Skip to main content

autore: Autore: Nicola Rabbi

“Non ho parole…”

I medici e gli infermieri raramente sono in grado di informare adeguatamentge i genitori; si sbaglia il modo di dirlo, il momento scelto, il posto: questo è quanto emerge dalle testimonianze di tre madri intervistate durante l’inchiesta

"Quella domenica, a poche ore dal parto, mentre chiacchieravamo, vediamoavvicinarsi due pediatre dell’ospedale che iniziano a visitare il bambino;chiediamo se tutto va bene e a questa domanda una delle pediatre si gira versodi noi dicendo: ‘Non vi siete accorti che vostro figlio è mongoloide?’."
"Una volta che la pediatra ci ha informati dei suoi sospetti – dice F. -per dieci lunghi giorni abbiamo aspettato il risultato definitivo della diagnosidato dalla mappa cromosomica, il cariotipo; alla fine la stessa dottoressa vennea trovarci e ci disse: ‘Avete visto, avevo ragione, il bambino è affetto dasindrome di Down, non per vantarmi ma su queste cose mi sbaglio poche volte’."
Per fortuna non a tutte le famiglie capita di venire informate in questo modosullo stato di salute del proprio figlio; ma, la mancanza di tatto, non silimita a questo; quando viene il momento di spiegare meglio cosa sia avere unfiglio Down i medici utilizzano vecchi testi raffiguranti immagini di bambinimongoloidi gravi e descrivono le loro caratteristiche con estrema freddezza."Quando non conosci un problema – continua a raccontare F. – tutto ciò cheti viene detto da persone che ritieni per di più capaci, ti pesano, tidistruggono e non le metti in dubbio; ora invece che è passato del tempo e nesappiamo di più, possiamo dire che questi bambini hanno delle potenzialità chepossono essere utilizzate".

L’informazione nei sotterranei dell’ospedale

Altre volte l’informazione non viene neppure data subito, ma con una scusa sicerca di rinviarla perché non si sa come darla. E’ quanto è capitato ad A.:"Quando è nato me l’hanno messo sulla pancia…aveva un viso moltoschiacciato; a me e a mio marito sono venuti dei sospetti che non sapevamo peròchiarirci". Poco dopo l’ostetrica chiama in disparte il marito a cuicomunicano che il neonato deve essere ricoverato in neonatologia per via di unaspalla "un po’ piegata". "Mi hanno fatto capire che era megliotrasferire il bambino subito, forse avevano paura che io capissi". Ilgiorno dopo, nonostante le richieste, i genitori non riescono ad avere altrenotizie. Così il marito va nella clinica dove è ricoverato il bambino persapere come sta. Solo a questo punto conosce la verità: suo figlio ha lasindrome di Down. Intanto alla madre i medici comunicano che il figlio non haniente alla spalla e che sta bene, ma che deve rimanere sotto osservazione. Leinon resiste all’attesa e decide di andare di persona in neonatologia: "Miha accompagnato un’ infermiera- ricorda A. – che attraverso dei sotterranei miha portato alla clinica del bambino. Là sotto, l’infermiera mi ha informatasullo stato di mio figlio. Mi ricordo in particolar modo una sua frase: ‘L’amniocentesidovrebbe essere obbligatoria per evitare che capitino cose come queste’."
"Guardavo quel bambino – continua a ricordare A. – e mi domandava se eraproprio mio; all’inizio non pensavo che mi sarei affezionata, ma poi coltempo.."
Ad L. invece la notizia viene data quasi subito al marito in termini abbastanzaprecisi con il consiglio di dirlo alla moglie solo successivamente per noncausarle uno shock che avrebbe compromesso l’allattamento. "L’informazioneè stata poca – racconta L. – i nostri dubbi non venivano chiariti; poi i mediciti parlavano sempre con una nota di dispiacere, come una cosa senza speranza, unevento luttuoso e basta. E’ stato solo con l’aiuto di un altra famiglia cheaveva vissuto un’esperienza come la nostra che siamo riusciti a reagire".
In queste brevi testimonianze sono raccolti tutti gli elementi che compongonoquesta delicata questione: un personale sanitario (sia medico cheinfermieristico) molte volte impreparato a gestire situazioni come queste e chenon sa scegliere il momento e il modo giusto per comunicare con i genitori, nétantomeno il posto adatto; l’importanza per le famiglie di venire informatecorrettamente e di entrare in contatto con persone che hanno già vissuto questimomenti drammatici.
Le storie riportate si riferiscono a bambini con sindrome di Down ma lo stessodiscorso è valido per qualsiasi tipo di malformazione, da quelle più gravi aquelle che possono essere risolte con un semplice intervento chirurgico; anchein questi casi un’inadeguata prima informazione può portare seri dannipsicologici ai genitori, rendendo più difficile l’accettazione del propriofiglio.

Il punto di vista del medico

Visto dall’altra parte il problema assume connotati naturalmente diversi; imedici, anche quelli più disponibili ad affrontare la cosa, sono in difficoltànel comunicare una notizia come questa, perché si ha la consapevolezza che inogni modo "si sta dando una botta" alla coppia di genitori. E’ unmomento sgradevole ed è frequente il caso che il ginecologo, che ha seguito ladonna per tutto il periodo, non si faccia più vivo per motivi d’imbarazzo.
A complicare il quadro interviene anche un altro fattore, di cui si è giàaccennato sopra: la categoria medica è tradizionalmente portata a considerareprincipalmente il problema sanitario, scaricando, come qualcosa che a loro noncompete, gli aspetti psicologici che riguardano, in questo caso, la coppia digenitori.
"Negli ultimi 10 – 20 anni – afferma Guido Cocchi neonatologo all’ospedaleS. Orsola di Bologna – sono cambiate molte cose; una volta si dava l’impressioneai genitori che questo avvenimento fosse solo una disgrazia, non dando alcunaccenno di speranza. C’era anche il tentativo di "scaricare" la cosasui genitori. Oggi il nostro orientamento è quello di dare una completainformazione, compresa quella sulle potenzialità e le possibilità direcupero".
Il professor Cocchi rileva un atteggiamento comune dei genitori che si verificain questi casi: "Anche i genitori tendono a scaricarel’"arrabbiatura" con dei ragionamenti del tipo: ‘Ma come, per novemesi mi hanno detto che tutto andava bene e adesso…’; c’è la convinzione chese si fanno tutte le analisi e se queste vanno bene allora il bambino saràsicuramente sano, ma questa sicurezza non esiste".
Se da una parte i progressi della medicina non possono prevedere tutti i casi dimalformazione nei neonati, esiste anche un problema di controlli che spesso nonsono adeguati.
"E’ essenziale una corretta diagnosi prenatale – dichiara Luciano Bovicelli,fisiopatologo prenatale dell’ospedale S. Orsola – per averle occorre unpersonale altamente specializzato, mentre il livello professionale degliecografisti è molto modesto; soprattutto quelli privati che molte volte nonsono aggiornati e non hanno la stessa pratica dei loro colleghi che lavorano neiservizi pubblici".

Il solito problema dei costi

Sia la prevenzione (basti pensare che in Italia il 5% dei neonati ha dellemalformazioni) che un atteggiamento medico più moderno e attento alla personanella sua globalità (ovvero una diversa formazione) si scontrano con un altroproblema, quello dei costi.
La prevenzione costa (anche se nel periodo medio-lungo si rivela fonte di unenorme risparmio di risorse), la formazione dei medici anche. Quando si parladel problema della prima informazione con i medici ci si scontra sempre con unproblema strutturale: la situazione dell’ospedale, in perenne carenza diorganici e di altre risorse. Allora sembra affiorare un discorso anche se nondetto in termini espliciti: "Non è possibile essere attenti a tutto, ilproblema della prima informazione è una cosa interessante e importante ma ce nesono altri mille a cui noi medici dobbiamo far fronte". Certamente neiperiodi di crisi economica e di tagli alla spesa pubblica (e sanitaria) questidiscorsi non possono che venire avvalorati.

Nel sociale,informarsi e informare

Un viaggio personale e “soggettivo” sui problemi dell’editoria sociale e sui vizi del giornalismo italiano. L’avvento del digitale e la possibilità che offre la comunicazione elettronica ai cittadini e alle associazioni; L’importanza di osservatori sulla stampa, la necessità di pensare a nuovi progetti di comunicazione basati sulla tecnologia. Le esperienze comunicative del Centro Documentazione Handicap.

"Catturato spacciatore: era un irreprensibile impiegato", un titolodi cronaca apparso in pieno agosto, in testa ad un articolo di poche righe.; unarticolo di poca importanza, ma c’è chi dice che è dai particolari, daimargini che si possono capire molte cose. Così questo articolo marginaleapparso sulla cronaca locale di un quotidiano la dice lunga sul modo di trattareuna notizia sul sociale e sul rispetto verso i lettori.
Conosco bene la persona arrestata dato che per un paio di anni ha frequentato ilCentro di Documentazione Handicap per via di una borsa lavoro: non era certoirreprensibile visto che aveva una fedina penale molto lunga che un qualsiasicronista, con una telefonata alla questura, avrebbe potuto conoscere.
La caratterizzazione della notizia era stata inventata di sana pianta,"tanto in pieno agosto, con tutti i lettori al mare, chi si accorge diqueste piccole e innocue invenzioni"! L’importante era fare un articolo conun po’ di colore, che attirasse l’attenzione del pigro lettore di Ferragosto.
Ma l’operazione innocua non è; oltre che a tradire la fiducia del lettore, iltitolo e il testo non rendono ragione alla persona in questione, con tutto ilsuo carico di problemi, di contraddizioni e la voglia di "liberarsi",di lasciarsi alle spalle certe zavorre.
Venire a conoscenza, in questo caso per un motivo del tutto casuale, di unafalsificazione come questa non può non inquietare e ci porta a guardare allapagina stampata di un quotidiano, di un periodico qualsiasi (ma lo stessodiscorso vale anche per gli altri media), con un occhio più sospettoso.Scattano, in modo automatico e continuo, delle domande che ci coinvolgono comelettori, come cittadini, come operatori nel campo sociale e culturale: e seanche le altre notizie fossero così? come possiamo fidarci di quello cheleggiamo? come possiamo verificare le notizie?

Perché è importante l’informazione sociale

Perché insistiamo sempre su questi temi? Perché un Centro di Documentazionespecializzato sul tema della disabilità come il nostro e che ha come referentiun "pubblico" di operatori sociali e di disabili, si occupa in modocosì pervicace di questioni che riguardano l’informazione, i mass media, ilruolo dei giornalisti, le comunicazione elettronica….?
La risposta è chiara e semplice: i mass media sono decisivi nella formazionedelle stereotipie, dei luoghi comuni, della percezione in generale della realtàe in una società come la nostra, dove l’informazione è la merce più preziosa,nulla, o quasi nulla può sfuggire, al potere di attrazione, alle suggestioni diciò che i media ci dicono.
Ha scritto Luciano Tavazza, segretario della Fondazione Italiana per ilVolontariato (FIVOL) recentemente: "L’esperienza sociale quotidiana fasperimentare al volontariato quanto la società moderna sia fortementecondizionata in fatto di informazione e comunicazione in tutto il mondoindustrializzato" (1). E a volte anche chi è in stretto contatto con ilsociale (un operatore o un volontario), anche chi ha una conoscenza diretta enon mediata con questi temi, può, nonostante tutto, ricadere negli stessiluoghi comuni, mancare nella reale comprensione di un dato fenomeno, puòparlare come gli altri.

Indiani nella riserva

E’ questo il potere dei grandi mezzi di informazione, di fronte al quale leesperienze (di comunicazione, di informazione) alternativa rimangono (nel verosenso della parola) ammutolite. Le numerose esperienze di editoria sociale benconoscono questa sensazione di sentirsi "in una riserva", in unterritorio a parte destinato solo a pochi, con scarse possibilità di uscirefuori dal recinto.
E’ questa la situazione di quasi tutte le riviste, le case editrici, le agenziestampa che operano in questo campo. Non siamo troppo pessimisti se diciamo cheanche le esperienze più incisive e ambiziose, l’agenzia stampa ASPE del GruppoAbele e Res della Comunità di Capodarco, solo poche volte sono riuscite aforare la bolla di sapone che sembra avvolgere queste esperienze e a diventareportatori di un’informazione che passa attraverso tutti i mass media. Sonodiventati a volte fonte informativa (per lo più sotto la forma rischiosa delleader, della persona nota da intervistare), hanno sensibilizzato alcunigiornalisti, promosso anche nuovi paragrafi del codice deontologico… Alcunecose si sono fatte ma, come afferma Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele:" Il non profit non ha bisogno solo di giornalisti amici, bensì di testatecomplessivamente più sensibili ai problemi reali della gente"(2).
La nostra stessa esperienza, la rivista HP, pur esistendo da 15 anni, con le sue2 mila copie (e mille abbonati) è una flebile, ma non sempre timida voce, inmezzo al vasto oceano informativo.
Anche dal punto di vista economico tutte queste iniziative hanno vita difficile:le riviste sono mantenute in vita per quello che rappresentano, non certo per illoro numero di abbonati o per la pubblicità raccolta ( altre volte dietro c’èun grosso sponsor aziendale , oppure un progetto europeo temporalmentelimitato). Nessuna esperienza editoriale sociale in Italia riesce a mantenersida sola sul libero mercato ma è "protetta" dall’associazione madre onei modi sopra menzionati; nessuna esperienza riesce a sopravvivere basandosisolo sulle entrate derivanti dalle proprie attività culturali e editoriali(comprendendo anche la pubblicità).
Di fronte a questa constatazioni si sente l’esigenza di battere nuove strade,bisogna trovare nuove forme per finanziare queste esperienze, anche pubblichevisto il servizio che offrono. Anche le aziende potrebbero trarre una maggiorelegittimazione sociale da questo tipo di sponsorizzazione.

Rapporti sempre in costruzione con mass media e fragilità economica sono dueaspetti che sembrano caratterizzare tutta l’editoria sociale.

Le responsabilità dell’editoria sociale

Forse il termine è un po’ stretto, visto che con editoria sociale noivogliamo comprendere tutta una serie di iniziative che vanno dalla cartestampata, alla radio, dalla casa editrice al sito Internet; comunque,prendendolo nel senso più ampio, tutto questo apparato si colloca, come uncuscinetto, tra chi opera nel sociale e i mass media e anche direttamente trachi opera nel sociale e il cittadino comune.
I motivi dello scarso successo dell’editoria sociale vanno in parte ricercati alproprio interno, ad esempio nel linguaggio usato e nelle immagini che riesce aveicolare, nei rapporti sbagliati che imposta con il mondo giornalistico, nellascarsa conoscenza dei mass media e delle regole che li governano. Scrive Tavazzaproposito: ""Quel che abbiamo comunicato è quel che l’altro hacapito" dobbiamo fare i conti con la nostra comunicazione e con illinguaggio criptico a volte utilizzato. Troppo spesso abbiamo generatonell’opinione pubblica la percezione di un volontariato da super eroi, che èsì da elogiare ma ben lungi da imitare; oppure abbiamo evocato l’immagine diun’attività per pochi "eletti" se non addirittura quella di un gruppodi persone che fanno fatica a darsi le ragioni del proprio agire…Occorreinnanzitutto utilizzare un linguaggio che venga compreso dai non addetti ailavori" (3).
Non sempre si è padroni, anzi difficilmente lo si è, del linguaggio usato edelle immagini che si trasmettono alla fine del processo comunicativo; questaduplice difficoltà la si riscontra in molte produzioni culturali del settore,anche fra quelle che partono da una consapevolezza culturale maggiore. Dicendolain un altro modo, è come se una persona non trovasse le parole giuste peresprimere un’idea e quando lo fa si accorge che il risultato è diverso daquello che aveva immaginato.
E questo può capitare a due livelli diversi, sia nella produzione culturalepropria che in quella che passa attraverso i mass media, ma, in quest’ultimocaso, entrano in gioco altri fattori.
Il fatto di circuitare nei maggiori canali di comunicazione è un sorta diesigenza facilmente spiegabile; lo facciamo con un esempio.
La nostra rivista, nell’aprile del ’98, pubblicò un’inchiesta sulla primainformazione, ovvero il modo di comunicare ai genitori la notizia che il bambinoappena nato ha qualcosa che non va. Tema difficile, poco trattato, importante.Il numero monografico e il successivo convegno sono stati un modo perdiffonderlo, per sensibilizzare l’opinione pubblica e il personale sanitario, maoccorreva, per essere incisivi, passare attraverso altri canali, maggiori delnostro che portasse il tema ad un numero più ampio di persone. Una risposta aquesto problema è stata quella della conferenza stampa, attraverso cui abbiamocoinvolto alcuni giornalisti locali. Il risultato non è stato quello che ciaspettavamo, il giorno dopo sui quotidiani la notizia era solo accennata oppureassente. Il perché di questo piccolo fallimento va ricercata in un errore neirapporti con i mass media.
Dice Paolo Brivio, giornalista dell’Avvenire, in un bel testo pubblicato dallaCaritas, "Chi voglia comunicare con i media – e voglia farlo per diffondereun messaggio per sua natura delicato, che non sopporta banalizzazioni ealterazioni , qual è quello della solidarietà – non può farlo nell’ignoranzadelle regole di funzionamento dello strumento che intende impiegare. Bisognadunque rispettare la natura del mezzo e le peculiarità del genere di raccontoche esso sostiene – e più avanti scrive – queste regole non sono né immutabiliné necessariamente buone… ma non si può pretendere che la qualità di uncontenuto informativo buono si affermi a prescindere dalle regole delgioco" (4).
E’ vero, certe mancanze possono vanificare tanti sforzi, ma il punto è anche unaltro: stare o non stare alle regole del gioco, o meglio fino a che punto èpossibile accettare la natura del mezzo. Il fatto che i mass media funzioninocosì, il fatto che in redazione si respiri una certa aria non è un fattoineluttabile, ma che si è storicamente creato (qui in Italia con certecaratteristiche).
Ritorniamo al nostro caso, alla conferenza stampa sul tema della primainformazione: con il senno di poi avremmo dovuto cercare un aggancio con lasituazione locale che avesse destato l’interesse del giornalista (e del lettoredel suo quotidiano). Ma forse non sarebbe bastato neppure questo, avremmo dovutodenunciare qualche mancanza di una struttura pubblica o raccontare qualchestoria personale e drammatica. Di nuovo la domanda: fino a che punto è giustospingersi per accedere all’imbellettato mondo dei mass media?

