3.1. Azioni di Memoria
di Giovanna Di Pasquale, lettrice e pedagogista
Contro la rimozione sociale
“Non per ogni oggetto c’è un nome, o per ogni proprietà un aggettivo, o per ogni azione un verbo. Anzi, è vero il contrario: soltanto pochissimi oggetti, proprietà e azioni ricevono la nostra attenzione, e vengono battezzati con una parola. Gli altri dobbiamo farli rientrare in quelli, con un processo di approssimazione che spesso diventa una semplificazione della complessità della realtà”.
I Centri di documentazione sono luoghi particolari nel panorama degli spazi culturali, “animali strani” che sfuggono alle classificazioni troppo rigide. Parenti stretti delle biblioteche, lavorano i materiali documentativi e informativi prendendo strade diverse: “diverso è il modo in cui nascono e crescono, diverso è il criterio di ordinamento, diverso è il modo in cui si fa ricerca”.
Proprio per questa eterogeneità che li caratterizza non possiamo parlarne in termini omogenei o tanto meno pensare che esista un modello unico e univoco di riferimento. Queste realtà, nate alla fine degli anni 60 lungo il territorio nazionale, hanno storie tutte declinate al singolare, difficilmente collocabili in categorie per la specificità dei temi che definiscono la loro presenza e orientano le loro azioni. Se ci facciamo aiutare, però, da qualcosa di simile a un processo di approssimazione si può evidenziare una forte vicinanza fra le motivazioni che hanno dato origine all’esperienza dei Centri di Documentazione che nascono e si impongono come catalizzatori di energie contro la rimozione sociale di temi percepiti come scomodi o residuali dal sentire comune. L’azione e l’impegno che caratterizzano queste realtà possono venire riletti soprattutto alla luce degli itinerari esistenziali delle persone. Queste relativamente nuove forme di archivi mettono, infatti, al centro della propria identità la soggettività della persona nella sua esperienza di singolo e nei legami con l’esperienza collettiva che le accomuna. Esiste e viene riconosciuto “un bisogno d’interesse e rispetto per le soggettività, che va molto oltre la dimensione propriamente storiografica o addirittura ne prescinde ponendosi sul piano esistenziale”.
La storia dei centri di documentazione, come storia dei luoghi di raccolta e rivisitazione delle forme del sapere, si incrocia molto strettamente con le vicende sociali e politiche del nostro tempo. Nascono in Europa intorno agli anni ’40 le prime raccolte di documenti personali e informali come i diari, le lettere, le fotografie che, con taglio sociologico, diventano strumenti di comprensione di fenomeni come l’emigrazione dei contadini dall’est europeo verso l’America o l’espansione urbana di grandi metropoli come Londra o Parigi.
In Italia dagli anni sessanta in avanti vengono fondati Centri ancora oggi attivi e propositivi; disegniamo una piccola mappa di questi luoghi segnalandone alcuni in una chiave di sintesi che non vuole e non può rendere con esaustività un panorama ben più ampio e composito.
A Milano nel 1966 viene fondato l’Istituto Ernesto De Martino “per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario”, a Pistoia nel 1968 nasce il Centro Documentazione, strumento di servizio nel campo dell’informazione e della controinformazione sui movimenti contemporanei. Nel 1975 a Torino è attivo il Centro Studi del Gruppo Abele sulle tematiche dell’emarginazione sociale. Due anni più tardi, nel 1977 a Palermo inizia l’esperienza del Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe Impastato sulle mafie e i diritti umani. Agli inizi degli anni ’80 a Bologna prendono avvio le attività del Centro Documentazione Handicap (1982), del Centro di documentazione, ricerca e iniziativa delle donne di Bologna (1982) e del Centro Documentazione del Cassero, espressione del movimento LGBT italiano (1983). Sempre intorno a quegli anni nascono due iniziative collegate al campo della scrittura autobiografica e popolare: l’Archivio dei diari Pieve Santo Stefano, Arezzo nel 1984 e l’Archivio della scrittura popolare nel 1987 a Trento.
Come si può intuire anche solo da un breve elenco di nomi e date la storia dei centri e degli archivi è tutta dentro gli eventi storici e sociali degli ultimi cinquanta/sessanta anni della nostra storia: la Resistenza, i movimenti femministi, le testimonianze di reduci delle guerre, le forme delle culture popolari, di genere e molto altro ancora…
Preservare il passato, curare il futuro
La motivazione legata al contrasto della rimozione sociale come elemento fondante nell’esperienza dei Centri, può essere ancora maggiormente attualizzata e resa anche in termini più operativi, se la si collega ad alcune delle parole chiave a cui i centri di documentazione fanno profondamente riferimento: memoria, progetto, rete.
Il termine “documentazione” richiama esplicitamente il concetto di memoria. Le pratiche di documentazione, i servizi che utilizzano questa funzione sono pratiche e servizi di memoria. Di una memoria che ha lasciato traccia, è stata resa organizzata e comunicabile sotto forma di documenti sempre più presenti oggi anche in una forma multimediale.
Questa pluralità di forme ci aiuta a ricordare come il termine documentazione vada inteso in senso ampio come una unità informativa resa stabile da supporti che la veicolano e la rendono fruibile.
Ma che tipo di memoria è quella su cui lavora un Centro di documentazione? Una memoria che segue il passo dei cambiamenti sociali e, in alcuni casi, li precede come una sonda esplorativa tesa a raccogliere elementi per comprendere meglio ciò che appena si intravede. Come si legge nel Centro Studi Gruppo Abele, “nella prima metà degli anni ’70, la maggiore visibilità pubblica del Gruppo Abele rese necessaria l’acquisizione di una documentazione più ampia, accompagnata da tracce di letture per renderla accessibile all’esterno […] L’area della documentazione si è sviluppata sulla base di questa attenzione e si è modificata nel tempo per rispondere alle richieste provenienti sia dall’esterno che dall’interno del Gruppo Abele, rinunciando a documentare tematiche già approfondite da altri Centri di documentazione, ma lavorando su tematiche nuove, che di volta in volta emergevano sulla scena sociale e diventavano aree di intervento da parte del Gruppo Abele”.
È quindi una memoria utile perché utilizzabile, come si evince dall’Istituto Ernesto de Martino: “L’Istituto Ernesto de Martino non è stato e non è solo un archivio: è stato ed è soprattutto – in quanto punto di raccordo tra interessi storici, sociostorici, antropologici ed etnomusicologici – un laboratorio per l’analisi del comportamento sociale del mondo oppresso e antagonista (modi di produzione, forme sociali derivate e dinamiche che ne scaturiscono, processi di trasformazione e di ricomposizione della classe), per la valorizzazione della cultura orale (in particolare per la sua utilizzazione critica negli studi storico-antropologici) e del canto sociale vecchio e nuovo”.
Una memoria che non deve solo essere conservata per essere archiviata ma conservata per essere utilizzata. I centri svolgono una funzione di custodia della memoria realizzando laboratori di uso di tracce e documentazioni di esperienze proprio raccogliendo la sfida e l’impegno legato alla concezione di una memoria che è un modo per “aver riguardo del passato, ma anche un modo di preservare il futuro da pericolose semplificazioni e superficialità vivendo il presente con lo spessore della memoria e il desiderio del futuro”.
È una memoria del quotidiano quella che viene messa a fuoco e trattenuta: di ciò che è stato fatto, delle esperienze realizzate nel quotidiano, in ciò che si ripete tutti i giorni più che in ciò che si colloca nello straordinario. Memorie uniche perché legate ai percorsi biografici e a situazioni determinate, memorie multiple in grado di raccontare un periodo, un evento storico, un dramma sociale quando vengono accostate le une alle altre e rese maggiormente leggibili in una cornice più ampia.
Dall’Archivio delle scritture popolari di Trento: “L’Archivio conserva la memoria culturale scritta di uomini e donne appartenenti a ceti sociali medio bassi. Un vasto universo di scritture, di generi narrativi e documentari: sono diari, memorie autobiografiche, libri di famiglia, libri dei conti, canzonieri (di caserma, di guerra, devozionali), raccolte di poesie e di preghiere, ricettari di cucina che, tutti insieme, mettono in scena una sorta di Novecento autobiografico […] Altre scritture, come i libri di famiglia e i libri dei conti, sono legate alla casa e registrano l’andamento della vita quotidiana e lo sviluppo della famiglia”.
Emerge una memoria dei collegamenti che dalla rilettura di questa quotidianità si possono e si devono fare. Le esperienze raccolte, riorganizzate, rilette sono in grado di evidenziare delle buone prassi che per la loro natura sono legate al contesto di attuazione e probabilmente trasferibili solo a condizione di adeguarle e di riattualizzarle. “Una buona prassi è qualcosa che altri hanno fatto e che – nel loro contesto – ha funzionato, probabilmente perché aveva delle buone caratteristiche. Ed è su queste caratteristiche che il lettore è chiamato a curiosare, indagare e criticare, mettendole in relazione alla propria situazione e al proprio contesto”.
