Il cuore del progetto Postmarks sono stati i laboratori che abbiamo realizzato in collaborazione con il Dipartimento educativo MAMbo e, in particolare, l’artista educatrice Ilaria del Gaudio.
Abbiamo scelto di presentarveli in ordine cronologico, descrivendone il contenuto e la metodologia, perché possano divenire uno strumento utile e replicabile in altri contesti.
La descrizione dei laboratori è accompagnata dal commento di alcuni partecipanti, esperienze personali che offrono uno sguardo intimo sulle attività e, complementariamente, un approfondimento dell’aspetto educativo che arricchisca e completi lo strumento.
Sessione 1: Il corpo è presente
Laboratorio 1
Al centro del primo laboratorio abbiamo messo il corpo come metafora in grado di raccontare la nostra identità personale. Abbiamo deciso di cominciare da questo tema perché lo riteniamo importante per noi, per la nostra consapevolezza e la nostra crescita, specialmente per le persone con disabilità.
Siamo partiti dall’idea che il corpo è un luogo nel quale la nostra identità fa esperienza di se stessa. Alcune opere d’arte ci hanno offerto lo spunto di partenza: i dipinti di Frida Kahlo e le performance di Sissi. Entrambe le artiste condividono l’idea del corpo come un contenitore emotivo, con un’anatomia parallela e un particolare linguaggio: al posto delle parole usano colori e atmosfere particolari, forme e movimenti, emozioni e ricordi. Come se il corpo fosse una specie di percorso, camminare attraverso le sue strade ti permette di scoprire una mappa personale fatta di tracce e organi considerati come le radici dei sentimenti e delle sensazioni. In sintesi, l’idea del workshop era quella di realizzare un viaggio attraverso il sé, una ricerca in giro per il proprio corpo.
I partecipanti sono stati invitati a creare una mappa personale ed emotiva dei propri corpi. Ognuno ha ricevuto una sagoma anatomica del corpo umano sulla quale si dovevano segnare i punti forti con segni rossi, i punti deboli con segni neri e il percorso delle emozioni all’interno del corpo con il colore preferito.
Poi i partecipanti hanno dovuto scegliere, tra alcuni disegni di organi interni come stomaco, cervello, utero e polmoni, quello che li rappresentava meglio, e personalizzare il disegno secondo l’emozione o il pensiero che volevano comunicare. Una ragazza, per esempio, ha scelto il cervello e l’ha coperto con fili di cotone aggrovigliati in modo da rappresentare la grande quantità dei suoi “pensieri aggrovigliati”.
Così, a partire da uno schema comune, tutti hanno dovuto riflettere a livello personale, e ogni partecipante ci ha mostrato una parte molto intima del sé.
Esperienze
Dapprima ci hanno presentato l’esperienza vissuta dall’artista Frida Khalo, a proposito della quale sono rimasto davvero a bocca aperta quando ci hanno raccontato del gravissimo incidente subito e di come l’artista sia sostenuta da un ferro che attraversava tutta la colonna vertebrale. Ciò le permette così, non solo di svolgere più o meno normalmente gli atti della vita quotidiana, ma riesce al contempo a trasmetterci i propri sentimenti e le proprie emozioni fissandoli su un supporto artistico.
Sono rimasto enormemente affascinato dalla sua smisurata voglia di vivere. Penso anche che questa sua stramaledetta voglia di vivere la vita sia un ottimo stimolo anche per tutti quelli che, come me, hanno incontrato un grosso ostacolo (il coma) al normale svolgimento della propria vita, ma sono riusciti a ottenere un buon miglioramento grazie alla terapia, alla fede e alla forza di volontà.
Subito dopo le ragazze del museo ci hanno mostrato le opere di Sissi, un’artista che ama mostrare il suo corpo visto attraverso la lente del profondo dolore interiore che ha caratterizzato tutta la sua vita; infatti giovanissima ha dovuto imparare a arrangiarsi da sola e in piena autonomia, in quanto è rimasta orfana, ma questo fatto non l’ha privata della sua “vena” artistica e del desiderio di dare visibilità alle sue opere. Emblematico, a questo proposito, l’esempio di una sua prestazione: una foto che la ritraeva nuda in mezzo a un mare di scooby-doo. Questa opera riesce a trasmettere, al meglio, le vicissitudini e il travaglio interiore e questa rappresentazione riesce bene a offrire l’immagine di un’artista eclettica nel trascendere il suo profondo disagio intimo, esibendo il proprio corpo tale e quale a se stesso.