Play it again, Sam

Essere attrezzati per comunicare con i mass media, avere perfino, anche alivello di piccole associazione, una persona addetta ai rapporti con la stampa,ma anche rendersi conto che esiste un margine di autonomia, che le regole delgioco non devono essere imposte da una sola parte soprattutto quando se nevedono i limiti e le chiusure.
Una storia marginale ma esemplare. Conosco un giovane volontario che per anni halavorato con la devianza giovanile; una volta laureato ha cominciato a scrivereper un giornale locale. Mi ha raccontato la storia di uno dei suoi primiarticoli che riguardava il reparto di Malattie Infettive dell’ospedale Maggioredi Bologna. Doveva descrivere una situazione di reale emergenza e dei difficilirapporti tra personale sanitario e malati di Aids. Ha intervistato infermieri epazienti e, dopo averlo fatto, ha portato l’articolo al capocronaca che hatrovato il pezzo "sottotono", pregandolo di riscriverlo con uno stilediverso. Alla fine è riuscito a confezionare l’articolo "giusto" cheè stato è pubblicato il giorno dopo. Nei due giorni successivi ha ricevutodelle telefonate di protesta (a lui convogliate dal suo capocronaca) da partedegli infermieri intervistati che si sentivano descritti nell’articolo comepersone terrorizzate dall’ambiente in cui lavoravano e diffidenti verso imalati. Non erano certo queste le intenzioni del giovane volontario; lui hacercato semplicemente di seguire le indicazioni del suo capocronaca.
E’ solo una storia, non capita sempre così, in questo caso molto dipendedall’inesperienza dell’aspirante giornalista, ma è anche vero che da storiemarginali si possono capire i meccanismi che sottendono la notiziabilità deifatti. Nel nostro caso, una notizia deve per forza essere sensazionale eallarmistica; una descrizione pacata e oggettiva delle difficoltà di un repartoospedaliero non è una vera notizia anche se è approfondita e contestualizzata.Sembra quasi che alla consistenza informativa si antepongano i mezzi, ancheretorici, che risveglino l’interesse del lettore, che lo stimolino.
Il problema a questo punto sembra porsi in questi termini: come scrivere unarticolo interessante per il lettore ma rispettoso della notizia, come attirarel’attenzione senza usare mezzi retorici, senza le esagerazioni, i luoghi comuni,i riferimenti simbolici e metaforici incomprensibili o banali? Accanto alleregole del gioco della notiziabilità ne possiamo aggiungere un’altra, anzi unaltro gioco, quello di scrivere in equilibrio senza scadere nella notiziascialba oppure scadere nella notizia avvincente ma che usa mezzi impropri.

Bisogna però saper distinguere tra i giornalisti (i materiali esecutori) eil sistema dell’informazione. Scrive Stefano Trasatti, giornalista delCoordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA): "Il giornalismo hacertamente le sue, anche se l’immagine del cronista cinico, privo disensibilità sociale e dagli studi incerti sa sempre più di caricatura(ancorché numerosi esempi siano tuttora presenti nella realtà) che per fortunapare destinata a scolorire. L’immagine che va affermandosi è quella di ungiornalista sempre più ingranaggio di un sistema esasperato – nelle dimensionie nella velocità – di produzione informativa, dove viene resa faticosa ognipossibilità o bisogno di aggiornamento, di interpretazione dei fatti, dicontrollo delle fonti, di maturazione del proprio spirito critico; e dove non dirado si aggiunge una certa dose di pigrizia, a volte connaturata, spesso indottadalle condizioni di lavoro che obbligano a trascorrere quasi tutto il tempochiusi in redazione" (5). Meno tenero Tavazza che afferma: "Ilprevalere della commercializzazione dei mass-media ha messo il sistemainformativo nel solco della cultura dell’effimero, talché la filosofia deimass-media, soprattutto televisivi, è diventata la stessa del clima in essiprevalente di consumismo e di individualismo – e più avanti dice – assistiamoad un abbassamento della cultura sociale della classe giornalistica, che sempremeno annovera professionisti capaci di coniugare un linguaggio oggettivo econsapevole dei bisogni comuni con le esigenze della vendita delle notizie"(6).

Reagire con prontezza

Di fronte ad una situazione di questo tipo uno strumento efficace sembraessere quello della reazione pronta; appena appare una notizia fuorviante su unatematica sociale un’associazione o un gruppo esperto in quel settore reagiscecon lettere al direttore ed altre forme di protesta.
Dice Ernesto Muggia, rappresentante dell’UNASAM (Unione Nazionale delleAssociazioni per la Salute Mentale): "I giornalisti più sensibili ci hannoanche detto che spetta a noi reagire con delle notizie mandate tempestivamentein redazione. Il problema è che non sempre ci sono le risorse per reagire,occorre un giornalista amico, avere una struttura che è difficile dafinanziare" (7). Le difficoltà espresse da Muggia sono vere; è difficileper un gruppo anche medio grande prestare attenzione ai media e intervenire làdove è necessario, occorrono risorse e capacità notevoli. Questo tipo direazione è però essenziale per poter avere un minimo di influenza e dicontrollo sui mezzi di informazione.
Recentemente sulle pagine locali di Bologna di un quotidiano nazionale ho lettoun’intera pagina dedicata ai malati mentali. L’ho letta tutta; è cosìdifficile trovare delle inchieste su questo tema. L’intervento prendeva le mosseda un fatto di cronaca nera (come era ovvio aspettarsi) scritto sotto forma digiallo d’azione e presentava un lungo articolo sulla pericolosità di certimalati mentali in "libertà", il tutto corredato da ampie foto chesembravano prese da un quadro Hieronjmus Bosch; il lavoro era completato daun’intervista ad un esperto che presentava una serie di dati totalmenteincomprensibili tanto erano decontestualizzati. Che cosa ne veniva fuori datutto questo, un’inchiesta? No solo un quadretto che se avesse potuto parlareavrebbe detto: "I matti sono pericolosi e girano tra noi".
Di fronte a questo tipo di informazione non si può stare inerti, bisognareagire. Una strada potrebbe essere quella di costituire degli osservatoripermanenti. Scrive Trasatti a proposito: "Costruire Osservatori nazionaliche siano in grado di far questo, e su un numero significativo di testate, nonè cosa facile. Non tanto per complessità pratica, quanto per la necessità dirisorse economiche non indifferenti. Tuttavia, questo dovrebbe essere uno deiprincipali traguardi da raggiungere per il variegato mondo del non profit. Essopotrebbe essere in grado già oggi di mettere in pratica un sistema dimonitoraggio sistematico dell’informazione, ovviamente con l’aiutoindispensabile di esperienze accademiche esterne che sarebbero facilmenterintracciabili in più d’una università italiana (ci sono già diverse facoltàavviate su questa strada).
Si tratta in verità di un dovere che andrebbe assolto prima che sia troppotardi. Prima, cioè, che il volontariato diventi "ricattabile" dallastessa informazione, avendo magari acquisito adeguata visibilità ma essendoentrato in quel gioco perverso di do ut des alla base del meccanismo che oggiregola l’accesso nei grandi notiziari" (8).
Addirittura questo potrebbe essere uno dei compiti del progetto diun’"Agenzia per l’editoria sociale", di recente proposta dal CNCA.
Ma anche a livello locale sarebbe utilissimo creare degli osservatori, anche conobiettivi minimi, che siano in grado di rispondere e di criticare certi modi difare notizia.

Note

1) La rivista del Volontariato, n. 10/97
2) C.N.C.A. Informazioni, n. 4/96
3) La rivista del Volontariato, n. 10/97
4) Mass media e solidarietà, Caritas , 1996
5) Il welfare del futuro, Carocci editore 1999
6) La rivista del Volontariato, n. 10/97
7) HP, n. 60/97
8) Il welfare del futuro, Carocci editore 1999

Gli handicappati di Benetton

Dopo aver visto la pubblicità di Toscani, quella che ha come protagonisti idisabili, ho scritto un messaggio che conteneva le mie impressioni a caldo el’ho inviato a tre gruppi di discussione sul sociale presenti in internet;quella che segue è la raccolta dei messaggi di risposta.

"Ho visto solo due cartelloni pubblicitari della Benetton /Toscani,quello con il ragazzo dai capelli lunghi e biondi e quello con la mamma chesostiene, sorridendo, il figlio disabile.
Lo sfondo del primo cartellone pubblicitario, campi verdi e colline leggermenteondulate, confermano il nostro bisogno di contatto con la natura e disemplicità, i capelli biondi svolazzanti non sono di una bella ragazza, ma diun uomo, un obiettore probabilmente. Questa è la prima nota diversa a cui siaccompagna la carrozzina con il disabile. Chi guarda prima si incuriosisce, poiha un’impressione positiva dell’immagine, quasi spensierata, come quellapasseggiata che i due stanno facendo.
Così anche la mamma con il suo bambino disabile grave è solo una mamma che amail proprio figlio, bella e serena.
Immagini che non offendono, anzi che vorrebbero comunicare positivamente unacondizione umana difficile (non solo per il disabile).
Mi sono chiesto se mi piaceva questa pubblicità, e la risposta mi è venutafuori immediata e diretta come in una pubblicità: no, non mi piace, come nonamo i messaggi di questo tipo, anche quando parlano di cibo per cani.
La comunicazione pubblicitaria è vincente contro ogni altra, non impegna lospettatore, lo diverte, lo lusinga, lo eccita. Sembra dotata di una forzaimpareggiabile.
Lo dico sorridendo e pensando, senza invidia, che noi del Centro DocumentazioneHandicap, parliamo di cultura della diversità da 15 anni in molti modi diversi(pubblicazioni, seminari, corsi, web…) e con tutti questi sforzi noi non siamoriusciti (né riusciremo mai nei prossimi 50 anni) a coinvolgere, a far parlarela gente di handicap come hanno fatto Benetton/Toscani in una sola campagnapubblicitaria. Dei giganti comunicativi, noi dei nani analfabeti.
Preferisco i nani però, ai giganti, sono handicappati più simpatici.
Perché queste resistenze? Perché i mezzi contano quanto i fini e lapubblicità non può spiegare, non può trasmettere, non può realmentecomunicare una situazione complessa senza banalizzarla, semplificarla.
Tutti i linguaggi (cinematografici, televisivi, letterari…) tendono a quellopubblicitario che rimane però povero, incapace di andare al di là dellostimolo forte e immediato. Non è questo il modo per conoscere la differenza,per capirla.
Meglio questo che niente? Meglio questo campagna pubblicitaria"progressista" che l’invisibilità? Meglio diciamo essere visibili inun altro modo, perché la natura ultima della pubblicità rimane quella divendere, per questo viene fatta. Certo si può accettare sempre una cosa, eallora ritroviamo la pace tutti quanti, che ormai possiamo conoscere e capiresolamente da un ruolo, quello del consumatore, da questa torre (pozzo?) noipensiamo, giudichiamo, amiamo."

"Anch’io ho visto i due cartelloni Benetton (chi non li ha visti) e liho
trovati una bella iniziativa. Fare la pubblicità ad una linea di
abbigliamento utilizzando come testimonial ragazzi disabili e quindi
lontanissimi dai canoni di bellezza perfetta di questo secolo è andare
decisamente controcorrente e, secondo me, aiuta tutti nella comprensione
dei problemi degli handicappati, nella loro comprensione e accettazione
come persone.
Sono d’accordo con le tue perplessità, mi sono chiesto anche io se
strumentalizzare gli handicappati con la pubblicità fosse eticamente
giusto o no. Forse eticamente è sbagliato, ma la gente ha bisogno di
essere messa di fronte al problema per interessarsene, per non poter più
adottare la tattica dello struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia ed
il modo Benetton tutto sommato è abbastanza accettabile. Chiunque vede
quelle immagini rimane coinvolto in un mondo che magari non pensava che
esistesse o che semplicemente dimentica nella vita di tutti i giorni. Io
per esempio non mi sono mai occupato di volontariato, ma quelle immagini mi
hanno molto colpito per la serenità degli handicappati e per il ruolo dei
volontari, mi sono trovato a riflettere sulla mia vita e di come potrei
utilizzarla meglio per aiutare altri meno fortunati.
Quindi in definitiva per me la pubblicità Benetton è OK perché fa
pensare e fa parlare del problema coinvolgendo un numero di persone enorme,
molto più grande di quelle raggiunte dalle vostre iniziative. Secondo me,
proprio grazie alla vostra esperienza nel settore, dovreste cercare di
utilizzare la grossa cassa di risonanza del caso Benetton per cercare di
raggiungere il maggior numero di persone che si stanno interessando al
problema. Il cartellone è solo un flash, un’immagine che fa riflettere, ma
la vera informazione, il vero dibattito si fa in altri modi
ed in altri luoghi. Hai ragione, la pubblicità non può spiegare, per
questo servono le organizzazioni come la vostra: cercate di mettere a
frutto l’occasione che vi è capitata."

"A me gli handicappati di Benetton non mi piacciono e mi sono purestupito per la calorosa accoglienza che invece hanno ricevuto su questonewsgroup.
Innanzitutto è una pubblicità, che sfrutta gli handicappati per vendere e perfare diventare sempre più famoso Oliviero Toscani. Gli scatti poi non mi sonosembrati così belli o commoventi – volendo si potrebbe fare ben di meglio – egli handicappati non sono nemmeno "nostrani", ma vengono dallaGermania, giusto per ricordarci che Benetton è una multinazionale.
Ancora mi pare offensivo che gli handicappati vengano usati da un autore che usale immagini in modo violento – mai legato al prodotto che pubblicizza – ma perfar parlare, per suscitare polemica. Questa volta è stato troppo correttopoliticamente, con altre immagini (ricordate le auto distrutte, le magliette deicombattenti a Sarajevo sporche di sangue, e l’elenco si può allungare di moltocon facilità…) ha suscitato ben altri fiumi di parole. Non credo che si siaconvertito, semplicemente ha pensato di usare per fare pubblicità quello chenessuno si sognerebbe di usare – in questo è certo un innovatore – e che sololui può usare, avvezzo alle polemiche e abile a stare sulle pagine deigiornali. In questo modo a mio avviso il corpo degli handicappati è diventatooggetto, feticcio che attira i consumi ed ha perso l’occasione di diventaresoggetto di attenzioni. Quelle immagini verranno soppiantate da un altrocartellone, magari di qualche fotomodella semisvestita o di qualche atleta inscarpe da ginnastica (altri soggetti che hanno perso l’uso del proprio corpo -vedi doping) per vendere altre merci, ed i nostri handicappati tedeschi verrannosostituiti da una nuova trovata di Toscani.
Tutto questo è commercio, terziario avanzato, del più sfrenato."

