10. Il giardino dei ricordi. Laboratorio di narrazione autobiografica e creativa per donne migranti
- Autore: Alessandra Gruppioni
- Anno e numero: 2009/1 (monografia su educazione, animazione e creatività)
di Alessandra Gruppioni, insegnante di scuola Primaria, counselor e conduttrice di laboratori di scrittura
L’idea di questo laboratorio nasce camminando.
Ho insegnato per tanti anni in un paese della provincia di Bologna, ad alto tasso di immigrazione fin dagli anni ’80.
Quando uscivo da scuola, camminavo per le strade, nei negozi, al mercato.
Camminando incontravo le donne “straniere”, mamme, zie, sorelle, dei miei scolari: avevano abiti colorati, spesso bambini in braccio, coglievo i loro sguardi intensi, ma ne avvertivo l’isolamento.
Le donne migranti non possono condividere le loro storie, i loro pensieri.
Vivono accanto a noi, senza la possibilità di parlarci, di comunicare.
Non conoscere la lingua del Paese in cui vivono e crescono i loro figli è per loro fonte di disagio e solitudine, che si vanno a sommare al senso di sradicamento e di non appartenenza dovuti alla lontananza dalla loro terra.
Difficilmente partecipano ai corsi di italiano per adulti, poiché hanno quasi sempre bambini molto piccoli e quindi non escono la sera.
Camminando pensavo: come fare? Come fare ad aiutare loro ad esprimersi, ad aiutare noi a non perderci l’immensa ricchezza di poter avvicinare altre culture?
Camminando e guardandole negli occhi, rispondendo ai loro sorrisi, ho cercato un modo di insegnare loro la nostra lingua, un modo nuovo che permettesse anche di raccontarsi e di condividere sentimenti ed emozioni.
Ed ho pensato al metodo autobiografico: la narrazione di sé è stata proposta come possibilità diversa di apprendere la lingua, non attraverso acquisizioni grammaticali, ma esprimendo la propria sensibilità e soggettività, le proprie emozioni, passioni, inclinazioni.
Il Laboratorio di Narrazione Autobiografica ha dato voce a queste donne, fornendo loro la possibilità di raccontare la propria storia, certamente ricca di ricordi, emozioni, esperienze.
Diario
È il primo incontro: non si presenta nessuna delle iscritte.
Penso che forse la mia idea non era tanto buona.
Poi, insieme alle organizzatrici del Comune, ricordiamo che quel giorno è la festa del Ramadan, la più importante per la Comunità Islamica.
Al secondo incontro vengono in tante, sono una dozzina, quasi tutte marocchine e tunisine, un paio rumene.
Sono giovani donne, dai 20 ai 30 anni circa, molte hanno con sé i bambini piccoli di 1 o 2 anni.
Alcune parlano un po’ l’italiano, quanto basta per capirsi con i negozianti, in posta, dal medico.
Qualcuna non ha neppure questa conoscenza di base.
Io sorrido, parlo lentamente e spiego che lì, in quello spazio, si parlerà di loro, delle loro storie, che poi scriveremo.
Mi guardano perplesse. Intanto un cellulare squilla, la signora parla nella sua lingua ventosa dentro il telefono, il suo bambino si sveglia e strilla.
Accanto a loro un’altra bimba succhia paciosa al seno della mamma.
Mi accorgo che dovrò accettare un po’ di confusione, qualcuna che viene, qualcuna che va.
Qualche altro bimbo gattona in giro; una più grandicella, e assai birbante, mi cancella con gusto la lavagna.
Le donne ridono.
Si può iniziare.
La lista di piaceri e dispiaceri, utilizzata per una prima conoscenza nel gruppo, viene scritta al termine del primo incontro.
Qualche ragazza è dubbiosa all’idea di scrivere in italiano, poi si lascia andare all’aspetto giocoso e… scaturisce questa delicata poesia collettiva.
PIACERI
Mi piace:
imparare bene l’italiano per aiutare i miei figli,
studiare,
tornare nel mio Paese per vedere mia madre,
avere la mia famiglia vicino,
abitare vicino alla scuola dei miei figli,
il cous-cous,
cucinare,
tenere pulita la mia casa,
portare a spasso il mio cane,
fare ginnastica,
il verde della natura,
il bianco, il rosso, il viola, il rosa, il nocciola.
