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1. Le ragioni per una Rete: l’inclusione delle persone con disabilità come risorsa per la crescita dei contesti

Con il contributo di: Cristian Paindelli, Coop. Soc. Lambro-Monza
Giovanna di Pasquale e Sandra Negri, Coop. Soc. Accaparlante-Bologna
Giovanni Vergani, Coop. Soc. Novo Millennio-Monza
Laura Deviardi e Costanza Lanzanova della Coop. Soc. La Nuvola-Orzinuovi (BS)
Leonardo Peracchi della Coop. Soc. Animazione Valdocco-Torino
Luca Borinato, Coop. Soc. Piano Infinito-Montecchio Maggiore (VI)
Luca Gorlani, Coop. Soc. Il Vomere-Travagliato (BS)
Lucia Cavallin, Coop. Soc. Solidarietà-Treviso
Natalino Filippin, Paola Schiavetto e Lucia Mantesso della ULSS8 Asolo-Treviso
Nel paragrafo sono incluse le riflessioni tratte dai contributi di Marco Brunod, professore a contratto presso la facoltà di psicologia dell’Università di Milano Bicocca e Ivo Lizzola, professore di pedagogia sociale presso l’Università di Bergamo, condivise nell’ambito dei Laboratori Metodologici di Immaginabili Risorse rispettivamente del 12 dicembre 17 e del 14 marzo 17.

