altro ci introduce è di segno difficile, portatore di quella faccia della realtà con cui è più faticoso e pauroso tenere aperti i legami (la malattia, la morte, l’incapacità, la dipendenza) la letteratura amplifica la sua capacità di mediazione, di introdurre elementi di collegamento, di apertura, di forme di apprendimento attraverso le vie:
della vicinanza (sì, si può parlare anche di cose difficili, passaggi aspri);
della distanziazione ( attraverso il prendere le distanze per poter elaborare);
della triangolazione (oltre me stesso e la paura c’è il terzo elemento dato dalla storia)

La letteratura come dialogo

La quotidianità è il nostro vivere ma può rischiare di essere la nostra gabbia rimandandoci un’idea di forte separatezza ed incomunicabilità:. "Io dentro al mio quotidiano, tu dentro al tuo".
Su questo punto la letteratura spiazza, ci fa confrontare direttamente con l’incrocio di destini, il continuo rifarsi di una storia con l’altra.
La letteratura si propone come terreno di meticciato, intreccio di confluenze e stimoli. Nasce da un’ "impollinazione incrociata" , come si esprime Salan Rusdhie, e si pone come un forte messaggio di non autosufficienza e non autoreferenzialità, uno sprone al dialogo possibile.

La letteratura per bambini e ragazzi

"La letteratura è una prigione di cristallo" (1) scrive Carmen Martin Gaite nel libro La regina delle nevi. E’ qualcosa di separato dalla vita vera, è anche, può anche essere, un territorio riparato e protetto dove provarsi con gli snodi della vita.
E’ questa una delle funzioni più significative che la letteratura assolve nei confronti dei lettori più giovani: aiutare il confronto con le molteplici facce della realtà seguendo la strada della fantasia e dell’immaginazione.
"Un racconto, un romanzo, una narrazione qualsiasi- dal momento in cui conosciamo gli elementi di base, ossia da quando l’adulto ci introduce nel mondo della fiaba- ci permette di identificarci con la (o il) protagonista e con i fatti dei quali è partecipe. Rispetto al cinema o alla televisione la pagina scritta permette una più vasta possibilità di esercitare il fattore identificazione perché la mente non è sopraffatta dal forte plagio rappresentato dalle immagini"(2)
Questa identificazione funziona proprio perché supportata dalla separazione dettata dalla pagina scritta e dal ruolo attivo che l’oggetto libro impone al suo lettore. Interrompendo la lettura decidiamo di costruire spazi di riflessione che, partendo da uno stimolo definito, prendono poi strade proprie.
Perché un libro è senz’altro molto di più che un libro:
"Un libro è scritto da qualcuno, ha un titolo, è un oggetto che circola in più copie; non tutti i libri sono uguali e quindi non vanno usati tutti allo stesso modo; la lettura è una scelta, un modo per stare insieme, un pretesto per stabilire interazioni con gli adulti o con i pari, un’attività individuale ma regolata anche da vincoli sociali; leggere è essere membri di una comunità, è ascoltare parole che provengono da un testo scritto, è usare ciò che un libro dice per fare dell’altro; leggere è una componente saliente della vita quotidiana" (3)
Leggere è incontrare altre storie e altri destini in cui riconoscere somiglianze e differenze
Incontrare una storia che ha tra i protagonisti un bambino o una bambina con un deficit o in una situazione di difficoltà costituisce un opportunità di confronto con chi si presenta con tratti differenti; un confronto mediato che può indurre ad approfondire quanto il racconto propone attraverso il paragone con la propria esperienza di conoscenza diretta di chi quella condizione di deficit o difficoltà vive in prima persona
"I libri possono aiutare a crescere, incoraggiando e parlando di sé. Per questo sono utili libri che parlano di handicappati. I bambini handicappati nei libri possono essere chiamati "ammalati", e questo è un falso grave perché un bambino handicappato non ha una malattia da cui può guarire: ha un deficit permanente. Ma bisogna dirlo? E come? Quali libri dicono che un bambino è handicappato?(4)
Ci sono libri che aiutano un riconoscimento, che sostengono la fatica del percorso di identità, che trovano le parole ed i modi adeguati. Sono questi libri che pur rivolgendosi a lettori giovani, anche molto giovani, affrontano cose che possono far paura, temi importanti affinando le armi della curiosità, della metafora, della libera fantasia. Sono libri che propongono l’intera tavolozza dei colori vitali pur di fronte alla difficoltà e tristezza che tante situazioni raccontate propongono.

Di questo vorremmo parlare, proponendo due percorsi bibliografici che fanno riferimento al panorama editoriale italiano degli anni ’90.
Il primo affronta il tema della diversità con particolare attenzione a due fasce di lettori i piccoli e i ragazzi verso l’adolescenza. Il secondo presenta una serie di testi in cui lo stesso argomento -diversità- viene affrontato da un angolatura particolare: il rapporto tra generazioni e più precisamente fra nonni e nipoti. Da questo punto di vista i libri diventano occasione per inoltrarsi nel terreno della malattia, della mancanza di autonomia, del prendersi cura.
Accanto alla segnalazione dei testi trovano posto altri contributi:
– "C’è cavallo e cavallo" a cura di Lara Dattoli: pezzo sull’utilizzo del libro per bambini in classe come supporto fondamentale per affrontare anche con i più piccoli il tema della diversità;
– l’articolo "Educare alla differenza" della pedagogista Franca Mazzoli: attraverso la narrazione di storie si può avvicinarsi agli altri;
– il punto di vista di una case editrice, attraverso le parole della direttrice Arianna Papini, impegnata a curare la diffusione di molti testi che introducono alla riflessione sull’essere e sentirsi diversi;
– l’intervista ad un autore, Guido Quarzo, molto attento a questi temi;
– il contributo di Andrea Canevaro, docente di pedagogia speciale, dal titolo "Riduzione dell’handicap".

Note:

(1) Carmen Martin Gaite La Regina delle nevi Giunti Fi 1999

(2) Travolti da insolita passione di Roberto Denti in: LIBER Libri per bambini e ragazzi n.30 aprile-giugno 1996

(3)I bambini e la lettura. La cultura del libro dall’infanzia all’adolescenza a cura di Vanna Gherardi e Milena Manini 1999 Roma Carrocci Editore

(4)Handicap e lettura di Andrea Canevaro in : LIBER Libri per bambini e ragazzi n. 2, gennaio-marzo 1989 Comune di Campi Bisenzio Regione Toscana pp.26-30

Piccoli lettori crescono

La diversità nei libri per ragazzi

Rodman Philbrick – Basta guardare il cielo – I delfini Bompiani – 1999

Lasciamo parlare di questo bellissimo libro Antonio Faeti, nell’introduzioneche apre il volume:
"Sì, lo diciamo continuamente che i diversi vanno accettati, fatti viverenel mondo così stranamente definito "dei normali". Sì, parliamosempre di solidarietà, di bontà, di sentimenti profondi, di valori, diumanità, di dignità. Sì, facciamo programmi, convegni, spot televisivi,interviste ad esperti, servizi giornalistici, copertine, manifesti, raccolte difirme. Poi, però, c’è sempre una barriera, noi di qua, loro di là. Libri comequesto che state per leggere ce ne sono davvero pochi. Qui non si resta comodi,al calduccio, tra gente pulita che odora di buono. Si scende in cantina, siraggiungono stagni puzzolenti, fogne, stamberghe. Si vede bene in faccia laviolenza, si scorge chi sta dall’altra parte, si frequentano cattive compagnie.E allora si impara davvero. E’ l’amicizia tra ragazzi, la prima scoperta, ilprimo tema, il contenuto più autentico, la trama che tutto unifica. Unargomento, anche questo, quasi impossibile da trattare. C’è il rischio dipasticciare, di riempire pagine e pagine di sentimenti a buon mercato, disdolcinature a prezzi da realizzo. Qui, i due amici sembrano davvero quello cheridendo proclamano di essere: due cavalieri antichi, due guerrieri, ammiratoridi Re Artù nell’età dei computer. Hanno stabilito, fra loro, un rapporto cosìstretto, anche in senso fisico, da creare una terza persona che li comprendetutti e due e a cui hanno dato un nome cumulativo.
Dopo l’amicizia, è l’handicap che ci viene incontro e ci viene mostrato secondouna regola validissima, qui mai abbandonata: è severamente vietato ilpiagnisteo. Non ci sono pietismo, non ci sono consolazioni, niente carezze,niente languori. Non va bene neppure il bel sorriso educato: qui trionfa losghignazzo da brutte strade di periferia, qui si ritrova un tono che rimanda aivecchi libri di pirati, di briganti, di grassatori. Vengono in mente anche ipicari, ovvero gli avventurieri spagnoli del Seicento che se ne andavano dicittà in città a cercar fortuna. E questo è un libro così intenso, bello,colorito e beffardo, da poter essere definito proprio picaresco.
Si rammenta anche Mark Twain, con i suoi Tom e Huck, anche loro affezionatifrequentatori di bassifondi, case abbandonate, grotte, cimiteri. Un libro comequesto merita di essere collocato nello scaffale che contiene i libri di Twain.
Essere amici significa, soprattutto, trovarsi. E’ il vero incontro quello chedecide tutto. E due handicap uniti producono una forza irresistibile,dall’amicizia nasce un progetto, si rinnova la vita, cambia tutto. Gli adulti,qui, non sono modelli, non possono indirizzare o dirigere: i due ragazzi devonoinventarsi tutto, la vita, il mondo, le regole, il comportamento, i giorni, ilcalendario. Oggi si ha quasi timore a parlare dell’amicizia, perché quella chemeglio si conosce è quella superficiale, frettolosa, spesso falsa, nata incerte occasioni in cui si sta insieme nel gruppo. Qui c’è l’amicizia priva dismancerie e di svenevolezze che però è tenace come il cemento, qui c’è unpatto reso sempre più solido dalle disavventure e dalle avversità. A guardarbene, il mondo imbroglionesco, pasticciato, degradato, in cui si muovono i dueragazzi è assolutamente il nostro mondo di oggi. Sappiamo di stare assistendo,quasi ogni giorno, a cambiamenti mirabili, che richiedono capacità didecifrazione e di adattamento. Nel libro, che per l’appunto si leggevoracemente, tutto questo sconquasso è tenuto d’occhio, è guardato bene,spesso si giunge anche a qualche spiegazione. Una, per esempio, è tale che gliadulti (anche per loro è adatto questo libro) fanno fatica ad accettarla.Spesso, nei cambiamenti vorticosi, nel succedersi frenetico di fasi storiche,nel crollo degli imperi, accade che la saggezza, tradizionalmente assegnata aglianziani, sia invece in possesso dei ragazzi. Osservando il comportamento dei dueprotagonisti si comprendono le ragioni di questo spostamento. Come in tutti igrandi libri del riso, anche qui si ritrova una vena, sottile e preziosa, dimalinconia. E’ fatta di quel misterioso umore presente nella comicità piùgeniale: in Charlot, in Totò, in Stanlio e Ollio inevitabilmente si ritrovanomomenti in cui, oltre allo spasso irresistibile c’è una breve pausa ditristezza. E la si sente affiorare anche qui, delicata, lieve, però, ancheintensa. Solenni come i cavalieri dell’amato Re Artù, sprezzanti come i picari,incontenibili come i pirati, i due ragazzi sanno suscitare anche qualchelacrima, inevitabile e sincera.
Noi, per questo, li amiamo anche di più".

Ed è vero, non possiamo non amare Max che dice Non ho mai avuto un cervellofinchè non è arrivato Freak e ha lasciato che prendessi in prestito un po’ delsuo per un po’, e questa è la verità, la pura verità. (…) per un sacco ditempo è stato lui a occuparsi delle parole. Solo che io avevo un mio modo didire le cose coi pugni e con i piedi anche prima che diventassimo Freak theMighty, pronti a fare a pezzi draghi e sciocchi, camminando in alto sul mondo
.
E non possiamo non amare Freak che all’asilo non sembrava tanto diverso, eravamotutti quanti sul piccolo, no? (…) Aveva l’aria come fiera, me lo ricordo così(…) dio quelle stampelle se erano forti. Ne volevo un paio anch’io. E quandoil piccolo Freak un giorno è arrivato con quei ferri luccicanti fissati allegambette storte, coi tubi di metallo che andavano su fino ai fianchi, bè,quelli erano anche più forti delle stampelle.
E non possiamo fare a meno di amare Freak the Mighty che nasce perchè Freak nonha portato le stampelle stasera, solo i ferri alla gamba, e ride così forte checade. Non che cada da molto in alto. Comunque, io lo tiro su e resto stupito asentire com’è leggero.(…) così mi chino senza pensare e tiro su Freak e melo metto sulle spalle. Freak si tiene sempre stretto alle mie spalle e quandogli chiedono il suo nome dice "Noi siamo Freak the Mighty, ecco chi siamo.Siamo alti nove piedi, nel caso non l’abbiate notato". Ed è così che ècominciata, davvero, come siamo diventati Freak the Mighty, pronti a far stragedi draghi e di sciocchi, camminando alto sul mondo.

Ci fermiamo qui anche se ci piacerebbe farvi notare tante altre cose diquesto libro triste e bellissimo e pieno di speranza. Leggetelo presto.

