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3. “Un Buono per Amico”: investire sull’autonomia

Simonetta Pellegrini è dal giugno 2009 Assessore al Welfare della Provincia di Siena, che da diversi anni gestisce un sistema di buoni per “servizi leggeri” rivolti a persone con disabilità.

Dal riscontro di quali bisogni è nata l’idea del servizio “Un Buono per Amico”? Vi siete ispirati a servizi già esistenti in singoli Comuni della Provincia di Siena o altrove?

L’idea è nata nei primi anni 2000, quando io non ero ancora Assessore, da un ragionamento con le associazioni di volontariato, e in particolare con la Consulta Provinciale dell’Handicap, su come aiutare le persone e le famiglie in difficoltà. Fu studiato il progetto dell’“Assistenza in più”, che prevede varie linee, tra cui quella di “Un Buono per Amico”, che coinvolge le associazioni dell’handicap e si rivolge alle persone con disabilità. Fu diffuso un questionario tra le famiglie, per capire quali forme di aiuto si potessero sperimentare e quali fossero i loro interessi e bisogni, e in questo modo nel 2004 iniziò il progetto. Si può dire che, in forma non organizzata e non coordinata, c’erano già varie iniziative delle associazioni di volontariato che svolgevano servizi di questo tipo, ma erano iniziative episodiche e sporadiche, da cui comunque prendemmo spunto per coordinarle e sostenerle in un progetto attraverso questo lavoro con associazioni e famiglie.

Come funziona oggi il servizio, e quante persone con disabilità ne usufruiscono?

“Un Buono per Amico” si dispiega su tutto il territorio provinciale, e coinvolge circa 300 persone per ogni annualità del progetto, che dura da giugno a giugno e si rinnova di anno in anno. Di queste 300 persone, alcune si rinnovano al sorgere di nuove necessità, mentre altre non ne hanno più bisogno perché non sono più fra noi. Inizialmente il numero di utenti era più basso, poi si è consolidato via via intorno a questa cifra.

Le famiglie che hanno una persona con handicap o con disabilità grave e che richiedono questo tipo di servizio vengono coinvolte attraverso le associazioni di volontariato, che sono quindi il tramite con gli utenti, e con cui facciamo una convenzione consegnando loro questi voucher che servono per erogare servizi di accompagnamento, trasporto, compagnia e attività culturali e ricreative alle famiglie. C’è da precisare che il progetto nasce non per sostituire servizi dovuti in quanto rientranti nell’assistenza socio-sanitaria che la ASL o i Comuni sono tenuti a compiere, ma piuttosto per proporre attività normalmente non previste.

Quali sono le richieste più frequenti delle famiglie?

In particolare negli ultimi anni, abbiamo avuto una grande incidenza di domande di ragazzi e ragazze, giovani in stato di disabilità che richiedono il servizio per frequentare corsi di musica, di attività fisico-motorie non rientranti nella loro terapia ma comunque molto utili, come andare in piscina, o in qualche caso per andare al cinema. In altri casi, specie per disabili più anziani, si tratta di accompagnamenti per andare a fare visita a parenti o per fare la spesa, senza essere confinati sempre in casa.

Oltre al ruolo di coinvolgimento delle famiglie, come agisce nella definizione del servizio il mondo dell’associazionismo? Ci sono stati correttivi da esso proposti e accettati dalle istituzioni, oppure difficoltà legate alla sua diversa forza nelle differenti zone del territorio?

Da questo punto di vista abbiamo una buona distribuzione delle associazioni nelle 4 Zone del territorio della Provincia di Siena, che pure è abbastanza vasto, per cui esse riescono a coprire tutte le esigenze. C’è da tenere presente che accanto ad associazioni a carattere più locale, presenti solo in una Zona, ci sono associazioni a carattere provinciale, come la Pubblica Assistenza e la Misericordia, che hanno sedi in tutta la Provincia e riescono quindi a cogliere le problematiche di tutte le famiglie.