Immaginabili Risorse è una rete informale di soggetti di varia natura (enti pubblici, fondazioni, cooperative sociali, associazioni, persone con disabilità) che, sul territorio del centro-nord Italia, si sono connessi intorno all’idea di promuovere l’inclusione sociale delle persone con disabilità.
Accomuna i soggetti della rete l’idea che, per promuovere tale obiettivo, sia necessario favorire in primo luogo un cambiamento culturale, centrato sulla modalità con la quale le nostre comunità si rapportano alle persone con disabilità e, per esteso, alla diversità in genere.
Quando parliamo di inclusione sociale e di progetti inclusivi che la promuovano, ci riferiamo alla relazione tra persona con disabilità e contesto nel quale vive.
La Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità afferma che la disabilità è il frutto della relazione tra persone con menomazioni e il loro contesto di vita. Per questo motivo ha senso parlare di lavoro con la disabilità se ci si rivolge anche alla comunità nella quale le persone con disabilità vivono: i progetti inclusivi non si limitano a prendersi cura delle persone con disabilità ma, in qualche misura, si rivolgono anche alle comunità nelle quali queste persone vivono. L’inclusione è necessaria per favorire un reale miglioramento della qualità della vita di questi cittadini e delle nostre comunità.
Il modo attraverso il quale questo dialogo tra comunità e persone con disabilità si sviluppa passa attraverso l’idea di reciprocità, ovvero una modalità di porsi in relazione nella quale il rapporto tra servizi, persone con disabilità e comunità non sia qualificato dal solo “prendere” dei primi. Non si tratta di progetti nei quali viene promosso un atteggiamento caritatevole (nel senso deteriore del termine) o progetti rivendicativi (nel senso dell’ottenimento di diritti). Si tratta, invece, di opportunità costruite per rivelare alla comunità il valore aggiunto rappresentato dalla presenza della diversità contenuta nella disabilità. Ciò è possibile se le persone con disabilità, grazie alla mediazione/facilitazione dei servizi, si dispongono ad assumersi responsabilità adeguate nei confronti della loro comunità.
Dunque l’inclusione sociale è promuovibile in un’ottica di reciprocità e la reciprocità è attivabile in una dimensione generativa nella quale i servizi producano valore sociale anche per le comunità nelle quali esistono.
I tre concetti di inclusione, reciprocità e generatività sono tra loro connessi, solo dal primo al terzo, in una logica progressiva: se c’è generatività ci sono reciprocità e inclusione, ma un’intenzionalità inclusiva non è detto si apra alla reciprocità e alla generatività.
La rete di Immaginabili Risorse ha dunque una funzione di aggregazione, connessione, diffusione di buone prassi. Una funzione di enzima che possa permettere alle comunità e ai servizi di assimilare il valore sociale contenuto nella diversità di cui sono portatrici le persone con disabilità, facilitando la relazione tra servizi e contesto e accompagnando il contesto a strutturare risposte adulte, non dominate dalla paura dell’esistenza delle persone con disabilità.
La rete di Immaginabili Risorse ha alcune caratteristiche peculiari che la rendono strettamente coerente con le idee che intende promuovere.
I soggetti interessati si aggregano alla rete sulla base della condivisione di alcune ipotesi di fondo.
Tra i membri della rete, quelli disponibili (anche in considerazione della vicinanza territoriale) partecipano a un gruppo di coordinamento che si confronta periodicamente e formula proposte alla rete allargata.
La scelta di mantenere una natura informale, pur con le evidenti difficoltà gestionali connesse, è una discreta garanzia a che il sistema non lavori per il proprio mantenimento e la propria autoconservazione.
La tenuta del coordinamento e della rete si regge su un gentlemen’s agreement, caratterizzato dal fatto che tutti coloro che sono parte della rete lo sono in forza della loro disponibilità a portare il loro contributo al suo funzionamento.
L’approccio di Immaginabili Risorse è centrato sull’idea di inclusione sociale e di generatività, ma noi ci domandiamo: è davvero necessario un nuovo approccio? C’è bisogno di Immaginabili Risorse? Il percorso che la rete ha intrapreso dal 2011 serve a qualcuno?
Riteniamo necessario puntualizzare che l’approccio che proponiamo è francamente discontinuo rispetto al quadro complessivo e prevalente nelle politiche sociali in generale e in particolare in quelle rivolte alle persone con disabilità.
Non abbiamo pretese di esaustività relativamente alle progettualità già esistenti e caratterizzate dall’attenzione all’inclusione e alla generatività, e non vogliamo risultare indirettamente squalificanti rispetto a tanti che quotidianamente si impegnano onestamente nel servizio alla vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie, ma riteniamo necessario suggerire un cambio di rotta indispensabile anche e proprio a vantaggio delle stesse persone con disabilità, delle loro famiglie e degli operatori impegnati nei servizi.
