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6. La figura dell’educatore all’interno del Gruppo Calamaio

di Mario Fulgaro e Sandra Negri

Raccontare un gruppo educativo è sempre complicato. Lo è ancora di più quando il gruppo educativo in questione si pone l’obiettivo di ridefinire il rapporto tra utente ed educatore cercando di costruire un contesto in cui la collaborazione e la condivisione del percorso è centrale. Per questo abbiamo pensato di raccontare il Gruppo Calamaio dando voce ai due protagonisti della relazione educativa.

Dal punto di vista di Mario Fulgaro, animatore con disabilità
Uno dei segreti per vivere bene sta nel rapportarsi a se stessi in modo pacifico, così da confrontarsi con gli altri in modo altrettanto sereno. Occorre, infatti, tirare un sospiro di sollievo e sorridere sempre, sia di fronte alle innumerevoli circostanze che il mondo ci mette davanti, sia di fronte allo scambio di informazioni che si ha con chi ci sta accanto, anche se per un arco di tempo limitato. Questo accade sempre e in ogni ambito, sociale o politico o, in senso ampio oppure più “ristretto”, in campo educativo.
È indispensabile, dunque, fare riferimento a una qualche figura guida che ci aiuti a superare ogni tipo di impasse. Parafrasando l’alto pensiero contenuto nella Maieutica di Socrate, potremmo dire che “nessuno riesce ad agire da solo” e ognuno ha bisogno di qualcun altro che lo sproni a sviluppare le proprie abilità, nella giusta direzione. Ogni “tratto di strada” è compiuto, oltre che in circostanze idonee, anche e so- prattutto assieme a qualcun altro. Non siamo delle “cellule” autosufficienti in tutto e per tutto.
Quando si entra a far parte del Gruppo Calamaio, ognuno è carico del proprio bagaglio culturale ed esperienziale, utile e fondamentale per arricchire il gruppo lavorativo di nuove “nozioni relazionali”. Infatti, non c’è alcuna forzatura, tutto si lascia fluire con spontaneità e naturalezza. Poco alla volta, poi, sotto la guida degli educatori, ci si ritrova a contribuire, con il proprio “corredo di sapere”, al lavoro corale di tutti. Si entra subito in sintonia con gli educatori attraverso armi invincibili, quali l’ironia e lo spirito di gruppo.
Il ruolo principale dell’educatore, all’interno del Gruppo Calamaio, è quello di analizzare, guidare e indirizzare le potenzialità messe in campo da tutti.
La sorpresa, se non la meraviglia, che investe chi ha scoperto un proprio talento da poter sfruttare, si manifesta, di solito, in un largo sorriso di soddisfazione. Il clima di amicizia e allegria, che si viene a instaurare tra educatori e disabili, favorisce la nascita di forti legami di appartenenza. Così, lo spirito di gruppo che ne consegue, rafforza il bisogno di confrontarsi e scambiare informazioni di sé, con naturalezza e spontaneità: “Che ne dite di prendere un caffettino?”, “Sì sì, ma io prendo il caffè macchiato, tipo cappuccino!”.
Giorno per giorno si inizia a percorrere un pezzo di strada comune, ognuno in modo personale, perché le differenze, se coordinate bene tra loro, sono alla base di una crescita collettiva. Chi si smarrisce per un attimo, trova l’aiuto e la collaborazione dell’educatore che, con i suoi consigli e suggerimenti, agevola una più regolare gestione di tutte le dinamiche interne al gruppo di lavoro: “Aiuto! Chi può aiutarmi?”, “Vengo io, non ti agitare come al solito!”.
Il dialogo acquisisce un valore prioritario e, per consentire un suo svolgimento pacifico, il rapporto tra i membri del Gruppo Calamaio, educatori e disabili, è di tipo paritario. Si scambiano pareri e proposte tra colleghi di lavoro, sicché i possibili ammonimenti sono vissuti come “consigli educativi”. Inevitabilmente, differenze di ruolo possono emergere e, molto spesso, affiorano, ma solo come fattore volto a valorizzare il compito di ognuno, non come elemento discriminatorio. Il dialogo ha un potere risolutivo di grande rilevanza ed è quello che l’educatore utilizza, per dirigere le energie proprie e altrui, in vista di una soluzione condivisa. È facile, così, che si faciliti una condivisione di intenti da parte di tutti: “Quale colore va meglio sul nostro volantino, il rosso o il verde?”, “Direi il verde!”, “Allora metteremo il rosso!”, “Ok!”.
In un gruppo di lavoro così grande, è inevitabile che possano sorgere situazioni di malinteso o, addirittura, di stallo. In questi frangenti, gli educatori sanno bene che devono mettersi in discussione, per riuscire a superare ogni fase critica. Ogni volta, l’intero gruppo ne ha beneficiato in termini di compattezza, trovando, appunto, negli educatori i suoi punti di riferimento: “Io sto bene con loro. Io con io ed io con loro, senza alzate di testa!”.
Il rispetto dei tempi di ciascuno è strategia essenziale, sia per cercare di studiare il modo più idoneo per intervenire, sia per dare tempo all’altro di entrare in sintonia con il contesto creatosi attorno. La crescita di un gruppo sta nella sua dinamicità interna: “Se non ti senti in forma stamattina, puoi rilassarti un po’ sulla poltrona”, “Magari!”.
Condividendo anche aspetti del vivere quotidiano, quali pranzi, merende, feste, convegni…, sorgono, anche in queste occasioni, legami affettivi di amicizia e di condivisione di intenti e piaceri. Il veicolo, che è alla base di tutta questa evoluzione relazionale, è dato dal tipo di approccio ironico e autoironico. La leggerezza con cui si vivono tali eventi, non va a inficiare la distinzione di ruolo, del tutto naturale, che sussiste tra educatore e persona con disabilità. Infatti, durante le occasioni di svago, non mancano episodi educativi.
Può cambiare il contesto in cui si agisce, ma non lo spirito con il quale si affrontano le diverse situazioni. È proprio questa la chiave di successo dell’educatore: riuscire a creare le condizioni per colorare, macchiare, in modo allegro e contagioso, la realtà in cui si opera.