"Anch’io ho osservato e riflettuto sulla pubblicità della Benetton edevo
ammettere che sicuramente non lascia indifferenti.
Il dubbio sulla correttezza o meno e` venuto anche a me , soprattutto
perché, come mi faceva notare una mia amica insegnante di sostegno, i
ragazzi sono gli unici protagonisti delle immagini. In realtà a mio parere
sarebbe stato inviato un messaggio migliore se fossero stati contornati
da altri bambini, in modo da far capire che seppur diversi sono uguali.
L’altra perplessità e` proprio quella che segnalavi tu circa l’utilizzo a
scopi pubblicitari..certo un immagine del genere da Pubblicità &
Progresso avrebbe avuto un senso diverso.
Credo comunque che faccia bene a tutti riflettere un po’ sul problema e
quindi forse la pubblicità della Benetton non e` cosi` negativa."

"Neanche a me è piaciuta quella pubblicità, non mi interessa (né
d’altra parte mi potrà indurre a comprare Benetton, principalmente perché
… non ho più l’età!): e nemmeno mi stupisce perché è noto che da
tempo il binomio Benetton/Toscani si affida a pubblicità-shock.
Per favore, anzi direi per carità, non auto-umiliarti confrontandoti con
tali fenomeni, come se poteste essere messi sullo stesso piano! certo che
fa molto di più, a favore dei disabili, una sola riga del vostro
HP piuttosto che mille cartelloni pubblicitari di Benetton – e
anche un solo atto disinteressato d’amore e di comprensione. Non
mescoliamo, ti prego, carità (che non vuol dire pietà) e commercio!"

"’…Una foto ritrae la verità di quel momento, che rappresenta solouna parte della verità. Ma un’immagine accettabile può essere una porta perentrare dentro un mondo che altrimenti ci resterebbe estraneo. Io credo chenella pubblicità facciano più danno le falsità di un universo dove tuttoappare splendente, radioso, perfetto, ma che semplicemente non esiste…’.
Questa frase di Oliviero Toscani tratta da un’intervista pubblicata su"Famiglia Cristiana" esprime bene le intenzioni del pubblicitario. Sipuò discutere sull’uso della pubblicità di corpi più o meno attraenti pervendere il più possibile ma al di là del discorso economico l’ultima campagnapubblicitaria della Benetton ha un altro significato che non mi sembra giustocondannare a priori. Certamente le foto di Toscani sono molto dolci e presentanosoltanto alcuni momenti della vita delle persone con deficit e dei lorofamigliari e degli operatori, ma hanno il grande merito di mettere in luceproprio quello che ci sfugge quotidianamente dalla vista, quello che vogliamoche ci sfugga. Credo che Toscani abbia fatto un grande servizio alla nuovacultura dell’handicap anche se forse lui stesso non è consapevole di questo.Concludo con una proposta agli amici del CDH: invitiamo il grande OlivieroToscani nel nostro Centro di Documentazione cosi potrà rendersi conto che lasua intuizione non è legata solo a un centro di riabilitazione tedesco mapotrà vedere persone con deficit che conducono una vita normale anche se sonoin famiglia, perché il vero rischio di queste immagini è di collegare lafelicità delle persone con deficit a un luogo bellissimo ma al di fuori dellavita comune e della società."

Il magico Alvermann. Racconti sulla diversità

Il "magico Alvermann" è il nome di una rubrica letteraria pubblicata dalla nostra rivista.
L’idea di partenza era molto semplice: si voleva parlare di diversità e di emarginazione usando la letteratura, non vincolandosi a dei periodi storici, a correnti o ad un particolare autore, ma scegliendo con la massima libertà dei brani che riguardavano la diversità in senso ampio, intendendo con questo termine la condizione del disabile, della donna, dell’immigrato, del minore… La diversità, infatti, e la condizione di emarginazione e di svantaggio che ne consegue, accomuna soggetti anche molto differenti che si ritrovano a subire gli stessi torti e le stesse ingiustizie; il problema della mancanza di lavoro, tanto per fare alcuni esempi, accomuna l’immigrato al disabile, la violenza subita accumuna la condizione della donna a quella del bambino…
L’ulteriore passo in avanti è stato quello di costruire questa breve antologia con le idee e il contributo non di un’unica persona, ma di parecchie che in un modo o nell’altro vivevano o lavoravano a contatto con l’emarginazione. Ogni puntata della rubrica pubblicata dalla rivista veniva così proposta da una persona diversa, un operatore sociale, un insegnante, un disabile, un pedagogista, un giornalista…, che proponeva un brano da pubblicare e lo commentava di seguito in una rapida presentazione.
In un breve arco di tempo si sono accumulate tutta una serie di proposte molto diverse tra di loro, appunto perché scelte da persone differenti, che attraverso lo strumento letterario parlano di diversità, di emarginazione in termini semplici e suggestivi, prendendo spunto direttamente dalla loro vita, dal loro lavoro; quindi accanto al momento letterario ne viene proposto un altro più immediato e personale che ha a che fare con la vita e l’esperienza di tutti coloro che hanno collaborato alla rivista.
Questi vecchi contributi sono stati completati con un’altra serie di interventi inediti e vengono ora proposti in questo numero speciale della rivista. (N.R.)

Narrare e informare sull’handicap acquisito

EditorialeLo si indica un po’ tecnicamente con il termine di handicap acquisito e, come tutte le definizioni che si basano su poche parole, rischia di diventare un’etichetta che si appiccica a quelle persone che, nel corso della vita per via di un incidente o di una malattia, sono diventate disabili.
Persone quindi che non sono nate con un deficit, persone che hanno un prima e un dopo da confrontare. Un dopo che si presenta sempre tragico e insopportabile ma che, con il passare del tempo, può portare delle novità – può sembrare assurdo – positive.
Non per tutti. Non tutti passano per la strada dell’accettazione della diversa condizione, una strada che conduce alle parti più intime del sé e nei rapporti con gli altri.
Quando la redazione di HP in collaborazione con Alfa Wassermann, ha deciso di dedicare un numero monografico a questa tematica sapevamo già che l’avremmo fatto passando attraverso percorsi nuovi.
Come Centro di Documentazione avevamo sotto mano le pubblicazioni e le riviste di settore e avevamo un’idea chiara di quanto era stato fatto. Innanzitutto le guide e i manuali – utilissimi – fatti da medici e/o pazienti che danno indicazioni tecniche e psicologiche su come affrontare i vari aspetti del problema; come risolvere i problemi di incontinenza? E quelli relazionali? Cosa fare per la mobilità? E così via. Anche le riviste specializzate trattano soprattutto certi argomenti come la vita indipendente, la domotica, la riabilitazione, le esperienze dirette…
Partendo da queste conoscenze abbiamo progettato un numero molto particolare, che è costato molti sforzi interni ed esterni al gruppo redazionale.
Siamo partiti dalla constatazione che migliorare la qualità della vita di un disabile, non significa solo aiutarlo da un punto di vista tecnico ma anche CULTURALE; l’ausilio medico deve essere supportato anche da altro, da solo non basta, occorre aiutare la persone svantaggiata a ricostruirsi un proprio progetto di vita e questo può essere fatto passando attraverso la cultura, la relazione, la messa in discussione degli stereotipi. Questa vale anche per il sostegno psicologico che da solo non basta ma va messo in relazione a molte altre cose. Questa scelta è anche coerente con il nostro metodo di lavoro e con la nostra esperienza che ci ha portato a privilegiare l’approccio culturale piuttosto che quello medico e tecnico.
Abbiamo così deciso di parlare di handicap acquisito (ritorniamo così per comodità alla nostra etichetta) attraverso la NARRAZIONE e l’INFORMAZIONE, altri due percorsi a noi abituali.
Il narrare, si sa, può essere il mezzo attraverso cui si possono dire cose di cui si ha paura parlarne o di cui non se ne viene a capo perché sono oscure e misteriose. E le narrazioni che vi proponiamo utilizzano generi molto diversi tra loro: la letteratura, il fumetto e il cinema.
Attraverso l’analisi di una serie di scritti autobiografici (di cui vi proponiamo anche due stralci) abbiamo cercato di capire il ruolo che il corpo, il tempo, la memoria e la quotidianità giocano nella vita di queste persone. Attraverso la rassegna di una serie di film abbiamo analizzato il modo in cui il cinema ha affrontato il tema, così spesso legato alle storie dei reduci di guerra.
Se un’analisi di questo tipo attraverso il genere letterario e quello cinematografico ha già dei precedenti, quella che facciamo attraverso il fumetto è proprio originale; il fumetto così relegato nell’immaginario comune al mondo dei bambini o a quello di avventura, mostra di essere in molti casi vicino alla tematica, magari proprio quando si parla di supereroi. Le capacità del fumetto di esprimere anche solo nello schizzo di un volto tutto un "lungo racconto" sulla vita di un disabile (racconto libero oppure impermeato di pregiudizi), ci ha portato a proporre alcune strisce degli autori che si menzionano nell’articolo.
Infine l’informazione; nell’atto di informare già plasmiamo la persone che ci leggono; suggeriamo delle idee che a loro volta andranno a rafforzare o a indebolire certe convinzioni e pregiudizi. Anche se non c’è unanimità in questa affermazione, pensiamo comunque che in una società dell’informazione quale è quella in cui viviamo, dove la merce più preziosa è diventata l’informazione ed è povero chi ne è escluso, sapere che tipo di informazione viene data dai mass media sul tema dell’handicap acquisito, è un punto centrale.
Lo abbiamo fatto realizzando un monitoraggio degli articoli apparsi su cinque quotidiani nazionali per un periodo di un mese e mezzo. Abbiamo, infine, ripetuto la stessa operazione, naturalmente con modalità molo diverse, analizzando l’informazione che passa attraverso i siti web dedicati all’argomento (con un occhio anche alla padronanza dimostrata nell’uso delle nuove tecnologie).

Raccontare semplicemente una storia

Intervista a Guido Quarzo, scrittore per ragazzi

Con quale atteggiamento ci si pone davanti al fatto di voler raccontare una
storia di diversità?

Non credo che sia necessario, per raccontare una storia intorno a una situazione di diversità, avere un atteggiamento particolare, diverso da quello che si ha quando si raccontano altre storie. Ogni storia in fondo nasce dalla definizione di un problema: può essere un problema soggettivo, di relazione con gli altri, o un problema più oggettivo come una situazione difficile in cui i personaggi vengono a trovarsi. Nello svolgimento delle storie poi i problemi si intrecciano e si complicano. Nel caso di "Clara Va Al Mare", alle difficoltà ”soggettive” della protagonista, si aggiungono quelle "oggettive" dovute al fatto che viaggia da sola. Ma raccontando questa storia non ho mai pensato che la ‘diversità’ di Clara richiedesse da parte mia un atteggiamento narrativo specifico. Credo anzi che la forza del racconto, se ne ha, stia proprio in questo, che ho cercato di trattare la materia senza nessun accorgimento particolare, con l’idea appunto di raccontare semplicemente una storia.

Quali sono i rischi maggiori che si corrono?

Credo che i rischi più grandi che un narratore corre con storie di questo tipo siano di enfatizzare eccessivamente i problemi della diversità o, all’opposto, di minimizzarli, quasi per negare l’assunto iniziale che una diversità comunque esiste. Ho visto per esempio il film "L’Ottavo Giorno", che parlava dello stesso problema e aveva per protagonista un ragazzo down, e non mi è piaciuto per niente: ho trovato esagerata l’insistenza sul rifiuto da parte della gente "normale" e poi altrettanto esagerata l’esaltazione della diversità come modello di confronto capace di mettere in crisi l’ipocrisia e l’egoismo.

Come e’ nata l’idea di scrivere il libro "Clara va al mare"?

Io sono prima di tutto uno scrittore di narrativa, questo è il mio mestiere e sono quindi sempre alla ricerca di storie interessanti. Molto del materiale narrativo che utilizzo lo vado a pescare naturalmente nel mio personale ‘magazzino mentale’. Ebbene, lì dentro c’erano anche alcune esperienze che, avendo insegnato per molti anni nella scuola elementare, ho avuto occasione di fare con bambini e bambine in qualche modo problematici. Tra questi, anche almeno tre casi di alunni down. L’idea di scrivere "Clara va al mare" è cresciuta un poco alla volta, da un primo abbozzo iniziale che conteneva solo l’episodio dei grandi magazzini e che pensavo di accorpare agli altri racconti del volume "Talpa Lumaca Pesciolino". Mano a mano che scrivevo però mi tornavano alla mente episodi, espressioni e atteggiamenti, arrabbiature e tutta la grande carica affettiva che quei bambini sapevano comunicare. Direi che da un certo punto in avanti il racconto di Clara è diventato una sorta di sfida con me stesso: vediamo se sei capace, mi dicevo, di raccontare quel groviglio di emozioni e di portare questa ragazzina fino al mare.

Nella storia di Clara si ritrovano quotidianità e fantasia. Come si
miscelano? C’è prevalenza dell’una o dell’altra?

Entro certi limiti si potrebbe dire che il personaggio di Clara incarna il mondo dell’immaginazione, delle pulsioni e dei desideri. Gli altri personaggi rappresentano, se vogliamo, il cosiddetto principio di realtà.
Ma non c’è una netta separazione tra i due mondi: il principio di realtà fallisce quasi ogni volta che tenta di ‘interpretare’ il pensiero di Clara e l’immaginario si trova a dover fare i conti con la realtà, nel dialogo fra il cane e Clara che, nonostante le apparenze, è uno dei momenti più realistici del racconto.

La risposta dei lettori: rispetto alle intenzioni, a ciò che si voleva
esprimere, che tipo di reazione ha suscitato la lettura di testi come
"Talpa, lumaca, pesciolino" e "Clara va al mare"?

Con Talpa Lumaca e Pesciolino ho avuto molte soddisfazioni nel corso di incontri con i lettori, sia adulti sia bambini. Ho l’impressione che sia stata ben colta l’idea che ognuno di questi racconti ha per soggetto la possibilità. La possibilità è qualcosa di diverso dalla speranza: la possibilità sta dentro di noi, è come una falda sotterranea e in qualche modo troverà uno sbocco.
Clara va al mare è un libro ancora troppo nuovo, ma finora i commenti sono stati lusinghieri. Mi piacerebbe che venisse letto come un breve romanzo, per il piacere della lettura soprattutto, senza etichette di genere o intenzioni didascaliche, questo sì.

"Clara va al mare" è un fuori collana; come è stata voluta questa
collocazione?