Jane Slepian – Le rose del Bronx – Gaia Junior Mondadori – 1996

Decisamente ben scritto questo bel libro tanto che viene naturaleimmedesimarsi nelle ragazzine di cui si narra. Magistralmente descritti isentimenti, i desideri, le reazioni dell’undicenne Skip e il fascino che su dilei esercita una coetanea, trasgressiva e trascinatrice, a capo di una piccolabanda che pur di farsi accettare da lei è disposta a fare scherzi di cattivogusto e ad infierire crudelmente su chi è solo.
Skip ha una sorella di quindici anni, Angela, dalla mente semplice come quelladi una bambina piccola, ragione del trasferimento della famiglia nel nuovoquartiere dove frequenterà una scuola speciale.
Mentre spesso il tema della diversità emerge dalle pagine dei libri per ragazzisolo con un invito, più o meno esplicito, all’accettazione, in questo libro siaffrontano temi più scottanti e forse meno appariscenti ma non per questo menoveri e concreti: le ansie e le aspettative dei genitori, la necessità-dovere diaccudire una sorella diversa, le divisioni che tale diversità può portare infamiglia.
E’ davvero molto reale questa madre apprensiva che si sostituisce alla figlia,non lasciandole autonomia, che la ritiene migliore degli altri("…frequenterà quella scuola e gliela farà vedere, a tutti (…),chissà che un giorno o l’altro non possa insegnarci in quella scuola") eche a lei ha dedicato la vita ("…non dimenticare che Angela ha una madree una sorella. Non ha bisogno di lavorare. Ci penseremo noi, a lei.").
Reale questo padre stanco, concreto ("la responsabilità di Angela ènostra, non sua. Skip ha la sua vita da vivere") e che riversa sulla figliaminore le aspettative e l’amore frustrato dalla diversità dell’altra figlia edalla "lontananza" della moglie, ma che per tutte lavora fino allosfinimento.
Reale Skip nel suo desiderio di libertà, nella sua ansia di non doversioccupare della sorella ("…era cosciente solo del fatto che la causa ditutti i suoi problemi era Angela. Quando sua madre la sgridava, era per via diAngela. Quando i suoi genitori litigavano, era per lei. Faceva impazzire tutti.Skip non poteva fare questo, Skip non poteva fare quello. Non poteva neppurerespirare per via di sua sorella.").
La storia si dipana senza cedimenti mettendo sempre più in evidenza lanecessità (e la difficoltà) di una scelta da parte di Skip. Da un latol’amica, la libertà, l’assenza di obblighi, l’affetto incondizionato dellecoetanee. Dall’altro la famiglia, la sorella, il padre adorato. In un crescendodi tensione, il libro si avvia alla conclusione semplice, forse un poco scontatama senz’altro positiva, il cui messaggio non può non essere inteso e capitofino in fondo dalle adolescenti cui il libro è rivolto.

Nicholas Wilde – Ombre – Superjunior Horror Mondadori – 1993

Scritto da un maestro della ghost story, il libro è in realtà il raccontodi una settimana di vacanza sulle coste del Norfolk e di una straordinariaamicizia fra due dodicenni, Matthew, cieco, che ha vissuto sempre nei quartieripoveri di Londra, e Roly che lo guida, facendogli da "occhi"all’esplorazione della zona e dei sentieri che portano al mare.
Il libro è un invito a superare le barriere che un deficit sensoriale, come lamancanza della vista, può innalzare fra le persone, senza cadere però neldidascalico e nel pietismo.
Sono le sensazioni che prova Matt nei suoi rapporti con gli altri, la suaricerca di autonomia e di libertà, la sua capacità di servirsi degli altrisensi per muoversi e vivere la sua vita, che indicano la strada da seguire.Naturalmente, insieme alla descrizione della capacità immediata di Roly dirapportarsi con lui con immediatezza e semplicità.
Ha poca importanza, alla fine, che Roly sia un fantasma e Matt la reincarnazionedi un suo amico, anzi la collocazione del libro nella collana horror forsedissuade dalla lettura chi non ma il genere.

Niklas Radstrom – Robert e l’uomo invisibile – Piemme, serie arancio -1996

Il mondo improvvisamente diventa tutto buio per Robert, un bambino di seianni che si ritrova a fare i conti con "l’impossibilità di accendere laluce". Il libro racconta con grande partecipazione, freschezza ed ironia leesperienze e le sensazioni di Robert, le reazioni della sua famiglia e deglialtri (amici, maestra…).
L’incontro con l’uomo invisibile che "solo chi non vede può vedere"è una soluzione brillante per fare riacquistare al bambino la fiducia in sestesso e la convinzione di poter fare qualsiasi cosa solo che lo voglia.
Il racconto si snoda con leggerezza tra il ritorno a scuola, la conoscenza diun’altra bimba cieca, la cattura di due ladri fino la finale un po’ retorico.Robert, così come inspiegabilmente aveva perso la vista, altrettantomisteriosamente la riacquista, riuscendo però a conservare la sensibilità e lacapacità di attenzione nei confronti degli altri che il periodo di cecità gliaveva fato acquisire.
Fortissima la tensione iniziale che si snoda per una cinquantina di pagine finoall’arrivo dell’uomo invisibile, che non è solo un espediente per ridarefiducia a Robert ma che rappresenta in qualche modo tutte le persone condeficit, "invisibili" al mondo dei normodotati e ce lo dichiara conlapidarie osservazioni:

"Solo perché non ci si vede non vuol dire che si sia invisibili. (…)E’ brutto non vederci ma ancora più brutto è quando nessuno ti vede. E’ lacosa più brutta che ci sia. Quando nessuno ti vede, sei solo al mondo,completamente solo, e questo fa soffrire molto".

Aquilino – Il fantasma dell’isola di casa – Piemme, serie rossa – 1994
Peter Hartling – Che fine ha fatto Grigo? – Piemme, serie arancio – 1995

Due libri sulla diversità, sul deficit nascosto e non meglio dichiarato diun ritardo, di difficoltà di rapporti.
"Simili" ad una prima occhiata anche i protagonisti di circa diecianni, maschi, soli, l’uno in una casa bellissima dove i genitori passano velocie se ne vanno presi dai loro problemi, solo anche l’altro, abbandonato in unistituto, con affidi falliti alle spalle e una mamma troppo truccata che compareogni tanto per una brevissima visita.
Ma quanto diverse le storie!
Romolo (il fantasma) attraversa tutto il libro in un triste monologo in cui nonc’è spazio per la speranza, in cui non trovano posto amici (se non immaginari)e affetti significativi mentre sullo sfondo si muovono adulti inquietanti,concentrati su se stessi e privi di qualunque sfaccettatura positiva.All’inseguimento di soldi e di una posizione i genitori (il papà saràarrestato verso la fine per tangenti); collerico e preso dal culto del"fisico in forma" nonno Giobbe che morirà solo nel suo letto e verràtrovato proprio da Romolo alla ricerca di una voce amica; superficialeappassionata di telenovelas la governante; piena di invidia per la sorella lazia Claretta che fa la maestra. Esemplare (in negativo!) è proprio il capitoloin cui la zia detta a Romolo l’inizio della Divina Commedia e gli corregge iltesto: "Non riesce a capire che io non capisco, io scrivo bene solo sullatastiera. Non faccio errori (altrimenti il computer non accetterebbe gli input)e potrei comporre endecasillabi in rima alternata, se solo miinteressasse".
Inquietante anche la fine: quando Romolo scopre che sarà messo in istituto sichiude in camera sua e inizia a parlare con animaletti (veri? Immaginari?) chegli fanno compagnia. Sarà su sollecitazione di una farfalla che Romolodeciderà di volare via attraverso la finestra aperta (davvero? o nella suaimmaginazione?) e su questa immagine che velatamente suggerisce un agghiacciantesuicidio si chiude il libro.
Grigo invece non lo vuole nessuno e così sta in un istituto dove ci sono altribambini abbandonati, alcuni "buoni", altri no, ci sono gli adulti (leeducatrici, la direttrice, i custodi, le psicologhe, il dottore), alcuni"buoni", altri no.
Su questo sfondo che permette ai bambini di non perdere di vista la realtà (cheè fatta proprio di buoni e di cattivi) si dipanano le avventure di questobambino difficile.
Il linguaggio è chiaro e poetico, il libro, pur nella tragicità della vicendache narra, lascia spazio a sentimenti positivi anzi sottolinea con forza lanecessità dell’amicizia e dell’amore trasmettendo ai piccoli lettori unmessaggio ben chiaro: bisogna saper guardare e bisogna saper ascoltare.

"Tu non impari mai niente – dicevano i suoi genitori adottivi. (…) Lagente diceva che lui era stupido, che non imparava niente ma aveva torto. Grigoimparava un sacco di cose. Imparava a vivere negli istituti, che non è una cosafacile. Imparava a memoria i test che i medici e le psicologhe facevano con lui.Imparava ad evitare le persone che non gli volevano bene. Imparava a difendersidai bambini che lo picchiavano. Imparava ad avere mal di testa e a giocare lostesso. Imparava molte cose. (…) Grigo imparava insomma soltanto ciò di cuiaveva bisogno per cavarsela abbastanza, cioè per vivere in istituti e clinichesenza farsi insultare o picchiare troppo spesso".

Anche in questo racconto non tutti gli adulti fanno una bella figura ma,ancora una volta, non sono tutti cattivi! E anche questi ultimi sonotratteggiati con ironia e leggerezza. Così per esempio le psicologhe che,numerose volte, sottopongono Grigo a test ma…"piano piano Grigo ebbecosì tanto allenamento a fare quei giochi da sapere esattamente quello chepiaceva alle psicologhe (che) non si accorgevano affatto che Grigo non giocavacome avrebbe dovuto ma come volevano loro".
Anche questo libro non è a lieto fine. Dopo l’ennesima fuga, Grigo verràtrasferito in una clinica e di lui si perdono le tracce.
Ma…c’è un poscritto per i bambini che andrebbe probabilmente letto e rilettoda tutti quegli adulti che hanno a che fare, poco o tanto, con l’educazione e lacura dei bambini speciali. E tutti i bambini sono speciali.

– E’ veramente esistito Grigo? – chiedono tutti i bambini a cui io raccontola storia di Grigo.
– Sì, Grigo è veramente esistito. Ma questo non ha tanta importanza.L’importante è che voi veniate a sapere che esistono bambini malati come lui,che vivono come lui, negli ospedali e negli istituti.
– Grigo era proprio malato? Che malattia aveva?
– Probabilmente aveva due tipi di malattie: una che i medici sapevanoindividuare – il mal di testa, i crampi, i dolori allo stomaco. Queste sono lecaratteristiche di una vera malattia. Avrà anche un nome difficile. L’altramalattia i medici non la possono curare: Grigo era malato perché nessuno sioccupava di lui, perché viveva quasi esclusivamente in ospedali e istituti,perché nessuno giocava con lui e nessuno aveva fiducia in lui. Questa, secondome, è la malattia peggiore. E’ inguaribile se non viene un aiuto da tutti, senon esistono delle persone che vogliono bene a bambini come Grigo.
– Però la signorina Bianchi voleva bene a Grigo!
– Forse non basta. Ci devono essere tante persone, e lui deve poter vivere inmezzo a loro, poter vivere normalmente, e solo allora imparerà com’è la vita.
– Dei bambini così possono guarire?
– Non accade spesso. Noi tutti abbiamo troppo poco tempo per occuparci di loro.Per questo restano malati.
– Allora questi istituti devono diventare più belli.
– Costa un sacco di soldi. E con questi soldi la gente preferisce costruirestrade, automobili, aerei, case e preoccuparsi della propria comodità.
– Ma forse questi istituti non servono a niente.
– Chi è malato deve essere curato. Ha bisogno di aiuto.
– Però non esistono solo questi istituti per aiutarli.
– No. Si potrebbe aiutarli in modo diverso. Ma sarebbe faticoso. E molte personedovrebbero comportarsi diversamente da come si comportano adesso. Dovrebberopensare ai bambini come Grigo – che vengono dimenticati perché gli istituti nonli lasciano più davanti agli occhi della gente. E allora i bambini sembranoscomparsi.
– Sono matti e combinano un sacco di guai.
– Fanno tante cose senza senso solo perché noi non ci preoccupiamo di capirli.Non abbiamo pazienza. Potrebbero giocare all’asilo con gli altri se tutti siprendessero cura di loro e nessuno li prendesse in giro. Potrebbero ancheesserci delle scuole per loro. E dei genitori adottivi che avessero imparato afare i genitori di bambini come Grigo.
– Ma tutte queste cose non esistono?
– No. Per questo Grigo stava in un istituto. E poi in clinica. Ed è così chelo hanno dimenticato.


Nicola Cinquetti – La mano nel cappello – Piemme, serie rossa – 1998

Se da un lato questo libro è azzeccatissimo e sa porre i lettori di frontealla diversità e alla sua possibile accettazione dall’altra rimanda un che di"superato". E’ come se l’ambientazione, il protagonista e la suafamiglia vivessero negli anni ’60. Eppure è stato pubblicato nel ’98! Sesottolineiamo questo "difetto" è perché, ci pare, non aiuta illettore ad immedesimarsi nella situazione e, pur posto di fronte a personediverse, accolte con tutte le loro caratteristiche dal protagonista, che nescopre i valori e gli aspetti positivi e supera la paura del contatto con loro,fatica a trovare riferimenti concreti con la sua esperienza di oggi.
Si tratta di uno dei pochissimi testi che raccontano il tema della diversitàmettendo al centro del racconto l’incontro fra William, solitario e timidoquattordicenne e gli abitanti della comunità " Le stelle" giovaniadulti disabili e i loro operatori.
E’ questo il motivo di interesse centrale del libro: attraverso la reciprocaconoscenza il lettore scopre la realtà quotidiana di questi luoghi ormaipresenti nella nostra società ma nello stesso tempo ancora appartati.L’iniziale diffidenza che si apre alla curiosità e alla voglia di conoscersimeglio delineano il clima emotivo del libro seppure in alcuni passaggi sirischia un eccesso pedagogico quasi si volesse, attraverso l’esempio virtuosodel protagonista, insegnare ad essere solidali.
Questo tratto è in gran parte compensato da riflessioni intime e profonde chene fanno una lettura adatta per chi sta vivendo la fatica del crescere.

Dennis Covington – Lucius Lucertola – Piemme, serie rossa – 1997

Si sarebbe tentati di collocare anche questo libro nell’elenco di quelli chehanno, fra i personaggi, persone con deficit senza che quest’ultimo siaparticolarmente significativo ai fini della storia. Ma è un libro piuttostoparticolare, come particolare è il protagonista che vive in un istituto perragazzi ritardati e ha un viso deforme.

