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6. A luci accese

Quando uno spettacolo finisce di solito si accendono le luci, gli attori escono sulla ribalta e scattano gli applausi… Benché alcuni studiosi di oggi non lo ritengano strettamente necessario, per noi l’applauso si è rivelato sempre un grande momento liberatorio, oltre che, ci piace ancora pensare, una forma di gratitudine e di rispetto nei confronti del lavoro degli artisti.
Il tempo dell’applauso, se goduto, è infatti un momento speciale per tutti, è l’attimo in cui l’attore e lo spettatore scaricano le tensioni, in cui si vedono in faccia, è l’attimo della complicità, dello sguardo d’intesa che si scambia con un amico con cui ci si capisce senza parlare.
Non sempre tuttavia, la società ci lascia il tempo per alimentare queste belle sensazioni.
Al giorno d’oggi quando per esempio andiamo a vedere una mostra, un film o a teatro, siamo spesso costretti a scappare via, a inserire l’appuntamento con la cultura in mezzo a flussi di azioni e di eventi molto diversi tra loro che, quasi sempre, finiscono per impegnarci sullo stesso livello. La stanchezza che ne deriva, lo sappiamo, è grande.
Sarà per queste elucubrazioni, ma spesso nel fuggi-fuggi verso automobili e mezzi che di solito segue agli spettacoli mi è capitato di pensare alla Seggiola delle visite brevi di Bruno Munari (sì, ancora lui), una seggiola pensata per l’appunto per stare “in prestito”, né dentro la casa di qualcuno né fuori. La seduta che è a metà tra il sedersi e lo stare in piedi, ideale da poggiare al muro, l’ha resa infatti nel tempo una perfetta sedia da pianerottolo dove ci si saluta e si conversa compatibilmente al buon senso, pena le lamentele dei vicini.
Le pubbliche relazioni che coltiviamo negli spazi della cultura, ci siamo accorti, si poggiano spesso su seggioline così.
Con il Progetto Calamaio tuttavia, complice la necessità di non dimenticare giacche, cappelli e borse, ci vuole sempre un po’ più di tempo. Nel mezzo di quelle attese si scherza, ci si guarda intorno, gli attori si fermano per rispondere a eventuali domande anche dopo le interviste ufficiali… Il tempo dell’uscita insomma risulta sempre più dilatato.
Questo fermarsi a parlare, che abbiamo speso con direttori artistici, critici e artisti alla fine di ogni spettacolo, è stato tuttavia quello che ci ha permesso di fermarci a riflettere sulle reciproche peculiarità, di immaginare dei percorsi insieme e soprattutto di godere di un tempo calmo e dilatato che nasceva prima di tutto dal bisogno delle persone con disabilità.
Ne sono successivamente nati convegni, partecipazioni a spettacoli, ulteriori incontri, relazioni e scambi che qualcuno ha poi deciso di coltivare in autonomia, soprattutto c’è chi, come Diego, quando il teatro lo ha visto ha chiesto anche di farlo. È successo con l’incontro con la compagnia di rifugiati Cantieri Meticci, incrociati ormai tre anni fa durante la preparazione dello spettacolo Il violino del Titanic di Pietro Floridia. Quel miscuglio di ragazzi stranieri della sua età, tra i 20 e i 30 anni, che parlavano male come lui ma che sembrava non fosse un problema, lo ha spinto a provare a seguirne i laboratori. L’accoglienza calorosa che ha ricevuto, pur necessitando di qualche mediazione e portando in luce delle difficoltà, ha dimostrato un ulteriore scarto di accessibilità, confermando che a teatro non è necessario parlare la stessa lingua se ci si mette in reciproco ascolto. Il corpo ci ricorda che si può anche stare zitti, basta usare i vocaboli dell’immaginazione, colmare una distanza. Perché il teatro – ci ha insegnato il laboratorio di educazione alla visione “La Quinta Parete. Lo spettatore è uno sguardo che racconta” – è sempre essere attori e spettatori insieme.
Ed ecco allora che il nostro cerchio si chiude, riportandoci a Barthes, al coro, al theatron en plein air con cui abbiamo aperto il nostro racconto.
Sia che vi sentiate più spettatori inattesi o più habitué, speriamo di avervi appassionato o quanto meno spinto a esplorare questo mondo con maggiore fiducia.
Per concludere, un piccolo regalo, un dialogo corale, annusando il vento e interrogando le stelle, ai confini del cerchio, nel nostro teatro scoperchiato:
Buio. Cicale
TIZIANA: Che poi il teatro…
FRANCESCA: Che sia proprio questa cosa qui?
STEFANIA MIMMI: Va beh, è difficile spiegare…
DIEGO: Un pochino
CLAUDIO: Cioè?
MARIO: In fondo è un desiderio primigenio
LORELLA: Non sentirci soli ci ha fatto stare bene
TATIANA: È inebriante anche quella sensazione di inconcluso
STEFANIA BAIESI: Un solo sguardo ed è un poter dire
TRISTANO: Essere continuamente
PATRIZIA: Vita e morte
LUCA: Morte e vita
ROBERTO: Senza polvere
SANDRA: Senza peso
LUCIA: Come parole lisce…
MANUELA: … Ritmate sul respiro
ERMANNO: Oh! Che gioia!

Il Progetto Calamaio vi aspetta a teatro ma vi esortiamo a scriverci su http://laquintaparete.accaparlante.it o a rivolgervi a lucia.cominoli@accaparlante.it per ulteriori informazioni.

Nel frattempo… Buone future visioni a tutti!



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