Per delineare ipotesi plausibili sul nuovo, su un futuro decisamente difficile da prefigurare, occorre usare una capacità di riflessione creativa che poggi su quanto si può apprendere dalle esperienze fatte da noi e da altri. Possiamo parlare, in questo senso, di una memoria che sostiene i progetti.
Evidenziare le possibili buone prassi presenti nelle esperienze, recuperarle e metterle in circolo: questo è uno dei mandati di un Centro di documentazione. Non solo quindi raccogliere per non disperdere le tracce significative delle esperienze quotidiane ma utilizzarle come strumento per nuove e fondate progettualità.
Progettualità che cercano di sfuggire alla posizione di autosufficienza facendo muovere i Centri di documentazione verso una logica di rete non fittizia che si traduce in uno sforzo a collaborare, cooperare con altri e rimandare ad altri che in luoghi e contesti diversi si muovono con gli stessi intenti. Scrive il Centro di Documentazione di Pistoia: “Il Centro è sempre stato luogo di collegamento fra realtà sociali, politiche e culturali e punto importante per quanti vogliono fare ricerche sui problemi e i temi a noi contemporanei e collegare gli studiosi, centri, biblioteche, archivi e varie realtà culturali di movimento degli anni Sessanta Settanta e Ottanta attraverso le loro produzioni ‘grigie’, i loro volantini, i loro opuscoli”.
La rete dunque come azione reticolare per generare nuove configurazioni, condividere esperienze e scambiare professionalità, una strada da percorrere con convinzione per rafforzare l’identità dei Centri di documentazione come spazi di conoscenza e pensiero, due tratti oggi decisamente carenti nel panorama contemporaneo.
Centro Documentazione Handicap Bologna www.accaparlante.it
Istituto Ernesto De Martino per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario www.iedm.it
Centro Documentazione Pistoia www.centrodocpistoia.it
Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato” Onlus www.centroimpastato.com
Centro Documentazione Cassero Flavia Madaschi www.cassero.it
Archivio dei diari Pieve Santo Stefano Arezzo www.archiviodiari.org
Archivio della scrittura popolare www.fondazione.museostorico.it
3.2. Fare umanità prendendo se ne cura
di Elvira Zaccagnino, editore
Quando cominci a raccontare la storia del lavoro che fai, finisci inevitabilmente per raccontare anche quello che sei, che pensi, che provi a immaginare facendo quello che fai.
Sono circa ventisette anni che faccio l’editore perché la meridiana è una casa editrice che sta fisicamente in una città del Sud, della Puglia. Una città che alla fine degli anni Ottanta è stata attraversata, ma preferisco dire abitata, dall’esperienza di un vescovo che non lasciava indifferenti ma faceva la differenza.
Quando nella tua storia incontri persone come lui, puoi cogliere sfumature di senso su parole come impegno, responsabilità, cambiamento, cultura, comunità che ti danno la possibilità di scegliere con maggiore consapevolezza l’orientamento che vuoi dare alla tua vita.
La meridiana è nata trent’anni fa avvertendo il compito e la responsabilità di fare cultura del cambiamento a partire dal sud d’Italia allora avvertito come luogo dell’impossibilità al cambiamento, cronicamente malato di inerzia, destinato a essere punto terminale di un’Europa che, con la caduta del muro, spostava alle periferie di se stessa i confini.
Invece l’esperienza che negli anni Ottanta qui avvertivamo era quella che essere periferia significava cogliere e accogliere ciò che il centro non ha nemmeno la possibilità di vedere vista la distanza da ciò che è periferico: sperimentazioni, diversità, opportunità inedite.
L’impegno nelle attività di volontariato e nelle iniziative culturali che gravitavano nei gruppi diocesani, nelle parrocchie ma anche nei movimenti che si animavano grazie a don Tonino mi ha in qualche modo indirizzata naturalmente a pensare che la cultura è uno strumento forte per incidere nei propri territori e, a partire da questi, in ogni luogo dove si pensa che cambiare non solo sia possibile ma anche necessario. Un gruppo di ragazzi e ragazze, di adulti, avevano dato vita alla cooperativa la meridiana nell’87 a partire dall’esperienza di volontariato nei quartieri più periferici della città di Molfetta, paradossalmente collocati al centro della stessa città, obiettori di coscienza alcuni di loro, tra i primi a praticare questa forma di disobbedienza civile e costruttiva al servizio del Paese e della comunità, educatori e insegnanti altri. L’amicizia con alcuni di loro, la condivisione con loro di impegni mi ha fatto dire di sì quando Guglielmo Minervini mi chiese di “dargli una mano” a la meridiana. Una scommessa e una sfida. Colsi questo nella sua proposta. Così l’ho accolta e così la vivo ancora oggi.
Ci sono rimasta scegliendo di farne il mio mestiere. E devo dire senza alcuna esitazione oggi che il valore di un mestiere simile ha assunto dentro di me e va assumendo sempre di più valenza politica, di impegno civico e civile. Penso che scegliere un libro e quindi scegliere di pubblicare alcuni contenuti piuttosto che altri non sia una scelta indifferente. Scegli idee, proposte, esperienza da mettere in circolo.
Il catalogo de la meridiana fin dall’inizio ha scelto di declinare la parola Pace partendo dalla convinzione che questa si costruisce nella dimensione relazionale di ognuno, che è una dimensione educativa di forte responsabilità. Ci rivolgiamo ad adulti che avvertono il bisogno di fare del loro ruolo educativo una occasione di crescita per sé e per gli altri. Provo a spiegarlo meglio. Siamo tutti soggetti che vivono in relazione con altri: dalla famiglia, alla scuola, alla dimensione professionale – qualunque essa sia, – scopriamo noi stessi in relazione con l’altro, la nostra diversità e unicità. Facciamo esperienza del conflitto perché questo è proprio di ogni alterità. Ora, come decidiamo di attraversare questo conflitto fa la differenza di ognuno di noi. Se avvertendolo come opportunità di scoperta e miglioramento e quindi apertura e crescita o se chiudendo le nostre identità. Nella dimensione relazione consumiamo la nostra esistenza. Assunto questo, le nostre collane (cominciano tutte con la P) e i nostri libri si rivolgono a educatori, genitori, operatori del sociale, a quanti vivono la spiritualità non come assunzione di pratiche religiose vuote ma come dimensione della ricerca di ciò che è sacro in ognuno.
Di un catalogo così scopri, guardandolo a ritroso, che ha parlato di inclusione senza farne l’unica bandiera, di impegno politico senza farne una dimensione partitica, di opzione educativa prioritaria senza propagandarla con slogan. Credo oggi che la trasversalità caratterizzi i nostri lettori e i nostri testi. Un insegnante generalmente è anche un genitore, vota e quindi è un cittadino. Può essere o no un credente ma certo ha una visione del mondo e del suo senso più intimo. Certo, la nostra è una nicchia di lettori rispetto alla moltitudine. Ma i nostri sono libri che agiscono per contagio, perché usati come strumento. Forse è solo questa la ragione per cui nel nostro catalogo circa il 40% dei titoli resta vivo (cioè più volte ristampato) anche dopo 10 anni dalla sua prima uscita.
Abbiamo sempre inteso che pubblicare libri non fosse l’unica cosa che un editore può fare. Forse perché molti dei nostri libri nascono da esperienze e sperimentazioni, una volta pubblicati facciamo in modo che presentazioni, incontri, momenti formativi creino occasioni di incontro tra autori e lettori. Ho personalmente del libro e quindi dell’autore e dell’editore una visione militante. Non il salotto e i circoli letterari ma le occasioni per incontrare e far incontrare l’offerta proposta dal libro e chi sta cercando, in quel momento della sua vita, di partire da un bisogno, un confronto. Non è facile, e non sempre e in egual misura con tutti i libri, ma il provarci costantemente e farne la misura della propria identità è la traccia che proviamo a seguire con costanza. Per questo ci sono i corsi di formazione per gli insegnanti ma anche la presenza a convegni, gli incontri nelle scuole che cerchiamo di costruire intorno ai nostri libri, l’uso della comunicazione attraverso i social non solo in termini commerciali ma ragionando di contenuti e provando a cercare i nessi tra la realtà e quello che culturalmente si può fare. Trasferire e condividere un pensiero non un prodotto qual è diventato il libro.
La cultura, dico spesso, riprendendo una definizione splendida di Francesco Remotti, ha la stessa radice di cura (colere). Gli antropologi parlano di cultura intendendo il prendersi cura dell’umanità e la cultura è cura dell’umanità, è un fare umanità prendendosene cura: provando, ricercando, accudendo all’umanità che è in ognuno. E questo è un tempo in cui arrivare alle radici dell’umano che è in ognuno di noi, frammento di una umanità più ampia, rende necessario il mestiere che faccio. E farlo con la meridiana è ancora una sfida e una scommessa.