Mi chiamo Lucius Sims. Ben presto scoprirete che sono più in gamba di quelloche sembro. Nessuno è mai riuscito a dimostrare che sono ritardato come glialtri ospiti dell’istituto, ma se vi capitasse di vedermi, temo che non avresteuna gran considerazione di me. E’ per via del mio aspetto fisico che lasignorina Cooley mi ha mandato alla Leesville.
(…)
Quando mi guardo allo specchio, io non mi vedo come mi vedono gli altri. E’semplicemente Lucius Sims che mi guarda…le mie spalle e il collo, la miafaccia, i miei occhi. Certo, i miei occhi sono spostati su un lato della testapiù di quanto lo siano quelli delle altre persone, ma hanno un bel colore,simile alle alghe. Non devo nemmeno portare gli occhiali. La gente crede che ionon ci veda bene solo perché il mio sguardo va in due direzioni diverse e pensache non respiro bene solo perché ho il naso piegato di lato.
(…)
Sono tutti convinti che siano la mia faccia, il modo in cui tengo le spallecurve e il fatto che zoppico ancora un po’ (…) a rendermi diverso dagli altri.Ma io non ci casco. Voglio dire, so benissimo di essere differente, e la cosa mipreoccupa un po’. (…) E so anche chi il mio aspetto non è la ragione per cuisono diverso, ma semplicemente la sua manifestazione esteriore.

Lucius se ne andrà dall’istituto con un uomo che dice di essere suo padre e,dopo diverse esperienze, troverà nel teatro la sua realizzazione e il coraggiodi tornare "a casa" e di diventare grande.

Per la prima volta mi resi conto che la signorina Cooley non era molto piùvecchia di me, e proprio come me doveva imparare un sacco di cose. Durante imiei viaggi avevo sentito la sua mancanza ma in quel momento seppi comesarebbero andate a finire le cose tra noi: sarei rimasto un po’ con lei, almenofino a quando avessi compiuto sedici anni, e dopo avrei potuto scegliere. In uncerto senso, ero già da solo.
(…)
Trovai un po’ di conforto nel pensiero che mi ero dimenticato quanto fosse ampioil cielo sopra la cittadina in cui vivevo, e come d’estate rimanesse a lungoluminoso.

Lo stesso cielo che sta sopra Freak the Mighty e che collega con un filosottile di stelle i protagonisti di questi, e altri, libri di cui vi abbiamoparlato.

Janine Teisson – Cinema Lux – Shorts Mondadori – 1998

Sono stati una scoperta piacevole questi Shorts che sono "brevi come unvideoclip, appassionanti come un film. Romanzi che si leggono in un’ora e non sidimenticano più". E, aggiungiamo noi, sono di qualità pur costandoveramente pochissimo (4.900 lire!!).
Questo, che piacerà sicuramente agli adolescenti un po’ romantici ma che vivononel 2000, racconta una tenera storia d’amore nata sulle poltrone di un cinema.Attenzione però, non è come pensate voi! L’amore nasce dalla passione cheentrambi i protagonisti hanno per i film di una volta, film che il cinema Luxproietta tutti i mercoledì.

Entrando fà attenzione al gradino. Sfiora il velluto ruvido delle poltrone.Il paradiso si torva nella terza fila a partire dal fondo, settima poltrona.

Non amano i film muti, però…E piano piano scopriamo insieme a Marine e aMathieu che entrambi sono ciechi; lo scopriamo un po’ prima di loro e liseguiamo in un mondo di sensazioni, di attenzioni diverse e di diversepossibilità.
Naturalmente sarà amore ma non c’è retorica nell’ultimo capitolo, quello dellerivelazioni, che è tutto da leggere.

Melvin Burgess – Innamorarsi di April – Gaia Junior Mondadori – 1997

Molte storie si intrecciano in questo racconto attorno al tema principalecostituito dall’amicizia e dall’innamoramento di Tony e April, due giovani dallevite non certo semplici.
Tony giunge nel paese di April dopo che il padre lo ha allontanato da casainsieme alla madre. April è sorda e per questa sua difficoltà vieneconsiderata da tutti come la tonta del villaggio, per di più dalla scarsamoralità.
Dopo l’iniziale diffidenza i due ragazzi si conoscono e nonostante le ostilitàche li circondano vivranno qualcosa di importante per il loro percorso dicrescita. Crescita che, come per tutti gli adolescenti, ha anche il sapore dellascoperta della diversità, più evidente per April ma molto presente anche perTony. Diversità che significa anche incontro con corpi diversi ed emozioni chenascono da questo incontro.
Il tema della sessualità è infatti un altro dei filoni che si ritrovano nellibro; è presente nella sua parte più gioiosa come scoperta reciproca dei duegiovani ma è anche raccontata nella sua parte più oscura e difficileattraverso le molestie che April subisce da alcuni ragazzi e nell’usospregiudicato che ne fa la madre di Tony.
E’ quindi un libro ricco di opportunità di lettura, reso in un qualche modomaggiormente atipico dall’ambientazione che rende forse un po’ demodè certipassaggi ma ne costituisce una misura di interesse.

Guido Quarzo – Clara va al mare – Salani – 1999

Clara, la protagonista di questo libro, è una ragazzina di quattordici anni.E’ una ragazzina down. Clara ha un desiderio, quello di tornare a vedere ilmare. Il libro è il racconto di come Clara tutta sola si avventura verso ilmare. Ed è l’occasione per conoscere un po’ meglio la storia di questa bambinagià ragazza, dei suoi pensieri, dei suoi affetti, delle sue paure e desideri.
Che sono uguali a quelli di tutti ma anche ugualmente diversi. Il tono del libroè giocato proprio su questo doppio binario: la quotidianità di Clara cosìsimile a quella di tante altre bambine e ragazze ma anche in parte diversa.Diversa perché differente è la sensibilità che la anima e i problemi, inparticolare le reazioni che suscitano il suo aspetto e le sue difficoltà inalcuni coetanei. Clara non capisce la ragione di questa diffidenza ed ostilitàma è capace di affrontarla a modo suo.
Così come a modo suo, con volontà e capacità, affronta il viaggio fino almare e si destreggia negli incontri per la via. Sola ma non in solitudine.

Paula Fox – Festa di compleanno – Shorts Mondadori – 1998

Questo libro si segnala per almeno due ordini di motivi. Il primo ècollegato al tema affrontato: il legame ambivalente ed complesso che lega Paul,primogenito dodicenne e Jacob suo fratello Down. E’ davvero difficile incontrareuna storia che abbia interesse a scoprire il rapporto fraterno in una situazionedove è presente il deficit e a farlo in toni non favolistici ma ancorati aldisagio e alla fatica di accettare questo legame. E’ Paul che racconta questadifficoltà, attraverso le sue emozioni intense e contraddittorie entriamo nellaquotidiana convivenza, rileggiamo con gli occhi di un bambino, quale Paul è,quanti cambiamenti suscita la nascita di un bimbo diverso.
Il secondo motivo di interesse deriva dalla scelta di accompagnare la storialungo il percorso del tempo che passa. Il libro segue infatti il rapporto traPaul e Jacob lungo l’arco di sette anni. Questa collocazione temporale cheaccompagna la crescita dei due protagonisti da forza alla narrazione permettendodi seguirne gli sviluppi e le tappe. Attraverso questa evoluzione seguiamo losforzo di Paul per non essere tirato dentro ad una situazione che non vorrebbevivere, le sue resistenze e gli slanci, le domande ed i silenzi. E’ solo dandosiil tempo di sentire disagi ed incomprensioni che Paul può vivere pienamente ilmomento di riconoscimento di Jacob come fratello, unico e diverso e parte dellasua vita.

Patrice Kindl – Il gufo innamorato – Gaia Junior Mondadori – 1995

Difficile e, per alcuni aspetti, un po’ sgradevole questo romanzo che, in uncrescendo di tensione e coinvolgimento, affronta il tema della diversità in unmodo sicuramente originale. La protagonista racconta in prima persona

Io mi chiamo Owl, ossia "Gufo". E il mio nome corrispondeesattamente alla mia natura. Sono centinaia di anni che , ogni due o tregenerazioni, nella mia famiglia nasce un uccello rapace.
(…)
Meglio spiegare chiaramente la situazione, non vorrei che sorgessero equivoci.Di notte mi guadagno la vita in forma di gufo, tra i campi e i boschi checircondano casa mia. Di giorno sono una ragazza normale (più o meno) chefrequenta il liceo cittadino.

Il racconto parla dei cambiamenti dell’adolescenza (amori, amicizie, distaccodai genitori…) ma la trama dipanandosi ci porta sempre più sulle tracce deltema centrale ben più profondo e delicato. La vita di Owl, mutante accettatapienamente dai suoi genitori e in grado di gestire bene questa sua diversità,procede parallela e lontana da quella di Houle, rifiutato e rinchiuso inmanicomio dalla sua famiglia proprio per la stessa diversità non compresa ericonosciuta:

(è il padre di Houle che parla)
Si è sempre parlato, nella nostra famiglia, di una specie di maledizione:qualcosa di strano che spuntava ogni poche generazioni. Io la consideravo piùche altro una pittoresca tradizione, e spesso ho pensato che si trattasse di unatara ereditaria. Più di una volta mi sono chiesto se tu ne fossi vittima.

Ma le vite dei due ragazzi si avviano sempre più velocemente verso un puntodi collisione. L’incontro e il riconoscimento non sarà immediato ma alla finerisolutivo.
E ben chiaro sarà il messaggio e l’invito a fare i conti con la propriadiversità anche in rapporto agli altri senza chiusure, senza ghetti ma conun’accettazione piena gli uni degli altri.
E la "lezione" arriva molto semplicemente attraverso Dawn, compagna discuola di Owl e sua unica amica, disposta ad accettarla nella sua duplice natura(Sì, proprio tu. So benissimo chi sei. Quello piccolo con gli occhi neri èHoule, o David, o come diavolo vuoi chiamarlo. Ma tu, gufo dagli occhi gialli,tu sei la mia compagna di scienze, vero?) ma che la invita a dare anche a Houleuna possibilità:

Parlo sul serio Owl. (…) Deve tornare a casa sua per sistemare tutto con isuoi genitori. (Houle) hai detto che non gliene fai una colpa se non hannocapito…Bene, allora dimostralo. Ora lo sanno: dai loro un’occasione. Tuo papàè biologo, scommetto che in un batter d’occhio potrebbe scoprire un sacco dicose sui gufi, non credi?

Melvin Burgess – La gigantessa – Junior+10 Mondadori – 1998

Una fiaba delicata sulla diversità e sui diversi modi di affrontarla. Lapiccola Amy, con il cuore e non con le parole, può comunicare con la misteriosagigantessa uscita da un tronco durante un terribile uragano. E se il cuore ledice che non deve temere, lei fiduciosa offre il suo aiuto alla creaturamisteriosa. Neanche il fratello poco più grande è in grado di vincere iltimore suscitato da quest’essere con cui non riesce a comunicare. E questa èl’intuizione che fa di questo libro un testo importante: mentre Amy sa mettersi"nei panni di", tutto quello che il fratello riesce a fare èinsegnare alla gigantessa a parlare, cercando di avvicinarla a lui ma senzacapirla fino in fondo, senza entrare in sintonia.
E così solo Amy capisce immediatamente quello che sta dietro le apparenze

Una porta si aprì e loro uscirono (dalla nave spaziale). Erano due, un uomoe una donna (…). Erano uguali a Giga: lo stesso corpo alto e aggraziato, lelunghe facce immobili, lo stesso muso terribile e fremente. Ma erano molto piùalti di lei.
– Sono enormi – disse Peter.
– Non lo sapevi? – gli chiese Amy.
Stava per chiederle: "Sapevo cosa?" Ma poi capì. Giga era unabambina. Una bambina non più grande di sua sorella.

Wendy Orr – La mia vita fatta di strati – Edizioni EL – 1997

In parte autobiografico, il libro racconta come può cambiare la vita inseguito ad un incidente automobilistico. In questi ultimi anni sempre piùdobbiamo fare i conti con l’aumento dei deficit acquisiti in seguito a traumi elesioni e anche i ragazzi devono saper affrontare questa difficile realtà. Leriflessioni di Anna, diciassettenne sportiva e innamorata, la sua difficoltà adaccettare la sua nuova condizione, a lasciare andare l’immagine e il ricordodell’Anna di prima ci accompagnano nel corso della storia che si apre propriocon l’incidente e si dipana fra crisi, speranze e delusioni fino ad un pienoriconoscimento della sua nuova esistenza. E’ un libro a tratti duro, moltorealistico ed intenso che sa descrivere con grande incisività le sensazioni dichi si ritrova a dover dipendere da altri e non riesce più a vedere davanti asé il futuro che si era preparato. Ma è un libro che, pur senza indorare lapillola, aiuta ad affrontare una nuova vita disegnando un percorso che porta aduna piena accettazione di sé e stimola alla ricerca di nuove strade dapercorrere per poter lo stesso vivere una vita piena.

E.B. White – Le avventure di Stuart Little – I Delfini Bompiani – 1998

E’ proprio una fiaba la vita di Stuart, alto cinque centimetri e con lesembianze di un topino, che nasce da una normalissima coppia (di umani) di NewYork che non si scompone più di tanto alla vista di un figlio così diverso. Leavventure di questo topo ragazzo non hanno alcun intento pedagogico eppure ciportano, con ironia e leggerezza, a guardare il mondo dal basso e a scoprire,stupiti, che non è poi così male.