E’ stata una decisione di ordine puramente pratico: non si riusciva ad attribuire al racconto una precisa ‘fascia di età’ indicata per la lettura. Da una parte spiaceva all’editore proporlo come libro per ragazzi tout court, d’altro lato considerarlo un libro per soli adulti sarebbe stato un limite ingiustificato. Così se ne è fatto un fuori collana, e devo dire che Luigi Spagnol, il mio editor della Salani, ha avuto ragione: infatti Clara va al mare viene letto con interesse dalla quinta elementare alla scuola media, e anche dagli adulti.
Il mio prossimo libro, che uscirà in ottobre per Feltrinelli e sarà intitolato "Il Fantasma del Generale", avrà gli stessi problemi di "target".
Fra i temi del racconto ritroveremo ancora quello della diversità, ma essendo una storia che si svolge alla fine del XIX secolo, l’atmosfera sarà molto diversa. Uno dei personaggi è addirittura ricalcato sulla figura di Cesare Lombroso, potete quindi ben immaginare…

Cultura di carta e cultura di byte

Come molti dei nostri lettori si saranno accorti, da quattro anni a questa parte la rivista ha molto a che fare con internet, non solo per i temi trattati (nuove tecnologie e handicap, operatori sociali e internet…) ma anche, più in generale, per il modo di "fare" la rivista.
Alcuni dei contributi che pubblichiamo su Hp sono presi direttamente dalla rete (in accordo con l’autore naturalmente), altri ci vengono inviati tramite posta elettronica. Il lavoro di redazione si svolge sempre più tramite gli strumenti offerti dalla rete per dei motivi facili da immaginare (velocità e economia).
Molti dei nostri sforzi sono diretti a migliorare continuamente le risorse informative offerte dal sito (www.accaparlante.it) che ci presenta globalmente per quel che siamo e facciamo anche al di là della rivista stessa. Addirittura quando abbiamo una nuova idea o scriviamo un progetto, automaticamente pensiamo alle due versioni ponendoci queste domande: "Come può essere fatto su carta? E in che modo on line?". Avendo bene in mente così le differenze che demarcano i due "mezzi". Ad esempio lavorando su internet raggiungiamo, o meglio abbiamo la possibilità di raggiungere, molte più persone di quelle che ci aspettiamo di raggiungere tramite la rivista cartacea. In linea teorica quando scriviamo e pubblichiamo sul web abbiamo (noi come gli altri) la medesima possibilità di essere letti di altri siti che hanno alle spalle investimenti di carattere economico colossali (basta pensare ad un qualsiasi portale come Virgilio, Ciaoweb o Jumpy). In rete non esistono i problemi di distribuzione e di spedizione che si hanno quando si fa un prodotto su carta e se non è pensabile di distribuire HP in tutte le edicole italiane (per via degli enormi costi) è possibile pensarlo online dove chiunque può raggiungerlo. Questo è un grande vantaggio, ma ne esistono altri. Il web può essere un luogo dove pur avendo pochi soldi si può pensare di costruire qualcosa di originale, valido ma anche letto, visitato, vissuto. Basta avere delle buone idee.
In questi termini internet può essere una vera opportunità a patto però di riuscire a rendersi visibili, di farsi notare con dei contenuti concreti e utili. Questo non vale solo per noi, vale anche per tutte quelle associazioni, cooperative, gruppi di volontariato, servizi sociali che già sono in rete o ci stanno per andare. Questa possibilità – di rendersi visibili, di non dover essere confinati in contenitori o "riserve" dove si parla, solo lì, di temi sociali – esiste, spetta a noi saperla sfruttare utilizzando al meglio gli strumenti offerti dalle nuove tecnologie.
Ma non tutti accedono alla rete; anzi, fino ad ora , la maggioranza delle persone resta esclusa; molti operatori sociali, pur avendo la cooperativa o l’ente in cui lavorano collegato, non possono accedervi per motivi diversi, disabili e famigliari raramente hanno dimestichezza con l’informatica. Di qui l’importanza che mantiene il mezzo cartaceo, la pubblicazione che si può tenere in mano, passare all’amico o al collega di lavoro.
E’ per questo che crediamo e vogliamo investire in un progetto editoriale cartaceo (nel prossimo editoriale vi spiegheremo in modo preciso le novità – e sono tante) inteso come strumento di approfondimento e alla portata di tutti (anche di chi è lontano dalle nuove tecnologie).
Allo stesso modo vogliamo investire su quello che facciamo on line perché la telematica permette di superare barriere prima impensabili. Anche qui le novità saranno molte, come delle rubriche specializzate quindicinali, banche dati sulle riviste e i centri di documentazione italiani, ma di questo vi racconteremo la prossima volta.

L’integrazione scolastica su internet

In questo intervento cercheremo di fare una mappa delle risorse informative italiane presenti su internet. Daremo un’informazione essenziale di ciò che esiste, facendo delle recensioni dei vari siti dedicati al tema dell’integrazione scolastica.
Non useremo un linguaggio per iniziati e là dove invece saremo costretti ad usare delle parole tecniche e straniere, ne forniremo una breve spiegazione.
Questo spazio non si propone di fare una sorta di alfabetizzazione telematica (anche se poi indirettamente è anche questo), ma di dire, al di là dei luoghi comuni, cosa si può effettivamente trovare sul web (le pagine di internet) e quali sono gli strumenti e i modi per cercare le informazioni.Tanta o poca informazione?

Se dovessimo dare una risposta secca a questa domanda dovremmo allora dire che sul web le risorse informative dedicate al nostro tema non sono poi tante e che le nostre poco virtuali biblioteche cittadine ne contengono molte di più. Ma sarebbe anche ingiusto liquidare così l’importanza dell’informazione telematica che a differenza di quella cartacea è in continua evoluzione e può conoscere impennate stupefacenti.
Chi vuole ricercare informazioni su internet a proposito di integrazione scolastica (soprattutto quella che si riferisce ai disabili) deve rendersi conto subito di due cose; che è fortunato, perchè tutto ciò che si riferisce alla scuola ha maggiore probabilità di essere rappresentato adeguatamente in rete ma che si ritroverà anche a fare i conti con i soliti limiti di risorse informative. Non si trovano, se non in piccola misura, dei libri fruibili on line, ma solo (e neanche tanti) delle relazioni, degli articoli di esperienze o commenti; non si possono scaricare dei software che aiutano (ad esempio) nell’apprendimento scolastico, ma solo delle descrizioni o dei "demo". Si troveranno invece molti indirizzi, elenchi di software, descrizioni di servizi e….gli orari di apertura (dei Centri, delle scuole, delle associazioni promotrici).
Questi limiti, pensiamo, sono solo temporanei, occorrerà solo ancora un po’ di tempo prima che la rete possa essere "riempita" delle risorse necessarie che permettano ad un insegnante, ad un disabile e ai suoi genitori di trovare quello che si desidera.

Inizieremo la nostra indagine con dei siti espressamente dedicati all’argomento e proseguiremo più avanti conoscendo quei siti che si occupano di scuola semplicemente e al cui interno hanno delle sezioni speciali. L’università e le scuole hanno una presenza sul web, in Italia, veramente imponente rispetto alla realtà media nostrana e, nascoste tra le pieghe, troveremo molto materiale interessante. All’inizio di ogni recensione vi sarà il nome del sito, il suo indirizzo (url) su web e infine, il suo indirizzo di posta elettronica (email).

Settore Integrazione del Provveditorato agli Studi di Bologna
http://provvbo.scuole.bo.it/glip/glip.htm
email: GLIP@bellquel.bo.cnr.it

Questo è l’indirizzo del sito curato dal GLIP di Bologna; un sito essenziale, con pochi fronzoli grafici, ma che fornisce del materiale piuttosto consistente.
La home page (HP) del sito riporta al centro un collegamento (link) ad un’altra pagina che tratta degli accordi di programma applicazione dall’articolo 13 della legge 104/92. Sono scaricabili sul proprio computer sia la legge quadro che l’accordo di programma .
Nella colonna destra della home page vi sono i collegamenti a "Insieme", "Guida-agenda per i genitori degli alunni disabili ed i loro operatori scolastici e socio-assistenziali, un vademecum – come si legge – curato dal Gruppo di lavoro Interistituzionale Provinciale, che si offre come aggiornata e agevole guida per meglio conoscere punti di riferimento normativi, interventi, percorsi formativi per l’attuazione dell’integrazione scolastica degli alunni disabili. Questo sussidio viene proposto a breve distanza di tempo dalla sottoscrizione degli Accordi di Programma da parte dei rappresentanti delle istituzioni pubbliche, alle quali è affidato il delicato impegno di assicurare il miglior inserimento scolastico e sociale in relazione alle potenzialità e difficoltà di ciascun giovane".
La descrizione dell’accordo provinciale di programma è diviso in un indice molto dettagliato che comprende un chiarimento terminologico, i riferimenti legislativi, la situazione per i vari ordini e gradi scolastici, tratta del Profilo Dinamico Funzionale, del Piano Educativo Personalizzato e del personale per l’integrazione. Per finire il testo si occupa dell’assistenza alla persona, della valutazione differenziata, delle agevolazioni sul lavoro e del ruolo delle associazioni di volontariato.
Tutti i testi sono scaricabili più velocemente cliccando direttamente sulla parole "Scarica il testo in un file".
Il sito si ramifica in molte sottopagine dove è possibile entrare molto nel dettaglio; la mancanza però di alcuni accorgimenti per rendere più facile l’orientamento al visitatore, lo rendono un sito in cui ci si può perdere.

CDI – Rete Regionale dei Centri di Documentazione per l’Integrazione
http://www.accaparlante.it/cdri/index.htm
email: asshp1@iperbole.bologna.it

Documentare, informare e formare nel sociale, in special modo nel campo
dell’integrazione scolastica, è questa l’argomento principale di questo
sito che è l’espressione di ben 18 Centri di Documentazione sparpagliati
per tutta l’Emilia Romagna.
Per adesso sono solo 7 i centri che hanno cominciato a riversare il loro
materiale in rete il CIDEF di Rimini, i Centri Documentazione Handicap di
Modena, Cesena, Savignano sul Rubicone, Ravenna, Rimini e Bologna,
quest’ultimo è anche quello promotore dell’iniziativa.
Il materiale per adesso disponibile riguarda alcune indicazioni generali
sui 18 centri e una presentazione approfondita di quelli sopracitati.
Per quanto riguarda la scuola nel pagine del Centro Documentazione Handicap di Bologna si può trovare del materiale interessante sul Progetto Calamaio (educazione alladiversità all’interno delle scuole) e nell’archivio dellarivista HP. Altri centri come quello comunale di Bologna, hanno messo in rete parecchio materiale sull’esperienze e sui testi che la loro biblioteca possiede .
Il sito è rivolto ad un utenza piuttosto variegata, dal disabile
all’operatore sociale, all’insegnante, a tutti coloro che sono interessati
alla tematica dell’handicap e dell’integrazione. L’informazione viene data
con un linguaggio sobrio e sintetico, pur nella complessità di alcuni
argomenti, e con un occhio attento all’organizzazione grafica della pagina
molto curata.
L’utente può comunicare direttamente con tutti i centri dotati di E-mail
per richieste, chiarimenti…e in futuro verranno allestite pagine dove
sarà possibile una forma di interattività maggiore.

Progetto Scuola Handicap
Provveditorato agli studi di Venezia
http://www.provincia.venezia.it/psh
email::renax@tin.it (Renato Ceccon)

Sito molto ricco di informazioni, uno dei migliori; al suo interno si può trovare Leo-Link Bbs, una banca dati "organizzata per librerie dedicate alla documentazione e al software nelle quali si trovano materiali e programmi dimostrativi, shareware e di pubblico dominio". I servizi che offre possono essere pienamente ottenuti tramite un’iscrizione a Leo-Link che funziona (pur essendo su internet) come una vecchia Bbs, le banche dati collegate in rete antecedenti alla diffusione di internet. Da questa "tradizione telematica" mantiene il rapporto di collaborazione stretto che richiede agli iscritti, magari solo attraverso le segnalazioni dei difetti nei software distribuiti o di nuove risorse da poter acquisire. Sempre in questo solco garantisce un’alta interattività con gli utenti attraverso "Poster, la bacheca degli utenti", un’area dedicata alle iniziative, ai progetti e ai problemi, alle richieste di aiuto degli iscritti a Leo-Link. Un’altra interessante iniziativa è rappresentata da "H-NEWS, rassegna stampa in rete. H-News propone settimanalmente una selezione degli articoli inerenti alle problematiche dell’handicap apparsi sulla stampa quotidiana della provincia di Venezia e i pezzi maggiormente significativi di ambito regionale e nazionale. Gli articoli, in formato immagine .gif, sono archiviati nella libreria H-NEWS a disposizione degli utenti per il download" (poter memorizzare sul proprio computer i testi).
Si deve tenere presente che il materiale di Leo-Link è solo parzialmente dedicato al tema dell’integrazione scolastica. Altre risorse presenti nel sito invece dedicate interamente al tema puntano alle pagine del "Laboratorio Tiflotecnico Tiflopedagogico" (minorati della vista) e alla rivista "Il Bollettino Scuola Handicap".
Segnaliamo infine i "Laboratori Assistiti Produzione IperteSti (ipertesti fatti in classi dove sono presenti alunni disabili) ", dove sono organizzati anche dei corsi di formazione rivolti "ai docenti di sostegno e curriculari delle scuole elementari, medie e superiori della provincia che collaborano all’interno della loro classe per l’integrazione di alunni in situazione di handicap e che intendono avvalersi delle opportunità offerte dalla didattica multimediale per la realizzazione di materiali ipertestuali nell’attività didattica della classe". Gli ipertesti vengono però solamente presentati e non è possibile scaricarli dalla rete.

CDH Commissione Disabilità e Handicap-Università di Padova
http://www.unipd.it/cdh/
email: wwwcdh@ux1.unipd.it

Disabilità e università, è questo il binomio attorno cui ruota tutta l’informazione che è possibile reperire all’interno di questo sito che risulta così fortemente specializzato sull’argomento con un riguardo particolare alla situazione dell’università di Padova.
Il sito è espressione della Commissione Disabilità e Handicap della sopracitata università, creata nel 1994 con l’intento di programmare alcuni interventi a favore degli studenti disabili iscritti.
I temi trattati dal sito riguardano il diritto allo studio, la diffusione di una nuova cultura dell’handicap, l’accessibilità all’informazione su internet da parte dei disabili (fornendo numerose indicazioni, soprattutto all’estero, su dove trovare dei programmi di questo tipo o semplicemente riportando il resoconto dei dibattiti). Una particolarità di questo sito è l’impronta fortemente locale. Molte informazioni riguardano la situazione dell’università di Padova in termini di servizi e opportunità offerte, indirizzi utili, statistiche riguardo il numero degli studenti disabili frequentanti…Dalla fine del 1996 è stato formalizzato ed è attivo un coordinamento ufficiale tra le università venete (Padova, Verona, Ca’ Foscari e I.U.A.V.), per la programmazione di attività comuni per realizzare il diritto allo studio degli studenti disabili.
H2000 Associazione Universitaria Ragazzi più o meno Abili (URL: http://www.citinv.it/associazioni/H2000/index.html, e-mail: roberto.mancin@citinv.it, Roberto Mancin) è sito degli studenti universitari disabili di Padova, ma, purtroppo, non è più aggiornato da un bel po’ di tempo.

Gli insegnanti di sostegno vanno in rete

Asse portante del processo di integrazione, anche gli insegnanti di sostegno hanno imparato a servirsi della rete ma, nella maggior parte dei casi, il loro esserci si limita alla presentazione della propria associazione di appartenenza.
F.A.D.I.S. (Federazione Associazioni Docenti per l’Integrazione Scolastica)
http://www.freeweb.org/varie/fadis/
e-mail: bomarzo@tin.it (Nicola Quirico)
Un piccolo sito che si occupa di un aspetto importante del tema, quello degli insegnanti di sostegno, quelle persone che vivono quotidianamente la fatica dell’integrazione. Le Federazione nasce come reazione agli interventi legislativi previsti nelle ultime finanziarie, che hanno visto un restringimento delle risorse destinate all’integrazione scolastica (diminuzione del personale addetto al sostegno, ridimensionamento del rapporto tra insegnante specializzato e alunni…). Le risorse informative non sono vaste (e a volte rese meno fruibili dal fatto di essere importate sulla pagine web come immagine) ma sono un importante punto di vista.
L’A.P.I.S. (Associazione Provinciale Insegnanti di Sostegno)
http://www.comune.fe.it/apis
email: bomarzo@tin.it
Sito dell’associazione insegnanti di sostegno della provincia di Ferrara e aderente alla F.A.D.I.S. presenta una home page (pagine iniziale) con una serie di link (collegamenti) che portano ad una raccolta di documenti di natura diversa: una serie di articoli pubblicati da giornali riguardanti per lo più la situazione locale (Sulla stampa), materiale di aggiornamento sui propri corsi e sulle normative (Aggiornamenti e Adempimenti normativi), e un serie interessanti di collegamenti ad altre risorse presenti in rete; uno di questi porta all’A.P.E.I.S.H.A. (http://freeweb.aspide.it/freeweb/apeisha/), un’altra associazione di insegnanti di sostegno, ma questa volta della provincia di Trento; altri siti simili da segnalare sono l’I.S.P.F. (Insegnanti di sostegno della provincia di Frosinone) – http://members.xoom.it/handicap/ e L’A.I.D.I. (Associazione Italiana Docenti di Sostegno) – http://freeweb.aspide.it/freeweb/apeisha/page8.htm.