L’ultima iniziativa de la meridiana: La bottega dei genitori
Un vecchio adagio diceva che genitori non si nasce ma si diventa. Vero. Anzi verissimo. Aggiungiamo che una volta diventati genitori non si smette mai di imparare. Crescono i figli e cresciamo noi nel nostro impegno educativo con loro. Cambiano i tempi, le domande e le esigenze: le preoccupazioni e anche le occupazioni. Quella della genitorialità è una vera e propria bottega dove imparare avendo imparato ma allo stesso tempo sperimentando. Come nelle vecchie botteghe artigiane si crea dal nulla qualcosa di prezioso: la relazione unica con i nostri figli. Strumenti, attrezzi, talento e tanta cura, oltre che tempo sono necessari. E maestri di bottega che con pazienza ci accompagnano nel capire come essere genitori non secondo un modello prestabilito ma secondo l’unico e il solo modo che può renderci genitori dei nostri figli.
Apprendere la genitorialità. Non in una scuola. In una bottega che è anche luogo di incontro virtuale dove su temi e problematiche, esperienze e suggestioni ci faremo accompagnare per diventare non i migliori genitori del mondo ma quelli più in grado di prendersi cura, educando, dei propri figli in un dialogo aperto con gli altri.
Webinair (cioè seminari sul web), appuntamenti online con esperti (maestri e maestre di bottega).
Perché i mestieri più belli del mondo si apprendono andando a bottega.
3.3. Inciampare nei libri e nelle biblioteche
di Della Passarelli, editore
Credo che oggi più che mai debbano essere creati, salvaguardati e sostenuti luoghi dove la presenza di libri (e non solo: musica, teatro, arte, nuove tecnologie, cinema) possa promuovere relazioni, con se stessi e con gli altri, con il mondo e con il territorio che abitiamo. Luoghi dove ci si possa incontrare, parlarsi, prendere tempo, perdere tempo, conoscere.
Mentre scrivo (25 febbraio 2017) è appena accaduto un episodio di stupida violenza: due donne zingare, sorprese a frugare tra la merce fallata, vengono rinchiuse, insultate, sbeffeggiate e “messe in rete” da due o tre maschi dipendenti del supermercato dove accadeva il fatto; episodio rimbalzato sui social che hanno mostrato il lato peggiore degli esseri umani: la violenza delle parole a sostegno degli “eroi” che si sono divertiti a diventare carcerieri è stata scioccante. Inammissibile, direi.
Mi sorprendo ogni giorno che passa di fronte alla incapacità che abbiamo di creare un sistema forte e lungimirante, che promuova cultura e conoscenza e che ostacoli con fermezza l’ignoranza e le ideologie pericolose che da questa derivano. Basterebbe studiare alcuni dati, leggere saggi e approfondimenti, per capire che non è degli zingari che dobbiamo aver paura. Ma forse di chi li rinchiude sì…
Eppure ci sono tante azioni, nelle scuole, nelle biblioteche, nelle associazioni, che potrebbero essere messe assieme, potrebbero essere sostenute e incentivate. Messe a sistema, non una contro l’altra ma una per l’altra. Sempre più difficile appare invece creare relazioni su obiettivi comuni e condivisi.
Qui sono stata invitata a scrivere di pratiche che invece possono testimoniare un cambiamento, possono essere spunto per il ribaltamento di stereotipi e la crescita di pensiero. Pratiche alle quali ho contribuito, grazie alle relazioni che attorno a queste si sono create.
A partire dalla nascita di Sinnos – la casa editrice che dirigo – in un carcere, quasi trenta anni fa. Alla fine degli anni ’80, nel Penale di Rebibbia a Roma, un piccolo gruppo di detenuti, italiani e stranieri aveva imparato a impaginare. E voleva costruirsi una possibilità di lavoro, per superare il carcere, per ritornare al mondo, aggiungendo qualcosa. Inutile ricordare qui quanto il lavoro sia elemento fondamentale della nostra repubblica democratica, sia la spina dorsale della nostra Costituzione. Che prevede, con l’art. 27, una pena mirata alla rieducazione. Vi consiglio di leggere su questo Fine pena ora, di Elvio Fassone (Sellerio 2015).
Da quel luogo dimenticato e terribile quale è il carcere, nasce Sinnos, che ha aggiunto qualcosa – come tutti i progetti editoriali che si rispettino – per i giovani lettori.
Ha fatto conoscere loro le storie delle persone che stavano iniziando ad abitare il nostro paese, le loro lingue e le loro tradizioni. Per non generalizzare mai. Per pretendere di comprendere e di scegliere come comportarsi. E oggi continua a farlo, cambiata senz’altro, alla ricerca di letteratura piuttosto che di testimonianza ormai. Ma con un timone ben fermo sulla qualità delle storie, della loro scrittura e delle loro illustrazioni, capaci di portarsi dietro valori e contenuti dai quali eravamo partiti.
I libri hanno questo grande valore: quello di aggiungere senso. Quando sono buoni libri. Trovo importante che persone che stavano saldando il loro conto con la giustizia, abbiano pensato a una casa editrice per ragazzi. Non una casa editrice qualsiasi. E così ho avuto il privilegio di assistere a un bel ribaltamento di stereotipi.
Che i libri possano cambiare molte cose, l’ho vissuto sulla mia pelle. E quando chi, più di ogni altro di noi, ha creduto nel progetto Sinnos e lo ha difeso contro perplessità e scetticismi, se ne è andato, troppo presto, è stato naturale ricordarlo con un progetto legato ai libri.
Dal 2005, ogni anno, Sinnos acquista i migliori libri per ragazzi, li aggiunge al suo catalogo, per fornire di una “Biblioteca di Antonio” una scuola che non abbia accesso ai libri e alla lettura, ma che abbia un progetto ben definito di biblioteca scolastica, che sia lungimirante.
Di luoghi così è piena l’Italia. Non ci sono biblioteche scolastiche. Pochissime biblioteche pubbliche con fondi adeguati. Pochissime librerie indipendenti. Luoghi dove ci sono libraie e librai competenti, capaci di farci conoscere autori che mai avremmo potuto trovare su motori di ricerca, ignorandone nome e opere.
C’è una storia che inevitabilmente doveva intrecciarsi con quella di Sinnos. Quella di Jella Lepman, ebrea tedesca fuggita dalla Germania nazista nel 1938; alla fine della guerra, nel 1945, viene riportata nel suo paese dall’esercito americano con il compito di rieducare donne e bambini. E capisce che solo i libri avrebbero potuto ridare all’infanzia tedesca pensiero e immaginazione. E far sì che quel paese potesse ricostruirsi, rinascere. La storia della Lepman è straordinaria. L’abbiamo tradotta in La strada di Jella. Prima fermata Monaco (Sinnos 2009), e stiamo iniziando a lavorare a una seconda edizione, più ricca di informazioni e speriamo di immagini.
La Lepman non si limita a far nascere la più grande biblioteca internazionale per bambini e ragazzi del mondo, la Jugendbibliothek (www.ijb.de), riconosciuta in tutto il mondo come il più importante centro di studio, di ricerca e di catalogazione della letteratura per l’infanzia, ma fonda IBBY, International Board on Books for Young People (www.ibby.org), in Svizzera, nel 1953. A questo comitato internazionale partecipano 75 paesi nel mondo; la presenza di un paese in IBBY consente anche la possibilità di candidare i propri autori all’Hans Christian Andersen Award , il premio nobel della letteratura e delle illustrazioni per ragazzi. I vincitori italiani per ora sono stati Gianni Rodari e Roberto Innocenti; vi consiglio di dare uno sguardo alle liste e leggere i discorsi di chi lo ha vinto. Vi renderete conto dell’importanza di questo settore dell’editoria.
La sezione italiana di IBBY cura diversi progetti, bibliografie e formazione. E stanno nascendo in questi ultimi mesi comitati locali, che possano sostenere progetti a misura, nella direzione della missione di IBBY.
Tra i progetti più “visibili” vi è senz’altro quello di Lampedusa, avviato nel 2012 che si è articolato attorno a due iniziative: la costituzione di una biblioteca per ragazzi a Lampedusa, dedicata ai bambini e ragazzi che vivono sull’isola e ai giovani ospiti del Centro di Primo Soccorso e Accoglienza e la realizzazione di una selezione internazionale di Silent Book, in collaborazione con la rete IBBY International e il Palazzo delle Esposizioni di Roma.