Yekutiel o del raccontare le differenze

(…)
Prima che Yekutiel arrivasse a scuola, la maestra, intelligente, avvertì gli scolari, spiegando che Yekutiel era un bambino deforme, con un difetto alla schiena, e che dovevano comportarsi bene con lui, senza prenderlo in giro. Dovevano accoglierlo e fare amicizia.
(…)
Trascorsero uno, due, e anche tre o quattro anni; nel corso del quinto anno ? Yekutiel era undicenne ? successe qualcosa. L’insegnante di letteratura assegnò come compito un tema libero. Quando portò a casa i componimenti per correggerli e dare i voti, capitò su quello di Yekutiel, lo lesse e ne fu molto colpito. L’indomani entrò in classe, e disse: "Vorrei dedicare la lezione al tema di Yekutiel. Ve lo leggerò, e in seguito ne discuteremo".
Ecco quello che il professore lesse sul quaderno di Yekutiel:

Compito
Molti anni fa c’era un paese, lontano e isolato, al di là delle Montagne Tenebrose e del Fiume di Fuoco, dietro i Boschi di Ferro. In quel paese vivevano persone di tutti i generi, uomini, donne e bimbetti, nati con una deformazione alla schiena, con la spalla destra più alta della spalla sinistra, e con un testone in cima a un corpicino. Gli abitanti di quel paese erano molto felici, e si rallegravano del loro destino. Quando parlavano di una persona cara per tesserne le lodi, dicevano: "Mia figlia è talmente bella che nessuno può resistere alla sua magia. Ha la schiena più storta e più gobba di qualunque altra bambina che abbia mai visto in vita mia". I presenti rimanevano impressionati e non credevano alle loro orecchie. Il papà, orgoglioso e felice, tirava fuori di tasca una fotografia e la mostrava agli amici e tutti approvavano con ammirazione: "Effettivamente…fino a oggi non si era mai vista una schiena così curva! Una vera e propria meraviglia…Quando compirà diciotto anni, questa bambina sarà la nostra reginetta di bellezza!"
In quel paese vivevano così, assaporando ogni istante della loro vita gobba. Per i giorni di festa avevano una danza particolare, che esprimeva tutta la gioia per quello che il destino aveva dato loro, finchè un giorno successe una disgrazia.
Nella famiglia del sindaco era nato un bambino tutto dritto, con le spalle allineate, slanciato; la deformazione aumentava di anno in anno, e a dieci anni era alto un metro e sessanta, un vero mostro! Non ci sono parole per descrivere i dispetti subiti da quel bambino, fin da quando era in fasce gli altri bambini avevano avuto paura a giocare con lui e quando venne il momento di andare a scuola, i suoi genitori credettero necessario andare a lezione con lui, per proteggerlo dallo scherno dei compagni. Ma lui, che era coraggioso e pieno di buon senso, disse: "Non c’è bisogno di proteggermi, posso cavarmela da solo". Effettivamente, ben presto fu amato dai compagni, perché poteva fare per loro quello che a loro era impossibile. Grazie alla sua lata statura era capace di raccogliere per gli amici i frutti sulla cima dei pruni, poteva anche sbirciare al di sopra della cancellata dello stadio e riferire come procedeva la partita e chi stava vincendo, senza che dovessero comprare il biglietto. Fu quindi il primo a vedere da lontano la carrozza reale che stava avvicinandosi alla città e annunciò agli abitanti l’arrivo del rnonarca. Essendo alto, sentiva rumori lontani, e sapeva se il temporale si stava avvicinando, o se la primavera era alle porte, tanto che la popolazione non aveva bisogno di buttare via denaro per l’acquisto di un barometro o per lo stipendio di un meteorologo. Se era nevicato parecchio, lui spazzava via la neve accumulata sui tetti delle case con le mani, mentre andava a passeggio per le strade della città.
Tutti questi lavori importanti li faceva gratis perché cercava a tutti i costi di piacere, e desiderava che non ridessero di lui. Gli abitanti di quel paese finirono col perdonargli la sua infermità.
I suoi genitori, però, pensavano che soffrisse nell’essere diverso da tutti, ed erano molto preoccupati. Viaggiarono di città in città, interrogando e cercando dappertutto per trovare uno specialista che fosse in grado di curare la deformazione del figlio, finché un giorno vennero a sapere che nella capitale c’era un chirurgo impareggiabile, di fama mondiale, che poteva salvare il bambino. Si raccontavano davvero grandi cose di quel dottore; si diceva che già anni e anni prima si era occupato di un caso simile, ed era riuscito a eliminare perfettamente la deformazione: dopo una lunga e complicata operazione, il dottore era riuscito a ingobbire la schiena dritta del bambino, e a renderla curva quasi quanto quella di un bambino normale.
I genitori comunicarono al figlio questa splendida notizia, e dissero che non avrebbero badato a spese, che avrebbero dato al dottore tutto l’oro del mondo. Con loro grande sorpresa il bambino li informò che non voleva andare da quel dottore, e che desiderava rimanere così come era.
"Ma perché?" chiesero i genitori sbalorditi. "Perché preferisco essere come tutti gli altri miei simili" disse lui. "I tuoi simili?" dissero i genitori, "dove hai mai visto un bambino come te?". "Sono sicuro" disse il bambino dritto, "di non essere l’unico. Sono sicuro che c’è un posto dove mi assomigliano tutti". "Stupidaggini" ribatterono i genitori. "Leggiamo giornali di tutto il mondo, e non abbiamo mai sentito di un bambino come te…. tranne quelli che escono dall’ordinario… quelli deformi, naturalmente".
"Può darsi che i giornali non scrivano niente sul paese della gente come me. Può darsi che quel paese sia piccolo e isolato, o forse non esiste nemmeno un paese vero e proprio, e persone come me esistono solo qua e là, ma apparteniamo tutti a un tipo unico e speciale, e ci è proibito rinunciare ai nostri diritti".
"I vostri diritti?". I genitori, stupiti, non capivano: "Che diritti hanno le persone come te?"
"Ne abbiamo" disse il bambino, sorridendo fra sé e sé. "Per esempio, noi siamo più vicini al cielo, perciò sentiamo rumori e vediamo cose che la gente normale non immagina nemmeno. Ed è solo uno degli esempi".
I genitori si spaventarono talmente che portarono il bambino da uno specialista della mente, sulla cui porta era scritto "Psicologo", nonché "Dottore". Questo dottore parlò a quattr’occhi con il bambino, e dopo aver ascoltato quello che il piccino aveva da dire, disse ai genitori: "Lasciatelo tranquillo… Non sta bene, sta benissimo".
Così andarono le cose, e fino ad oggi è rimasto deforme, andando in giro eretto, annusando il profumo dei fiori di pruno da vicino, direttamente dai rami alti degli alberi; i fiori gli accarezzano le guance, gli fanno il solletico sotto il naso, e lui ride.
E il riso è segno di gioia, ogni tanto.

Scrivere è esistere: le persone disabili si raccontano

Autobiografie fino al 1979

Earl R. Carlson
Nato così
Roma, Il Pensiero Scientifico, 1959
L’autore affida a queste pagine la storia della sua vita: nato nel 1897 con paralisi cerebrale, rimasto presto orfano, ha saputo conquistare un’indipendenza che gli ha permesso di arrivare a dirigere un istituto per la riabilitazione di bambini con lo stesso suo deficit.

Marcello Ceccarelli
Viaggio provvisorio
Bologna, Zanichelli, 1977
“Forse ho fatto male a cominciare così tardi a scrivere questi appunti. Ho le mani deboli anche per reggere la penna […] Forse se avessi cominciato prima dell’estate avrei avuto ancora l’illusione di poter dare a qualcuno qualche consiglio. Non ricette miracolistiche; soltanto qualche consiglio. Ma oggi – secondo giorno d’autunno – non ho più voglia di credere a questa possibilità. Però può darsi che mentre continuerò a scrivere – e non sarà questione né di qualche giorno né di poche settimane – possa pensare, sapere, intuire, qualcosa di nuovo. Chissà”.
L’autore, grande studioso di fisica, racconta qui la sua vita e la sua lotta contro la sclerosi a placche.

Joey Deacon
Lingua legata
Firenze, La Nuova Italia, 1978
L’autore, nato nel 1920, con tetraparesi spastica e incapace di parlare, viene istituzionalizzato a otto anni. Per sedici anni nessuno riesce a capire che è in grado di comunicare anche in maniera complessa e articolata. Quando un altro ricoverato se ne rende conto, nasce una fortissima intesa che porta alla stesura di questo libro che racconta la sua vita. Un libro con un autore ma quattro costruttori: Joey, che comunica a Ernie, Ernie che “traduce” e detta a Michael che passa lo scritto a Tom, il quale a sua volta lo batte a macchina. Un libro straordinario che sottolinea, se ce ne fosse bisogno, quanto sia importante non fermarsi alle apparenze e non dare per scontato che la disabilità fisica e la mancanza della parola siano associate alla mancanza di intelligenza.

Cesare Padovani
La speranza handicappata
Rimini, Guaraldi, 1974
Un volume importante nella storia della cultura della disabilità scritto da uno dei personaggi più significativi che hanno combattuto per una piena integrazione e per il riconoscimento di identità alle persone disabili. Una riflessione sulla società e le politiche assistenziali con un occhio in particolare per la vita privata e il diritto alla sessualità.

 

Autobiografie 1980-1995

Zenta Maurina Raudive
Il lungo viaggio (1985) Perchè il rischio è bello (1982) Le catene si spezzano (1985)
Cinisello Balsamo (MI), Paoline
Nata in Lettonia, l’autrice contrae la poliomielite da bambina e perde l’uso delle gambe. Donna e disabile, riesce a studiare, a frequentare l’università, dove consegue, prima in assoluto, la laurea in filosofia, raggiunge l’indipendenza e una serena vita affettiva. Tre libri intensi in cui ripercorre la storia della sua vita e le varie tappe che l’hanno portata a una vita piena e realizzata, sullo sfondo delle vicende storico-politiche dell’Europa della prima metà del Novecento, soffermandosi anche su concetti più generali di etica e spiritualità.

Mauro Cameroni
L’handicap dentro e oltre
Milano, Feltrinelli, 1983
“Sfogliando questo libro qualcuno potrà domandarsi se oggi abbia ancora un significato scrivere degli handicappati, se ciò sia utile e anche se sia giusto considerare i portatori di handicap una categoria speciale […] Sarà utile a qualcuno questo libro? Onestamente non lo so […] susciterà forse reazioni e polemiche, ma ciò non mi spaventa, anzi è proprio quella la mia speranza, il fine per cui l’ho scritto”.
Partendo dalla domanda “Chi è l’handicappato?”, l’autore cerca di riappropriarsi in maniera chiara di un’identità troppo spesso mistificata mentre mette la sua esperienza al servizio di una lotta comune. Un messaggio da dentro l’handicap ma che va oltre e diventa segno e chiave interpretativa di un problema sociale che interroga l’intera società.

Hugues de Montalembert
Buio
Milano, Mondadori, 1986
“È un libro sulla paura del buio. Ma anche su come ho riscoperto la bellezza e la luce”.
Regista e pittore, l’autore, in seguito a una aggressione, perde la vista. Qui racconta il doloroso cammino verso l’accettazione della sua condizione e di come è riuscito a reagire e a realizzarsi sul piano professionale e personale.

Rosanna Benzi
Il vizio di vivere
Milano, Rusconi, 1984
In seguito alla poliomielite, Rosanna Benzi fu ricoverata in ospedale e messa in un polmone d’acciaio. Quello che per molti sarebbe stato la fine di tutto, da lei fu interpretato come un nuovo inizio: “Ora so che è come se fossi rinata quel giorno, a quattordici anni, perché la vita mi partorì di nuovo e nel giro di 48 ore mi cambiò da così a così”. Personaggio di spicco nel mondo della disabilità, fondatrice di una rivista, qui si racconta cercando di trasmettere la sua intatta voglia di vivere e di non cedere alla disperazione. Scriverà anche un secondo libro (Girotondo in una stanza, Milano, Rusconi, 1987) che raccoglie riflessioni, pensieri, brevi episodi della sua vita.

Renato Pigliacampo
Una giornata con me
Torino, Claudiana, 1985
Attraverso la storia della sua vita di non udente, l’autore riflette su questo deficit particolare e sulle possibilità di una reale integrazione. Non è un atto di denuncia, l’autore non rincorre un utopistico sogno. Vuole soltanto accompagnarci lungo una sua giornata ideale, nei rapporti con la moglie, i figli, i colleghi, gli studenti, nelle incombenze più banali… per aiutarci a capire e farci uscire dall’indifferenza.

Franco Valente
Io, invece
Roma, Editori Riuniti, 1987
Nel segno di una lucidità impietosa e consapevolmente disperata si apre questo volume che è, insieme, autobiografia, analisi di una condizione fisica e psicologica e galleria di personaggi. L’autore guarda la sua diversità e ne ricostruisce dall’interno le tappe significative: itinerari emotivi e traguardi di una lunga marcia privata e definizione di una precisa identità individuale. Un autoritratto trasparente che lascia intravedere, senza vittimismi e forzature ideologiche, il profilo scomodo di un’invalidità non fisica ma sociale.

Sheila Hocken
Emma e io
Milano, Longanesi, 1984
In questa intensa autobiografia, l’autrice racconta la perdita progressiva della vista e la presa di coscienza dolorosa della propria menomazione. L’incontro con Emma, che sarà il suo cane guida, cuore del racconto, le dà nuovo coraggio e la spinta per riprendere in mano la propria esistenza insieme alla scoperta di nuove possibilità di vivere una vita piena.

Mario Barbon
Non ho rincorso le farfalle
Bologna, EDB, 1983
“Io non posso dire di aver rincorso le farfalle, né posso dire di aver calpestato l’erba. D’altra parte tutto questo non è necessario. Posso dire soltanto di aver passato un’infanzia abbastanza normale, anche se non accettavo la realtà”.
Ha scritto a macchina con i piedi, Mario Barbon, con determinazione e voglia di raccontare, e ha ripercorso la sua vita attraverso episodi, riflessioni e pensieri che ne esplorano la diversità e l’unicità.

Enzo Aprea
L’altro
Napoli, Tullio Pironti, 1987
Intrecciando ricordi di vita al progredire della malattia che l’ha colpito, costringendolo a successive amputazioni degli arti, l’autore offre uno spaccato delle sue esperienze, dei momenti di cedimento e della strada percorsa perché vincesse la voglia di vivere e di amare riannodando i fili con il proprio passato e chiedendo a chi lo circonda stima, rispetto e amicizia.