Un problema che abbiamo sempre più è invece quello delle richieste per servizi di carattere strutturale, come un accompagnamento costante al lavoro – servizi molto più strutturati e frequenti di quelli descritti prima, e che non sempre riusciamo a coprire. Prima gli Enti Locali avevano una maggiore disponibilità di risorse, e quindi questi accompagnamenti venivano erogati dai servizi sociali dei Comuni, mentre oggi siamo di fronte a un periodo di tagli, e anche le nostre risorse provinciali sono sempre più limitate, per cui si generano queste problematiche.

Avete riscontrato se l’introduzione di questo servizio “di prossimità” abbia comportato, con i suoi effetti di supporto all’autonomia e alla domiciliarità, una riduzione delle necessità di servizi residenziali o semi-residenziali, a più alta intensità assistenziale, per le persone con disabilità?

Sì, abbiamo riscontrato che, nel caso dei minori, la famiglia che fruisce di questo servizio per le attività culturali e ricreative, e ha altre opportunità come tirocini di inserimento lavorativo, può non porsi il problema di garantire per i ragazzi con handicap, anche molto gravi, una vita di relazione adeguata alle loro necessità, e quindi non nasce l’esigenza di una struttura di ricovero; abbiamo verificato appunto una diminuzione di questo tipo di richieste dall’attivazione del servizio.

Per quanto riguarda i disabili più anziani, come dicevo, “Un Buono per Amico” è solo una delle linee di intervento del progetto “Un’Assistenza in più”, e anche queste contribuiscono molto a evitare la richiesta di ricovero in RSA, attraverso ad esempio contributi per le famiglie che assumono una badante, sostenendo quindi la permanenza dell’anziano nella propria casa.

Di fronte ai tagli già subiti e a quelli che si prospettano, pensate di mantenere in essere il servizio – anche se, nella vostra stessa descrizione, esso si configura come aggiuntivo e non sostitutivo di quelli socio-sanitari “irrinunciabili” che potrebbero avere bisogno delle stesse risorse?

Noi pensiamo di mantenere il servizio per i motivi prima detti, perché se rinunciamo a tipologie di servizi come “Un Buono per Amico” corriamo il rischio che aumentino le richieste per servizi socio-assistenziali più strutturali. Mantenere una vita di relazione per l’anziano o il disabile, e in particolare dare la possibilità ai più giovani di esperienze ricreative e culturali, serve a mantenere l’autonomia – nel caso dei ragazzi direi di consolidarla, in base alle esperienze molto positive di ragazzi disabili che con questo tipo di attività si inseriscono bene nella vita sociale; nel caso degli anziani, ovviamente, si tratta di ridurre la perdita dell’autonomia. Siamo convinti che se alleggerissimo questa tipologia di interventi avremmo, dall’altro lato, un aumento delle richieste per RSA, residenze per i disabili o Centri Diurni, che pure sono necessari, ma su cui in questo momento i tagli impongono una riduzione.

Nell’ambito più generale della protezione sociale, quali sono le strategie che la Provincia di Siena ha adottato e adotterà per fare fronte alla riduzione di risorse? Vedete possibili riforme a costo zero che potrebbero migliorare l’erogazione dei servizi?

Come Provincia, cerchiamo soprattutto di avere un ruolo di coordinamento delle varie iniziative in atto, e già da un anno e mezzo circa abbiamo strutturato meglio questo coordinamento attraverso un Tavolo delle politiche sociali, di cui fanno parte le Società della Salute, che sono un’articolazione sanitaria particolare della Toscana composta da Comuni e ASL per ognuna delle 4 Zone della Provincia, le associazioni di volontariato e dell’handicap e le organizzazioni sindacali. Con questo Tavolo, noi cerchiamo di verificare come è possibile coordinare le diverse iniziative e i diversi progetti, e a costo zero riusciamo a fare servizi migliori per le persone, il che significa che le persone stanno meglio e si risparmia.