La creazione di una biblioteca comunale nell’isola ha una valenza altamente simbolica: Lampedusa è il simbolo di tutti i luoghi remoti dove bambine e bambini, ragazze e ragazzi, non hanno accesso a libri e lettura. A Lampedusa, su 6000 abitanti, ci sono oltre 1000 bambine e bambini, ragazze e ragazzi, tutti lampedusani. Hanno accesso alle nuove tecnologie, hanno tablet e smartphone, ma gli unici libri che aveva- no fino all’arrivo dei volontari IBBY, erano quelli scolastici o messi a disposizione dalla scuola. A Lampedusa non ci sono librerie né biblioteche. Ci sono molte sale gioco, in compenso. Il progetto IBBY Italia che si sta realizzando a Lampedusa è un’occasione per portare all’attenzione delle istituzioni e della società civile i bisogni di chi cresce lontano dalla lettura. Obiettivo del progetto è sostenere l’avvio della biblioteca, con la raccolta e donazione di libri, ma anche la formazione delle tante qualificate voci dell’editoria italiana per ragazzi, per promuovere testi di qualità. Alla biblioteca di Lampedusa sono stati donati più di quattrocento titoli personale. La Biblioteca che verrà è il nome dello spazio in via Roma 34, fino a che finalmente non verrà istituita, ed è stata, soprattutto per la popolazione dei più giovani, una scoperta straordinaria. Io stessa ricordo la fila, alle 7.30 della mattina, nel novembre 2013, di bambine e bambini della primaria, in attesa che noi volontari aprissimo la porta perché potessero prendere un libro, e parlarci, prima di entrare a scuola. Prendere un libro, parlarci. All’inizio il prestito era quasi una scusa per avvicinarci, ma poi i libri li hanno iniziati a leggere davvero e sono diventati ponti, motivo di discussione e condivisione. I volontari degli IBBY Camp si fermano sull’isola una settimana l’anno, generalmente in novembre. A un certo punto, i ragazzi più grandi hanno chiesto di essere formati per gestire in autonomia la biblioteca, almeno un paio di giorni a settimana. Ecco il capovolgimento: da che li lasciavamo cupi e silenziosi, traditi da questo nostro passare, senza fermarci, nel giro di un paio di anni bambini e ragazzi lampedusani sono diventati protagonisti dei loro desideri (e della loro biblioteca). Grande potere dei libri e delle relazioni e dei luoghi che permettono alla lettura e alle relazioni di realizzarsi. Attualmente sappiamo che i lavori nella Biblioteca per Ragazzi di via Roma 34 si stanno concludendo. Si tratta ora di capire a chi ne sarà affidata la gestione.
Lampedusa quindi come un laboratorio, che mostra quello che potrebbe accadere se rimuovessimo gli ostacoli alla lettura e ai libri, se facessimo in modo che i bambini e i ragazzi naturalmente inciampassero nei libri e nelle biblioteche: nelle strade dei territori che abitano, nelle scuole.
Lampedusa è l’isola dell’approdo di tanti minori che vi arrivano dopo viaggi terribili. Era questo il primo nucleo del progetto IBBY Italia, che poi si è andato a fondere con la realizzazione di una Biblioteca Ragazzi, dopo aver scoperto quanti fossero i minori lampedusani. Tutta IBBY Internazionale, attraverso la gestione e direzione della sua sezione italiana, voleva accogliere i bambini migranti con i libri. I libri senza parole (Silent Books) affidando il racconto alle sole immagini, riescono ad annullare ogni barriera linguistica e culturale. Libri particolarmente adatti a stimolare e facilitare l’incontro tra bambini di origini diverse e, al tempo stesso, utili per gettare solide basi per l’apprendimento di un vocabolario delle immagini, veicolo privilegiato nel mondo della comunicazione globalizzata.
La selezione bibliografica attualmente è di 120 titoli, provenienti da oltre 20 paesi di 4 continenti, ogni titolo è arrivato in tre copie una delle quali rimane come fondo presso lo Scaffale d’Arte del Palazzo delle Esposizioni di Roma, a disposizione di ricercatori, docenti e appassionati; la seconda copia è necessaria per realizzare una mostra documentaria itinerante, che può circolare a richiesta in Italia e all’estero; la terza arriva alla biblioteca di Lampedusa. La raccolta titoli avviene ogni due anni e si arricchisce quindi naturalmente. I libri senza parole sono stati utilizzati con grande efficacia in particolare nell’ultimo IBBY Camp, del novembre 2016.
Sulla storia e le potenzialità del progetto IBBY – Lampedusa potete leggere I tesori della lettura nell’Isola dell’accoglienza, di Elena Zizioli e Giulia Franci (Sinnos 2017).
Leggere non è facile, ma quando diventiamo lettori allora possiamo essere in grado di interpretare la complessità della vita, possiamo essere capaci di ribellarci alle ingiustizie e di godere della bellezza delle relazioni. E noi, che siamo il presente del nostro futuro, che abbiamo il dovere di dare alla nostra infanzia tutti gli strumenti per essere consapevoli e un po’ felici, dobbiamo difendere e promuovere per loro il diritto di leggere.
Gli obiettivi di IBBY
Promuovere la cooperazione e la comprensione internazionale attraverso i libri per bambini e ragazzi. I libri offrono ai bambini una più ampia conoscenza delle altre culture, degli altri paesi, delle loro tradizioni e valori. In questo modo possono favorire il confronto positivo tra le nazioni e incoraggiare la pace e la tolleranza.
Difendere la possibilità di accesso a libri di grande qualità artistica e letteraria per i bambini in ogni luogo del mondo. La lettura allena il pensiero critico.
L’analfabetismo non è solo un problema nei paesi in via di sviluppo ma anche, sempre di più, delle nazioni industrializzate.
Stimolare la ricerca e lo studio della letteratura per l’infanzia, la produzione e la promozione dei libri per bambini e ragazzi.
Incoraggiare la pubblicazione e distribuzione di libri di alta qualità artistica, letteraria, grafica, editoriale per bambini e ragazzi, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Nel cuore di IBBY c’è la convinzione che, per diventare un lettore, ogni bambino abbia bisogno di incontrare buoni libri, ricchi di emozioni, interrogativi, dilemmi, esperienze e linguaggi artistici.
Sostenere la formazione professionale e la cultura di chi lavora quotidianamente con i bambini, i ragazzi e la letteratura per l’infanzia.
3.4. La Biblioteca che verrà–Pratica di cittadinanza attiva
Intervista ad Anna Sardone, insegnante Istituto omnicomprensivo Pirandello di Lampedusa e Linosa
Chi sei e di cosa ti occupi?
Non sono di Lampedusa, ma ci vivo ormai stabilmente da diversi anni. Nel 2003 il Provveditorato agli studi di Agrigento mi ci ha mandato per una supplenza annuale e mi sono innamorata dell’isola che, secondo un percorso comune a molti, mi ha conquistata più che nella versione chiassosa e affollata della stagione estiva che conoscevo da turista, per la bellezza della sua realtà invernale. Inoltre ho scoperto ben presto che è un posto che offre molti stimoli, in cui ci si sente veramente di costruire qualcosa. Molto più di quanto avvenga in altri luoghi, anche cittadini, che sembrano offrire maggiori opportunità, ma dove in realtà, forse, si dà tutto per scontato. Mi hanno conquistato, soprattutto, gli studenti che sembrano avere una marcia in più, un valore aggiunto di sensibilità e affetto.
Insegno italiano, storia e geografia (di ruolo dal 2007) presso la scuola secondaria di I grado nell’unico istituto scolastico delle Pelagie. Si tratta infatti di un istituto omnicomprensivo con classi che vanno dalla scuola dell’infanzia alla scuola secon- daria di II grado con i suoi tre indirizzi: alberghiero, turistico, scientifico. Un plesso distaccato si trova nella vicina Linosa. Gli studenti che frequentano la scuola sono circa 1000. È una popolazione giovane quella di Lampedusa, che conta complessivamente circa 6000 abitanti.
Il fatto di essere una delle poche insegnanti stabili mi impone di assumere, all’interno della scuola, anche incarichi di tipo organizzativo. Sono funzione strumentale e mi occupo della costruzione e attuazione del piano dell’offerta formativa: in sintesi, cerco di individuare strategie e obiettivi per il miglioramento delle competenze dei nostri studenti. Tra i progetti scolastici che organizzo o ai quali aderisco, quelli di promozione della lettura sono i principali.
Raccontaci quando e perché hai cominciato a interessarti al progetto della biblioteca.
Il mio primo incontro con IBBY Italia e con i suoi magnifici volontari è avvenuto 5 anni fa quando Deborah Soria mi propose di attivare una collaborazione con la scuola per l’organizzazione di una settimana dedicata alla lettura. Inoltre mi fu illustrato il progetto per l’apertura di una biblioteca per ragazzi, che potesse essere una risorsa per i numerosi giovani lampedusani e per i giovani migranti di passaggio sull’isola. Contagiata dall’entusiasmo di Deborah e delle altre volontarie, ho accettato di lavorare con loro. Così è cominciata quella che, nel corso di questi anni, è diventata una delle manifestazioni più attese dai nostri studenti di tutte le età, grazie anche al totale e convinto appoggio della Dirigente scolastica e del Collegio dei docenti. Nella settimana di novembre che coincide con la celebrazione dell’anniversario della Convenzione dei diritti dei bambini, i volontari di IBBY si recano in tutte le classi dell’istituto e propongono ai ragazzi laboratori e attività incentrate sui libri e sulla lettura. Ho cominciato così, insieme a studenti e colleghi, a conoscere e apprezzare il lavoro dei volontari e le finalità dell’associazione. Anzi io stessa vi ho aderito.
Nel frattempo ha preso corpo il progetto della biblioteca per bambini e bambine. L’unica biblioteca, se escludiamo quella piccola e un po’ datata della scuola. Mi pare importante precisare che sull’isola non esisteva, e non esiste neanche oggi, una libreria. Semplicemente a Lampedusa non si leggeva, né tanto meno era avvertita l’esigenza che ci fosse uno spazio per bambini e ragazzi per attività legate ai libri!