Nigel Hunt
Il mondo di Nigel Hunt
Bologna, EDB, 1987
“Provo un gran piacere a scrivere queste pagine; il mio primo libro”. Nigel Hunt descrive in questo suo diario il mondo per come lui lo vede, comunicando impressioni e speranze e ricordando episodi della sua vita. Nella lunga prefazione il padre sottolinea il senso di questo testo: “Questo libro è unico, e uso questa parola nel suo significato rigorosamente letterale. È stato scritto da un mongoloide, mio figlio. Nessun mongoloide ha mai scritto un libro prima di lui”.

Angelo Eremita
Locked in
Roma, Il Ventaglio, 1988
“Questo sintetico resoconto vorrebbe essere un piccolo contributo e vuole dare la parola a chi di solito non l’ha: il malato. Il testo si colloca per buona parte in un particolare momento e rispecchia gli stati d’animo di allora. Non era destinato alla pubblicazione in questa forma […] oggi lo scriverei in modo diverso. Ma queste pagine ormai non appartengono al me stesso di adesso più di quanto appartengano a qualunque lettore benevolo e mi sembrerebbe una intromissione indebita e una mancanza di rispetto per il me stesso di allora apportarvi delle modifiche; inoltre il suo eventuale interesse risiede forse proprio nella sua immediatezza. Perciò preferisco lasciarlo com’è, con le sue disarmonie e le sue asprezze – di cui sono il primo giudice – a testimonianza di una esperienza di vita”.

Marisa Bettassa
Storia di un filo d’erba
Piombino (LI), TraccEdizioni, 1991
“I lettori saranno portati a immaginare che questo sia un testo di ecologia, mentre in realtà è un’autobiografia di una persona che, come altri suoi simili, ha vissuto e vive tuttora i problemi legati all’handicap, ma ha trovato la salvezza dalla disperazione pensando a un filo d’erba […] Un filo d’erba è utile, pur essendo la cosa più semplice di questa terra perché costituisce il primo anello della catena alimentare, la catena della vita […] Se quindi un filo d’erba è indispensabile, ci sarà uno scopo anche per me che possiedo la facoltà di ragionare, di ammirare le bellezze del mondo, di amare”.
La storia di una persona che ha vissuto e vive tutt’ora i problemi legati alla disabilità ma che ha saputo affrontare la vita positivamente, anche se con fatiche e amarezze.

Valentina Paoli
Oltre l’ostacolo
Firenze, Edizioni C.R.O., 1995
Il libro, scritto di getto, racconta l’esperienza dell’autrice: affetta da una grave sordità bilaterale, è riuscita a frequentare le scuole normali e si è iscritta all’università. Come dice alla conclusione del libro, ha voluto scrivere questi appunti perché “è molto importante per me avere la possibilità di far sapere alla gente che in questo mondo dove si parla tanto di nuove frontiere esiste anche la possibilità di una nuova realtà: quella del sordo che “sente” e parla, la mia realtà, quella di una ragazza che ama, odia, soffre, ride, parla, studia, litiga, vede, perdona, ferisce…Vive!”.

Flavio Emer
Il mio cielo è diverso
Cinisello Balsamo (MI), Paoline, 1993
Segno distintivo di questo libro è la diversità, sia nella stesura materiale – è stato dettato lettera per lettera al computer – sia nella sensibilità particolare con cui l’autore affronta temi consueti, come viaggi, musica, amore. La lettura che fa della realtà deriva proprio dal contrasto fra l’evidente fisicità della materia e la sua intensa vita interiore: paradossalmente la sua mente “prigioniera” di un corpo immobile è più attiva che mai.
“Nel momento in cui deciderò di uscire con un libro, la situazione cambierà. Non potrò più scappare a rifugiarmi nella quiete dell’anonimato: indipendentemente dal numero di copie vendute, avrò preso una decisione dalla quale non potrò sfuggire. Sarà come aver perso la giovinezza: potrei rimpiangerla o potrei ricordarla come un periodo di tempo speso male nella sola attesa di chissà che cosa. In entrambi i casi avrei di che rammaricarmi. Ma se penso che ogni cosa non potrebbe esistere senza niente che la circondi, la preceda, la segua, riesco ad accettare anche momenti apparentemente sprecati, vedendone, invece, le peculiarità e gli aspetti positivi”.

Christy Brown
Il mio piede sinistro
Milano, Mondadori, 1990
Christy Brown nasce in una modesta, numerosissima famiglia irlandese. Alla madre “consigliavano di dimenticare che ero un essere umano, accontentandosi di nutrirmi, lavarmi e basta. Fu allora che prese la decisione di agire di testa sua […] non si accontentò di negare che io fossi un idiota, s’impegnò a dimostrare il contrario, mossa non già da un senso del dovere, ma dal suo amore per me. Fu questa la ragione del suo successo”. Considerato un minorato psichico e dichiarato incurabile, Brown riesce a superare gli ostacoli derivanti dal deficit e a conquistare la possibilità di una vita agita e non subita.

Emmanuelle Laborit
Il grido del gabbiano
Milano, Rizzoli, 1995
“Questo libro è un regalo della vita. Mi consentirà di dire ciò che ho sempre taciuto, ai sordi come agli udenti. È un messaggio, un impegno nella battaglia relativa alla lingua dei segni, che separa ancora molte persone. Mi servo della lingua degli udenti, la mia seconda lingua, per esprimere la mia assoluta certezza che la lingua dei segni è la nostra prima lingua, la nostra, quella che ci consente di essere esseri umani “comunicanti”. Per dire, altresì, che nulla dev’essere negato ai sordi, che si possono usare tutte le lingue, senza ghettizzazione e senza ostracismi, al fine di accedere alla vita”.
L’autrice, sorda profonda, racconta la sua vita, la scoperta della lingua dei segni e le difficoltà per affermare una sua precisa identità e il diritto a usare questo linguaggio, proibito in Francia fino a non molti anni fa.

Elisabeth Auerbacher
Babette handicappata cattiva
Bologna, EDB, 1991
“La cattiveria di Elisabeth Auerbacher può essere una provocazione positiva […] Non va letta però cercando di circoscrivere, isolare e mettere fuori gioco il libro. Invece è giusto vederlo su un certo sfondo storico e culturale; e leggerlo come testimonianza di una faticosa emancipazione (pensando) che questo libro riguardi ciascuno di noi, e che ogni lettore abbia buoni motivi per riflettere e sentirsi chiamato in causa”. Così Andrea Canevaro invita alla lettura della storia di Babette che ci mostra come i meccanismi dell’esclusione e la paura di tutto ciò che è fuori della norma siano difficili da sradicare.

Autobiografie dal 1996

Silvia Pagani (a cura di)
Diario di una metamorfosi
Milano, FrancoAngeli, 2006
Frutto di un intenso lavoro, il libro riporta le voci e le riflessioni di tante persone che hanno subito una lesione spinale e che raccontano il prima del trauma e l’adesso di una ritrovata, seppur difficile, quotidianità, e che riescono a dar voce all’immaginazione di un avvenire pensabile, di segnare il tracciato di un futuro possibile anche se ancora lontano.
“La voce delle persone può prendere talvolta la strada inappropriata della protesta fine a se stessa, del lamentarsi per non cambiare. La narrazione, invece, quando può esprimersi a tutto campo diventando risorsa sociale, restituisce ai soggetti il senso della legittimità di esistere e la percezione d’essere parte di una storia comune. Raccogliere narrazioni, quindi, è qualcosa di molto diverso dal sondaggio d’opinioni: è andare al cuore di ciò che l’interlocutore sente come importante per sé e per la propria storia, permettendo la rimessa in circolo delle tensioni vitali nei riguardi di se stessi e del proprio ambiente, grande o piccolo. La possibilità di narrare, in relazione a un ascoltatore neutrale ma partecipe, consente così ai protagonisti di ristabilire un contatto con la ricchezza del proprio mondo interiore, e la forza che ha consentito a ciascuno di ritrovarsi pur nella discontinuità (nel trauma/frattura) della propria biografia”.

Pino Tripodi
Vivere malgrado la vita
Roma, DeriveApprodi, 2004
Il protagonista di questo intenso romanzo è vittima a 18 anni di un grave incidente stradale. Si ritrova disabile, con un dolore da accettare e con cui imparare a convivere. Passa allora in rassegna la sua esperienza, i pensieri, gli affetti, i sentimenti, le stupidaggini e le genialità della vita di tutti i giorni, demolendo molti luoghi comuni e ipocrisie intorno alle disabilità e agli handicap, con uno stile di scrittura lucido, a volte persino spietato, ma mai pietistico. L’autore sostiene infatti che non ha “scritto questo libro per commuovere qualcuno, per muovere pietà verso di me o verso le persone che vivono in condizioni simili alla mia. Io non amo vivere di pietà. La pietà per noi è un coltello dentro la piaga […] la pietà degli altri per noi è un handicap che si aggiunge a quello che siamo costretti a sopportare”.

Barbara Garlaschelli
Sirena
Faenza, Moby Dick, 2001
“Dovete considerarvi persone normali, dice il dottore. Non è normale aggirarsi per il mondo su due ruote grandi e due piccole, e allora perché tentare una lotta che sarebbe perdente per affermare un valore di normalità che non ti è mai appartenuto? Sei su una sedia a rotelle e ciò ti rende diversa dalla maggior parte delle persone. Ciò che comprendi con assoluta e potente lucidità è che questa diversità deve diventare la tua forza […] Riconquistare la vita, questo è stato ed è ciò che ho fatto. Dall’avere il coraggio di mettermi in costume da bagno, a prendere la metropolitana, dall’andare in giro con gli amici a farmi amare da un uomo. Riuscire a capovolgere le cose, in modo che la paura, l’imbarazzo, il disagio non schiaccino né me né gli altri”.
Un racconto lucido e appassionato dei mesi che hanno cambiato la vita dell’autrice.

Vincent Humbert
Io vi chiedo il diritto di morire
Milano, Sonzogno, 2003
“Certe persone saranno tristi di venire a sapere che non ci sono più. Parleranno di dramma della disperazione. Che si ricredano, sono così felice di partire!”. Aiutato da un giornalista che ha “tradotto” in linguaggio scritto i loro colloqui, Humbert ci lascia uno spaccato di pensieri e sensazioni dal giorno in cui un pauroso incidente l’ha lasciato a un passo dalla morte, fino a quando, con l’aiuto della madre, potrà andarsene davvero.

Gabriele Viti
Cara L, storia di un normalissimo disabile
Tirrenia (PI), Del Cerro, 1997
“Forse, se ci trattassero da uomini qualunque, come un miracolo di stelle sotto al sole usciremmo dal bozzolo di bruco per volare leggeri e belli come farfalle”.
Una raccolta di fatti, riflessioni, fantasie intimamente legate da un filo sottile che l’autore sente il bisogno di confessare a qualcuno, interlocutore privilegiato, confidente segreta cui si rivolge per raccontare la sua vita, ricca di esperienze significative, fatta di studio, impegno politico, amicizie, sentimenti come un qualunque “normalissimo” giovane.

Gunilla Gerland
Una persona vera
Roma, Phoenix, 1999
L’autrice si è dovuta rapportare fin dall’infanzia con un autismo non diagnosticato. Costretta a lasciare la casa dei genitori, tutti i suoi tentativi di relazionarsi con gli altri fallirono fino all’incontro con un professore di psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza che capì la vera natura dei suoi problemi e le permise di risalire la china. Dopo la lettera che ricevette da lei, scrive “mi chiesi se anche lei non avrebbe potuto riuscire a emergere dalla sua depressione e a trovare nuove prospettive di vita, scrivendo un libro su se stessa. Gunilla aveva una capacità di linguaggio tale che mi chiesi se il suo libro avrebbe potuto essere utile per altri con problemi simili ai suoi. Non pensavo che il libro sarebbe diventato un racconto commovente, straordinariamente brillante, chiaro e di grande interesse per un vasto pubblico. Questo lavoro […] racconta la storia di una persona unica con una diagnosi singolare, ma con problemi non altrettanto singolari”.

Laura Tangorra
Solo una parentesi
Milano, Mondadori, 2003
L’autrice, che deve fare i conti con una grave malattia invalidante, decide “di prestarci per un attimo i suoi occhi (perché) non è mai scontato poter accarezzare i propri figli, parlare ed essere capiti, alzarsi dalla sedia e camminare, afferrare un bicchiere di acqua fresca e rovesciarsela in gola, senza aver paura di soffocare. Ogni semplice gesto merita un grazie. Questo vorrei che risuonasse nelle vite annoiate, depresse, sempre troppo stanche, insoddisfatte. Quando chiuderò questa parentesi di vita, l’eco del dolore sarà gioia di esserci e i miei grazie si faranno eco…”.
Laura Tangorra scriverà anche un secondo libro (Rumore di mamma, Milano, Mondadori, 2004) in cui raccoglie pensieri, sensazioni, ricordi di mamma e della sua vita passata accanto ai figli.

Alison Lapper
La vita in pugno
Milano, Corbaccio, 2006
Nata senza braccia e con una grave malformazione agli arti inferiori, l’autrice racconta la sua vita e gli sforzi compiuti con determinazione e cocciutaggine per poter tenere “la vita nelle sue mani” come, con ironia, ha intitolato il suo libro.
Scrive, forte della convinzione che “molte persone disabili vivono la propria vita arrendendosi alle pressioni, agli sguardi, alle occhiate imbarazzate e alle espressioni di ripulsa. Anch’io ho provato quelle pressioni, ma […] se le persone portatrici di handicap come me non si impegnano a spiegare che cosa significhi vivere una vita come la nostra, il resto della popolazione non sarà mai in grado di capire le difficoltà che affrontiamo. Come posso accusare gli altri di non avere alcuna comprensione della disabilità e poi rifiutare di raccontare loro qualcosa della mia esistenza? […] Narrare la storia della mia vita è il mezzo migliore che avevo a disposizione per far comprendere alla gente i problemi che mi stavano a cuore”.