Alla ricerca dei testi di legge

Cercare un testo di legge su internet può dare parecchie soddisfazioni, perché a differenza di altre risorse, le fonti legislative sono ben riportate in rete e si può trovare pressoché tutto; il sito del Parlamento (www.parlamento.it) è molto completo, ma esistono luoghi, o meglio sezioni di siti che si sono specializzati nella raccolta di leggi riguardanti l’integrazione scolastica. Uno dei più completi è quello offerto da Handylex (curato dall’associazione nazionale Uildm); il sito è una raccolta completa di leggi sull’handicap in generale, ma una sua parte, rintracciabile all’indirizzo web http://www.handylex.org/indici/educ.shtml, è dedicato alla scuola.
Le fonti normative sono di vario tipo (leggi, decreti, sentenze, circolari, ordinanze) e sono suddivise per i seguenti argomenti: ordinamento scolastico, iscrizioni, valutazione e prove d’esame,
piano educativo individualizzato, diagnosi funzionale, profilo dinamico funzionale, insegnanti di sostegno e azione di sostegno, accordi di programma per il diritto allo studio, gruppi di lavoro interistituzionali provinciali (glip), formazione e tirocinio professionale.
Facciamo un esempio concreto di ricerca; ad esempio cliccando sul link che porta alle norme riguardanti "insegnanti di sostegno e azione di sostegno" troviamo ben 12 riferimenti di legge (anche di carattere locale) anche se l’ultimo riferimento legislativo risale al 1997. Andando in una categoria più generale possiamo però verificare che gli aggiornamenti sono più recenti e l’ultimo risale al gennaio 1999. Visto il mezzo (internet) ci si aspetterebbe un aggiornamento più frequente.
Andando a visitare il CDG (Centro Documentazione Giuridica) della UIC(Unione Ciechi Italiani) si può trovare al seguente indirizzo (http://www.uiciechi.it/cdg/ist/legisl/istidx.htm) una lunga raccolta di leggi tematiche che risale fino al 1923; ma anche qui l’ultimo aggiornamento risale (come dice il fondo pagina al 1998).

Le mailing list: una grande risorsa per l’integrazione

La rete telematica non si esaurisce nelle pagine web dei siti che abbiamo commentato nelle scorse puntate; oltre a questi, anzi più di questi, esiste un’altro strumento per comunicare in rete, la posta elettronica. Facile da usare, veloce quasi in tempo reale, l’email è uno strumento essenziale per chi voglia documentarsi e informare sul tema dell’integrazione scolastica. Le pagine web si sfogliano con il browser (Internet Explorer o Netscape per lo più), si leggono in modo affrettato perché quando lo fai stai pagando una connessione telefonica, raramente puoi replicare o dire la tua.
Con la posta elettronica le cose cambiano radicalmente. Quando scrivi un messaggio o lo leggi, lo fai rigorosamente off line (non connesso) e per inviarlo o per scaricare la posta che gli altri ti hanno spedito, la spesa si riduce a pochi scatti telefonici. E ancora, quando scrivi, scrivi per qualcuno da cui aspetti, probabilmente, una risposta, l’azione quindi è molto più coinvolgente che quella della navigazione su internet. La telematica non è solo quella pubblicizzata dai mass media e dalla pubblicità, ma offre altre opportunità per chi voglia documentarsi, informarsi o semplicemente chiacchierare sui temi dell’integrazione scolastica. E, accanto ai newsgroup (gruppi di discussione su web di cui parleremo in un’altra puntata), uno degli strumenti più pratici per farlo sono le mailing list. In Italia su internet esistono diverse liste dedicate all’handicap, di cui solo due specificamente dedicata al nostro tema (Dwhandicap e Lista Vista).

Che cosa sono le liste di discussione

Le mailing list sono dei gruppi di discussione che avvengono tramite la posta elettronica. Per poter partecipare occorre iscriversi mandando un messaggio ad un particolare indirizzo e scrivendo nel corpo del messaggio, nella maggior parte dei casi, la parola subscribe. Dal momento in cui uno si è iscritto riceve tutti i messaggi che gli altri iscritti mandano in lista e ogni suo messaggio (mandato ad un unico indirizzo, quello della lista) viene ricevuto da tutte le persone che in quel momento sono iscritte. Di solito a gestire automaticamente tutte queste operazioni è un particolare computer che può adottare programmi differenti (listserv, majordomo, listproc, smartlist…). Sempre grazie a questi computer è possibile eseguire altre operazioni, come la disinscrizione (unsubscribe) o la richiesta dell’elenco dei partecipanti (who is). Le operazioni che sono possibili dipendono da quali applicazioni usa il computer addetto e da altre scelte volute dall’operatore di sistema. L’informazione, nel caso delle liste, arriva direttamente alla persona, nella sua casella di posta elettronica e questo è un elemento da non sottovalutare, dato che l’utente non ricerca, ma riceve direttamente le notizie senza nessun sforzo (se non quello successivo di rispondere o partecipare al dibattito). Come per i giornali e gli altri mass media tradizionali, le mailing list sono lette da un numero di persone maggiore rispetto a quelle che intervengono direttamente nella discussione, anche se l’interattività, la possibilità cioè di partecipazione offerta dal mezzo telematico è proporzionalmente superiore. Le dimensioni di una mailing list sono molto variabili; si può passare dai 100 iscritti ai 10.000, con un traffico variabile di messaggi settimanali da 5 a più di cento. Una mailing list può essere moderata da una persona che provvede sia per gli aspetti tecnici (owner) che per quelli redazionali e si preoccupa del rispetto del tema e delle regole.

Tutte le informazioni utili

Di seguito riporto l’elenco delle principali maling list presenti su internet; per ciascuna vengono descritte le modalità di iscrizione, l’indirizzo e il nome del moderatore e il tema caratterizzante la discussione (anche se molto spesso succede che i messaggi riguardino la tematica dell’handicap in generale).

Mailing list Didaweb (dw-handicap)
L’iscrizione avviene scrivendo al seguente indirizzo: dw-handicap-subscribe@egroups.com
Moderatori: Riccardo Celletti, email: r.celletti@mclink.it
Nicola Quirico, email: bomarzo@tin.it
Specializzata sulla tematica didattica, disabilità, integrazione e insegnanti di sostegno.

Lista Vista
Moderatore Flavio Fogarolo, email:owner-listavista@ilary.keycomm.it
http://www.pqs.org/provvvi/erica/lista/lista.htm
Lista di discussione sull’uso degli strumenti informatici nella didattica dei minorati della vista.

Mailing list Handicap e Disagio
Iscrizione: digitare le parole subscribe nel subject e indirizzarlo a
pck-disagio-request@peacelink.it.
Moderatore: Nicola Rabbi, email: smiling.turtle@gmx.net

L’handicap in rete 2

Che materiale informativo è disponibile su internet a proposito di disabilità?
Al di là dei sensazionalismi e delle mode, si può con certezza affermare che in rete (quella telematica si intende)

si trovano certe risorse, soprattutto quelle riguardanti la legislazione e il software didattico, ne mancano altre come le esperienze dirette di genitori, disabili, operatori; mancano le banche dati riguardanti le pubblicazioni di settore, mancano infine le news, notizie fresche, aggiornate in tempo reale, come è possibile farlo con questo supporto elettronico.
Il grande assente è però un altro, è il cittadino italiano che, vuoi per una generale e scoraggiante mancanza di cultura tecnologica, vuoi per una mancanza di incentivi offerti dallo stato tesi a superare questa situazione, rimane lontano dalla telematica e dalle possibilità che essa offre.
A dire il vero da tre anni a questa parte, da quando cioè abbiamo iniziato a monitorare costantemente i siti web dedicati al sociale in lingua italiana, molte cose sono cambiate, molto associazioni hanno fatto il loro ingresso in rete, molti privati cittadini hanno cominciato ad usare la posta elettronica in un numero e con una frequenza che solo tre anni fa era impensabile. Ma la crescita rimane limitata se confrontata a quella degli altri paesi occidentali.

Il progetto Prometeo

Gli articoli che leggerete in questa inchiesta e gli elenchi di siti riportati sono il frutto di alcuni mesi di lavoro per un progetto europeo denominato Prometeo svolto in collaborazione con il comune di Bologna e l’ASPHI.
Navigando per ore in rete abbiamo cercato di rispondere ad alcune domande: che cosa si trova sul tema della disabilità in internet in lingua italiana? Quanti e quali sono i siti che se ne occupano, come lo fanno, con quale stile, con quale linguaggio? Queste sono le domande che ci siamo posti all’inizio del nostro lavoro. Siamo, quindi, partiti operando una ricognizione di tutti i siti dedicati al tema handicap che siamo riusciti a reperire tramite le indicazioni dei motori di ricerca di informazione presenti su internet, tramite la navigazione passando da un collegamento (link) all’altro, oppure raccogliendo il suggerimento di un amico o di una delle tante persone che abbiamo incontrato in rete. Terminato il “censimento” (circa 120 siti), è stata avviata la selezione di quei siti che si presentano più ricchi di informazione e di “intenzioni”; fra questi ne abbiamo scelto solo una trentina che abbiamo analizzato in profondità descrivendone il contenuto, lo stile e il linguaggio usato…

Un testo e un ipertesto

Tutto il materiale raccolto, che contiene anche interviste a disabili sull’utilità della telematica, una sezione riguardante il mondo delle Bbs (il sistema telematico antecedente internet), un capitolo di approfondimento bibliografico ed altro, sarà pubblicato in aprile in un libro dal titolo “L’handicap in rete” e che sarà possibile richiedere gratuitamente (spese postali escluse) al Centro Documentazione Handicap.
Visto che si parla di telematica abbiamo pensato anche di farne una versione ipertestuale che prevede numerosi collegamenti (link) all’interno e all’esterno del testo (questi ultimi visitabili solo se si è collegati alla rete naturalmente), nonché a rimandi (segnalibri) all’interno di ogni pagina che ne permettono una lettura a blocchi, dando così una maggiore libertà di scelta al lettore rispetto alla visione di un testo cartaceo che si presta più ad una visione sequenziale (una pagina dopo l’altra).
L’ipertesto è già in rete ed è rintracciabile all’indirizzo telematico http://www.comune.bologna.it/iperbole/asshp1
Abbiamo deciso di presentare in questo numero di HP soprattutto la parte riguardante gli strumenti interattivi della rete, che permettono cioè al navigatore/utente non solo di sfogliare pagine web in modo passivo, ma che richiedono e permettono una sua partecipazione attiva (è quel che succede sia per le mailing list che per i newsgroup).
Una partecipazione attiva da parte degli operatori sociali, gli insegnanti di sostegno, i disabili, le persone impegnate nel campo dell’associazionismo; a loro è rivolta questa inchiesta, che è anche un invito a conoscere ed usare il mezzo telematico al di là delle mode.

Una mailing list sul disagio

La telematica non è solo quella pubblicizzata dai mass media e dalla pubblicità, ma offre altre opportunità per chi voglia documentarsi, informarsi o semplicemente chiacchierare sui temi della disabilità. Uno degli strumenti più pratici per farlo sono le mailing list. In Italia su internet esistono quattro liste dedicate all’handicapLe mailing list sono dei gruppi di discussione che avvengono tramite la posta elettronica. Per poter partecipare occorre iscriversi mandando un messaggio ad un particolare indirizzo e scrivendo nel corpo del messaggio, nella maggior parte dei casi, la parola subscribe. Dal momento in cui uno si è iscritto riceve tutti i messaggi che gli altri iscritti mandano in lista e ogni suo messaggio (mandato ad un unico indirizzo, quello della lista) viene ricevuto da tutte le persone che in quel momento sono iscritte. Di solito a gestire automaticamente tutte queste operazioni è un particolare computer che può adottare programmi differenti (listserv, majordomo, listproc, smartlist…). Sempre grazie a questi computer è possibile eseguire altre operazioni, come la disinscrizione (unsubscribe) o la richiesta dell’elenco dei partecipanti (who is). Le operazioni che sono possibili dipendono da quali applicazioni usa il computer addetto e da altre scelte volute dall’operatore di sistema. L’informazione, nel caso delle liste, arriva direttamente alla persona, nella sua casella di posta elettronica e questo è un elemento da non sottovalutare, dato che l’utente non ricerca, ma riceve direttamente le notizie senza nessun sforzo (se non quello successivo di rispondere o partecipare al dibattito). Come per i giornali e gli altri mass media tradizionali, le mailing list sono lette da un numero di persone maggiore rispetto a quelle che intervengono direttamente nella discussione, anche se l’interattività, la possibilità cioè di partecipazione offerta dal mezzo telematico è proporzionalmente superiore. Le dimensioni di una mailing list sono molto variabili; si può passare dai 100 iscritti ai 10.000, con un traffico variabile di messaggi settimanali da 5 a più di cento. Una mailing list può essere moderata da una persona che provvede sia per gli aspetti tecnici (owner) che per quelli redazionali e si preoccupa del rispetto del tema e delle regole.

La netiquette e la scrittura

Con netiquette s’intende una serie di regole di comportamento, una sorta di galateo telematico che chiunque frequenti una mailing list, deve rispettare. Rimando per un approfondimento dell’argomento ad uno dei libri citati nella bibliografia finale (quasi tutti ne parlano); qui mi limiterò solo a spiegare le tre regole di comportamento più importanti ( almeno per la rete Peacelink). 1) Evitare gli “off topics” (abbreviato OT, ovvero “fuori tema”). Ogni mailing list nasce per discutere un determinato argomento, e, con una certa elasticità, tutte le sfumature di significati e temi collegati a questo. Spesso, soprattutto gli utenti nuovi, sono portati a postare i propri contributi in qualsiasi area di discussione indipendentemente dal tema oppure in più aree diverse contemporaneamente (in gergo “crossposting”). Questa è considerata una grave scorrettezza nei confronti degli altri. Dopo l’iscrizione, in genere si consiglia di seguire il dibattito tra i partecipanti prima di contribuire con le proprie idee, proprio per evitare queste situazioni. 2) Usare con parsimonia il quoting. Nei programmi che gestiscono la posta elettronica una particolare funzione chiamata reply permette di rispondere ad una persona riportando immediatamente tutto il messaggio da questa precedentemente scritto. In questi casi il messaggio riportato si distingue dal testo nuovo perché ogni inizio di riga è preceduto dal simbolo “>”. Questo se da un lato serve per ricordare di cosa si sta parlando, dall’altro, se usato senza scrupolo, fa aumentare a dismisura i messaggi che si sommano l’uno con l’altro. 3) La terza regola è specifica della realtà di Peacelink. Infatti il server che ne gestisce le mailing list attraverso internet, funziona anche da “gateway” (o porta di comunicazione) con rete “Peacelink” in tecnologia Fidonet (un modello di rete telematica amatoriale e di base, sorto nei primi anni ’80, connotato da un forte utilizzo politico ed impegnato, ed orientato alla diffusione popolare con bassi costi d’esercizio). Questo pone la limitazione, ad esempio, di dover convertire i caratteri accentati (es: ì, è, ò, ecc.) non ASCII standard in combinazioni ASCII (es: i`, e`, o`, ecc.) perché altrimenti non potendo essere interpretati dai computer legati ad una tecnologia datata, verrebbero sostituiti impropriamente creando seri problemi alla comprensione del testo da parte dei loro utenti. Quindi al posto dei caratteri è, é, ì, ò, à, ù, bisogna scrivere i caratteri e’, e’, i’, o’, a’, u’. Per lo stesso motivo non si posso mandare file allegati ai messaggi (“attachment”) che attraverso il gateway diventerebbero dati inutilizzabili. Un fatto bizzarro è che il livello di scrittura nelle mailing list e nella posta elettronica in generale, è più basso rispetto a quello su carta, sia per la correttezza ortografica che per lo stile; si tende a scrivere peggio, a essere più trascurati, forse perché si ha la sensazione – è solo un’ipotesi – che la scrittura in rete sia meno evidente, sia più “nascosta”, sia meno importante di quella riportata dalla stampa. Ne viene fuori una scrittura infarcita di “parlato”, di termini gergali (soprattutto tra gli addetti alla rete, il cosiddetto “telematichese”) che spesso porta a conseguenze che vanno al di là della correttezza grammaticale: data la poca dimistichezza dell’utilizzo dello strumento comunicativo telematico si tende a sottovalutare anche le proprie espressioni, a non considerare l’effetto che possono avere sul nostro interlocutore, così capita di passare per maleducati senza avere avuto nessuna intenzione di offendere. In rete si litiga (in gergo, “flame”) a volte per malintesi che nei rapporti diretti (in cui il linguaggio verbale si intreccia con quello non verbale, gestuale) o in quelli mediati da altri mezzi (telefono, lettera…), non capitano. Una volta che si avrà acquisito una maggiore padronanza del mezzo, questi problemi saranno superati.