È chiaramente presente nei codici deontologici di assistenti sociali, psicologi ed educatori professionali, il richiamo al tema dell’autodeterminazione e dell’autonomia delle persone di cui sono chiamati a prendersi cura.
Eppure, nonostante questo presupposto sia fondante per queste professionalità così centrali nella costruzione dei progetti di vita delle persone con disabilità, è pur vero che il legislatore sente la necessità di richiamare continuamente nei dispositivi normativi (si pensi alla legge 328/2000 o, più recentemente, alla legge 112/2016) al rispetto dell’autonoma, all’individualizzazione dei progetti e all’autodeterminazione delle persone con disabilità.
Questo suggerisce che esista, a fronte di una coerenza formale tra la cornice deontologica che racchiude l’operatività e il quadro normativo di riferimento, una incoerenza sostanziale.
Tale incoerenza sostanziale fa emergere la necessità di pensare a un cambio di rotta che riconduca a un effettivo rispetto dell’autonomia e dell’autodeterminazione delle persone con disabilità.
Porre attenzione all’agire inclusivo significa dare rilievo alla relazionalità quale elemento centrale che orienta l’incontro con l’alterità. Costruire relazioni sane, costruire comunità e, in ultima analisi, salute, è il fine dell’operatore sociale; parlare di inclusione sociale nell’ambito dei servizi è però cosa impegnativa, perché esprimerne anche le sole premesse attiva reazioni difensive negli operatori. Il vero fine dell’operatore sociale mal si concilia con ciò che, in ossequio alla cultura prevalente nel mondo dei servizi, ci conduce verso l’erogazione di prestazioni definite dall’alto e non co-costruite con chi ne beneficia direttamente.
Pertanto, affermare che l’operatività si distanzia da questo approccio significa smascherare un sostanziale tradimento del mandato professionale che si è ricevuto come operatori.
Per questo tutti gli operatori affermano ovviamente di lavorare in modo inclusivo.
La scelta di imboccare la strada dell’inclusione sociale non è semplice né presa una volta per tutte. L’operatività, immersa nelle organizzazioni, ci richiama a scegliere e riscegliere quotidianamente lo sguardo inclusivo e ci rammenta quanto sia facile abbandonarlo.
Passare dal primato della prestazione a quello della relazione è possibile, determinante e decisivo. Costruire e lavorare in un servizio di taglio “relazionale” significa essere disposti a lavorare sul piano della prossimità. Osando, si può dire, dell’affetto.
In una prospettiva inclusiva la considerazione della complessità come paradigma fondante è di vitale importanza e si associa all’invito che emerge dalla rete di Immaginabili Risorse a orientarsi all’accettazione della dinamicità della persona, del servizio, del contesto. Si può osservare come, al contrario, l’inerzia della quotidianità del lavoro nei servizi prema per una staticizzazione, una cronicizzazione della visione della persona con disabilità, della sua famiglia, delle comunità e, non ultimo, delle stesse identità professionali degli operatori.
Per tenere vivo uno sguardo dinamizzante è necessario dotarsi di modalità partecipative e inclusive che favoriscano dei processi di emersione dei reali desideri, l’espressione delle potenzialità e l’attivazione delle risorse delle persone direttamente interessate e presenti nei territori di appartenenza.
Occorre, cioè, favorire processi partecipativi, in cui le persone con disabilità e i loro familiari, insieme agli operatori, possano co-progettare e co-costruire gli interventi e le proposte che li riguardano. Si intende in tal modo uscire dalla logica assistenziale per abbracciare una logica di sviluppo di comunità e progettazione partecipata degli interventi. La chiave di volta sta nel passare da un modello di intervento basato sulla mancanza, che spinge a creare attorno a questa una risposta preconfezionata, a modelli centrati sulla competenza (community developement) che considerino il territorio come fonte di soluzioni collettive autodeterminate, che aprano spazi a orizzonti creativi inaspettati.
L’ottica di riferimento è quella dei diritti di cittadinanza costituzionalmente riconosciuti, a cui corrispondono livelli uniformi ed essenziali di assistenza. Si fa riferimento anche alla valorizzazione della persona, della famiglia, delle formazioni sociali secondo il principio di sussidiarietà sociale o orizzontale. In base a tale principio lo Stato riconosce e sostiene l’iniziativa delle formazioni sociali e dei corpi intermedi nelle loro azioni finalizzate al bene comune, alla solidarietà, alla corresponsabilità in un’ottica di politiche sociali di community care.
La persona con disabilità richiede non solo cura, ma competenza e attitudine alla capacità di “prendersi cura”, contrastando ogni forma che tenda a concentrare l’attenzione sulla medicalizzazione e sulla sanitizzazione.