Dal punto di vista di Sandra Negri, coordinatrice educativa
Educare: dal latino educĕre «trarre fuori, allevare».
Essere educatori al Progetto Calamaio significa ciò che “essere educatori” significa in ogni contesto educativo. Ma mi spingo oltre: significa ciò che “essere in relazione” significa in ogni contesto di vita.
Ho cominciato la mia esperienza di educatrice all’interno del Centro Documentazione Handicap quando ero giovane e poco esperta di questa professione, ma soprattutto non avevo esperienza alcuna nelle relazioni con la disabilità. Mi sono ritrovata davanti a persone adulte, con deficit motori importanti e una grande consapevolezza di sé, di chi erano, di chi volevano essere, di ciò che sapevano, volevano e potevano fare in ambito lavorativo… e anche di ciò che non potevano, volevano e sapevano. Ecco, il primo impatto è stato da subito di una situazione ribaltata rispetto al mio immaginario. Io non sapevo nulla e i miei cosiddetti “utenti” sapevano tanto. La risposta più semplice era affidarmi, lasciarmi condurre, lasciarmi “allevare” in questa nuova veste che non sapevo ancora indossare.
È stata una bellissima iniziazione. E da allora – che il nostro gruppo di strada ne ha percorsa tanta – questo è ancora il punto centrale del nostro lavoro educativo. Gli educatori cercano sempre di affidarsi al sapere che la persona con disabilità porta in sé e all’occasione di crescita e di nuova conoscenza che rappresenta.
Attorno al riconoscimento dell’altro come parte attiva e indispensabile della relazione educativa, che è il punto centrale del nostro stile di lavoro, si snodano tanti altri aspetti, tutti fondanti e insostituibili del nostro accompagnare e accompagnarci reciprocamente nel percorso di miglioramento di noi stessi e del contesto in cui viviamo.

Relazione – conoscenza di sé e dell’altro – messa in gioco
Parlare di relazione non significa osservare semplicemente un elemento dell’educazione, ma affrontare l’essenza dell’educazione stessa come esperienza umana che accade tra le persone. Partendo da sé e dalla consapevolezza di chi siamo e di cosa mettiamo in gioco, attraverso la relazione avviene poi la conoscenza reciproca; quella vicinanza sensoriale e percettiva che fornisce informazioni e stimoli affinché l’altro possa rappresentare una risorsa e un’occasione di scambio, fino a diventare condivisione empatica sul piano personale e lavorativo. Si tratta di un lavoro lungo e complesso, di un percorso che richiede disponibilità a lasciarsi coinvolgere e cambiare. E quando diviene consuetudine e abilità stabile, il gruppo si fa luogo di crescita profonda per ognuno.