Che cos’è e cosa tratta la mailing list sul disagio

300 messaggi in un anno, una media di 5-6 messaggi a settimana, 75 messaggi scritti dal moderatore (1/4 dei messaggi), circa 50 persone che contribuiscono al dibattito con un centinaio di persone iscritte dal lato internet e quasi altrettante dal lato Bbs. Sono questi i numeri della mailing list ospitata da Peacelink e di cui sono il moderatore dall’inizio del 1997. Fin dalle prime battute ho cercato di impostare un discorso di temi e di linguaggio abbastanza definito; esisteva già un’altra mailing list sull’handicap (Hmatica) caratterizzata da iscritti prevalentemente disabili che intervenivano soprattutto su argomenti relativi al software “speciale”, alle novità legislative e alle richieste di aiuto di persone in difficoltà. Volevo caratterizzare la lista diversamente per poter offrire qualcosa di complementare e che fornisse informazioni e opinioni diverse. Il Centro di Documentazione Handicap di Bologna (via Legnano 2, 40132, Bologna, telefono 051/641.50.05) dove lavoro, ha tra i suoi presupposti quello di fare un lavoro culturale (tramite la documentazione, l’informazione e la formazione) che coinvolge disabili e operatori sociali, utilizzando temi anche apparentemente lontani. Partendo da questo stile di lavoro ho scritto delle linee guida per la mailing list (in gergo si chiama policy -ogni mailing list ha una propria policy) in cui cercavo di definire il taglio della discussione. Quella che segue è la seconda versione modificata in base all’esperienza che mi sono fatto dopo un anno e mezzo di lavoro come moderatore. Ecco il testo.

La policy

“1) L’argomento centrale della conferenza è la disabilità con le conseguenti difficoltà che essa comporta. QUESTA PERO’ NON VUOLE ESSERE UNA CONFERENZA PER DISABILI, MA È DIRETTA A CHI È A CONTATTO CON IL TEMA DELLA DISABILITA’, PER MOTIVI PERSONALI O DI LAVORO. 2) Bisogna cercare di non porre delle barriere tra chi è disabile e chi non lo è, tra chi è svantaggiato e chi non lo è, tra l’operatore e l’utente, cercare di fare delle considerazione che coinvolgono ambo le parti. 3) È utile sentire la voce in questa lista anche di chi lavora (l’operatore sociale) o di chi fa il volontario in questi campi. Parlare del lavoro dell’educatore (nel senso più lato del termine). 4) Cercare di parlare di disagio in senso generale: anche se le situazioni dell’handicap rimangono centrali, i meccanismi di repressione, le fonti di ingiustizia, i pregiudizi e le stereotipie valgono per i disabili come per i minori, per gli immigrati, per i carcerati, per i nomadi…in questo modo si evita di fare delle categorie, di richiudersi ognuno nel proprio orticello coltivando la propria particolare diversità. 5) Parlare di temi generali che hanno una relazione con il disagio (le politiche sociali, la solidarietà, il volontariato, obiezione di coscienza…) per non limitarsi al caso, all’effetto, ma alle sue cause. 6) Privilegiare il rapporto di confronto e scontro con i mass media: come vengono rappresentati i disabili e chi vive in condizione di disagio dai mass media (giornali, TV…)? Sarebbe interessante fare una sistematica segnalazione di casi di cattiva e di buona informazione. Queste alcune linee; rimangono importanti le altre come, le segnalazioni di casi, di appelli, di novità legislative, di fatti di cronaca, di libri, convegni, di risorse informative utili sui mass media tradizionali e su quelli telematici. Il materiale interessante di questo tipo che arriverà al Centro di Documentazione Handicap cercherò (tempo permettendo) di riversarlo in mailing. Viceversa quando il dibattito lo permette vorrei riportarlo sulla rivista (HP) che editiamo, in modo che ci sia uno scambio.” L’ultimo paragrafo è stato scritto nell’intenzione di convogliare questa “massa informativa” dalla rete al mondo reale; volevo riportare alcuni interventi sulla rivista del Centro, HP, un bimestrale che è diretto ad un pubblico di persone che operano nel sociale (volontari, educatori, disabili, genitori, amministratori…). Questa operazione si è verificata solo in rari casi a testimonianza del fatto che il numero di persone presente in rete e la capacità informativa da essi convogliata, è ancora scarsa, soprattutto in Italia, e che ogni azione di alfabetizzazione informatica e telematica diretta al normale cittadino è un requisito per una maggiore incisività del mezzo.

Di cosa si scrive

Ma su cosa si discute, di che cosa si parla in questa lista dedicata al disagio e l’handicap? Da un lato abbiamo tutta una serie di informazioni e di richieste che riguardano strettamente chi è disabile e i loro famigliari, ecco allora le richieste d’aiuto per malattie, le richieste di volontariato, le informazioni sulla patente di guida e le omologazioni auto per disabili, le richieste di software e di informazioni tecniche per superare problemi di accessibilità dovuti a deficit visivi, uditivi o motori (e naturalmente, in alcuni casi, anche delle risposte puntuali a questi interrogativi). Dall’altro lato delle notizie incentrate sempre sul tema della disabilità, ma che spaziano in vari campi e arrivano a toccare un pubblico di lettori e “scrittori” ben maggiori, coinvolgendo gli educatori professionali, gli operatori sociali, il mondo del volontariato, le associazioni, le cooperative sociali… Così in lista passano notizie che segnalano convegni, seminari, corsi, la recensione di libri, problemi di certe categorie professionali del sociale, novità legislative, il tema della scuola e dell’integrazione scolastica (insegnanti di sostegno).

Cerco un o.d.c.

Per capire il linguaggio e i toni di questi discorsi faccio un esempio pratico di scambi di corrispondenza tra iscritti alla mailing list. La prima email è di S. che vorrebbe avere informazioni su come poter avere un obiettore di coscienza per essere aiutato nella sua quotidianità: “Ciao a tutti! Sono un disabile fisico con invalidità totale. Vorrei sapere, se è possibile, dove trovare informazioni per poter ottenere un obiettore di coscienza, senza che mi sia assegnato da un ente. Mi sarebbe inoltre utile, conoscere il modo in cui funziona “l’anno di volontariato”, dato che in alternativa all’obiettore andrebbe bene. Ho bisogno di queste informazioni, perché necessito di un’assistenza continuata che al momento è sempre più dura averla in famiglia. Grazie in anticipo e a presto. Bye!”.
Dopo poche ore arriva questa prima risposta: “Ciao S., ti riferisco quello che mi ha detto mio figlio, che ha svolto servizio di o.d.c.: 1) sarà molto difficile ottenere qualcosa direttamente, senza il tramite di un ente…; 2) se decidi di rivolgerti a un ente, e se non è quello al quale penso che sarai associato in qualità di disabile, se sei universitario c’è l’I.DI.S.U.- Istituto per il Diritto allo Studio Universitario che penso abbia sedi in ogni città sede di università; a Roma in… Oppure potresti rivolgerti alla Caritas della tua diocesi. 3) Come consiglio del tutto personale: se hai un amico che stia per fare l’o.d.c., potrebbe richiedere espressamente di esserti destinato, mi sembra che negli ultimi tempi gli uffici militari siano un po’ più ben disposti a soddisfare le preferenze che vengono loro segnalate”.
A distanza di pochi giorni arrivano altri due messaggi: “Ciao, sono un ingegnere e lavoro in un Istituto di ricerca (ICIE); in questo periodo stiamo lavorando ad un progetto di ricerca – FACILE – finanziato dalla Comunità Europea nell’ambito del programma… Il progetto prevede alla fine dei tre anni di ricerca (2000) la realizzazione di residenze “pre-dimissioni” collegate con le strutture ospedaliere dove l’utente anziano e disabile dimesso dall’ospedale, possa, prima di tornare nella propria abitazione, sperimentare una serie di servizi e ausili tecnici e telematici che consentano di migliorare l’autonomia domestica, quindi restando e vivendo il più a lungo possibile nella propria casa, adeguatamente attrezzata secondo le proprie esigenze… In bocca al lupo!”.
“Caro S., hai provato a rivolgerti all’assessorato ai Servizi sociali del tuo Comune, per chiedere l’assistenza domiciliare per avere più autonomia ed essere meno dipendente dai tuoi familiari? Dovrebbero assicurarti questo servizio secondo quanto stabilisce la legge 104/1992. Altrimenti potresti chiedere, sempre all’assessorato l’elenco delle associazioni di volontariato, presenti sul territorio del tuo Comune e verificare se sono disponibili. Ciao G”.
Questo è un tipico scambio di messaggi in una lista; quello soprariportato è un esempio però, felice, di una comunicazione che funziona. Capita anche che ad alcuni messaggi non venga risposto o che ci siano dei fraintendimenti, visto che il mezzo telematico non è semplice da assimilare e a volte ci si perde in questo groviglio di messaggi. Il più delle volte però la mancanza di risposte o la mancanza addirittura di messaggi per un certo periodo è da imputare alla scarsa diffusione del mezzo telematico e, andando a ricercare ancora più lontano la causa, ad un livello culturale nel campo dell’informatica, in Italia, veramente basso. Qui il compito di un moderatore diventa quello di un animatore che propone notizie e dibattiti; è quello che ho cercato di fare proponendo ad ogni uscita della rivista una serie di articoli e di temi ad essi correlati.
Viceversa in redazione abbiamo realizzato alcune inchieste sull’emarginazione proprio partendo da alcuni messaggi che ci avevano stimolato: “Ho letto il lungo intervento di G. riguardo i disagi a cui stanno andando incontro gli utenti e gli operatori dei centri diurni del comune di Milano. Mi ha stupito la somiglianza con quanto accade qui a Bologna. Dalla crisi dello stato sociale al taglio dei fondi per i servizi sociali il passo è breve. Bologna ha un’amministrazione di sinistra, ma certe cose si percepiscono anche qui. Quali cose? Centri diurni e servizi vari che vengono appaltati seguendo solo il requisito dell’ecomomicità a discapito della qualità, cooperative che applicano condizioni contrattuali ai propri dipendenti vergognose, alcuni dirigenti pubblici di servizi sociali calati unicamente in un ruolo di manager aziendale… Mi piacerebbe raccogliere delle altre cronache simili, in città diverse, qualcuno ha qualcosa da raccontare?”.
Oppure abbiamo (in questo caso cercato) di scrivere parte della rivista con il contributo dei partecipanti alla mailing list, proponendo un tema e chiedendo un commento o ulteriori approfondimenti: “Cari amici di seguito vi riporto un articolo pubblicato sulla rivista HP-Accaparlante; per il prossimo numero dedicheremo alcune riflessioni sull’argomento; c’è qualcuno in linea che ha da dire la sua? Se si rispondete al più presto…”
Non sempre si hanno delle risposte, non sempre si riesce a portare avanti lavori di carattere più complesso come quello sopracitato; non sempre è facile lavorare e collaborare tramite il mezzo telematico, ma non bisogna lasciarsi scoraggiare, più aumenteranno il numero di persone che parteciperà a queste liste, più ci sarà la possibilità di conoscere, di passarsi informazioni, di trovare le risposte (o i consigli) che si cercano.

Una vacanza a misura di…

Tour operator, associazioni, gruppi parrocchiali e gruppi informali di volontariato, ecco chi organizza le vacanze per disabili in Italia, un settore che stenta a decollare per motivi economici e culturali. Una serie di interviste ad operatori del settoreIn questi ultimi anni alcuni tour operator hanno aperto strutture interne dedicate al turismo per disabili; ma verificandone l’attività nel corso del tempo si nota come queste iniziative non durino mai molto e quando si domanda il perché di questa fragilità ai responsabili dell’organizzazione le risposte sono molto simili: “Il settore non rende, se un disabile vuole viaggiare e meglio che si organizzi da solo, telefonando alla proloco locale e all’ente del turismo del luogo dove vuole andare, là raccoglierà tutte le informazioni necessarie”.

Mondo Possibile

“Difficilmente un tour operator in Italia si specializza nell’offerta di servizi turistici ad una clientela disabile – dice Massimo Micotti, responsabile di Mondo Possibile – non c’è un mercato abbastanza appetibile”. Lui però lo sta facendo già da alcuni anni con Mondo Possibile, una sezione interna della Promotour di Torino (p.zza Pitagora, 011/309.63.63). I motivi per cui è difficile lavorare in questo settore sono vari.
Da un lato il disabile italiano, mediamente, non ha molti soldi da spendere per il turismo, ma deve far fronte a delle spese molto più immediate, come l’acquisto di ausili, di medicine, di servizi per il trasporto… e per far fronte a tutte queste esigenze la pensione di invalidità e l’indennità di accompagnamento non sono sufficienti.
Dall’altro, e in conseguenza anche di questo, i disabili e i loro famigliari tendono ad autorganizzarsi e a rivolgersi alle rispettive associazioni di sostegno per far fronte a questo genere di bisogni. Così i “distrofici” vanno via con le vacanze organizzate dalla UILDM, i disabili mentali con l’ANFFAS così via.
“ Di solito sono vacanze – afferma Massimo Micotti – organizzate in modo familiare che si appoggiano sull’opera volontaria, che scelgono la pensione a gestione famigliare piuttosto che l’hotel, che scelgono il pullman come mezzo di trasporto. E’ un turismo senza pretese che non utilizza strutture di qualità; tutto questo naturalmente per risparmiare, per non gravare con spese economiche poco sostenibili da parte del disabile e delle loro famiglie”.
E’ con l’estero invece che lavora molto Mondo Possibile, i disabili stranieri hanno in genere più soldi da spendere per questo e molte segnalazioni sono raccolte dal sito web del gruppo che viene visitato da molti stranieri ((www.tour-web.com/mondopossibile).
“Noi vogliamo offrire ai disabili – continua Micotti , spiegando la filosofia di fondo dell’iniziativa – le stesse opportunità di vacanza che offriamo ad un normodotato; lavoriamo come una normale agenzia di viaggi specializzata in questo settore. Forniamo tutti i servizi logistici possibili per venire incontro a delle esigenze particolari. Certo, se organizziamo una vacanza in Vietnam, poi i nostri clienti non si possono aspettare di trovare gli alberghi perfettamente a norma – in Vietnam non esistono alberghi a norma! – ma devono avere anche un certo spirito di adattamento, cosa che si richiede anche ad un normodotato in certe particolari situazioni”.

Fattori economici ed culturali

Non solo il fattore economico, ma anche quello culturale gioca in questa situazione; “Un disabile tedesco non è uguale ad uno italiano quando si tratta di andare in vacanza – sostiene Stefania Marson della Viaggeria (via Lemonia 161, Roma, 06/715.829.45) – quello tedesco è più intraprendente, si adatta più facilmente a situazioni spartane”.
La Viaggeria nasce dall’idea di un gruppo di quattro amici interessati al tema della disabilità; qualcuno di loro aveva anche una professionalità da spendere nel settore turistico e così è nata questa iniziativa che si è specializzata, all’inizio, nell’organizzazione di viaggi per gruppi di disabili sportivi che avevano la necessità di pianificare bene le lo trasferte. “Anche se rimane un nostro ambito privilegiato – dice Marson – ora organizziamo vacanze ‘normali’, al mare, montagna e, in collaborazione con agenzie straniere, anche verso le grandi città europee; quest’anno per la prima volta abbiamo anche pubblicato un opuscolo che mostra le nostre offerte [lo si può richiedere al numero soprariportato n.d.r.]. L’anno passato abbiamo fatto viaggiare circa un centinaio di persone disabili”.
E i prezzi? Quanto costa una vacanza per una persona che ha particolari esigenze nell’essere trasportato, nel dormire… Non è facile dare una risposta precisa, anche se è presumibile una maggiorazione nelle tariffe; dipende molto dove si va. Per Marson, “ Nei tragitti di medio raggio la differenza di prezzo non è diversa, varia se si vuole andare in posti esotici dove mancano le strutture per disabili”. In altre parole se in Perù l’unico albergo abbastanza accessibile è anche il più caro bisogna andare in quello visto che non c’è possibilità di scelta.

