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4.La co-progettazione

Con il contributo di:
Guido Bodda, Coop. Soc. Il sogno di una cosa-Collegno (TO)
Paola Ricchiuti e Caterina Boria, Coop. Soc. Itaca-Pordenone
Lucia Cavallin, Coop. Soc. Solidarietà-Treviso
Roberto Guzzi, Coop. Soc. Il Germoglio-Cassina de’ Pecchi (MI)
Nel paragrafo sono incluse riflessioni tratte dall’intervento di Gino Mazzoli, psicologo sociale, condivise nell’ambito del Laboratorio Metodologico di Immaginabili Risorse tenutosi a Brescia il 13 giugno 2017.

Co-progettare rende possibili processi di lavoro più efficaci rispetto alla persona con disabilità e alla sua relazione con il contesto.
La co-progettazione è un percorso e la cogestione il suo naturale proseguo. Il lavoro di co-progettazione consente lo sviluppo di azioni condivise che non dipendono solo da noi stessi.
Co-progettare e co-gestire significa superare la semplice offerta progettuale proposta in modo univoco, andando oltre il raggio di azione del singolo soggetto e alla logica della negoziazione spartitoria (come ad esempio accade nella dinamica degli appalti).
Si possono agire processi di co-progettazione e cogestione su tre livelli distinti:

  • con le persone con disabilità, nella logica dell’autodeterminazione e del riconoscimento dei “saperi” e dei “poteri”;
  • con il territorio (associazioni, enti, istituti scolastici, cittadini…), funzionale allo sviluppo di comunità;
  • tra istituzione pubbliche e Terzo Settore, con la finalità di una configurazione condivisa dell’architettura dei servizi.

I processi di co-progettazione e cogestione attivano dinamiche inclusive e generative in vari modi:

  • favoriscono la riconnessione delle risposte ai bisogni, attivando modelli che non si fondano unicamente su percorsi procedurali, bensì trovano il loro fondamento anche sulla fiducia e il riconoscimento dell’altro;
  • rompono il processo di delega ai Servizi nella gestione dei progetti di vita delle persone con disabilità. I nostri servizi finora hanno spesso generato dinamiche di autoreferenzialità, incastrando sempre più le persone con disabilità nel ruolo di dipendenza. Grazie a questi percorsi le persone con disabilità possono agire ruoli sociali reali, accrescere le proprie relazioni con i territori e la capacità di starci in autonomia;
  • permettono ai diversi soggetti coinvolti di crescere ed evolvere spingendoli ad affrontare domande insolite. Ogni organizzazione, infatti, tende al mantenimento della propria identità e omeostasi: l’altra faccia della medaglia di questo processo è la routine (abbiamo sempre fatto così perché dobbiamo cambiare?). La necessità del cambiamento diventa evidente nel momento in cui la co-progettazione permette alle realtà di intercettare energie potenziali interne ed esterne all’organizzazione;
  • forzano la logica dei titoli formali (ad esempio “famigliare”, “dirigente”, “operatore”…): nei processi di co-progettazione c’è maggior circolarità e simmetria nei ruoli. Possono essere portati più facilmente competenze e punti di vista diversi, arricchenti e preziosi al di là dei ruoli formali;
  • ci si attesta su un paradigma di Welfare Generativo, allontanandosi dalle logiche classiche del Welfare State e stimolando nelle persone fruitrici di servizi partecipazione e messa in campo di risorse proprie che possono essere “ridistribuite” a favore di tutta la Comunità.

Le principali difficoltà che possiamo incontrare nei processi di co-progettazione sono di diverso tipo:

  • la rinegoziazione dell’identità della persona con disabilità e di tutti i soggetti in gioco: il soggetto disabile non è più solo destinatario di cura, ma assume anche un ruolo attivo, avendo maggiore voce in capitolo;
  • una perdita del potere di tutti i soggetti che operano con la persona con disabilità e una sua redistribuzione più equa e dinamica;
  • tra i diversi soggetti ci sono differenze di linguaggi, di obiettivi, di approcci, di intenti e di significati per le quali è necessario un lavoro di sintesi e mediazione;
  • l’incertezza sugli esiti: il prodotto finale della co-progettazione è incerto e bisogna avere la capacità di accettare che il risultato sia qualcosa di inaspettato. Deve esserci una certa tolleranza dell’incertezza a fronte dell’assenza di risposte immediate;
  • la necessità di una metodologia efficace e di una leadership ibrida che mantenga la neutralità.