Marilena Rubaltelli
Non posso stare ferma
Padova, Messaggero di Sant’Antonio, 2005
“Pian piano nella mia vita ho scoperto che avvengono piccoli miracoli ogni giorno e che la guarigione per me non consisteva nel poter correre”. Ironica e divertente, l’autrice si racconta proponendoci episodi della sua vita e incontri che le hanno permesso di crescere, accettare la sua disabilità e superarla per vivere una vita ricca e piena.

Claudio Imprudente
Una vita imprudente
Trento, Erickson, 2003
Perché una persona diversamente abile dovrebbe scrivere un libro autobiografico? A chi può interessare la sua storia fatta di disabilità, magari di lotte, vittorie e sconfitte? La storia di un diversabile che va oltre la sua storia personale per descrivere un ambiente fatto di fiducia e di progetti concreti, dando spazio alle innumerevoli persone che con lui hanno condiviso tante avventure e l’hanno seguito nella promozione di una cultura che mette in primo piano la persona.

Antonio Leone
Il grido di Tò
Genova-Milano, Marietti, 2005
Un giornalista viene mandato in un piccolo paese per ricostruire la storia di un disabile grave, morto da poco. Attraverso le pagine del diario, dai racconti di parenti e amici emerge la vita di Tò, vuota di parole pronunciate con la bocca, vuota di gesti compiuti autonomamente, ma ricca di capacità di comunicare, di amicizie e di voglia di vivere.

Rubén Gallego
Bianco su nero
Milano, Adelphi, 2004
“Non puoi camminare, dunque sei un ritardato”. Vent’anni passati negli orfanotrofi e negli ospizi dell’Unione Sovietica. Gallego, in questo libro bellissimo, duro e commovente, ci porta dentro questi istituti in cui cercavano di sopravvivere bambini e ragazzi disabili, ben nascosti dal resto del mondo. Ci racconta delle persone che ha incontrato e di come è riuscito a non soccombere a un regime così poco umano da garantire per legge a tutti dieci anni di istruzione obbligatoria (anche se in istituti segreti) ai quali seguiva il ricovero in ospizio senza alcuna assistenza e la morte certa per chi non era autonomo.
“Capita che mi chiedano se quel che scrivo è successo davvero. Se i protagonisti dei miei racconti sono reali. Rispondo che sì, sono cose vere, personaggi reali; più che reali. Certo, i miei personaggi sono prototipi collettivi dell’infinito caleidoscopio dei miei infiniti orfanotrofi. Ma quel che scrivo è la verità”.

Alexandre Jollien
Elogio della debolezza
Magnano (BI), Qiqajon, 2001
Jollien vive in istituto fino ai diciassette anni, già segnato da un futuro in cui dovrà arrotolare sigari. Si ritrova invece, al termine di un lungo itinerario, sui banchi dell’università a studiare filosofia. L’ipotetico dialogo con Socrate che si svolge in queste pagine è l’occasione per raccontare la sua esperienza, difficile, dolorosa, sempre stimolante, ma soprattutto diventa un invito a interrogarsi su cosa si ritiene normale. “Ben presto ebbi l’intuizione che fuggendo l’handicap ci si isola. Esiste, bisogna accoglierlo come un quinto arto, venire a patti con lui. Per fare questo mi pare primaria la conoscenza delle proprie debolezze”.  Jollien scrive anche un altro libro (Il mestiere di uomo, Magnano (BI), Qiqajon, 2003) in cui sostiene con decisione che anche un “vegetale” non sceglie affatto di abitare un corpo ridotto, dipendente: la sua unica scelta consiste nel modo di abitarlo. Per lui, l’assumere questa condizione sgorga da uno stato d’animo molto più sottile, mille volte più audace di una fuga di fronte a sguardi stupidamente idioti […] Spirito nato con un corpo scosso da spasmi, il “vegetale” pensa. Per una curiosa alchimia, il suo corpo malato riesce a produrre idee limpide e a sviluppare uno stato d’animo libero da ogni risentimento. Può così superare la rivolta ed esercitare una libertà che rischia di permettergli di assumere fino in fondo la sua precarietà”.

Hannah Merker
In ascolto
Milano, TEA, 2001
“Come puoi capire tu, che il mondo che mi attornia è silenzioso, che io non sento i tuoi passi dietro di me, che non ti sento chiamare il mio nome da lontano? Il silenzio che mi circonda è invisibile […] Le persone sorde o con un handicap uditivo possono imparare a “sentire”, a riconoscere segnali che indicano la presenza del suono. Noi possiamo ascoltare”.
L’autrice ha perso l’udito a 39 anni e racconta qui la sua esperienza e la scoperta di un nuovo modo di vivere e di ascoltare. Un’inedita analisi di cosa significhi udire e come sia un mondo improvvisamente immerso nel silenzio.

Donna Williams
Nessuno in nessun luogo
Roma, Armando, 2002
“Cominciai a scrivere. Cominciai dal centro del mio mondo, da quando mi era possibile ricordare […] Decisi di portare il mio libro a uno psichiatra infantile perché lo leggesse e mi dicesse il perché […] Non ci volle molto perché avessi notizie dallo psichiatra. Si era appassionato al libro e voleva farlo leggere a uno specialista di autismo […] Mi fece notare che c’erano molti bambini che avevano avuto esperienze simili alle mie e che il mio libro poteva essere importante per capirli. Io avevo pensato di bruciarlo. L’avevo scritto per me e avevo voluto rileggerlo per rivedere la mia vita in modo coerente e rendermi conto che essa apparteneva a me”.
La storia di una donna con autismo, diagnosticato però in età adulta. Il percorso da un’esistenza chiusa e sofferta al riconoscimento graduale di se stessa.

Hirotada Ototake
Nessuno è perfetto
Milano, TEA, 2001
“Non voglio dire che l’handicap costituisca quel che si dice un vantaggio, ma non si deve permettere che diventi un ostacolo. Alla fine tutto si riduce a quello che tu, in quanto persona, hai da offrire”.
Oto è nato senza braccia e senza gambe, ha frequentato scuole regolari, ha fatto sport e si è impegnato nella battaglia per i diritti dei disabili che la società giapponese ha sempre cercato di nascondere. Il libro racconta come è riuscito a trovare il suo personale modo per affermarsi con soddisfazione anche in contesti di vita particolarmente inospitali.

Isabella Ceola
Io sono quella che sono… oggi posso dirvelo
Bologna, Alberto Perdisa, 2001
Isabella Ceola è morta a 28 anni ma le sue cellule e il suo aspetto fisico erano quelli di una donna ultraottantenne e con questo libro, postumo, vuole poter dire a tutte quelle persone che sono chiuse in casa, in se stesse e non hanno il coraggio di uscire, oppresse dal timore di essere considerate dei diversi, che la vita è bella e deve essere vissuta fino in fondo.

Emilia De Rienzo, Claudia De Figuereido
Anni senza vita al Cottolengo
Torino, Rosenberg & Sellier, 2000
Roberto, 35 anni di ricovero al Cottolengo di Torino e Piero, 24 anni nello stesso istituto: non più emarginati ma cittadini a pieno titolo, conquistano la libertà e iniziano una nuova vita. Questo libro racconta la loro storia che decidono di mettere al servizio della causa contro l’istituzionalizzazione totale. Come dice Roberto, “oggi voglio fare riemergere la memoria, ricostruire ciò che comunque mi appartiene, affrontare gli interrogativi che affiorano perché la mia coscienza sia più ricca e il ricordo possa diventare ammonizione, possibilità di ripensamento per chi crede di poter rinchiudere dietro delle mura ciò che è scomodo vedere e affrontare nel mondo di tutti. Io oggi sono un uomo perché ho affrontato questo mondo, perché questo mondo deve affrontare me e le mie difficoltà; ieri ero solo quel che molti definiscono “una creatura” che non poteva avere un’esistenza autonoma”.

Paul Melki
Diario di bordo di uno scoordinato
Milano, Corbaccio, 2006
Paul, con una grave disabilità, scopre a dodici anni la comunicazione assistita ed è la sua liberazione. Scrive racconti, poesie e questo suo diario, ironico e dissacrante, in cui dice “Facciamola corta: noi viviamo in mezzo agli altri, la nostra vita è pubblica! Per parlare di Paul bisogna mangiare con lui, bisogna leggere il libro di Paul, bisogna ridere insieme a lui. Per parlare di Paul dovete dimenticare le vostre certezze e venire a vedere il mostro, l’uomo. Lo yeti pensa! Il microbo che ha causato il mio handicap è lo stesso che può porre questa domanda, si chiama ignoranza. Sì, voglio esprimere la mia gioia di scrivere, dal momento che non posso parlare. È incredibile per i benpensanti, ma io scrivo e canto come tutti gli altri. Canto odi e poemi per oltrepassare il mio essere, per esistere”.

Franco Bomprezzi
Io sono così
Padova, Il prato, 2003
“Se finalmente davvero io venissi considerato normale, ossia una persona qualsiasi, più o meno intelligente, più o meno bella, più o meno ricca, ma comunque banalmente normale, questo significherebbe che finalmente non sarei valutato e segnato per quel simbolo vivente che mi porto appresso. Normalità non significa identità. Non vuol dire omologazione su misure standardizzate. È l’esatto contrario, è la constatazione che nel nostro orizzonte di umani è normale, stupidamente, ordinariamente normale, essere ognuno a modo suo, senza etichette, senza definizioni ulteriori”.
Bomprezzi scrive senza ordine cronologico, sul filo di ricordi ed emozioni, offrendo un bello spaccato della sua vita privata cui affianca la sua parte più pubblica con considerazioni personali, articoli e lettere scritte nel corso degli ultimi anni sul tema della diversità.

Katja Rohde
La ragazza porcospino
Milano, TEA, 2003
“Soltanto con molto dolore riesco a sopportare la mia esistenza triste da morire. È grigia, provoca tormenti, ma emana anche il profumo dei cedri […] Sono forse troppo esigente se spero che un giorno sarò in grado di liberarmi dagli aculei del porcospino? […] Il mio autismo fu sgominato quando alla supponenza delle istitutrici della mia scuola speciale si sostituì l’intelligente calore di un’amica: qui c’è un’autistica che chiama aiuto”.
Chiusa in un isolamento totale, separata dagli altri da una diagnosi di grave autismo, l’autrice, a ventiquattro anni, riesce finalmente, attraverso la comunicazione facilitata, a esprimere tutta se stessa e a dimostrare la propria intelligenza e voglia di vivere.