DISPIACERI
Non mi piace:
il nero,
la sporcizia e i vestiti sporchi,
la matematica,
qualcuno bugiardo,
il rumore,
avere problemi,
la guerra.
La volta successiva, prima di iniziare a scrivere ascoltiamo una canzone marocchina che ha portato Jamila, parla di un bimbo che disegna e colora.
Poi ascoltiamo la musica berbera, proposta da Aicha: è allegra, da festa.
Le donne si alzano e danzano leggere, ridono.
Poi scrivono e disegnano.
C’è bisogno, dicono.
C’è bisogno, dico anch’io.
Infine scriviamo.
COLORI
Nero come il buio,
come i miei capelli,
il mio fazzoletto.
Verde come l’albero.
Bianco come la colomba,
il vestito del matrimonio,
lo zucchero,
la panna nella torta,
le uova.
Rosso come i fiori.
Marrone come la castagna,
il miele scuro,
il tronco degli alberi,
la porta, la cannella.
Bianco come la nuvola,
il formaggio,
i globuli bianchi nel sangue.
Verde come il giardino,
gli occhi della mia nipotina,
le montagne in primavera.
Bianco come il cuore delle mamme,
i fiori bianchi,
le montagne d’inverno.
Nero come un vestito bello,
gli occhi del mio bimbo,
le belle serate.
Rosso come la bocca dei bimbi piccoli.
Viola come i piccoli fiori che si chiamano viole.
Verde come l’erba,
l’albero,
l’insalata.
Bianco come la neve.
Rosso come la fragola.
Andando avanti nel percorso, condividiamo ricordi d’infanzia.
A tratti, fra le risate, si insinua la nostalgia di una Terra lasciata per necessità, la nostalgia per le persone care, rese ancora più distanti dal costo dei biglietti aerei.
DA PICCOLA, IO MI RICORDO…
“Non volevo che i denti cadevano. Mi ricordo la nonna che me li voleva togliere ma io scappavo!”.
“Io mi ricordo quando andavo in campagna a trovare i nonni.
C’erano le mucche con i vitelli: io li toccavo, loro mi leccavano.
Mi piaceva guardare mentre succhiavano il latte”.
“Da piccola mi piaceva andare ai matrimoni per andare dal parrucchiere e avere vestiti belli.
Mi piaceva guardare la sposa e ballare!”.
“Io mi ricordo quando, con le amiche, facevamo “la sposa”.
La “sposa” era una bambola e noi cucivamo i vestiti”.
Tutte le donne provenienti da Marocco e Tunisia, ricordano grandi scuole con splendidi giardini fioriti.
Raccontano di insegnanti severi ed esigenti, ma attenti a seguire classi con 35 e anche 40 alunni.
L’alunno più bravo, in ogni classe, riceveva un regalo.
In molte scuole, un giorno all’anno, c’era la festa della pulizia, durante la quale insegnanti e studenti pulivano insieme la scuola per renderla più bella.
A SCUOLA, IO MI RICORDO…
“La mia scuola era bellissima, le maestre erano molte: erano buone con i bambini bravi, mentre erano severe se non facevamo i compiti.
Mi ricordo quando sono arrivata tardi e il direttore mi ha picchiato sulle mani.
Era una classe femminile, c’erano 36 bambine”.
“Mi ricordo quando mettevamo i fiori in classe, il giorno della festa della pulizia.
Ho un ricordo triste: in palestra una mia amica è morta, nessuno sapeva che lei era malata al cuore”.
“A scuola avevo una maestra buona e una nervosa: si arrabbiava subito e urlava.
Mi faceva paura.
Mi piaceva studiare l’arabo: ero la prima della classe e ricevevo in premio dei regali”.
“Mi ricordo che il maestro era rigido.
Quando entrava noi dovevamo alzarci tutti in piedi e dire: “Bonjour monsieur!”.
Eravamo 36 alunni, mi piaceva quando giocavamo in giardino, l’intervallo durava circa 30 minuti”.
Alla fine di uno degli incontri precedenti le feste di Natale e Capodanno decidiamo di salutarci con una festa fra donne, col contributo di tutte.