Viene individuato un locale da parte dell’amministrazione comunale e lì i volontari sistemano i libri che hanno provveduto a raccogliere: libri per ragazzi, albi illustrati e i bellissimi Silent Books, libri senza parole. I libri sono selezionati da editori, librai, autori e illustratori tra la migliore produzione per l’infanzia.
Nei primi due anni la “Biblioteca che verrà” – così l’abbiamo chiamata in attesa della sua esistenza definitiva e della ristrutturazione che il Comune promette in tempi brevi – rimane aperta solo in quella settimana di novembre, sede di letture ad alta voce e di laboratori artistici e base logistica dei volontari.
Come hanno reagito i ragazzi dell’isola? E i migranti?
I ragazzi lampedusani si sono avvicinati con interesse e passione e sono diventati essi stessi volontari, partecipando a pieno titolo a tutte le attività. È proprio da un gruppo di studenti del liceo che nasce l’idea di fare funzionare la biblioteca durante tutto il resto dell’anno.
Ancora non c’erano tutti i libri, la sede non era stata ristrutturata, ma non mancava la buona volontà e la fantasia! Davanti a una richiesta così appassionata e pressante, insieme ad alcuni adulti abbiamo deciso di provare. La biblioteca per bambini e ragazzi di Lampedusa, dunque, è aperta ogni mercoledì e ogni sabato, dalla fine di novembre 2014.
Certo non ci aspettavamo i risultati che abbiamo ottenuto; soprattutto non immaginavamo tanta disinvoltura da parte dei bambini nell’accostarsi a qualcosa di total- mente nuovo per loro. Già dal primo periodo di apertura, la presenza di ragazzi venuti a fare la tessera e a prendere libri in prestito è stata massiccia. Il gruppo di volontari ha avuto da subito il suo bel da fare e, con entusiasmo e positività, non si è certo tirato indietro: letture per i più piccoli, consigli ai più grandi, dei veri bibliotecari! Gli adulti (sempre pessimisti) pensavano: “è l’entusiasmo dei primi giorni, poi ci sarà un calo”. Nelle settimane successive il calo non c’è stato, anzi, sono aumentati i tesserati, i prestiti, i volontari, le maestre con i loro alunni, i genitori che accompagnano i loro bimbi e trascorrono i pomeriggi in biblioteca, anche adesso che ci siamo spostati in un locale alternativo in attesa della fine dei lavori di ristrutturazione. Non abbiamo mai saltato un giorno di apertura: nonostante gli impegni professionali o familiari dei volontari adulti, è stata garantita sempre la presenza di qualcuno e l’efficienza del servizio. Abbiamo cominciato a organizzare piccoli laboratori artistici e letture animate per gruppi di bambini. La biblioteca è diventata il loro spazio, dove entrano con spontaneità e naturalezza, dove leggono, ascoltano, giocano, disegnano, inventano… e crescono!
Capita (non spessissimo, ma qualche volta) che si fermino i ragazzi ospiti del centro di accoglienza e che chiedano di poter leggere qualcosa. I nostri volontari scelgono con loro libri in francese, in inglese, in arabo o… senza parole. Li leggono insieme, traducono in italiano, loro ricambiano insegnando qualche parola nella loro lingua. Tutto avviene con naturalezza e allegria. Impossibile organizzare qualcosa di più strutturato: la maggior parte delle volte sono passaggi veloci quelli dei migranti a Lampedusa.
La particolarità e la forza della biblioteca è che a gestirla sono loro, i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze di Lampedusa. Noi adulti li aiutiamo, ma i veri protagonisti sono loro. Come lettori sono diventati ogni giorno più esigenti: fanno richieste precise secondo i loro interessi. Oggi i tesserati sono più di 700, i prestiti circa 1900. Un vero successo, per un’isola dove non si leggeva!
Quali sono le prospettive per il prossimo futuro?
Non sappiamo bene cosa succederà nel futuro. Siamo in attesa che l’amministrazione comunale completi l’iter burocratico per l’attribuzione del servizio. Forse non sarà IBBY a gestire la biblioteca. Quello che tutti ci auguriamo è che non si perda un’esperienza importante e forse unica nel suo genere. Una pratica di cittadinanza attiva che coinvolge i giovani lampedusani e che arricchisce tutta la comunità.
3.5. Le parole giuste della Biblioteca della Legalità
di Michele Altomeni, presidente Fattoria della Legalità
“La mafia non esiste!”. Per decenni lo hanno detto i mafiosi, lo hanno ripetuto i politici loro amici e lo hanno confermato giornalisti distratti. Dovette morire Pio La Torre perché fosse approvata la sua proposta di legge in cui era scritto chiaro e tondo che la mafia esiste. E c’è scritto anche, in quella legge, che lo Stato, ai mafiosi, confisca i patrimoni.
E furono altre tragedie, la morte dei giudici Falcone, Borsellino e Morvillo e delle loro scorte, a convincere il Parlamento, sollecitato da un milione di firme raccolte dall’associazione Libera, a portare alcuni miglioramenti a quella legge, affermando che i beni dei mafiosi, oltre a essere confiscati, debbono essere riutilizzati con finalità sociali.
Ne sono passati di anni, eppure, non molto tempo fa, abbiamo dovuto sentire l’allora presidente della Regione Lombardia affermare che sì, la mafia esiste, ma non al Nord, è roba di siciliani, calabresi, campani…
Proprio nella ricca e laboriosa Lombardia, tra Erba, Lecco e Como, gomito a gomito con la ’Ndrangheta, checché ne dica l’allora presidente, operava una mafia locale seminando violenza per raccogliere ricchezze. Finché non li hanno beccati. A quel punto però il boss e la sua famiglia si erano trasferiti in campagna, nelle ridenti colline marchigiane, a Isola del Piano, un paesino di 600 anime. E, neanche a dirlo, nemmeno nelle Marche la mafia esiste.
Il casolare, come previsto dalla legge promossa da Libera, è stato assegnato al Comune, e da questi a un’associazione di volontariato che l’ha trasformata nella “Fattoria della Legalità”. Ma non ci sono animali, almeno per ora, non si coltiva la terra, per adesso. Si piantano idee, si semina cultura, si allevano speranze. È una casa dell’antimafia sociale, l’antimafia che nasce dal basso, dalla gente comune. Qui vengono ogni anno decine di classi di scuole di ogni ordine e grado, a sentirsi dire che la mafia in realtà esiste, ma ognuno può fare qualcosa per farla esistere di meno. E durante l’estate si organizzano campi di lavoro e di studio. E feste. La Fattoria è una stella. Puoi anche non andarci mai. Ma sai che c’è, e tanto basta a sentirti parte di una famiglia. Così ogni tanto arriva qualcuno con un’idea in tasca e pian piano quell’idea prende vita. Attira altre persone che cominciano a coltivarla.
E così è nata anche la Biblioteca della Legalità. Fin dall’inizio una storia alla rovescia. Sì, perché alla Fattoria un giorno è arrivata una grande libreria, dono della CGIL e di un mobiliere. Una libreria vuota, se la guardi, è come un bimbo affamato. Ti stringe il cuore e senti subito il bisogno di nutrirlo. E così, Elisabetta e Valeria, magistrati dell’ANM di Pesaro, hanno proposto di riempirla di libri per ragazzi. Abbiamo chiamato altri amici che di libri se ne intendono: IBBY Italia, il Forum del Libro, l’Associazione Italiana Biblioteche, l’ISIA di Urbino, editori, scrittori e appassionati lettori.
Il “manifesto” che ha unito tutti questi soggetti dice che “il progetto vuole diffondere la cultura della legalità, della responsabilità e della giustizia tra le giovani generazioni, attraverso la promozione della lettura, nella convinzione che le storie abbiano un ruolo fondamentale nella comprensione della realtà e siano strumenti utili anche per promuovere questi valori al fine di costruire un immaginario condiviso all’interno del quale il principio di vivere nella legalità acquista una centralità fondamentale”.
Da questo paiolo magico è nata una prima bibliografia di 101 titoli, dai libri illustrati per bambini più piccoli ai romanzi per i più grandicelli, ma anche fumetti, saggi e storie vere.
Quando i libri sono arrivati abbiamo capito subito che quel tesoro di parole non potevamo lasciarlo sugli scaffali in attesa che qualcuno venisse a sfogliarlo. E allora le abbiamo dato un nome. Bill, che sta per Biblioteca della Legalità, ma con una L in più per Libera, che non è solo un richiamo all’associazione di don Ciotti a cui ci sentiamo legati, ma anche al fatto che pur avendo nella Fattoria la sua casa, per lo più viaggia e incontra persone. Soprattutto bambini, alunni di scuole elementari e medie che durante l’anno scolastico decidono di ospitarla per un periodo ed entrare in quelle storie per tirarne fuori ciascuno i pensieri e i sogni che vuole.