Creatività – apertura al nuovo – sperimentazione – improvvisazione
La disabilità ci obbliga a fare i conti con l’inatteso, l’ignoto. Ci costringe a reinventare la relazione e la collaborazione a ogni passo del nostro percorso e a ogni nuova strada che intraprendiamo. Impossibile prevedere, progettare, fare piani che verranno, con ampia probabilità, modificati. L’handicap, che è ostacolo, difficoltà, ci mette sempre davanti a un bivio: lasciarci frenare o inventare una nuova soluzione. Questo allenamento all’improvvisazione è materiale prezioso nel quotidiano per creare realtà, legami, progetti e idee nuove. La capacità appresa e allenata alla creatività è risorsa preziosa nel superamento delle criticità, nella ricerca delle risposte alle incognite che il lavoro educativo presenta e nell’incontro con l’altro, mai uguale a se stesso, sempre da conoscere e riconoscere.

Relazione alla pari – relazione di cura e di aiuto
Se la relazione è scambio, lo è anche quando si tratta di ruoli e competenze. La figura dell’educatore e quella dell’utente non sono mai definite in modo netto e chiaro. Questo è ancora più presente all’interno di una relazione che, per sua natura, è collaborazione e compartecipazione a un progetto e un’attività produttiva–la realizzazione di incontri rivolti alle scuole sui temi dell’inclusione di tutti dove l’animatore con disabilità ricopre il ruolo centrale. Nello stesso contesto e nello stesso momento, educatore e animatore con disabilità rivestono funzioni molteplici e sovrapposte dentro una relazione che è sia di condivisione che di cura. Si sperimenta contemporaneamente l’integrazione delle rispettive competenze nella conduzione dell’incontro e la rappresentazione della dinamica di aiuto laddove il deficit del collega con disabilità impedisca l’autonomia sul piano motorio o relazionale. Si realizza la piena espressione di ciò che è l’incontro e il rapporto umano fra gli individui, che sono necessariamente differenti, in cui sempre compaiono elementi quali lo scambio, l’aiuto, il sostegno, la mediazione e il piacere della comune adesione all’esperienza.

Piacere – benessere – divertimento – ironia
Ogni relazione si costruisce a partire da ciò che siamo, ciò che sentiamo. Quanto più investiamo nelle nostre relazioni, tanto più queste ci gratificano, ci danno soddisfazione e ci procurano piacere. Questo genera necessariamente un ciclo virtuoso per il quale, dalla soddisfazione e dal benessere si attiva il desiderio di entrare in una maggiore profondità relazionale che ci procurerà ancora il piacere e il gusto per quell’incontro. Il benessere inteso proprio come benessere e benestare è un tratto distintivo dei rapporti tra le persone all’interno del Progetto Calamaio. È un benessere dato dall’intensità, dalla passione, come anche dalla leggerezza e dall’allegria che ognuno porta nel gruppo. Un’alchimia fortunata che fonda da sempre le sue radici su un aspetto che, parlando di disabilità, è molto interessante: l’ironia. Ancora una volta è il rapporto alla pari che ci aiuta, che autorizza l’educatore, il “normodotato”, a toccare l’intimità dell’altro, e quindi anche la sua disabilità, con il rispetto, ma anche con la leggerezza che diventa gioco e complicità.

Uno spazio dove prendersi cura delle proprie fatiche: il gruppo educatori
Conoscenza, creatività, relazione alla pari e benessere sono alcuni degli elementi essenziali in ogni relazione, affinché sia tale. Riempiono di calore e colore un percorso di accompagnamento e di cura che porta in sé anche un grande carico di fatica perché ci fa continuamente toccare con mano le fragilità, nostre e degli altri. Per mantenere alta la qualità del lavoro e del benessere di tutti, noi educatori sentiamo il bisogno di uno spazio fisico e temporale dove prenderci cura delle nostre fatiche fisiche ed emotive. Lo abbiamo trovato nel modo in cui viviamo il gruppo educatori: un luogo indefinito, senza una connotazione precisa, dove ci stanno i rapporti personali, gli affetti di tanti anni condivisi, la complessità di tutte le nostre variegate personalità e i diversi approcci lavorativi. È uno spazio che abitiamo in ogni attimo della giornata lavorativa, ma che, in alcune occasioni, ha bisogno di mettere un confine tra sé e il resto. Sono le settimanali riunioni educatori, dove il confronto fra noi non ha interruzioni e risulta più “produttivo” e, da alcuni anni, alcune giornate nel periodo estivo dove, in una sede distaccata, accompagnati da ogni comfort, rileggiamo il lavoro svolto nell’anno lavorativo appena concluso e programmiamo quello che da lì a qualche mese ricomincerà. È una vera coccola. Un’occasione in cui ci guardiamo in faccia, esprimiamo e condividiamo come stiamo, cosa sentiamo per noi e per le persone con disabilità e sappiamo di trovare ascolto e comprensione incondizionati.



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