“Il soggetto pulsionale”
Pensare la persona nel cuore del sistema dei servizi significa che essa non è oggetto di prestazioni e risposte, ma è il “soggetto pulsionale” (cuore) che sceglie, decide e partecipa allo sviluppo del proprio progetto di vita e al processo di partecipazione sociale.
È certo che mettere al centro la persona complessifica le cose, espone l’operatore a un rischio maggiore, ma apre anche a possibilità inaspettate.
Esistono indubbiamente difficoltà e resistenze di vario tipo.
Resistenze culturali da parte degli stessi operatori, che sono invitati ad accettare la propria “decrescita”, il farsi da parte per lasciare uno spazio, con la consapevolezza che questo potrebbe anche restare “vuoto” e farli così percepire inefficienti; resistenze delle famiglie, resistenze della persona con disabilità al cambiamento, limiti e vincoli organizzativi.
È quindi necessario pensare a:

  1. un progetto di vita: non basta offrire “soluzioni” esterne organizzate che spesso risultano statiche, frammentate, limitate, chiuse. Bisogna cogliere i bisogni di una persona nel suo arco di vita (e quindi che si modificano) attraverso una lettura che parta dall’oggi, individuando prospettive per il domani e ricordando e valorizzando i percorsi già intrapresi ieri;
  2. una vita di relazione: spesso si è più attenti all’aspetto funzionale della collocazione delle persone con disabilità e degli stessi operatori nei servizi che non alla significatività della relazione e ai processi di partecipazione;
  3. luoghi e spazi di vita: bisogna promuovere la vivibilità del contesto nel quale la persona è inserita, vi è la necessità che il soggetto sviluppi processi di partecipazione e appartenenza che diano valore all’esistenza, bisogna porre attenzione agli spazi dei servizi al fine di dare dignità anche alla più grave disabilità;
  4. porre attenzione alle situazioni di vita in quanto nelle persone e nelle famiglie possono avvenire rapidi cambiamenti, dovuti all’evolversi della persona o a eventi familiari e sociali;
  5. uno spostamento di potere dall’operatore alla persona con disabilità che consenta a quest’ultima di prendersi delle responsabilità e cominciare a rispondere di quanto le è possibile;
  6. co-costruire un senso del progetto di vita che sia in continua evoluzione con la persona e con il suo personale e quotidiano percorso di crescita.