Bill è di quelle creature ribelli che vogliono subito imparare a camminare con le proprie gambe e ampliare gli orizzonti. Così come le sono subito parsi stretti gli scaffali e le pareti della Fattoria della Legalità, ha ben presto alzato lo sguardo oltre le colline e i fiumi della provincia di Pesaro e Urbino. Ha allargato la famiglia trovando altre reti di persone, enti e associazioni pronte ad accoglierla e darle nuove case e strade da percorrere. Ed ora Bill è un’idea che si sta diffondendo in tutta Italia. Ne sono già nate ad Ancona, Padova e Alessandria. Ne stanno nascendo a Roma, Sabaudia, Piandimeleto, San Benedetto del Tronto… e a noi della Fattoria è già chiaro che nessuno potrà più fermarla.
È libera di andare dove vuole la nostra Bill, nasce per questo, per viaggiare e portare a spasso le sue storie. Però la sua forza è la rete, l’unione di tante idee e mani. Per questo ci siamo dati strumenti e occasioni per non perderci mai di vista e raccontarci sempre i paesaggi attraversati.
Per esempio, all’inizio di ogni anno scolastico organizziamo un incontro. Lo chiamiamo “Corso di formazione”, ma questo nome non rende l’idea del vortice di emozioni e di belle relazioni che ogni volta si creano. Vi partecipano gli insegnanti che vogliono ospitare la Bill, ma anche i referenti delle varie reti nate o nascenti in giro per l’Italia. A fine anno festeggiamo il ritorno a casa di Bill organizzando una giornata di giochi e creatività alla Fattoria con le scolaresche che hanno ospitato i libri. Sul sito e sulla pagina Facebook lasciamo traccia delle varie avventure.
Nel frattempo Bill è cresciuta. La bibliografia è passata da 101 a 202 libri. Anzi, a dire il vero sono 203, perché proprio in questi giorni è andata in stampa un’antologia interamente dedicata a lei.
La storia continua ma, piuttosto che scriverla, invitiamo te che hai appena letto questo articolo ad aggiungerne un pezzo facendo nascere anche vicino a te una Bill.
Per saperne di più:
Facebook: biblioteca della legalità info@bibliotecadellalegalita.it
Un’antologia dedicata a Bill
Parole, figure, libri per narrare ai ragazzi responsabilità, diritto, giustizia, dignità
I libri di una speciale biblioteca che vuole diffondere la cultura della legalità tra le giovani generazioni, attraverso la promozione della lettura, sono i protagonisti di Bill Biblioteca della Legalità.
Parole, figure, libri per narrare ai ragazzi responsabilità, diritto, giustizia, dignità, un libro, una antologia che offre una polifonia di voci, di parole e immagini, che intreccia scritture.
Storie firmate da magistrati, da scrittori, da editori, da figure diverse della società civile che, pagina dopo pagina, dichiarano lo spirito libero di Bill mentre IBBY Italia, in accordo con il Gruppo Bill, cura la regia del tutto. Intesse i fili, attesta l’esistenza di una comunità in un indice che accompagna il lettore nella lettura, offrendo parti- colari stazioni di posta in cui fermarsi a riflettere, a pensare, a sognare.
Bill è una pubblicazione che dichiara l’importanza della circolazione delle storie, delle narrazioni che si trasmettono da una persona a un’altra, che circolano come circolano i libri, passando di mano in mano.
Si propagano le idee, prendono forma i pensieri.
Un’antologia per tutti, grandi e piccoli assieme, dentro e fuori dalla scuola, dalla biblioteca, dalla famiglia, dalle aule di giustizia e in molti altri luoghi ancora, perché le storie qui contenute possano raccontare altre storie in un processo germinativo che vede le sue radici in parole importanti quali libertà, diritto, bellezza.
Silvana Sola Presidente IBBY Italia
Bill biblioteca della legalità – Parole, figure, libri per narrare ai ragazzi responsabili- tà diritto, giustizia, dignità, Bologna, Giannino Stoppani, 2017.
3.6. Biblioteca Collina della Pace–Un mondo di opportunità per una vita migliore
di Paola Tinchitella, bibliotecaria
Inaugurata il 23 aprile 2016 da Biblioteche di Roma, la Biblioteca Collina della Pace si erge sulla cima di una collina, per anni abbrutita da un ecomostro e dimenticata dal mondo, quale icona del bene che vince sul male, della legalità che schiaccia l’illegalità, della forza benefica data dall’unione dei cittadini e delle istituzioni per raggiungere un obiettivo comune e condiviso.
Una biblioteca e un centro di aggregazione per sottolineare, proprio in questi spazi comuni, il segnale forte di ciò che si può ottenere da un bene confiscato alle mafie, grazie all’impegno di ogni cittadino singolo o associato. La sua partenza è da ricercare in un legittimo desiderio di riqualificare la Borgata, il suo successo nella scelta di intraprendere il percorso attraverso la promozione e diffusione della cultura, con particolare attenzione alla diversità, all’intercultura, all’inclusione, al sociale. Uno strumento nelle mani di adulti responsabili che operano per seminare e far crescere nei ragazzi la cultura della legalità, la cura dell’ambiente circostante, l’attenzione verso i deboli e gli indifesi, l’inclusione di ogni soggetto a tutti i livelli.
I bibliotecari non si sono trovati soli nell’ideare e progettare attività e servizi destinati al territorio, attività e servizi che avevano come strumento centrale la promozione del libro. Grazie alla rete territoriale attivissima, preesistente alla nostra apertura, si sono potuti definire – in un anno di vita della Biblioteca – molteplici progetti che hanno coinvolto scuole, singoli cittadini, piccole e grandi associazioni che da sempre perseguono azioni di sostegno alla cultura della legalità in senso lato, della difesa delle minoranze, della prevenzione e del supporto all’ambiente e alla salute collettiva. In poche parole l’obiettivo è il bene comune!
Per la settimana di festa, dedicata all’apertura nell’aprile del 2016, non a caso è stato coniato il titolo Un mondo di opportunità per una vita migliore, pieno di promesse per questa estrema periferia che nasconde substrati di povertà assoluta affiancati da un grande bisogno di riscatto. Le attività che si sono alternate da mattina a sera hanno affrontato, in maniera ludica o laboratoriale per i più piccoli e sotto forma di incontri di formazione, laboratori e conferenze per gli adulti, i temi di legalità, beni confiscati, diritti umani, ambiente, che sono stati di orientamento anche per tutte le attività progettate in seguito, in un continuo confronto con insegnanti, ragazzi e genitori, associazioni, enti pubblici e privati.
Proprio nell’ottica dell’attenzione ai territori di confine e al disagio connesso a questa condizione, la Presidenza del Consiglio ha voluto che il Protocollo d’intesa e dei meccanismi di gestione del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile fosse presentato a Collina della Pace.
Questa realtà così attesa e oggi molto amata è una promessa mantenuta per i 3000 studenti che la popolano e, se analizziamo i tanti progetti messi in campo in questo primo anno, quello che sicuramente ha fatto la differenza nell’educazione e nella crescita di valori indiscussi per una società civile è stato mettere al centro il confronto e il rispetto reciproco, guardando al passato per migliorare il presente e garantire a tutti un futuro dignitoso. Tutti, ragazzi e adulti, sono stati maestri e alunni, dedicando anche parte del loro tempo libero per lavorare gomito a gomito a progetti comuni.
Tra i tanti, ricordiamo due progetti che hanno coinvolto gli Istituti comprensivi del VI Municipio di Roma: Ribelli della montagna con proiezioni dedicate, mostre e vetrine, incontri con gli ultimi partigiani ancora viventi e gli enti che ne custodiscono la memoria, e Leggo di te, leggo di me, partito nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne che ha trovato nell’inclusione del maschile e femminile il leitmotiv per prevenire la violenza, dichiarando chi siamo e cosa proviamo senza preoccuparci di sentirci fragili, maschi e femmine, anziani e bambini. Anche questo è un passo verso giustizia e legalità per imparare a distinguere tra male e bene, scegliere senza compromessi, riconoscere gli abusi e i soprusi, rifuggire l’ambiguità di una relazione malata che non rende felici e tantomeno liberi.
Tanti incontri e la scoperta della necessità di aprire all’interno della Biblioteca lo Sportello d’Ascolto Collina della Pace: una risposta al bisogno di sentirsi accolti senza condizioni, pregiudizi.
È stato dedicato spazio anche alle mamme in attesa e ai piccolissimi, con tante letture animate nell’ambito del progetto nazionale Nati per Leggere.
Abbiamo poi dedicato la Mediateca un giorno a settimana all’alfabetizzazione infor- matica di soggetti con disabilità cognitive medio-gravi coinvolgendo, in veste di tutor, anche gli studenti dell’Alternanza Scuola Lavoro. Anche questi sono passi importanti verso l’integrazione e la cooperazione per una società equilibrata nella condivisione del patrimonio culturale e del bene comune.
La cultura della legalità è da sempre la ragione d’essere di questa nostra realtà e del territorio che la circonda, il parco antistante la Biblioteca è stato intitolato a Peppino Impastato, giornalista e attivista ucciso dalla mafia, il cui ricordo è particolarmente caro agli studenti e alle associazioni di Quartiere. Fin dall’inizio, molte delle attività con i ragazzi sono state dedicate a questo filone, fra queste una maratona di lettura sul libro di Alessandro D’Avenia Ciò che inferno non è che ha visto utenti di tutte le età avvicendarsi alla lettura in sequenza delle pagine dedicate a Don Pino Puglisi.