Ma per un disabile costa di più?

“La differenza di prezzo per i turisti disabili – sostiene Stefano Amati dell’AICS Turismo di Ferrara, via Cortebella 9, tel. 0532/20.9036 – si fa sentire anche nei mezzi di trasporto, la dove soprattutto mancano; mentre al nord Italia ceti servizi esistono già, al sud uno per averli deve rivolgersi ad un privato”.
Da questi nostri ragionamenti sui costi rimane fuori ogni calcolo sull’assistenza diretta del disabile; se un disabile ha bisogno di un assistente 24 ore su 24 è chiaro allora che il costo è destinato quasi a raddoppiare.
Stefanio Amati fa parte invece di un associazione nazionale (Associazione Italiana Cultura e Sport) che ha aperto un settore turistico. “Noi ci muoviamo su richiesta delle associazioni – dice Amati – oppure di singoli; ci rivolgiamo verso ogni tipo di disabiltà, ma soprattutto verso persone che hanno problemi di deambulazione; l’anno scorso abbiamo coinvolto circa 150 – 200 persone in viaggi diretti al mare, in montagna, verso alcune città europee”.
Non sono solo i tour operator professionali oppure le sezioni di associazioni operanti nel sociale ad organizzare questo tipo di vacanze; un disabile e i suoi famigliari possono contare anche su altre strutture che si basano sul volontariato, magari semplici gruppi parrocchiali o gruppi informali di amici, ogni anno, soprattutto nell’approssimarsi dell’estate sulle riviste che si rivolgono al mondo dell’associazionismo e del volontariato appaiono parecchi annunci di questo tipo.
Per chi invece, vuole fare qualcosa di completamente diverso da quello che fa nel corso dell’anno, può prendere in considerazione altre proposte, come quella della Tucano Viaggi Ricerca di Torino (via Bertolotti 2, tel. 011/561.70.61) che offre pacchetti di viaggio scontati per disabili e i loro eventuali accompagnatori verso mete lontane: la prima destinazione dell’iniziativa? La Tanzania.

L’informazione, il sociale e la telematica: cambiano le regole?

Internet e le nuove tecnologie danno la possibilità a chiunque di
informarsi, attingendo le notizie là dove prima arrivavano solo i
giornalisti o gli specialisti. Ora è possibile farsi delle opinioni al di là dei
mass media tradizionali: ma fino a che punto oggi questo può essere
vero? Il fatto di potersi collegare con siti che danno informazione da
ogni parte del mondo può essere uno strumento per conoscere cose
che normalmente non arrivano mai sulle pagine dei giornali o sugli
schermi televisivi e di cui non è possibile avere un’esperienza diretta; in questo modo possiamo conoscere dalle fonti dirette le informazioni che vengono dal sud del mondo, zone che tradizionalmente non vengono “raccontate” dai media.
Ma come non perdersi in questo oceano di informazioni, come fare delle
ricerche efficaci, come essere critici e consapevoli del mezzo
telematico?
Questo da un lato, dall’altro il discorso riguarda anche la possibilità di
informare direttamente la gente: quali opportunità nuove si aprono a chi
opera nel mondo dell’associazionismo per fare informazione sociale?
Quali sono i linguaggi, le forme da usare per fare una comunicazione
efficace? Quali sono e saranno i rapporti da instaurare con i mass
media tradizionali?
Gli articoli che seguono sono il resoconto del convegno omonimo svoltosi a Bologna e organizzato dal Centro Documentazione Handicap.

L’insegnante di sostegno tra autonomia scolastica e progetto di riforma

L’integrazione scolastica vede coinvolti vari soggetti, i disabili, le famiglie, la scuola, i compagni di classe e naturalmente anche gli insegnanti di sostegno che, in questo delicato meccanismo, hanno un ruolo di primo piano.
Di fronte alle novità che presenta quest’anno scolastico (l’autonomia scolastica) e a quelle che si presenteranno (progetto Berlinguer di riforma, la finanziaria ’99), abbiamo deciso di realizzare una serie di interviste che avessero come tema si l’integrazione, ma che si soffermassero proprio sul ruolo e le difficoltà degli insegnanti di sostegno.
Abbiamo sentito la voce di un rappresentante dei diretti interessati, poi quella di un esperto che da anni si occupa di integrazione scolastica e infine abbiamo intervistato un genitore presidente di un’associazione molto attiva. Da questo coro di voci, che rappresentano punti i vista diversi, abbiamo cercato di dare un quadro (fornendo anche dei dati) completo della situazione e dei suoi nodi problematici.

Un sostegno adeguato e formato

“L’autonomia scolastica, se male interpretata, può incoraggiare nuove forme di emarginazione…Il rapporto di 1 insegnante di sostegno ogni 138 alunni va rivisto anche in previsione dell’aumento dei ragazzi certificati nelle scuole…”. Intervista sull’integrazione e sul ruolo degli insegnanti di sostegno a Mario Tortello, del Comitato per l’integrazione scolastica di Torino e direttore della rivista Handicap e scuolaParliamo questa volta di integrazione dal punto di vista dell’insegnantedi sostegno: a quali difficoltà va incontro in quest’anno scolastico?

Alle difficoltà di sempre e a qualche problema in più. A meno che, nella prassi, cambi veramente qualcosa. O meglio: a meno che le esperienze positive realizzate in quasi trent’anni di integrazione scolastica vengano mutuate in modo capillare dalle istituzioni scolastiche che, per di più, si avviano all’autonomia organizzativa, didattica, … Mi spiego: è dalla fine degli anni ’70 che la normativa sottolinea la necessità di rifiutare un’impostazione che delega al solo docente per il sostegno l’integrazione scolastica degli alunni e delle alunne in situazione di handicap. Nel 1995, la premessa ai programmi vigenti dei corsi di specializzazione scrive con grande efficacia che l’integrazione è dovere deontologico di tutti gli insegnanti che la inverano, a partire da quelli curricolari. E’ la scuola, nel suo complesso, che si deve attrezzare per sostenere l’esperienza di integrazione; non un docente ad hoc, per di più all’interno d’un famigerato sgabuzzino di sostegno (sic!). Quest’anno, poi, ci possono essere alcune difficoltà in più: una riduzione effettiva del numero di insegnanti per il sostegno, dovuta anche all’aumento degli alunni certificati e presenti complessivamente nei vari ordini e gradi di scuola. Oppure, all’utilizzo, a tale scopo, di personale non preparato e in certi casi completamente a digiuno di nozioni relative alla situazione di allievi e allieve con bisogni educativi speciali. Ancora: possono essere state costituite classi alquanto numerose, pur in presenza di allievi handicappati inseriti. Le disposizioni definitive sulla formazione classi sono arrivate a Provveditorati agli Studi e alle scuole quando le operazioni burocratiche erano praticamente concluse, con gravi conseguenze in alcune situazioni che si traducono nel mancato rispetto dei diritti sanciti dalla legge-quadro sull’handicap e dalle altre norme vigenti.

Autonomia della scuola e docenti di sostegno: quali novità porterà neiriguardi di questa figura professionale?

L’autonomia scolastica può rappresentare una grande occasione per innalzare la qualità dell’integrazione degli alunni in situazione di handicap, sia per quanto concerne i rapporti fra scuole e la costituzione di vere e proprie reti di sostegno, sia per quanto attiene alle sinergie con altre istituzioni extrascolastiche, a partire dagli enti locali. Ma può essere anche un rischio: può incoraggiare nuove forme di emarginazione, più sottili e pericolose. Nella logica del risparmio, potrebbe riprendere fiato, ad esempio, la logica della concentrazione di personale e risorse in alcune scuole cosiddette particolarmente attrezzate. In questo caso, in nome d’un preteso efficientismo – la cui efficacia sull’educazione e sull’istruzione delle persone in situazione di handicap è ancora tutto da dimostrare – gli alunni con handicap verrebbero concentrati in alcuni plessi o in alcune classi, deresponsabilizzando tutte le altre scuole ordinarie. La logica dell’integrazione si muove invece sul terreno diametralmente opposto: sono il personale specializzato, le attrezzature, i sussidi che debbono raggiungere gli studenti là ove sono naturalmente inseriti, non gli allievi e le famiglie che debbono adeguarsi alle strutture esistenti.
“E veniamo così anche alle potenziali novità dell’autonomia scolastica rispetto al ruolo dei docenti per il sostegno.
“Nella prima ipotesi, quella di vera integrazione e di innalzamento della qualità degli interventi, tale insegnante può vedere molto arricchito il suo ruolo: egli rappresenta una risorsa importante non solo per il singolo alunno, ma per tutta la scuola e è chiamato ad attivarsi nella individuazione di tutte le altre risorse, umane, materiali e della storia a sostegno del lavoro di tutti i colleghi per la piena integrazione scolastica. Può aiutare il team docente nell’analisi della situazione di partenza dell’alunno con deficit e nella definizioni di interventi individualizzati, ma strettamente ancorati alla programmazione di classe; può attivare, anche in concorso con altri insegnanti, metodologie didattiche che fanno minor ricorso alla lezione frontale e sono più attente agli aspetti cooperativi; può incoraggiare la ricerca di risorse extrascolastiche, sia sul territorio che in rapporto alle competenze assegnate dal legislatore agli enti locali.
“Nella seconda ipotesi, quella di concentrazione degli alunni in alcune scuole o classi a secondo delle tipologie di deficit o della presunta gravità degli handicap, il docente per il sostegno vede, a mio avviso, ulteriormente mortificato il suo ruolo propositivo e fortemente amplificato il rischio della delega. Inoltre, poiché la concentrazione di alcune tipologie di alunni in poche scuole modifica il rapporto numerico naturale tra allievi in situazione di handicap e coetanei non handicappati, diventa più difficile ricorrere a una risorsa umana fondamentale per l’integrazione: i compagni di classe. Infine, negli anni, può scemare il livello di motivazione e di impegno degli stessi insegnanti, costretti a operare in un ambiente che può offrire minori stimolazione di quello della scuola comune e minori occasioni di interscambiabilità dei ruoli e dei compiti, anche come prevenzione del burn out.

La finanziaria del ’98 aveva diminuito il rapporto tra insegnanti disostegno e alunni; come si presenta la situazione quest’anno?

Più che diminuire il rapporto tra docenti per il sostegno e alunni handicappati, la Finanziaria per il ’98 ha modificato radicalmente i criteri di assegnazione del personale specializzato: non più in ragione di 1 ogni 4 alunni certificati, più le deroghe ritenute necessarie in caso di presenza di gravi deficit, ma nel rapporto di 1 ogni 138 alunni complessivamente presenti nei diversi ordini e gradi di scuola delle singole province. Il rapporto 1/138 si è subito rivelato insufficiente a coprire i fabbisogni documentati. Va detto che, inizialmente, il governo aveva previsto un rapporto ancora più sfavorevole: 1/150; poi, anche su sollecitazione dell’Osservatorio permanente sull’integrazione scolastica delle persone in situazione di handicap presso il ministero della Pubblica Istruzione, ha presentato l’emendamento recepito dalle Camere nel testo definitivo della manovra. Tuttavia, già nel volgere di pochi mesi, il rapporto 1/138 si è rivelato improprio e inadeguato. Nell’anno scolastico 1998-99, l’assegnazione dei docenti per il sostegno sulla base delle nuove norme si è rivelata alquanto macchinosa, anche per l’iter imposto dal legislatore alla definizione del decreto applicativo. Le disposizioni arrivate ai Provveditori hanno dato origine a molti dubbi interpretativi, con la conseguenza che in alcuni casi il fabbisogno di sostegno è stato coperto in maniera meno inadeguata solo a anno scolastico avanzato. La dimostrazione di tali disagi sta nel testo della Finanziaria ’99. Dopo un ampio dibattito parlamentare, il legislatore ha ulteriormente perfezionato le norme della manovra precedente, indicando in maniera esplicita la necessità di coprire comunque il fabbisogno nazionale di integrazione scolastica. Tuttavia, anche per l’anno scolastico 1999-2000, si ha la sensazione che esistano gravi carenze a questo proposito: Di fatto, le disposizioni ministeriali applicative sono arrivate agli Uffici scolastici provinciali e alle scuole fuori tempo massimo, quando molte operazioni burocratiche erano già state espletate. A una prima analisi, i bisogni dovrebbero essere maggiormente scoperti su due fronti: il numero di docenti per il sostegno, specie nella scuola superiore; la classi, nuovamente molto numerose. Com’è noto, quest’anno entrano in vigore le norme che innalzano l’obbligo di istruzione nella secondaria di secondo grado; ed è statisticamente significativo il numero di allievi in situazione di handicap che passa dalla media alla superiore, senza la possibilità immediata e chiara di coprire i conseguenti posti di sostegno in più. Un problema che va risolto con urgenza. Infine, pur avendo il Parlamento sancito che, di norma, le classi con alunni in situazione di handicap debbono essere costituite nuovamente con non più di venti alunni, pare che in sede di applicazione sia molto alto il numero di classi con 25 o più iscritti. E’ chiaro che in tale contesto di aggravano i rischi di delega al solo docente per il sostegno.

Quali sono le novità che si prefigurano nella prossima finanziaria?

A metà settembre ’99, le possibili innovazioni non sono ancora note. C’è da augurarsi che venga innanzitutto rivisto il rapporto 1/138. Com’è noto, a parte l’anno scolastico 1999-2000, storicamente, negli ultimi dieci anni, il numero complessivo di allievi continua a diminuire, mentre il numero di quelli certificati aumenta in modo significativo: nel 1998-99, gli alunni in situazione di handicap iscritti in tutti gli ordini e gradi di scuola erano oltre 117 mila (quasi 17 mila nella sola secondaria superiore). Se il rapporto per l’assegnazione dei docenti per il sostegno resta immutato, la forbice è destinata sempre più a allargarsi. Inoltre, vi è da ritenere che, nei prossimi anni, il numero di alunni handicappati sia destinato a crescere, per molti motivi: grazie ai progressi della medicina, diminuisce la mortalità neo natale, ma aumentano i casi di bambini che nascono con qualche malformazione; l’innalzamento dell’età media delle donne al primo parto, aumenta la possibilità di mettere al mondo figli con “diversità” genetiche; la presenza di famiglie immigrate registra anche l’aumento di minori con deficit, in tali nuclei, per diversi motivi. Ancora: gli allievi handicappati saranno complessivamente più numerosi per altre ragioni: l’aumento di iscrizioni nella scuola dell’infanzia; l’innalzamento dell’istruzione obbligatoria; l’accresciuta loro presenza nelle superiori, oggi ferma a percentuali molto basse rispetto agli altri ordini di scuola. E’ doveroso, quindi, ritoccare il rapporto 1/138, prevedendo, da un alto, un meccanismo di adeguamento automatico, senza rinviarlo all’approvazione di nuove leggi, d’altro lato stabilire una volta per tutti norme chiare e definitive per la formazione classi e l’assegnazione delle risorse per il sostegno, senza cambiare le carte in tavola di anno in anno, per di più fuori tempo massimo.

Progetto Berlinguer: che elementi di novità comporta per l’integrazione scolastica e in particolare per gli insegnanti di sostegno (in particolare quando si parla di “normalizzazione del sostegno” e di “riutilizzo intelligente degli insegnanti”)?

Nel febbraio ’99, il ministro della Pubblica Istruzione ha partecipato a tre audizioni presso la Commissione VII della Camera, riferendo fra l’altro sugli orientamenti generali per una nuova politica dell’integrazione. Rispetto al ruolo e ai compiti dei docenti, ha annunciato che intende ‘mettere a punto un profilo di insegnante nuovo, consono alla domanda attuale dell’insegnante specializzato per il sostegno’, con tre obiettivi. Primo: assicurare ‘un reale supporto alla classe nell’assunzione di strategie e tecniche pedagogiche, metodologiche e didattiche integrative’, per una progressiva riduzione della didattica frontale. Secondo: garantire ‘un lavoro di effettiva consulenza a favore della classe e dei colleghi curriculari, nell’adozione di metodologie individualizzanti e quindi dirette alla costruzione del piano educativo personalizzato’. Terzo: provvedere alla ‘conduzione diretta di interventi specializzati, centrati sulle caratteristiche e le risorse dell’allievo handicappato a partire dalla conoscenza di metodologie particolari, che non sono in possesso dell’insegnante curricolare’.
Sin qui, quello che prevede il ministro nel documento consegnato alla Camera. Mi pare che si tratti di una ulteriore puntualizzazione dei compiti già previsti dalle premesse ai programmi dei corsi biennali di specializzazione, in particolare di quelli del 1995, che dovrebbero essere meglio riletti e analizzati, per le molte sollecitazioni positive offerte alla ridefinizione dei docenti per il sostegno. Certo, va detto con chiarezza che – senza un intervento straordinario di formazione e aggiornamento sulle tematiche generali dell’integrazione scolastica destinato a tutti gli insegnanti, in primis a quelli di classe – non possiamo fare molti progressi. Si tratta di interventi indispensabili e urgenti, previsti da anni, ma di fatto mai proposti con la necessaria forza dall’amministrazione scolastica. Eppure, senza il coinvolgimento pieno di un intero team docente o di un intero consiglio di classe, senza supporti adeguati alla progettazione quotidiana degli interventi, senza la presenza di Centri di documentazione e risorse idonei a sostenere il loro impegno, l’esperienza di integrazione scolastica rischia di segnare il passo, se non addirittura di tornare indietro.