 La reciprocità è un concetto che richiama l’idea di scambio con il contesto, di osmosi tra servizi, persone con disabilità e comunità. Riferita al mondo della disabilità, essa suggerisce un cambiamento culturale importante, che invita a superare la concezione secondo la quale le persone con disabilità siano solo destinatarie di risorse e di cure. Perché si attivino dinamiche di reciprocità occorre che, a fronte di una situazione statica dove la collettività fornisce le risorse e i servizi si prendono cura delle persone con disabilità, i servizi, per il tramite degli operatori, si propongano quali produttori di valore sociale, si candidino cioè a restituire, ove possibile, alla collettività il valore connesso all’esistenza stessa delle persone con disabilità.
È necessario che l’operatore ponga se stesso insieme alla persona con disabilità in una condizione di rischio, di partecipazione e messa in gioco di sé in una dimensione più ampia e offra se stesso come accompagnatore di un’altra persona maggiormente (forse) fragile, in un terreno neutro, al servizio di un altro (la comunità) molteplice, sconosciuto e vasto. Bisogna, dunque, uscire dalla dinamica di dipendenza dell’approccio assistenziale e di potere, dalla relazione duale operatore-utente, per costruire un rapporto che conferisca potere e autodeterminazione alla persona con disabilità e ai suoi caregivers. Il ruolo dell’operatore diventa, quindi, quello di mediatore nei contesti di vita della persona, aiutando i contesti a maturare una visione, modalità e strumenti relazionali diversi e affiancando la persona con disabilità nell’interazione. In questa dinamica l’operatore lavora affinché la persona metta in campo le proprie competenze e abilità, affrontando e imparando a riconoscere e a gestire i propri limiti.
All’interno di questa dimensione si ridefiniscono e possono crescere relazioni di maggiore intensità, alimentate dal principio del piacere, dell’interesse, della curiosità, di un senso di utilità spendibile, di responsabilità.
Risulta fondamentale a tal fine l’esperienza del “gruppo educativo” come palestra di vita, come assaggio delle dinamiche di altri gruppi, come micro-comunità, dove operatori e persone con disabilità possano usare la prossimità come strumento di lavoro, cercando di aumentare le capacità di tutte le persone di esprimere una responsabilità sociale verso gli altri, cominciando da chi è parte del gruppo stesso.
Processi reali di crescita e cambiamento avvengono solo se accompagnati da analoghi processi di crescita e cambiamento a cui si dispone l’operatore stesso insieme alla persona con disabilità, dove potenzialità, fragilità e vulnerabilità vengono messe in gioco da parte di entrambi in un ambiente da scoprire e attraversare insieme.
In questo senso sapere di agire per migliorare il proprio territorio permette di scoprire che il lavoro può essere più gratificante, consentendo di fare delle cose piacevoli, mettendo in campo competenze trasversali, rompendo in questo modo alcuni pregiudizi che appesantiscono il lavoro quotidiano.
La destrutturazione, la disponibilità a correre il rischio della confusione, l’apertura al contesto, derivanti da un approccio inclusivo e generativo, sono una questione di stile, organizzativo e personale anche del singolo operatore.
Infatti, affinché si inneschino dinamiche di reciprocità, è utile considerare un aspetto forse troppo spesso trascurato, ovvero il benessere degli operatori. Gli operatori, co- me l’organizzazione, hanno bisogno di cure. Oltre a valorizzare le competenze nel contesto organizzativo è funzionale, cioè, creare occasioni di crescita degli operatori anche e proprio partendo dal loro benessere sul luogo di lavoro. La cura dell’operatore da parte delle organizzazioni diviene, quindi, un elemento interessante e funzionale alla costruzione di connessioni tra il servizio e quelle competenze degli operatori che difficilmente troverebbero punti di contatto con la vita lavorativa.
Affermare che lo stile organizzativo, il benessere dell’operatore e la sua cura da parte dell’organizzazione sono importanti al fine di facilitare l’avvio di dinamiche di reciprocità è anche un invito a prendere consapevolezza del fatto che quello che vogliamo per il fuori, per le nostre comunità, dobbiamo praticarlo anche per il dentro, per le nostre organizzazioni. È utile essere portatori di coerenza tra ciò che desideriamo costruire per la vita delle persone con disabilità e ciò che costruiamo nelle nostre organizzazioni.
Questa strada ci porta a immaginare un nuovo profilo di competenze, un nuovo senso professionale, che comprende anche elementi quali la spontaneità e la naturalezza, il piacere e il benessere. Un profilo che chiede flessibilità, capacità di mediare linguaggi nell’approccio alla disabilità, capacità di gestire e cedere il potere, capacità di comunicare e rendere appetibile ciò che si è e ciò che si fa, capacità progettuali e di management. Un profilo che chiede di uscire dall’autoreferenzialità e aprirsi ad altri ambiti di competenza non tradizionali, di imparare a lavorare in rete, a co-progettare e a co-costruire.
Provando a osare e delineando addirittura una nuova definizione di “operatore inclusivo”, lo potremmo denominare “enzima creattivo” oppure “attivatore appassionato di relazioni connesso al piacere di vivere” o, secondo la definizione di Andrea Marchesi, “addetto al generatore di energia sociale” (cf. “Animazione Sociale”, 9/ 2017).
In questa prospettiva l’operatore, più che occuparsi dei bisogni, è orientato a cogliere i desideri delle persone con disabilità. Solo partendo dai desideri è possibile accettare di percorrere insieme strade più rischiose. Se ci si occupa dei desideri è importante riuscire ad ascoltarli, accoglierli e rilanciarli all’inizio e durante i percorsi che vengono costruiti insieme. Ciò implica importanti responsabilità, ma è anche un’opportunità di maggior autenticità nelle relazioni.
Se, come detto, si palesa la necessità di un cambiamento di rotta dal punto di vista culturale, possiamo a questo punto definire le conseguenze organizzative di tale cambiamento e le implicazioni per l’operatore (ma non solo).

 Il Germoglio Cooperativa Sociale – Cassina de’ Pecchi (MI)
Roberto Guzzi amministrazione.germoglio@gmail.com

Progetto
Ti ospito a casa mia

Esperienza
Co-housing: progettazione, sistemazione e avvio di un appartamento a bassa protezione che accoglie tre persone con disabilità lieve.
L’appartamento è inserito in un condominio di circa dieci famiglie.