Tutte azioni che trovano faro e guida in questa grande voglia di abbattere muri lasciando che la legalità innondi le nostre piccole e grandi scelte, facendo sì che lealtà e giustizia crescano insieme ai nostri figli e camminino con loro. Ogni persona entrata in Biblioteca dal 23 aprile ad oggi aveva negli occhi questo bisogno di partecipare al cambio di rotta, di rendersene protagonista. Lo stesso sguardo era nei nostri occhi di bibliotecari quando Silvana Sola e Della Passarelli, incontrando la nostra realtà l’hanno riconosciuta degna di essere una Bill – Biblioteca della Legalità per Roma e Lazio.
Ora tutti, bibliotecari, associazioni, studenti, insegnanti, cittadini attendiamo trepidanti la Biblioteca della Legalità a Collina della Pace, prevista per settembre 2017. Siamo tutti pronti a fare la nostra parte e a dare il nostro prezioso contributo. Anche questa sarà una bella sfida e ci vedrà coesi nel raggiungimento del bene comune. Avere cura delle periferie, delle aree e dei soggetti svantaggiati resta il nostro primo obiettivo e riconosciamo in Bill la prima prevenzione per la salute culturale e sociale delle generazioni future: liberi di leggere, liberi di scegliere.
3.7. Libri Sotto Casa, libreria itinerante in bicicletta
Intervista a Luca Ambrogio Santini, libraio
Raccontaci chi sei, cosa facevi e come ti è venuta in mente l’idea di una libreria viaggiante.
Diciassette anni fa, all’alba dei miei quarant’anni, decisi di cambiare decisamente vita. Oltre a sposarmi e diventare padre, ho scelto di lasciare il lavoro fisso per diventare imprenditore di me stesso trasformando in attività lavorativa due mie passioni: i libri e i dischi. Ho aperto una libreria in un quartiere di Milano che non ne aveva più alcuna, davanti al neonato Teatro Auditorium, casa dell’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi. Vendevo anche cd, avevo 45 metri quadri, un microstore di quartiere (era l’epoca in cui stavano aprendo ovunque enormi megastore).
Dopo tredici anni e diversi tentativi per salvarla ho dovuto cedere alla crisi economica e alla crisi di lettura e ho chiuso. Non volevo perdere tutti quegli anni di esperienza, lavoro e contatti con il territorio e volevo continuare a fare questo bellissimo mestiere senza i costi fissi a cui un negozio costringe. Ho scoperto il “commercio itinerante”, solitamente utilizzato dai caldarrostai o dai venditori di fiori agli angoli delle strade e l’ho unito a un’altra mia passione: la bicicletta. Così ho inventato la prima libreria itinerante a pedali, LibriSottoCasa, che da poco più di un anno è dotata anche di una rossa fiammante cargo bike chiamata Libretta, la libreria in bicicletta.
Cosa è di preciso “LibriSottoCasa”? Come sono organizzate le tue giornate? Dove trovi i clienti?
LibriSottoCasa è un tentativo di mantenere umano il rapporto tra libraio e lettore in questo periodo storico, caratterizzato dall’enorme successo delle vendite online. I miei clienti ordinano i libri via telefono, e-mail o incontrandomi per strada, ed io nel più breve tempo possibile provvedo al reperimento e alla consegna a casa o appunto sotto casa, cioè in una serie di negozi di vicinato che mi aiutano in questo. Tutti i giorni quindi vado dai grossisti per ritirare i libri ordinati e posso così vedere di persona tutte le uscite e le novità delle maggiori case editrici. Questo è molto utile per continuare a dare anche consulenza e consiglio: la parte più bella ed emozionate del mio lavoro. Posso creare una mia proposta tra le novità in uscita che porto sulla mia Libretta agli angoli delle strade del mio quartiere o molto più spesso a eventi della mia zona: presentazioni, incontri culturali, mostre, concerti, mercati, feste di piazza.
Un altro aspetto positivo importante che ha portato questo cambiamento, oltre all’abbattimento delle spese fisse, è il non avere più orari rigidi. Posso amministrare i tempi della mia giornata in maniera molto più libera e quindi trovare più spazio da dedicare alla mia famiglia.
La maggior parte dei clienti me li porto dietro dall’esperienza della vecchia Libreria Largo Mahler, ma molti sono anche nuovi, probabilmente affascinati da questo modo diverso di ricevere i libri direttamente da un libraio con cui poter anche scambiare pareri e impressioni sui libri e non solo. Rinunciano per questo anche agli sconti importanti che la concorrenza online può proporre.
Quali sono le tipologie di libri che ti vengono più richiesti?
Non ci sono generi più richiesti, anche perché le quantità di venduto non sono altissime (rispetto a quando avevo il negozio ovviamente le vendite sono molto diminuite). Diverso è ciò che vendo sulla mia libreria ambulante: lì propongo molti libri per bambini e narrativa, più una piccola specializzazione sui libri che trattano di mobilità dolce, o meglio di urban bike, tutto ciò che concerne il muoversi in bicicletta in città. Inoltre tendo sempre a proporre piccolissimi editori, con cui ovviamente esiste un’affinità.
Ti occupi anche di libri per ragazzi?
Certamente sì. Da quando ho incominciato a fare il libraio ho tessuto una serie di rapporti importanti con le scuole del quartiere. In molte di esse organizzo settimane del libro in cui per diversi giorni una libreria si sposta a scuola, i bambini per una volta possono scegliere i libri che preferiscono e hanno anche l’occasione di incontrare scrittori e illustratori. Mi piace molto il mondo dell’editoria per ragazzi, che è anche uno dei settori meno in crisi in assoluto.
Raccontaci qualche episodio particolare (la richiesta più strana, il luogo di consegna più lontano e/o più “lontano” dall’idea di lettura…)
Non mi vengono in mente episodi da segnalare, diciamo però che la caratteristica della mia attività, ma lo è in generale per i librai indipendenti, è quella di non arrendersi davanti ai difetti del mercato e tentare sempre di soddisfare il cliente, anche nei casi più difficili. Magari bisogna ordinare un libro da pochi euro a una piccolissima casa editrice in Sicilia e le spese di spedizione superano il margine di guadagno della libreria. Ma lo si fa perché il nostro è un servizio. Vedere la soddisfazione di una persona che si è riusciti ad accontentare nonostante sapesse della difficoltà di reperimento del libro è impagabile.
A casa degli anziani mi capitano le scene più emozionanti: c’è chi mi offre un caffè, chi un bicchierino, tutti mi fermano per chiacchierare un po’.
Spesso mi capita di consegnare libri presso uffici o imprese le più diverse. Oltrepassare certe cancellate di multinazionali con la mia biciclettina, per di più per consegnare dei libri, oggetti anomali lì dentro, è certo un’esperienza strana, diversa. Vengo a conoscere mondi a me molto lontani, ma spesso persone interessantissime.
È ancora necessario documentare, raccogliere e creare luoghi (intendendo con luoghi anche un’esperienza come la tua) in cui il libro sia al centro e diventi strumento oltre che di conoscenza anche di relazioni e superamento delle differenze? Cosa ne pensi? Il libro, secondo la tua specifica esperienza, è ancora un ponte, come diceva Jella Lepman, per immaginare un futuro nuovo?
Il libro è un oggetto che può aiutare a soddisfare i bisogni delle persone, esattamente come del buon pane di un capace fornaio o i giusti chiodi di un esperto ferramenta, ma il libraio, come il bibliotecario, ha un ruolo diverso, non soddisfa solo quel bisogno del cliente, gliene propone di altri, gli propone “il mondo”. Attraverso la lettura si arriva dappertutto, si viaggia nel tempo, nello spazio, ma soprattutto dentro se stessi.
Ci sono sempre meno librerie, meno edicole e meno biblioteche, ma l’uomo non ha mai letto tanto come in questo periodo. Solo che non legge libri ma legge su supporti elettronici, si informa sui social network e lì interviene su tutto come non si è mai fatto nei tempi passati. Ma questa è una cultura spezzettata, e la scuola ci mette del suo: noto che i giovani di oggi non sempre hanno il senso del tempo e dello spazio.
Dobbiamo aiutare le persone a tornare al libro, che sia cartaceo o digitale, perché è un’esperienza che non ha eguali.
Quindi è importantissimo il ruolo del libraio indipendente che deve essere da sprone ai lettori e tra gli indipendenti quella manciata di itineranti (in Italia siamo sei o sette) che portano i libri alla gente, che li fanno uscire dai luoghi accademici.
3.8. La Grande Fabbrica delle Parole–Parole per tutti, nessuno escluso
di Francesca Frediani, responsabile de La Grande Fabbrica delle Parole
I muri sono il contrario dei ponti. Impediscono di guardare al di là. Non si possono attraversare. Rendono quello che c’è dall’altra parte inaccessibile.
Alcuni bambini davanti alla parola scritta, ai libri, ai luoghi della cultura trovano dei muri. Invisibili, ma ugualmente inesorabili.
Sara è ipovedente. Prende un libro, lo avvicina agli occhi e lo rimette sullo scaffale scuotendo la testa.