Mattias Fregni, animatore disabile del Progetto Calamaio
Laboratorio 2
Fulcro del secondo laboratorio è stato l’autoritratto, concepito come uno sforzo per definire la propria identità. Uno dei motivi più importanti del nostro percorso è riflettere sulla differenza tra l’immagine che abbiamo di noi stessi e l’immagine che gli altri hanno di noi, argomento assolutamente centrale per il gruppo. Dopo aver mostrato ai partecipanti diversi ritratti e autoritratti, dal XV secolo alla contemporaneità, come opere d’arte di Piero della Francesca, Rembrandt, Giuseppe Penone e Arman, insieme abbiamo discusso le diverse tonalità della pratica dell’autoritratto e i suoi diversi obiettivi, che non sono solo connessi alla somiglianza fisica, ma anche ai valori sociali o all’introspezione personale. Un altro aspetto importante è stato quello di considerare le diverse tecniche usate dagli artisti: pittura, fotografia o oggetti personali con un valore metaforico. A partire da tutto ciò, l’idea sulla quale si è basata il laboratorio è stata quella di riflettere sull’identità personale rappresentando noi stessi sia a un livello fisico che a uno più emotivo.
Ai partecipanti è stato chiesto di creare quattro diversi autoritratti: autoritratto frontale, autoritratto laterale, autoritratto posteriore e autoritratto interiore. Per i primi tre lavori si doveva scegliere tra fotografia o disegni. Chi ha scelto il disegno aveva a disposizione uno specchio mentre abbiamo preparato una sorta di set per coloro che hanno preferito autoritrarsi in una “sessione fotografica”. L’autoritratto interiore, invece, è stato creato usando colori e diversi materiali con valori metaforici, come cotone per la tenerezza o corde per indicare vincoli o limiti.
Per i primi tre lavori i partecipanti si erano concentrati sulla posa del corpo o l’espressione del volto, mentre questo quarto autoritratto è stato come una sorta di radiografia interiore.
Abbiamo raccolto tutti i lavori prodotti nei due laboratori, li abbiamo spediti al gruppo inglese, poi li abbiamo presentati durante il seminario a Castellón.
Esperienze
Uno splendido salto indietro nel tempo: allo stesso modo in cui da bravo scolaretto mi sono recato per la prima volta a scuola, mi sono sentito tutto eccitato e, come mai prima, ansioso di cogliere il meglio dall’esperienza. Nel creare questo sentimento sensazionale ha contribuito anche il fatto che in nessun caso prima di allora mi ero imbarcato su un aeroplano.
Mi si è spalancato davanti agli occhi un mondo completamente nuovo della cui esistenza non avevo la minima idea. Mi sono stupito anche di quanto fosse immediato, musicale e semplice hablar (parlare) questa, a parer mio, meravigliosa lingua, lo Spagnolo.
Professionalmente parlando, abbiamo preso parte a un progetto basato sull’idea che l’arte e la creatività non vanno dati per scontati, ma sono un importante motore sociale volto all’inclusione e all’apprendimento permanente. Abbiamo trascorso molto tempo a conoscerci, anche se all’inizio eravamo un po’ diffidenti, ognuno nel suo gruppo, ci siamo pian piano aperti per approfondire la conoscenza fra noi partecipanti, così da poter cogliere al meglio ogni informazione sull’altro. Ogni istituzione ha scelto di lavorare su una comunità svantaggiata del suo territorio.
Giovedì tanto per fare una breve cronaca del memorabile evento vissuto, siamo stati accolti al museo “Espai” e poi ci siamo recati in una sala da the per fare reciproca conoscenza. Inizialmente il clima era un po’ freddino, anche a causa delle naturali difficoltà di comunicazione, ma la birra spagnola era eccellente! Venerdì, dopo una bellissima colazione a base di orzo, miele e torta da leccarsi i baffi, ci siamo diretti verso il paese di Les Coves, a un’oretta di pullman da Castellón, dove abbiamo passato in rassegna e commentato i lavori svolti da tutti i gruppi partecipanti al progetto e precedentemente spediti via posta. Di questo momento ben ricordo la stupenda sensazione provata, di orgoglio mista a grandissima soddisfazione.