Ce lo diciamo un po’ in fretta, già sulla porta, con i bimbi che, infagottati nei cappottini, premono per uscire.
Arriva il giorno della festa, io porto bibite e cioccolatini; risucchiata dalla mia vita frenetica non ho potuto preparare nulla.
Vista l’estemporaneità organizzativa, mi domando se le mie donne si ricordino della festa.
Eccole.
Arrivano alla spicciolata, con gli occhi che ridono e le braccia cariche di delizie, una addirittura con un “trolley” munito di ruote.
La tavola si ricopre di prelibatezze preparate con le loro mani e servite su preziosi piatti da portata.
Oumani, dalla valigia, estrae il the alla menta e il servizio “buono” per servirlo: teiera dorata sontuosa e deliziosi bicchierini variopinti e finemente decorati.
Nascondo gli orridi bicchieri di plastica che avevo predisposto e assaporo con grande piacere sia il cibo sia la lezione di stile che ho appena ricevuto.
Poi, via alle danze!
La preparazione dei piatti elaborati conduce al tema della manualità.
Negli incontri successivi conversiamo, pensando a tutte le azioni pratiche, quotidiane, ma anche creative che possiamo compiere attraverso le nostre mani.
Insieme creiamo una pittura collettiva con le impronte delle nostre mani intinte nei colori.
Infine Gail ci insegna uno stupendo gioco della tradizione Maori: in Nuova Zelanda, gli anziani lo insegnano ai giovani.
È un allenamento per imparare a usare le lance: ci mettiamo accovacciate, a coppie, Gail canta una canzone mentre noi, a ritmo, battiamo le mani e ci lanciamo i bastoni colorati, che teoricamente dovremmo afferrare al volo…
Che ridere! Quanto ci fa bene!
GRAZIE ALLE MANI
Perché toccano e sentono,
perché possono dare una carezza,
perché scrivono,
perché preparano il cibo, poi lo portano alla bocca,
perché sanno cucire,
perché pregano,
e aiutano i bambini,
perché sono utili,
perché danno tanto amore,
perché per i piccoli sono strumenti di conoscenza,
perché giocano,
perché fanno tante cose e curano le piante,
perché si stringono per dare amicizia e aiuto.
Spero, attraverso il diario, di avere saputo raccontare il clima relazionale accogliente, solidale, affettivo che si è creato nel gruppo.
Le donne sono state molto disponibili a darsi sostegno a vicenda, sia tenendo in braccio il piccolo di chi stava scrivendo, sia traducendo i racconti di chi non riusciva ancora a spiegarsi in italiano.
Mi sono sentita spesso in empatia con loro, poiché vivevo – per un istante – un rovesciamento della situazione in cui esse si trovano quotidianamente: immersa in varie lingue musicali e sconosciute, cercavo di comprenderne i contenuti captando intonazioni, espressioni del volto, gestualità.
Il rispetto reciproco, trasformatosi presto in affetto, ha portato a una positiva comunicazione: insieme abbiamo riso, cantato, danzato e – qualche volta – pianto.
Attraverso i loro racconti e la condivisione dei vissuti, le partecipanti hanno riflettuto sul proprio passato, sui cambiamenti, sulla propria condizione di donne in bilico tra due culture: quella d’origine e quella in cui vivono, lavorano, interagiscono quotidianamente.
In questo ambito, socializzante ma protetto, esse hanno potuto gettare le basi di un ponte per la loro effettiva inclusione nella realtà sociale in cui ora vivono.
Nel confronto con le loro diverse culture (Marocco, Tunisia, Pakistan, Romania, California, Nuova Zelanda) ho potuto verificare, ancora una volta, come il metodo autobiografico abbia un positivo riflesso in ambito sociale.
La storia personale di ciascuno di noi, se scritta e condivisa, diviene documento prezioso e si inserisce storia della comunità in cui viviamo.
Grazie a tutte le donne hanno condiviso con me questa esperienza, regalandomi momenti di tenerezza, commozione, divertimento e piacere. Grazie al cuore e ai pensieri delle amiche di Associazione d’iDee (www.associazioneidee.net) e di Adriana L’Altrelli, Assessora alle Pari Opportunità del Comune di Calderara di Reno.
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