Il vizio di scrivere

autobiografie, narrazioni, disabilità

L’esperienza del Centro di Documentazione Handicap di Bologna è stata fin dai suoi inizi caratterizzata dall’attenzione alla raccolta e all’organizzazione di testi prodotti da persone disabili e da familiari, iscrivibili quindi al filone delle autobiografie e delle testimonianze narrative.
Proprio questa attenzione costante e duratura nel tempo, ci sembra possa “proteggere” le nostre riflessioni e la proposta dei percorsi di lettura e conoscenza che troverete nelle pagine di “HP-Accaparlante”, dal rischio di una adesione a una riscoperta acritica, presente oggi in molti ambiti disciplinari, della dimensione narrativa e delle funzioni che essa può svolgere.
Aver inserito negli archivi del Centro una sezione riservata alle testimonianze autobiografiche e di familiari, ha significato riconnettere alle piste di studio e approfondimento sulla disabilità originate dal versante accademico e tecnico anche quelle nate dalla rielaborazione dell’esperienza personale.
Rielaborazione che è capace di produrre un sapere comunicabile quando attiva un processo di sedimentazione di ciò che si vive e una scelta di ciò che si desidera offrire di sé a chi è al di fuori delle vicende raccontate.
La rielaborazione è un processo che mette tempo e spazio tra ciò che si vive e ciò che di quell’esperienza fluida e magmatica si deposita nella memoria e nella storia della persona; impone una distanza che ha bisogno, poi, di trovare uno strumento di comunicazione che la possa far uscire da sé e diventare patrimonio condiviso anche da altri e per altri.
La scrittura è esemplare nella sua valenza di strumento per la rielaborazione, che ha segnato in modo irrimediabile non solo i comportamenti ma la stessa organizzazione del pensiero, marcando la differenza fra il mondo dell’oralità e il nostro, dove i segni scritti predominano. Come ci ricorda Doris Lessing “Da molte migliaia di anni noi – il genere umano – narriamo storie: in forma orale o di canzone. Non scritte ma fluide…Il fatto è che i romanzi, e le autobiografie e le biografie hanno molto in comune. C’è una cosa che diamo per scontata: sono tutti messi per iscritto. Diamo per scontato il fatto che i romanzi, le autobiografie e le biografie siano tutti lì, allineati in bella mostra su uno scaffale, che siano libri, autosufficienti, completi, messi per iscritto” (1). In un certo senso, immutabili.
Una scrittura, quindi, che dà forma conclusa a ciò che è scandito da giorni che passano e mutano. Questa forma diventa una porta che l’autore apre ai suoi possibili lettori perché anch’essi, con l’atto stesso di accostarsi allo scritto, possano farsi parte attiva nella costruzione di un testo che non appartiene più, a quel punto, solo a chi lo ha scritto.
“Ho scritto questo libro per me… ho scritto questo libro per gli altri”, motiva in questo modo le ragioni del suo lavoro Silvia Bonino (2), legando insieme in modo indissolubile la duplicità della scrittura quando questa si fa pubblica.
Ogni autore ha il suo mandato, sceglie uno stile e dà una forma, alterna ciò che vuole dire a ciò che desidera tenere riservato. Sono molteplici i percorsi per dire di sé. Questa molteplicità senza pretese di costruire modelli univoci alla convivenza con il decifit, fa pensare, apre piste per esplorare più da vicino una quotidianità che, pur non appartenendo a chi legge, rivela significati e comunanze. Si fa dialogo fra le esperienze inevitabilmente diverse.
Lo strumento biografico è potente proprio quando riesce a coniugare l’esposizione del proprio mondo interiore con la volontà di mettersi in comunicazione con il mondo esterno, rendendo visibile l’identità della persona. È questa un tipo di visibilità ben diversa da quella mediatica: tanto
quest’ultima recide i legami con il contesto per vivere di vita propria e si impone come protagonismo assoluto, quanto l’altra si alimenta di connessioni silenziose, di percorsi più sotterranei che arrivano in superficie dopo aver subito un profondo lavorio.
Nuto Revelli, nel suo rigoroso e prezioso lavoro di raccolta delle storie di donne e uomini delle sue valli, indica in modo preciso le condizioni di avvicinamento alle storie di altri: umiltà, rispetto, entrare in punta di piedi. Questo atteggiamento di fondo produce la possibilità che la conoscenza dei percorsi individuali aiuti a ricostruire un quadro connettivo più ampio, facendosi sguardo sulla comunità sociale e storica a cui si appartiene.
Senza queste condizioni l’ingresso nelle case diventa invasione, l’ascolto un giudizio preventivo, la restituzione una ricostruzione sommaria per grandi categorie generali dentro cui la singola identità sfuma, si confonde e non si riconosce.
Nell’organizzare i percorsi bibliografici abbiamo utilizzato come criterio di riferimento il dato cronologico.
La collocazione temporale ci aiuta a dare una visione di insieme a queste produzioni editoriali, a rileggerle non solo come dato della capacità e volontà dei singoli autori ma anche come un segno più complessivo di una presenza sociale, pubblica, visibile di questa fetta di esperienza di vita legata alla disabilità.
Ancora, inserire i singoli testi in un percorso “datato” permette di contestualizzarli e di recepire non solo le specifiche e originali matrici delle storie, ma anche il riflesso del clima e del momento in cui si scrive. L’evoluzione dell’integrazione sociale delle persone disabili passa anche in controluce nei modi in cui gli autori parlano della loro singola situazione, nei contenuti che affrontano, nelle problematiche che sentono come essenziali, nel linguaggio che utilizzano.
Chi scrive prima degli anni ’80 e in quelli immediatamente successivi vive in un contesto dove erano davvero rari i progetti di integrazione, e ancora persone disabili vivevano in istituto o chiuse in casa. Un’epoca in cui non si pensava che una persona non in grado di parlare materialmente avesse altre possibilità di comunicare ed era quindi possibile, come per la storia esemplare di Joey Deacon (raccontata nel libro Lingua legata) passare decine di anni senza poter “dire” niente. Chi scrive quindi lo fa prima di tutto per rivendicare un riconoscimento, per dire “io esisto, non sono un vegetale, e se anche il mio corpo non è efficiente, la mia mente lo è”.
Oggi lo sfondo è costituito da un tessuto in cui l’integrazione è diventata una realtà sempre faticosa ma tangibile e presente. Chi scrive non ha il bisogno primario e irrinunciabile di farsi riconoscere come persona. Lo stesso però avverte la motivazione al raccontarsi quasi per analizzare se stesso e quello che prova e ha provato nel confronto con le proprie difficoltà e nella relazione con gli altri. Più di prima c’è anche la necessità di dire “io ce l’ho fatta, quindi ce la puoi fare anche tu!”. Diventano centrali le questioni relazionali e le prospettive legate alla ricerca di una vita autonoma e anche nelle testimonianze dei genitori viene valorizzata l’importanza della rete associativa e solidale che negli anni si è costruita nella società. Le singole voci permettono una rilettura al plurale; fanno da specchio al mutamento dei tempi, al consolidarsi di processi di inclusione così come al persistere di sacche di arretrato pietismo e inefficienza burocratica.
Avendo presente questo aspetto vogliamo però concludere queste note introduttive risottolineando come questi libri prima di tutto sono libri. Raccontano storie e in molti casi le raccontano con capacità e competenza. Per alcuni poi il valore sociale della testimonianza si somma alla capacità di esercitare una scrittura evocativa, forte, che sfrutta fino in fondo le sue potenzialità.
Nel selezionarli abbiamo quindi anche utilizzato il nostro piacere per la lettura, non volendo quindi addentrarci nel terreno della critica letteraria, anche sommaria, bensì segnalare e consigliare libri da leggere, da conoscere, da ricordare, da utilizzare perché per questo i libri sono fatti.

(1) Doris Lessing, Il senso della memoria, Roma, Fanucci, 2006

(2) Silvia Bonino, Mille fili mi legano qui, Bari, Laterza, 2006

Avere un figlio disabile: i genitori raccontano

Storie e testimonianze fino al 1981
 
George Hourdin
Il dolore innocente
Assisi, Cittadella, 1978
Il racconto di un padre e della sua esperienza di vita con la figlia con sindrome di Down. Hourdin si accinge a scrivere dopo la morte della moglie, quando lui solo si occupa della figlia e sa bene che “non ho scritto questo libro di ricordi per il semplice piacere di scrivere. Certo, ho provato una profonda soddisfazione a fissare le immagini dolorose, gioiose e poi di nuovo tristi, del passato, a far sì che i periodi più intensi della nostra vita con Marie-Anne non si cancellino completamente. Ho soprattutto voluto attirare il lettore, grazie all’interesse di un racconto, per spingerlo, poi, a meditare su questo fenomeno straordinario: l’esistenza e l’importanza del dolore innocente”.

Jeanine Carrette
Darti la vita
Bologna, Borla, 1975
Sotto forma di diario, la storia di una mamma, del suo percorso di accettazione del figlio disabile e della sua lotta per integrarlo e farlo accettare dagli altri. “Mi chiedo se non è soprattutto per me che ho scritto […] Ma anche se io fossi l’unica lettrice del mio racconto, non avrei perso il mio tempo: scriverlo mi fa così bene! Forse Marco lo leggerà… se Dio gli presta ancora un po’ di vita. E anche gli altri due figli che ho, quando saranno più grandi? Se poi il caso volesse che un altro lettore ne prenda conoscenza, voglio che entri… nella mia vita con la convinzione che quanto ho scritto, senza fioriture o ricercatezze stilistiche, è vero: assolutamente, terribilmente e meravigliosamente vero”.

Lucia Roselli
Gli altri
Milano, Feltrinelli, 1976
Punto di partenza del libro è la nascita di un bambino apparentemente sano, che viene poi definito subnormale, e la serie di difficili esperienze con le quali si trova a dover fare i conti la madre. La narrazione finisce per investire l’ampia gamma di problemi sociali affrontati da chi non vuole rassegnarsi. Il volume è un resoconto di esperienze che si intersecano: da una parte la situazione esistenziale di chi impara a cogliere i desideri e a scoprire la personalità di un bambino che la società rifiuta, dall’altra un’indagine sulle istituzioni che dovrebbero gestire l’assistenza e il recupero.

Robin White
Vivere con un figlio epilettico
Roma, Il Pensiero Scientifico, 1977
Il libro, attraverso il racconto del padre, ripercorre la vita del figlio, affetto da epilessia. Si tratta di un racconto drammatico, la forma di epilessia di Checkers è fra le più gravi e porta a un’evoluzione di tipo psicotico che ne ha reso necessario il ricovero in istituto. Ripercorrerne la storia è anche un modo per aiutare tutti quei genitori, e quei tecnici, che si trovano, spesso soli, ad affrontare tutti i problemi legati a questo deficit.

 

Storie e testimonianze fino al 1997

Daniela e Giangiacomo Carbonetti
Vivere con un figlio Down
Milano, FrancoAngeli, 1996
Questo libro è la storia di Guido e dei suoi genitori. Un percorso faticoso ma vitale a un tempo, fatto di ambivalenze emozionali, di speranze e momenti di crisi. Un viaggio alla scoperta di un figlio diverso, ma anche un’esplorazione dei sentimenti e delle emozioni che si muovono nell’animo dei genitori. “Ci è stato molto utile elaborare un’esperienza emotivamente e realisticamente così complessa, sforzarci di darle un senso, soffrire e gioire, progettare e verificare nella collaborazione ma anche nel conflitto e nella lotta […] Sarebbe peccato aver fatto tutto questo solo per noi stessi, e che l’impiego di tante energie non possa produrre qualcosa di utile anche ad altri”. Uno strumento per tutti coloro che vogliono capire cosa significhi avere un figlio disabile e per tutti coloro che sono impegnati a costruire dei progetti che aiutino a dare senso ai percorsi di vita dei loro utenti.
Il libro avrà un seguito (Mio figlio Down diventa grande, Milano, FrancoAngeli, 2004) e, raccontandoci il suo cammino verso l’età adulta, i suoi genitori offrono un prezioso contributo a quanti vogliono capire cosa significhi far crescere e lasciar crescere un figlio disabile, com’è l’esperienza di essere genitori di un giovane adulto con disabilità.
“Durante la stesura di questa seconda parte della nostra storia ci siamo accorti che si veniva delineando un ritratto di nostro figlio più completo, di una persona relativamente integra e abbastanza matura. L’accoglienza positiva che ha avuto il nostro primo libro […] ci ha rinnovato la voglia di comunicare agli altri la continuazione della storia di Guido e il valore delle esperienze di vita che abbiamo attraversato, come testimonianza di speranza, di gratificazione, e di possibile riscatto da una situazione iniziale dolorosa e sconvolgente”.

Maria Simona Bellini
Vestita di nuvole
Milano, Sperling & Kupfer, 1996
“Percorrere due volte lo stesso doloroso cammino non è stato piacevole. E io ho dovuto scavare nella memoria e rivivere, terribilmente e nuovamente, quel lancinante, intenso dolore. Mettere sulla carta le vicissitudini di mia figlia Letizia avrebbe inoltre significato quasi profanare una storia che in fondo non mi appartiene e violare consapevolmente l’intimità della mia famiglia, con la sua disperazione e la sua speranza. Solo quando mi sono resa conto di quanto la nostra esperienza potesse essere utile ad altri genitori, i ricordi sono riaffiorati”.
L’autrice ripercorre tutte le tappe dalla nascita della figlia alla diagnosi poi la crescita, la ricerca della guarigione e infine l’accettazione del deficit insieme a un faticoso cammino di riabilitazione.

Lorena Anderlini
La tua storia e la mia
Bologna, EDB, 1992
Quando nasce un bambino con deficit, un genitore può credere di dover perdere la sua storia, di doverla legare in maniera indissolubile alla vita di quel bambino, di dover dire la tua storia è la mia e che questo sia un dovere imposto dalle circostanze. Crede che quel bambino sia e debba essere dipendente dalle sue forze. L’autrice ci fa capire che si può arrivare a vivere la tua storia e la mia. La crescita del bimbo è conquista di autonomia ed educazione alla libertà, e anche la madre cresce allo stesso modo. Questa testimonianza può aiutare ciascuno a cercare il proprio modo di crescere.

Josep M. Espinàs
Il tuo nome è Olga
Milano, Mondadori, 1994
Le lettere alla figlia che Espinàs raccoglie in questo libro sono frutto di un’esigenza forte. “Questo è un libro che dovevo scrivere. L’ho scritto tutto d’un fiato, forse perché era l’unico modo per non lasciare spazio all’autocritica, ai dubbi, alla riflessione e, in definitiva, alla prudenza che poteva indurmi a rinunciare. Probabilmente non tutto ciò che dico in questo libro – su mia figlia Olga, mongoloide, su me stesso, gli altri e la vita – è vero in assoluto, tuttavia è ciò che penso e sento. Mi rendo conto, quindi, che sono pagine facilmente vulnerabili. Come ogni confessione pubblica. Con il passare degli anni ho maturato la convinzione che il rapporto tra Olga e me non fosse un fatto strettamente privato, e certamente la mia condizione di scrittore mi ha spinto a correre i rischio di superare la barriera”.

Giulia Basano
Storia di Nicola
Torino, Rosenberg & Sellier, 1987
“Ciò che ha più segnato la mia vita è stata l’adozione di Nicola. Aveva quattro anni quando è venuto con me […] Adesso ho deciso di scrivere, perché so che troppe madri, troppi padri provano quella disperazione sorda, intraducibile, che scaturisce dal sentirsi o essere realmente soli con un figlio diverso che non può vivere come gli altri. È un gesto, un piccolissimo gesto di solidarietà nei loro confronti, il tentativo di rompere il silenzio […] È un appello perché queste storie vengano sempre più raccontate, confrontate, perché non ci si chiuda in un ghetto, ma si abbia il coraggio di vivere in mezzo agli altri la propria sofferenza, con l’immensità dei valori che abbiamo dentro”.
Il libro sarà ripubblicato (Giulia Basano, Nicola un’adozione coraggiosa, Torino, Rosenberg & Sellier, 1999), completato dal racconto degli ultimi anni, delle nuove conquiste di Nicola nel lavoro e nelle relazioni sociali, autonome e vivaci.

Marie-Louise Eberschweiler
Meb, pittore gioioso
Roma, Città Nuova, 1983
Dalla voce della madre, la storia di un ragazzo Down nato in un’epoca in cui ancora tale deficit veniva considerato una condanna ma che è riuscito invece a realizzarsi e ad avere una vita significativa. La madre prende la decisione di raccontare “la storia di mio figlio con i suoi alti e bassi – come pure la mia, quella di mio marito, degli altri nostri figli, poiché in una famiglia nulla è separabile – i nostri errori, i nostri scoraggiamenti, le nostre gioie. Altri genitori, nostri fratelli nella prova, vi ritroverebbero senza dubbio le loro lotte, le loro speranze e l’animo gioioso di uno di quei piccoli ai quali Dio si rivela, come dice il Vangelo, più che ai saggi e ai sapienti”.

Janine Chanteur
Giobbe, perché?
Assisi, Cittadella, 1992
“Questo libro è stato scritto su richiesta della mia amica […] Lei non desiderava una storia ma una testimonianza. Ho risposto a quanto si aspettava da me? Desiderava un aiuto per quelli che hanno vissuto sofferenze analoghe, e anche peggiori, perché ce ne sono di molto più terribili. È stato duro per me rituffarmi nel passato: guardare indietro ha risvegliato i vecchi demoni che io credevo addormentati…”
Attraverso un dialogo ideale con la figura biblica di Giobbe, l’autrice ripercorre la sua vita al fianco della figlia disabile, chiedendosi incessantemente “perché lei e non io? Chi aveva organizzato così minuziosamente l’ingiustizia dei destini? Avrei dato tutti i miei successi per la sua felicità, ma non c’era arbitro per garantire il baratto”.