Sabato abbiamo visitato Valencia e dopo aver visto il mercato cittadino, siamo andati a vedere la mostra di un’artista del territorio, che ha scelto di mostrare fiori a cui erano stati divelti i pistilli in varie riprese, per rappresentare la lotta all’infibulazione femminile, da lei sentita in modo fortissimo. Inoltre mentre abbiamo girato in lungo e in largo Valencia per cercare anche un po’ di ricordini da portare a casa, ci siamo imbattuti nelle opere di Blu, lavori davvero meravigliosi capaci di rendere vivo il più semplice muro cittadino.
Sconvolgente quanto fosse buono il cibo che abbiamo gustato in questi quattro giorni…
Alla fine della piacevolissima trasferta abbiamo risolto con successo i problemi di comprensione, mischiando e integrando le nostre personalità e le nostre culture, tanto che dopo esserci salutati a fine di una cena alla Tasca – un locale davvero tipico e a conduzione familiare – a base di ottime tapas, ci siamo augurati vicendevolmente: “alla prossima”, facendoci il saluto spagnolo “Hola, hasta luego”!
Mattias Fregni, animatore disabile del Progetto Calamaio
Ci caliamo nel Calamaio
Quanti di noi, guardandosi allo specchio, accelerano il passaggio sulle parti che non ci piacciono! Le evitiamo, fingiamo che non ci siano, non le riconosciamo. Lo sguardo fugge e si va a posare su ciò che ci piace, che sentiamo nostro, che ci fa sentire ad agio con noi stessi.
Lavorare sulla sagoma del corpo, sui punti forti e sui punti deboli è stato per il nostro gruppo occasione di nuove scoperte, di nuove cose da dire a noi stessi, dire agli altri e soprattutto lasciarci dire dagli altri.
Quanto e come una persona con disabilità motoria sente il corpo? Quanto e come sente le parti che non funzionano, che sono causa della propria disabilità? Il laboratorio ha permesso alle persone con disabilità del gruppo di esprimere in modo molto chiaro la difficoltà a vedere e a riconoscere alcune parti negate. Per alcuni erano le gambe, immobili sulla carrozzina, per qualcuno era più facile lavorare solo con il viso, escludendo il corpo intero, per altri è stata la possibilità di dare un’immagine di sé al gruppo e ricevere un feedback rispettoso ma diverso. “Non è vero che il tuo braccio è dritto”, e con la complicità degli altri, potere riconoscere e dire che, sì il mio braccio è proprio storto; è il mio braccio e ora lo guardo e lo sento come tale.
Ma anche per gli educatori è stato possibile avere un confronto diverso, diretto e autentico sul sentire reale, non mediato dal ruolo e dai contenuti che caratterizzano la riflessione e il lavoro quotidiano. Abbiamo toccato con mano la carne viva di ognuno di noi. Il gruppo, e soprattutto il gruppo misto, ha permesso che – nel metterci in gioco e nell’accogliere il lavoro faticoso o giocoso degli altri – sentissimo che l’aspetto della fragilità appartiene a tutti noi. La condivisione lo ha reso visibile e riconoscibile come elemento insostituibile e immancabile della nostra identità.
Continua a leggere:
- Il postino suona sempre due volte
- 1. Introduzione
- 2. Il progetto Postmarks
- 3. Un incontro inaspettato
- 4. Una lunga tavola apparecchiata
- 5. Accesso all’arte e l’arte come accesso
- 6. “Scusa, non riesco a seguirti, puoi parlare più lentamente?”
- 7. I laboratori: Sessione 1 - Il corpo è presente (Pagina attuale)
- 8. I laboratori: Sessione 2 - Lo spazio per noi
- 9. I laboratori: Sessione 3 - Disegnare suoni e suonare disegni
- 10. I laboratori: Sessione 4 - Confini e relazioni
- 11. I laboratori: Sessione 5 - Identità provvisorie
- 12. I laboratori: Sessione 6 - L’anatomia della memoria
- 13. L’ultimo laboratorio