La formazione di un docente di sostegno è stato quanto di più caotico e contorto si sia potuto immaginare. In futuro, chi vorrà fare questa professione che studi dovrà intraprendere? Recentemente, i quotidiani (4 settembre 1999) hanno parlato della riapertura dei corsi di formazione per insegnanti di sostegno, corsi che fruttano alle associazioni che li gestiscono, miliardi e che i frequentanti pagano a caro prezzo: di cosa si tratta?

Nel nuovo quadro normativo, la formazione di base di tutti gli insegnanti e la loro specializzazione deve avvenire a livello universitario. Vale per i futuri maestri (si vedano i corsi di laurea in Scienze della formazione primaria, avviati nell’anno accademico 1998-99); vale per i neo-laureati in qualunque disciplina che aspirano a insegnare (le scuole di specializzazione partono quest’anno in molti atenei italiani, pur fra alcune incertezze e tanta disinformazione); vale anche per la specializzazione sulle disabilità.
La scuola, non solo italiana, è sempre più la scuola delle diversità. Perciò, vi sono alcune conoscenze e competenze che debbono diventare patrimonio di tutti i docenti, anche di quelli che non si specializzeranno per il sostegno. Ad esempio, l’Università di Torino ha indicato come esame obbligatorio per tutti gli studenti la Pedagogia speciale.
Per quanto concerne invece i percorsi di specializzazione a sostegno dell’integrazione scolastica, vanno registrate gravi preoccupazioni. In molti casi, i curricoli di studio previsti dagli atenei indicano per lo più discipline medico-cliniche e psicologiche. Ma in questi casi la specializzazione sarebbe carente sul fronte pedagogico e didattico. Forse, sarebbe utile una nota congiunta agli atenei da parte dei ministri dell’Istruzione e dell’Università, per sottolineare tali esigenze.
Per quanto riguarda i corsi di specializzazione appaltati dalle Università agli enti privati, onestamente, non mi pare un gran passo in avanti. E’ l’Università che deve assumere in prima persona la responsabilità di formare. Utilizzando il meglio delle competenze interne alle diverse Facoltà, ma senza la presunzione del sapere. Ci sono fior di esperienze sul territorio e formatori di grande qualità che non sono degli accademici. Se l’autonomia degli atenei non serve per valorizzare risorse come queste all’interno dei corsi universitari, perché spendere tante energie per realizzarla?.

Si riparla anche di fondi per le scuole speciali; ma non ne esistevanopiù in Italia? Che insegnanti andranno ad insegnare in quelle scuole?

C’è un disegno di legge approvato al Senato a metà settembre che prevede lo stanziamento di 60 miliardi in tre anni per concentrare in alcune scuole gli alunni sordi e ciechi, anziché garantire il personale specializzato e gli ausili in tutte le scuole comuni ove tali allievi sono naturalmente inseriti. Molte associazioni hanno illustrato a governo e Parlamento le gravi conseguenze di tali ipotesi normative. Al momento, il Senato si è mostrato sordo e cieco a ogni richiesta, ragionevole, che non venisse dalle lobbies delle associazioni storiche. E’ un segnale grave e preoccupante, un campanello d’allarme. Non mi stupirebbe se, tra qualche tempo, un ministro dichiarasse a qualche giornale che non tutti gli alunni handicappati possono e debbono frequentare la scuola. Avrebbe certamente un gran seguito popolare. Ma a patirne, come sempre, sarebbero i più deboli.

Se l’informazione passa sul web

Su internet, strumento per apprendere e conoscere sempre più usato anche in Italia (nonostante la bassa cultura tecnologica media), oramai si sono affacciate parecchie associazioni che si occupano di handicap acquisito, in particolare le organizzazioni di para e tetraplegici. In questo articolo cercheremo di capire che tipo di informazione viene fatta su questo tema, lo stile usato e la padronanza nell’uso del mezzo telematico (e quindi, indirettamente, il grado di assimilazione delle nuove tecnologie).
Internet si sta configurando sempre più come un mass media, anzi come il più grande fra tutti, (dato che potrebbe inglobare in sé televisione, radio e carta stampata) quindi diventa importante conoscere che tipo di immagine e luoghi comuni veicola quando tratta di handicap acquisito; come per la televisione, che, lo vogliamo o no, ci condiziona, in piccola o in grande parte, nella formazione delle nostre idee, così internet si appresta a diventare il “nuovo persuasore occulto”.
Anche lo spazio che riserviamo al modo in cui viene usata la telematica da parte delle associazioni di paralegici rientra nel nostro discorso proprio perché dal grado di consapevolezza di cosa offrano le nuove tecnologie dell’informazione possiamo renderci conto se internet diventerà il nuovo persuasore oppure no; la cosa non è di poca importanza e riguarda tutti i cittadini, disabili e non.

Fai girare il tuo motore di ricerca

E’ ormai risaputo che non esiste un indice completo di internet, un posto dove vedere che cosa contengono le milioni di pagine web pubblicate nel mondo; in mancanza di questo ci si affida a diversi mezzi di ricerca. I più famosi sono senz’altro i motori di ricerca (search engines). Veramente ve ne sono di diversi tipi e con funzioni differenti, ma prendendone uno a caso e facendo una serie di ricerche incrociate usando delle parole chiave come , “handicap acquisito”, “paraplegia”, “mielolesi”…, le risposte al nostro bisogno di informazione non sono poi così vaste. Le segnalazioni sono di alcune decine di siti, ma, visitandoli, il loro numero decresce notevolmente.
Intendiamoci, di siti sull’handicap in lingua italiana, ne esistono anche duecento, ma di siti specifici sull’handicap acquisito non ve ne sono poi molti. Cominciamo ad analizzare i più significativi.

Il tema preferito? L’informazione medico-scientifica

IL sito dell’APL (Associazione Paraplegici della Lombardia e delle altre regioni italiane) si presenta con una grafica sobria, vi sono qua e là dei banner (striscioni pubblicitari) e i collegamenti (link) riportano ad una serie di informazioni, quali la storia dell’APL , l’attività della decennale rivista “Ruota libera” di cui vengono però riportati solo 5-6 articoli, il progetto Omnihotel, un ipertesto sull’accessibilità degli hotel italiani, dove però ne troviamo segnalati pochissimi.
Informazioni più sostanziose le troviamo ad altri link. Nella pagina riguardante gli aspetti medici del problema e in quelle che si riferiscono al tema dell’autonomia personale. Infine vi sono pagine dedicate al tema della mobilità e ai corsi organizzati dall’APL (vela, shiatzu, dinamica mentale).
Le sezioni più consistenti del sito non sono suddivise in varie pagine web collegate tra loro, ma sono semplicemente una serie di lunghi articoli che si snodano come un papiro e che il lettore rintraccia facendo scorrere all’ingiù la freccetta del suo mouse per parecchio tempo.
In rete esiste anche un webring sul tema paraplegia; che cos’è un webring? Non è nient’altro che un serie di siti collegati tra loro per il fatto che si occupano del medesimo argomento (esistono centinaia di webring diversi). Il collegamento avviene tramite una barra di comandi posti di lato alla pagina principale di ogni sito (di solito in basso). Il comandi portano a passare in rassegna tutti i siti aderenti all’anello web (in modo casuale o consecutivo, oppure a balzi).
Nel nostro caso la maggior parte dei siti collegati tra loro sono in lingua inglese (per lo più statunitensi). Di “nazionalità italiana” incontriamo qui il sito dell’AIM (Associazione Italiana Mielolesi), dove non troviamo molta informazione, tranne qualche accenno ad argomenti di carattere medico e di prima informazione.
Collegato a questi sito troviamo quello della Rete Italiana del Midollo Spinale (i siti sono ambedue curati dalla medesima persona, F. Meriani). Qui abbiamo parecchie informazioni di carattere medico e scientifico e una raccolta di risorse relative alla paraplegia presenti sulla rete (molte in lingua inglese). Il tutto è impaginato in una sola pagina molto lunga e le varie informazioni non sono organizzate graficamente in modo da rendere più semplice la lettura (ad esempio tutti i titoli in neretto, i sottotitoli in corsivo e così via). Piuttosto particolare è la presenza di tutta una serie di strumenti che la tecnologia telematica offre; chi vuole può iscriversi o partecipare a mailing list, webchat e a forum (newsgroup). Non starò a spiegare dettagliatamente la differenza fra questi strumenti di comunicazione, dirò semplicemente che servono alla partecipazione diretta del lettore che in questi luoghi può dire la sua semplicemente scrivendo negli appositi spazi (o tramite posta elettronica) e senza dover conoscere programmi di comunicazione più complessi. Visitando la chat e il forum non abbiamo rintracciato nessun messaggio (erano vuote).
Simile nel livello grafico e nel tipo di informazioni (medico-scientifiche) ma più incentrato sulle proprie attività, è il sito dell’Istituto Santa Lucia, ospedale specializzato nella riabilitazione psicomotoria.
Per finire il genere ricordiamo anche il sito della FAIP (Federazione Associazioni Italiane Para-tetraplegici). Qui accanto ad un uso più sofisticato dell’impaginazione (vengono usati i frame, sorta di bordi che rimangono fissi anche se la pagina web scorre e cambia) abbiamo un’informazione legata all’associazione e un dettagliato indirizzario di tutte le unità spinali e i centri riabilitativi italiani.

… e poi le associazioni sportive

Esistono poi i siti curati dalle associazioni di persone paraplegiche che riguardano lo sport; ve ne sono diverse. Cominciamo da H81 (Associazione sportiva e culturale per persone disabili), graficamente molto curata, con frame e immagini in movimento; da un‘informazione soprattutto riguardante le discipline sportive che segue (basket, tennis da tavolo, pallamano). Sul sito si può leggere anche un manuale di tutela giuridica contro le barriere architettoniche.
Un esempio di pura presentazione dell’associazione viene offerto dal sito della POLHA (Associazione Polisportiva per Disabili) di Varese; al di là di questa informazione e di poche altre segnalazioni un lettore web non può leggere altro.
Più consistente, dal punto di vista informativo, si presenta il sito di SportABILI, che secondo le stesse parole degli autori “avrà due funzioni principali: come mezzo di comunicazione e di informazione sulle attività dell’associazione, e come luogo di contatto per tutte quelle persone che vorranno scambiare le loro esperienze di viaggio e di turismo in Italia e all’estero”. In che modo? Sfruttando l’immediatezza del mezzo telematico, verranno raccolte le esperienze e i suggerimenti di persone disabili che hanno intrapreso dei viaggi. Oltre a questo progetto (SportABILI Network) è possibile leggere i testi integrali del recente convegno su handicap e sport che si è svolto a Trento.

Che interattività con il lettore?

Uno dei modi per capire la qualità di informazione che viene offerta sul web è quello di verificare in che modo il lettore può partecipare al dibattito o dire la sua su un dato argomento, ovvero del grado di interattività. Il mezzo telematico è un medium che permette un tipo di informazione non più da uno a molti (come è il caso del giornale o della televisione), ma da molti a molti, ovvero l’informazione non viene calata una volta per tutte dall’alto, ma viene fatta da più parti, tramite la collaborazione, la cooperazione e il confronto delle opinioni.
Nel nostro piccolo campione preso in esame il problema, per la maggior parte dei siti, non si pone neppure, dato che internet non viene compresa come momento di “scambio”. Per alcuni invece questa consapevolezza c’è, ma il grado di partecipazione dei lettori sembrerebbe scarso (e allora si riduce solo alla sua possibilità tecnologica).

Lo stile del web

Scrivere sul web non è come scrivere un libro, valgono regole diverse. Il materiale deve essere organizzato non su un unico lungo foglio ma suddiviso in tante parti collegate tra di loro nel modo più opportuno (per associazione di temi, per opposti o anche come semplice continuazione del discorso). Dato che il mezzo telematico permette anche una (ridotta) multimedialità si può creare un testo web non di solo testo, ma anche corredato da foto, disegni, audio, animazioni per non parlare di tutti gli accorgimento grafici che si possono realizzare. Bisogna dotare anche il proprio sito di una sorta di attrezzatura per muoversi al suo interno senza perdersi e sapere sempre dove ci si trova e a che livello ( stiamo parlando dei comandi che riportano alla pagina principale e a quelle di riferimento, della mappa generale del sito – sotto forma di disegno, ad esempio, della sua struttura).
Questo tipo di consapevolezza non è presente nei siti esaminati, manca in generale una padronanza del linguaggio specifico (del web).
Questo tipo di mancanze, unito al discorso sull’interattività, non sono tipiche dei siti che abbiamo esaminato, ma sono mancanze che si riscontrano in generale nei siti web dedicati al sociale. Sottolineando questi difetti non si pretende che il sito di un’associazione che si occupa di paraplegia sia organizzata come il sito del quotidiano “La Repubblica” e dia una quantità di informazione corrispondente, ma che molto concretamente e semplicemente non si limiti ad essere una vetrina di presentazione di un’associazione ma faccia partecipare il suo lettore e lo che introduca ad internet fornendogli anche degli strumenti di orientamento (come ad esempio i collegamenti che alcuni siti suggeriscono).

Il confronto con la stampa di settore

Ma in conclusione che differenze vi sono con la stampa specializzata di settore?
Da un punto di vista quantitativo non abbiamo trovato molte informazioni, dal punto di vista tematico dobbiamo invece sottolineare una certa somiglianza. Se noi sfogliamo le riviste di settore notiamo come la gran parte degli argomenti trattati riguardino proprio l’informazione medico-scientifica, lo sport, le barriere e i trasporti e le storie personali (anche queste ultime presenti in rete ma non nei siti esaminati).
In questo caso ma anche in generale, la rete non fa altro che rispecchiare ciò che esiste nel mondo reale; non è vero, tanto per fare un esempio che su internet c’è maggior pornografia o pedofilia che nel mondo reale, la rete si limita, come ogni bravo specchio, a riflettere ciò che c’è già.
Così se ci allontaniamo ancora dal nostro oggetto – i siti delle associazioni – e ci rivolgiamo all’informazione prodotta on line dai mass media, il discorso non cambia; gli stessi difetti e vizi della stampa e della TV nei confronti dei disabili vengono riproposti.
Ma allora il nuovo dove sta, dove si nasconde? Il nuovo lo si può forse trovare non tanto sul web ma in tutti quei luoghi dove “il popolo della rete” si incontra; i messaggi di posta elettronica privati o collettivi (mailing list), nei gruppi di discussione Usenet (che a dire il vero oramai vengono “vissuti” anche sul web), nelle chat cioé nelle “chiacchiere” che avvengono in tempo reale tra le persone on line(tramite dei programmi specifici, o, ancora una volta, su web).
Leggendo i messaggi pubblici si possono trovare storie, confessioni, richieste di informazione, di aiuto, insulti, liti che avvengono tra persone paraplegiche, o tra queste e persone normali. E’ in questi luoghi che ci si confronta, parlando di cose che, prima dell’avvento della telematica alla portata di tutti, non era possibile comunicare. E’ in questo luoghi che nascono nuovi modi rapportarsi e di vivere, che si producono potenzialità inedite per i disabili, per i loro famigliari e amici. Queste potenzialità però sono segnate da una certa ambiguità; non è detto infatti che saranno solo uno strumento di liberazione del disabile, potrebbero anzi portarlo ad una ulteriore emarginazione