In questa logica per gli operatori è difficile:

  • rompere le routine, lasciare il primato delle competenze tecniche e uscire dai confini di un’identità professionale definita in modo statico;
  • aprirsi a variabili non controllabili e a relazioni che mettono nelle condizioni di reinventarsi con flessibilità, di prendere decisioni, di assumersi responsabilità e rischi lasciando la confort zone rappresentata dal servizio;
  • esporsi a maggiore visibilità rispetto al contesto: gli operatori sono molto più “visibili” poiché entrano in un campo di interazione con più e nuovi soggetti e si trovano a gestire più piani di lavoro contemporaneamente.

A fronte delle difficoltà a cui la logica della co-progettazione espone gli operatori, è utile nominare quali gli aspetti che possano, invece, motivarli.
La posizione classica dell’operatore è quella del custode della persona con disabilità. Questa posizione limita molto la possibilità di accorgersi che nei territori in cui i servizi vivono ci sono bisogni che generano domande a cui anche i servizi per le persone con disabilità possono contribuire a dare risposte. In una logica di co-progettazione i servizi per le persone con disabilità possono contribuire al processo di rilevazione del bisogno, di co-costruzione della domanda e di co-progettazione delle risposte al bisogno stesso. Questa dinamica è ostacolata dal fatto che servizi e operatori tendono a muoversi dietro alla spinta di un mandato, immaginandosi principalmente come esecutori. Con difficoltà ci si immagina parte attiva rispetto a una domanda del territorio.
Lavorare secondo una logica di co-progettazione significa anche aprirsi a un lavoro incrementale nel quale, come detto, in modo un po’ spiazzante, non si definisce tutto all’inizio. Questa caratteristica può implicare anche una certa instabilità dei progetti.
Attivare processi nella logica della co-progettazione significa cercare di essere percepiti come risorsa integrativa e non alternativa/oppositiva all’esistente. Per farlo, se i servizi vogliono essere risorsa per il territorio e creare inclusione sociale, devono attingere a competenze che vanno oltre la pedagogia. Occorrono saperi mirati in relazione all’area produttiva di cui ci si intende occupare. Ricercarli, coltivarli, può anche permettere di riscoprire e rivalutare le passioni degli operatori, spesso celate nel lavoro quotidiano.
Essere disponibile a confrontarsi, scontrarsi, scambiarsi, ad essere in moto verso l’altro è la condizione necessaria per poter usare la co-progettazione, uno strumento, un mezzo per creare valore e inclusione sociale.
Questo strumento può facilitare soggetti che hanno necessità, storie, esperienze, domande, bisogni, interessi diversi e che devono lavorare insieme per un unico obiettivo. Il tener vivo e chiaro l’obiettivo rende fattibile e costruttiva la co-progettazione. Soprattutto quando siamo di fronte a situazioni complesse e articolate.
Co-progettare significa trovarsi in situazione orizzontale e paritaria, quindi spostarsi dall’idea che vi sia un unico modello di funzionamento di tipo gerarchico o piramidale.
Per l’avvio di esperienze di co-progettazione occorrono setting in cui gli attori in gioco possano avviare delle trattative e nei quali la centralità sia sul fare. Occorre considerare la complessità delle organizzazioni, nelle quali la parte formale è sempre meno rilevante di quella informale. Il problema delle esperienze di co-progettazione non è la partenza, ma la loro tenuta nel tempo.
Utilizzare questo strumento per progettare mette nella condizione di “dover rinunciare a qualcosa”. Il risultato finale di un percorso di co-progettazione sarà sicuramente diverso dal pensiero iniziale di ogni soggetto.
Lo strumento della co-progettazione ha bisogno di cura, ascolto e delicatezza da parte di tutti i soggetti coinvolti, ma chiede anch’esso di essere curato; è necessario definire in modo esplicito la figura che si occupa di tessere le relazioni, di seguire i processi, di gestire le informazioni e le comunicazioni tra tutti i componenti. Questo lavoro di cura deve essere affidato in modo chiaro e concordato a un soggetto (facilitatore, network management) a cui è riconosciuta questa funzione, funzione che può anche essere gestita a turno.
I limiti diventano la parte del gioco da affrontare e superare con la partecipazione e con le differenti risorse dei soggetti coinvolti nella ricerca di soluzioni possibili.
La fiducia che può instaurarsi permette di raggiungere un grado di partecipazione e consapevolezza che porta a risultati non previsti.
Questo strumento può essere applicato a una problematica che un soggetto pone, ma anche a un percorso in cui l’insieme dei soggetti si trova per cercare un obiettivo comune, all’interno delle organizzazioni, tra organizzazioni paritarie, tra entità diverse e miste.
È uno strumento per creare partecipazione e legami con i contesti che ruotano attorno ai soggetti di una rete e che può muovere in modo attivo il territorio.
La co-progettazione può anche finire quando l’obiettivo è stato raggiunto.



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