Le faccio un esempio: se una famiglia ha un ragazzo disabile a scuola, la sera riceve un contributo dal Comune per fare una determinata attività e dalla Provincia fruisce del servizio “Un Buono per Amico”, sono tutte attività sicuramente utili, ma scollegate le une dalle altre, quindi per quella persona non c’è un progetto univoco e, a volte, si può avere un accrescimento di costi. Se invece riusciamo a coordinarle, avremo una migliore erogazione dei servizi nei confronti della persona, che avrà un progetto, e nello stesso tempo risparmieremo sui costi.

Questo è il lavoro che come Provincia ci siamo assunti di fare; naturalmente, i progressi non li vediamo in poco tempo, però siamo soddisfatti, e così pure le associazioni di volontariato dell’handicap, che sono molto coinvolte in questa attività.

Oggi si discute l’abolizione delle Province, ma in generale i numerosi livelli istituzionali di coordinamento dei servizi sociali (Regioni, Province, ASL, Comuni…) non rischiano, con il loro costo di funzionamento e coordinamento, di sottrarre risorse sempre più rare ai livelli operativi che erogano materialmente i servizi agli utenti? E quanto, secondo lei, questi servizi operativi dovrebbero rimanere in mano pubblica, e quanto invece il pubblico dovrebbe assumere un ruolo di coordinamento senza gestione diretta?

Partendo dall’ultimo aspetto, il rapporto pubblico/privato, ritengo sia bene che le istituzioni pubbliche abbiano la funzione di programmare gli interventi e di concertarli – il che vuol dire sentire veramente quali sono i bisogni che vengono dal territorio, attraverso le associazioni dei cittadini e le organizzazioni sindacali. Poi, definite le tipologie di intervento, credo che occorra anche fare insieme i progetti, perché il pubblico ha sicuramente la necessità di gestire tutta la parte di impostazione burocratica e rendicontazione su un progetto, ma l’input su di esso viene molto spesso da altri soggetti, con cui è necessario fare un lavoro di co-progettazione: penso soprattutto al privato non profit e al mondo delle associazioni del Terzo Settore, che in questa Provincia sono tra l’altro molto sviluppati.

Per quanto riguarda la questione più spinosa dell’utilità o meno delle Province, ci sono tanti campi su cui è più facile dimostrare questa utilità: le strade provinciali, oppure la formazione e il lavoro, che in Toscana sono delegate dalla Regione alle Province e soprattutto in questo momento di crisi emergono come politiche insostituibili per riqualificare la manodopera licenziata o in cassa integrazione. Meno visibile è l’aspetto delle politiche sociali, su cui alle Province viene data un’azione di coordinamento e stimolo, ma non tanto una responsabilità diretta. Io penso che gli esempi che ho fatto del “Buono per Amico” e della “Assistenza in Più” dimostrino come questo ruolo di spinta progettuale e anche di omogeneità territoriale, creando le condizioni perché le diverse realtà della Provincia abbiano tutte le stesse opportunità, sia indispensabile. Si può fare in un’area più vasta? Questo si può anche verificare, non voglio difendere a spada tratta una tipologia di territorio, ma credo che ci sia bisogno di un governo vicino ai cittadini. Penso alla mia regione, la Toscana: se tutte queste azioni dovesse coordinarle la Regione, credo non ci sarebbero quel lavoro di progettualità, quel rapporto con le associazioni e quella conoscenza dei bisogni di cui prima parlavo.

Le azioni di prossimità sono uno dei punti fondamentali delle politiche sociali, e per questo penso che il ruolo delle Province sia importante. Possono essere diverse per estensione e numero degli abitanti, ci possono essere modifiche, ma credo che un ente intermedio tra Regione e Comuni, per coordinare questo tipo di attività, sia necessario.



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