Elementi innovativi
Sperimentazione di una soluzione abitativa in cui una persona con disabilità proprietaria di un appartamento accoglie altre due persone con disabilità di pari o simile livello.
Le persone sono seguite da due assistenti familiari (dopo il rientro dal lavoro o dal centro diurno e durante i fine settimana) e da una coordinatrice per dieci ore settimanali.
L’idea è co-progettata tra Cooperativa, Amministrazione Comunale, un Comitato a cui partecipano gli Amministratori di Sostegno, i volontari e altri familiari della rete della Cooperativa.

Laluna Onlus Impresa Sociale – Casarsa della Delizia (PN)
Direttrice dott.ssa Erika Biasutti
tel. 3288179044
associazione.laluna@gmail.com
Coordinatore educativo Daniele Ferraresso
tel. 3288197522
daniele.cjasaluna@gmail.com

Progetto
Laluna Nuova 2.0

Esperienza
Progetti di Vita Indipendente e Progetti di Autonomia.

Le esperienze riguardano le persone con disabilità, anche con difficoltà, e mirano al recupero delle autonomie e a una ri-abilitazione sociale che miri a una inclusione reale.

Elementi innovativi
Progettazioni di partecipazione alla Vita Indipendente in forma di comunità, piccolo gruppo e co-housing. Le progettazioni si sostengono attraverso forme di convenzione con l’Azienda Sanitaria e la compartecipazione familiare. Le forme di indipendenza più avanzata prevedono una responsabilità di spesa che comprende tutto eccetto eventuali presenze educative. Le persone con disabilità sono supportate nei processi di svincolo dalla famiglia, favorendo il reinserimento sociale in tutti i suoi aspetti (tempo libero, amicizie, lavorativo…).
La sensibilizzazione del territorio mira alla costruzione di una rete che permetta la realizzazione delle progettazioni e la continuità delle stesse.
Il risultato mira a uno spostamento di potere educativo alla persona che diventa, nella misura in cui è possibile, responsabile della propria vita, esercitando la propria autodeterminazione.
Concorrono a questi risultati la persona che è la protagonista, la famiglia, i parenti significativi, gli amici, il territorio.

L’operatore sociale come Network Management
Nell’ambito di Immaginabili Risorse è sempre più presente e richiamata l’importanza di destrutturare i servizi, poiché la destrutturazione e la rottura della linearità aiutano a innescare dinamiche inclusive e generative.
Lo “spacchettamento” dei servizi può consentire di passare da una loro gestione tradizionale a una organizzazione per progetti rispondenti all’approccio inclusivo.
L’operatore sociale assume quindi, nei confronti della rete, la funzione di Network Management, che mette in evidenza l’importanza della gerarchia funzionale al fine di consentire alle reti di vivere.
Le reti sono strumenti sofisticati che non funzionano per inerzia, autoregolandosi, ma vanno manutenute continuamente. Il Network Management, particolarmente coerente con il posizionamento dell’operatore sociale nella logica di Immaginabili Risorse, assolve proprio a questa specifica attività funzionale.
Occorre specificare che, se si parla di Network Management si parla di una funzione e non di un ruolo. Le funzioni di Network Management sono dedicate a far funzionare la rete.
Parlando di network, parliamo di reti attivate per produrre qualcosa. Parlando di management ci riferiamo a un complesso di azioni gestionali, a un lavoro di cura dello spazio e delle relazioni che permette a un sistema complesso di funzionare. Prendersi cura di sistemi complessi, farlo con riguardo, attenzione, delicatezza, è un esercizio non legato al posizionamento di potere formale, ma all’assunzione di responsabilità funzionale. Tratteggia un agire diverso dal consueto. Le reti sono luoghi dove l’uso della gerarchia non è utile al funzionamento.
In un approccio tradizionale i servizi sono orientati a lavorare cercando di soddisfare i bisogni delle persone con disabilità.
Nella nuova prospettiva proposta da Immaginabili Risorse è strategico considerare, quale materia prima del lavoro delle reti, i problemi, intesi come i fenomeni percepiti con sofferenza dalla persona con disabilità.
Le reti sono, quindi, dedicate a trattare al meglio e trasformare problemi complessi. Si aggregano in funzione del problema da trattare e non in base a logiche di rappresentanza.
Nell’esercizio della funzione di Network Management occorre tenere presente che, nelle reti, esistono sempre due tensioni: quella cooperativa e quella competitiva. Occorre che ci sia qualcuno in grado di regolarle e favorire la coesione della rete in ragione della trasformazione del problema complesso per cui è nata.
Le funzioni di Network Management sono:

  • Facilitare comunicazioni e cooperazione.
  • Curare la ricomposizione e l’integrazione dei diversi contributi.
  • Gestire la cooperazione e agire la competitività in una logica negoziale evitando prevaricazioni di posizioni dominanti.
  • Rinforzare una metodologia di intervento multi-prospettica per incrementare la comprensione dei problemi e sviluppare azioni innovative.
  • Utilizzare strumenti che permettano di non disperdere dati e informazioni relativi alle attività svolte.
  • Valorizzare uno sguardo valutativo sui processi e sui risultati. Per valutazione si intende il rendere esplicito e condivisibile il processo di trasformazione fatto al fine di ri-orientare costantemente le azioni progettuali messe in atto.

Alla condivisione dei concetti cardine dell’approccio di Immaginabili Risorse seguirà la loro articolazione nelle dimensioni vitali per una loro concreta implementazione.

 Comune di Trento Servizio
Attività Sociali
tel. 0461884477

Progetto
I progetti personalizzati di sostegno all’abitare autonomo

Esperienza
Sostenere percorsi di autonomia abitativa e di vita a favore di persone con disabilità attraverso l’affiancamento di un’accogliente persona, anche richiedente protezione internazionale, capace di aiutare la persona disabile in alcune attività quotidiane.

Elementi innovativi
Il diritto della persona con disabilità a determinare la propria condizione alloggiativa, in un’ottica di autonomia e di inclusione, trova concretezza nella disponibilità empatica e resiliente di volontari/accoglienti che si affiancano e la sostengono in alcune attività quotidiane, nel trascorrere del tempo assieme, nel condividere una relazione autentica d’aiuto. L’accogliente può anche convivere con la persona con disabilità, è formato e sostenuto da una dedicata équipe di operatori sociali, non assume compiti né prettamente assistenziali né educativi.

 Azione Solidale società cooperativa sociale Onlus – Milano
David Scagliotti
tel. 0248304931
david.scagliotti@azionesolidale.com

Progetto
Azione Solidale in un Housing Sociale

Esperienza
Un CAD (Centro Aggregazione Disabili), uno SFA (Servizio Formazione all’Autonomia), un CSE (Centro Socio Educativo) e un appartamento di sperimentazione hanno sede nel progetto di Housing Sociale “Cenni di cambiamento” di Milano, con attività di utilità sociale rivolte ad abitanti, associazioni e commercianti dell’Housing Sociale e del quartiere.

Elementi innovativi
Lavorare in un tale contesto richiama all’esplorazione e alla costruzione di nuove competenze. Un lavoro quotidiano con l’imprevisto, con condizioni che possono cambiare repentinamente. L’imprevisto non riguarda più solo la relazione che connette l’educatore a utenti e famiglie, la rete si allarga nelle interazioni con i commercianti e gli abitanti, con maggiore flessibilità e creatività. Fare un passo indietro è un ulteriore apprendimento sperimentato: saper stare in silenzio, lasciare che le cose accadano e osservare le situazioni educative, permettere la sperimentazione di spazi di libertà e non solo di autonomia.



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