Suzanne Mollo
Costruire Fabrizio
Bologna, EDB, 1985
“Fabrizio ricomincia ogni giorno […]È fuori del tempo che passa, ed è con tutto il tempo che ci è dato che bisogna costruire Fabrizio”. Direttamente dalla voce della madre, la storia dell’accettazione della disabilità del figlio e della conquista di una vita integrata.
“In questo libro non intendo raccontare la storia di mio figlio, e sarebbe come dire una parte della mia vita. Neppure intendo esorcizzare l’handicap attraverso la scrittura; il modo in cui io lo vivo non si può comunicare […] Un singolo caso può offrire la possibilità di scrivere parecchie altre storie dell’handicap, a seconda che la si consideri da un punto di vista medico, filosofico, sociologico, affettivo. Errore della natura, malattia della società, dramma intimista: tutti i valori, i comportamenti, le convinzioni più profonde vengono sconvolti dall’irruzione dell’handicap”.

Clara Claiborne Park
L’assedio
Roma, Astrolabio, 1982
Elly, quarta figlia di una bella famiglia intellettuale, è misteriosamente inaccessibile al mondo esterno. Nata in un’epoca in cui dell’autismo si sa poco o nulla, viene considerata incurabile ma la famiglia gioca tutte le sue carte per avvicinarla e abbattere le mura dietro le quali vive.
Vent’anni dopo, la Claiborne Park pubblica il seguito della storia di Elly (Via dal Nirvana,
Roma, Astrolabio, 2001) e dice “Jessy non può raccontare la propria storia da sola. Per quanto non sappia dire altro che la verità, e la sua memoria sia infallibile, sono io che devo raccontarla al suo posto, oggi come quando aveva otto anni. Ha imparato a leggere, ma non la leggerà mai. Una volta ero tanto ingenua da credere che sarebbe riuscita a farlo; quando scrissi la descrizione dei suoi primi otto anni, cambiai il suo nome in Elly perché non dovesse trovarsi in una situazione imbarazzante. Oggi so quanto sforzo le costi leggere, quanto sia parziale la sua comprensione, quanto dubbio il suo imbarazzo. So anche che non leggerebbe mai una storia del genere anche se ne fosse capace, e che non capirebbe perché sia valsa la pena di raccontarla. Perciò la posso raccontare liberamente, nella sua persistente stranezza e nella sua crescente e preziosa normalità, a mano a mano che Jessy entra sempre più, ma mai del tutto, nel mondo in cui tutti noi viviamo insieme”.

Alice Sturiale
Il libro di Alice
Milano, Rizzoli, 1997
Alice ha vissuto solo 12 anni e “sorrideva alla sfida, combatteva la sua battaglia, affrontava dubbi e frustrazioni con poche lacrime (ci mancherebbe) e con grande coraggio, serena e consapevole. Ha fatto sempre così […] Aveva il dono naturale di comunicare serenità e felicità. La prova è nei messaggi e nelle testimonianze che ha ricevuto in vita e dopo. Ci è sembrato giusto raccoglierle nel Libro di Alice perché raccontano la sua storia. È la storia di una persona che ha vissuto intensamente i suoi dodici anni, capace di maturare in modo creativo senza subire i propri limiti, anzi, trasformandoli in occasioni di crescita. Non tutti ci riusciamo”. Così la descrivono i suoi genitori che scelgono di ricordarla attraverso queste pagine in cui sono raccolti i suoi pensieri, le sue emozioni e i suoi momenti più belli.

 

Storie e testimonianze dal 1998

Fiorella Baldassarri
Due nuove stelle in cielo
Firenze, Polistampa, 2005
Perché si scrive? I motivi possono essere tanti ma dal diario accorato di questa mamma che ripercorre la brevissima vita della figlia emerge soprattutto il desiderio di averla ancora vicina, di ricordarla e conservarne la memoria anche per il fratello di poco più grande.

Maristella Martena
Un angelo in transito
Lecce, Piero Manni, 1998
Il racconto vuole essere la semplice testimonianza di uno scorcio di vita caratterizzato da eventi di gioia e di serenità pur nella sofferenza di una condizione dura da sopportare. Una storia in cui si dipanano varie fasi, prima di smarrimento, poi di accettazione consapevole di un figlio, della sua condizione di disabile e dell’impegno costante di un’intera famiglia perché lui potesse avere una vita quanto più possibile serena e tranquilla.

Paul Collins
Né giusto né sbagliato
Milano, Adelphi, 2005
Morgan ha quasi tre anni quando viene diagnosticato come autistico, Peter il ragazzo selvaggio di Hameln visse per più di settant’anni una vita tutta sua ma senza una diagnosi.
“L’autistico ha un diverso sistema di parametri – che non è né giusto né sbagliato. Mentre noi viviamo in un mondo fatto di tu e io, il bambino autistico vive esclusivamente nel mondo dell’io”. E così mentre cerca una relazione col proprio figlio (Morgan appunto), l’autore ci conduce in un viaggio affascinante alla scoperta di uomini del passato con caratteristiche del tutto particolari. Ma soprattutto si interroga sulla normalità e la buona riuscita chiedendosi il senso di un’integrazione che può portare a una grande sofferenza.

Charlotte Moore
George e Sam
Milano, Corbaccio, 2004
“Questi esseri misteriosi, impossibili, affascinanti, saranno sempre fra di noi, involontari termini di paragone per il nostro comportamento morale, sfida inconsapevole alla nostra definizione di che cosa significhi essere umani. Spetta a noi creare un posto per loro nel nostro mondo, un posto confortevole dove siano liberi di essere quello che sono”.
Come dice Nick Hornby nell’introduzione, la Moore “contrariamente a quello che credono alcuni genitori, è convinta che dentro ai suoi figli non sia imprigionato nessun bambino normale, in attesa di essere liberato. L’accettazione di questa realtà le permette di guardare i suoi bambini con amore e felicità, piuttosto che con amore e dispiacere, di osservare il loro comportamento con una gioia vincente, pur nella sua eccentricità […] E aggiunge che il libro “propone e, cosa ancor più impressionante, risponde a una serie di domande importanti che sono valide per tutti noi: fino a che punto siamo veramente preparati ad accogliere i nostri bambini? Siamo in grado di amarli così come sono? Se la nostra vita non è come ce l’aspettavamo, qual è il modo migliore di viverla?”.

Daniela Rossi
Il mondo delle cose senza nome
Roma, Fazi, 2004
“Quali suoni hai potuto ascoltare i primi mesi che abbiamo vissuto insieme? Parlavo, cantavo, inventavo nomi per le tue dita che si muovevano leggere come alghe, sceglievo musiche che accompagnassero i tuoi giochi. Più di un anno siamo andati avanti, io e il mondo, prima di scoprire il muro di vetro che ti circondava. Non era facile accorgersi di non poterti raggiungere […] Adesso so che nessuno più di te sa leggermi il cuore e che i bambini sordi non si accontentano di parole, anche se possono impararle tutte. La strada del tuo linguaggio è ancora lunga, ma ora che la disegni tu sembra davvero bellissima”.
Sotto forma di lettera al figlio sordo, l’autrice ripercorre la propria vicenda, raccontando di come ha saputo del deficit del suo bambino, dei numerosi viaggi e delle tante visite alla ricerca di soluzioni, delle persone che incontra, medici, insegnanti, specialisti, non sempre figure positive, ma soprattutto raccontando le fatiche e le gioie di essere mamma.

Carlo Hanau, Daniela Mariani Cerati (a cura di)
Il nostro autismo quotidiano
Trento, Erickson, 2003
“Autismo non è solo sofferenza e dolore. Autismo, per i genitori, è stanchezza, fisica e psichica, è sistema nervoso logoro, è accettazione di qualcosa che ancora nessuno è stato in grado di spiegarci, è come essere una macchinetta che viaggia con il freno a mano costantemente tirato, è speranza che quel freno non si rompa mai. Ma è anche accontentarsi del nulla in un mondo che non si accontenta più. È riuscire a tagliare le unghie a tuo figlio senza aspettare che dorma. È insegnarli, giorno dopo giorno, a lavarsi i denti da solo, massaggiandogli le gengive una frazione di secondo in più, ogni giorno che passa. È chiedergli, quando va a dormire: “Federico è un bambino normale o un bambino speciale?” e sentirsi rispondere: “Speciale”, forse solo perché ti piace il suono di quella parola che racchiude l’essenza della sua meravigliosa vita”.
Molto è stato scritto sulle teorie e gli approcci all’autismo. Un aspetto meno conosciuto è quello della vita quotidiana e concreta, fatta di faticose realtà di tutti i giorni e soprattutto di persone prima che di diagnosi. È questa dimensione che ci viene qui presentata attraverso storie di genitori e dei loro bambini autistici.

Laura Jaffè
Max è importante
Milano, TEA, 2000
“Sei handicappato. Non è poi così drammatico, finché tuo padre e io siamo felici con te. Finché siamo fieri di te, dei tuoi minimi progressi, come lo sarebbe qualunque altro genitore. Talvolta, però, questa realtà è estremamente dolorosa. Come una sorta di malattia cronica contratta assieme a te al momento della tua nascita. Qualcosa di molto strano, ma di una stranezza sospetta. Quando la gente ci guarda troppo, per strada, nei negozi, sull’autobus, al parco, mi sento handicappata anch’io. Quando gli altri, i cosiddetti normali, ci scrutano con insistenza mi sento giudicata, in colpa. Ma anche vittima di un rimprovero non formulato. Se tu sei a-normale agli occhi dei passanti, dei negozianti, degli sconosciuti, di chi ti scruta, ti compatisce, ti disprezza o s’impietosisce, significa che io non sono in grado di condurti verso la normalità? Che cosa pensano? Che cosa immaginano? Che giudizio si fanno? Che sono una cattiva madre? Che sei un bambino sbagliato? Non si rendono conto che sei semplicemente un bambino? Prima di tutto un bambino? Un bel bambino?”.
L’autrice, in un’alternanza di capitoli, racconta in prima persona e dà la voce che non ha al suo secondogenito, in un lungo e toccante percorso di fatiche, gioie e condivisione.

Fiammetta Colapaoli
A mia discolpa
Tirrenia (PI), Del Cerro, 2004
Il libro raccoglie la testimonianza di una madre che, insieme alla sua famiglia, ha condiviso il particolare percorso di vita del figlio, affetto dalla sindrome del x fragile e che dice “questo diario a posteriori, scaturito da un intimo e forte impulso a superare il mio sentirmi inadeguata, mi ha permesso di capire e di accettare. La speranza è che altri capiscano e accettino”.
Come sottolinea Canevaro nell’introduzione, “Fiammetta ha bisogno di essere ascoltata, ha la necessità che la sua parola venga accolta da qualcuno. L’essere arrivata a scrivere può essere un elemento positivo ma anche negativo. Positivo perché ha voluto, generosamente e giustamente, mettere a disposizione una riflessione maggiore che non quella della parola emotiva: la parola scritta raccoglie sì le emozioni, ma impegna a rielaborarle, a riviverle, forse anche a correggerle. Negativo, ma che può diventare positivo – e che ci fa ricollegare il racconto di Fiammetta ad alcuni scritti di sopravvissuti dei campi di sterminio – perché rivela la sua difficoltà a trovare ‘l’interlocutore dialogante’ e quindi il suo rivolgersi ai lettori nasconde la speranza che fra questi ci sia qualcuno che diventi dialogante”.

Milena Portolani, Luigi Vittorio Berlini
È Francesc@ e basta
Molfetta (BA), La Meridiana, 1998
Il libro racconta una storia vera di amicizia nata grazie a un fitto scambio di e-mail.
Luigi Vittorio, educatore, e Milena, mamma di una bambina con sindrome di Down, discutono di disabilità e di molto altro ancora. E Milena dice che “grazie a questa esperienza, ho capito che c’è un tempo per ogni cosa, che chi ha l’opportunità di vivere la Vita e sa cogliere quello che ci riserva nel bene e nel male, cercando di trarne insegnamento, allora quella vita non l’ha sprecata. Mi piacerebbe che chiunque leggesse questa raccolta di lettere, ne traesse speranza, specialmente tutte quelle persone che soffrono nella solitudine. So benissimo che quando si soffre è difficile, anzi è raro, trovare qualcuno capace di ascoltare senza pietismi e senza condizioni. A me è successo. Sono riuscita a risalire la china della disperazione trovando, non so dove, la forza di raccontarmi a uno sconosciuto […] La cosa più bella che la Vita ci riserva è l’essenza che sappiamo trarre da ogni esperienza, dolorosa o felice che sia”.

Autori Vari
Come pinguini nel deserto
Tirrenia (PI), Del Cerro, 2005
La nascita di un bambino Down, le indagini prenatali, le dinamiche familiari e la vita di coppia, la gente, la scuola, i fratelli… Sono i temi che il libro affronta attraverso “storie personali variegate e caratterizzate da atteggiamenti spesso in apparenza contrastanti, frutto di un travaglio interiore fatto di gioia e dolore, preoccupazione e speranza, rifiuto e accettazione”. Così come il libro merita di essere letto con attenzione, merita di essere raccontato anche come è nato, come ricorda l’introduzione: “Alex, il fratello maggiore di un ragazzo di venticinque anni con sindrome di Down, ebbe l’idea di creare su Internet un sito dedicato a questa disabilità intellettiva […] che si è subito trasformato, da una delle fonti dove poter attingere informazioni sulla sindrome di Down, in un luogo virtuale dove condividere esperienze e soprattutto sentimenti, in un caffè virtuale sempre frequentato dove scambiare quattro chiacchiere fra amici, in un luogo informale insomma dove ci si può raccontare senza paura di essere giudicati e dove aprendosi alla condivisione del proprio vissuto si può scoprire di non essere soli a camminare in quel modo un po’ goffo e apparentemente fuori luogo, in un mondo apparentemente ostile in cui ci si sente un po’ come pinguini nel deserto.