Xiao è arrivato in Italia da poco. Ha nove anni, e non sa scrivere né in italiano né nella sua lingua di origine. Non parla: sta chiuso in un silenzio che è allo stesso tempo un riparo e una prigione.
Davide disegna molto bene. Quando gli suggerisco di andare alla pinacoteca di Brera, per copiare i disegni dei grandi artisti e imparare da loro, mi risponde che lui a Brera non ci può andare. Lo caccerebbero fuori, dice, perché non è posto per lui.
Sara e Xiao li ho incontrati a La Grande Fabbrica delle Parole, il laboratorio di scrittura di Insieme nelle Terre di mezzo Onlus di cui sono responsabile, che si occupa soprattutto di bambini e ragazzi a rischio di marginalizzazione culturale. Davide è il motivo per cui faccio questo mestiere. L’ho conosciuto anni fa in una scuola forte- mente “di frontiera” dell’hinterland milanese e le sue parole non le ho mai digerite. Mi ha fatto capire quanto siano reali ed efficaci le pareti invisibili che impediscono l’accesso ai luoghi della cultura.
La Grande Fabbrica delle Parole non è solo un laboratorio di scrittura, in cui imparare a conoscere i libri mettendosi in gioco in prima persona. È soprattutto un incessante lavoro di smantellamento di barriere. Ha sede a Milano e lavora principalmente con i bambini e i ragazzi delle scuole primarie e secondarie di primo grado.
Per raggiungere le scuole con gli alunni più a rischio e non creare disparità di accesso i suoi laboratori sono gratuiti.
Dal 2009 a oggi più di 7000 bambini e ragazzi hanno partecipato gratuitamente ai nostri laboratori, grazie anche alla qualificata e appassionata presenza dei nostri tutor-volontari.
La metodologia riprende il modello di 826 Valencia, scuola di scrittura non profit creata dallo scrittore Dave Eggers e dall’educatrice Ninive Calegari a San Francisco. Siamo stati i primi, nel 2009, a portare questo modello in Italia, e l’abbiamo integrato con l’eccellenza italiana (Rodari, Munari, Lodi, Montessori). Abbiamo lavorato e lavoriamo perché ogni attività sia totalmente inclusiva, accessibile e fruibile con soddisfazione da qualsiasi livello di competenza linguistica e cognitiva.
Sono tante le attività di scrittura, e ogni anno ci arricchiamo di belle ed eclettiche collaborazioni (dal rapper Dydo Huga Flame al Museo degli strumenti musicali antichi del Castello Sforzesco, dal Museo del Novecento ai Cracking Art, da Accaparlante e il Pio Istituto dei Sordi a Dave Eggers).
Al laboratorio i bambini trovano insieme le parole per raccontare la propria storia, si danno il permesso di sbagliare – perché gli errori raccontano di strade nuove che hanno provato a percorrere, invece di accontentarsi di quelle già segnate –, fanno esercizio del diritto all’espressione, sancito dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
Insomma, vivono la cultura nel suo significato più profondo, quello di territorio di ascolto reciproco, di arricchimento di senso, in cui ogni singola storia conta perché unica.
Quello che facciamo noi adulti è semplicemente rimuovere gli ostacoli che si frappongono tra i bambini e la gioia di raccontarsi con la propria voce autentica. Alcune volte si tratta solo di sedersi alla loro altezza, invece di “troneggiare” dall’alto, per eliminare una distanza che alcuni di loro traducono in aspettative a cui conformarsi. In altri casi la sfida è più difficile. Per ogni bambino bisogna trovare la parola giusta, o il silenzio giusto che lo faccia sentire accolto.
Altre volte bisogna individuare, ad esempio, l’ausilio tecnologico che aiuti Sara a ingrandire le pagine del libro che ha preso in mano, in modo che possa leggerlo per davvero e non debba rimetterlo sullo scaffale.
Abbattere muri.
Ne vale la pena, perché i bambini ci riportano ogni giorno non solo al senso autentico della scrittura, ma anche al senso autentico delle cose.
Per questo voglio concludere con i versi di un grande poeta, che ha appena imparato ad allacciarsi le scarpe:
“Io sono
l’odore dell’acqua
e il rumore del cielo”.
Omi, 9 anni
Per saperne di più: www.grandefabbricadelleparole.it
3.9. Storie per tutti
di Belén Sotelo Fernández, educatrice
La genesi del progetto
Qualche tempo fa ero immersa nella lettura di un libro che evidenziava, sulla base di svariate ricerche, come “i bambini con disabilità della comunicazione siano esposti meno dei coetanei sia al linguaggio orale che alla narrazione orale e alla lettura ad alta voce […] i bambini con disabilità e complessi bisogni comunicativi sono quelli che avrebbero più vantaggi dall’essere esposti alla lettura ad alta voce non prestazionale, anche molto precocemente, e che hanno più bisogno del ‘su misura’ e che spesso sono invece quelli a cui meno si legge, più tardi, e per i quali non si trovano mai libri adatti”.
Interessata da tempo alla accessibilità dei libri per l’infanzia, ora mi trovavo a interrogarmi sull’accessibilità alle letture ad alta voce, come diverse facce della stessa moneta.
Spesso nelle biblioteche ci sono iniziative di letture ad alta voce, talvolta in diverse lingue, letture tematiche per la ricorrenza di eventi, oppure eseguite con diverse modalità di “messa in scena”; ma queste letture, quanto o in che modo sono pensate per essere fruibili da bambini con disabilità? Qual è l’offerta culturale pensata per questi bambini, sia in termini quantitativi che qualitativi? I dati delle ricerche che parlano di bambini con bisogni comunicativi complessi, possono essere estendibili anche ai bambini con altri bisogni speciali?
È così che nel 2016 ha preso vita “Storie per tutti”, un progetto di letture ad alta voce accessibili, per bambini tra i 3 e gli 8 anni. Dopo una prima edizione sperimentale molto positiva di 3 appuntamenti è stata realizzata una seconda edizione con 20 ap- puntamenti itineranti per Bologna e comuni limitrofi (nonché appuntamenti straor- dinari, come ad esempio alla Fiera Bookcity di Milano).
Perché “Storie per tutti”?
Crediamo che l’accesso alla cultura e all’arte in tutte le sue forme sia un diritto di tutti e che esse debbano essere pensate prendendo in considerazione le diverse abilità. E così Storie per tutti nasce con l’intento di offrire ai bambini un’occasione inclusiva rendendo lo spazio/tempo del racconto un momento piacevole e fruibile da tutti, anche per chi non accede al libro e alla lettura in modo convenzionale. A tal fine vengono diversificati le modalità e gli strumenti comunicativi per rendere la lettura accessibile e coinvolgente con strategie di comprovata efficacia.
Riteniamo che le letture ad alta voce siano importantissime per qualsiasi bambino durante la prima infanzia per tutte le valenze che esse assumono, legate a modelli di comunicazione positivi e affettivi. Secondo Laura Anfuso, studiosa di letteratura per l’infanzia: “Leggere ad alta voce ai bambini è importante perché sollecita il loro desiderio di esplorazione e di scoperta, sviluppa la costruzione autonoma di un’immagine del mondo e di se stessi, favorisce la conoscenza di qualcosa di cui non sapevano di aver bisogno, nutre la capacità di dare un nome ai sentimenti, consente l’espressione libera e consapevole delle emozioni, nutre il bisogno di silenzio, di ascolto, di accoglienza reciproca, di un confronto aperto con gli altri”.
Questo progetto vuole essere un modo per dare una risposta alla mancanza di accessibilità alle letture ad alta voce e vuole promuovere l’accessibilità come fondamento della civiltà e della cittadinanza. In più vuole favorire una visione del ruolo sociale della persona disabile come cittadino attivo e favorire la sua partecipazione alla vita quotidiana della comunità.
Ci sembra importante poter offrire, soprattutto alle famiglie con bambini con disabilità, altri contesti dove poter vivere esperienze piacevoli durante il tempo libero, essendo spesso le esperienze di questi bambini, al di là della propria casa o la scuola, abbastanza limitate.
Ecco qui le parole di Emma, la mamma di un bambino che ha partecipato alle letture:
“Sono la mamma di un bambino con autismo di 6 anni, di nome Vittorio. I giorni più complicati sono per noi il sabato e la domenica, quindi cerchiamo sempre nuovi contesti e nuove situazioni per poter arricchire queste giornate per mio figlio. Vittorio inizialmente è stato accompagnato per questo percorso dalla nonna. Già dal primo incontro la nonna mi riferisce di un ambiente molto sereno, rilassato, adeguato ai tempi di attenzione di suo nipote, dichiarando tanta gioia nel vederlo molto interessato. Le letture successive sono risultate ancora più coinvolgenti. È ormai diventata una piacevole abitudine mia e di mio figlio seguire Storie per tutti. Sono rimasta affascinata dalla loro presentazione sulle intenzioni del percorso: ritenere che l’arte e la lettura siano diritti per tutti. Posso affermare che con questo percorso ciò è stato ampiamente garantito a mio figlio. Penso che vi siano tante esperienze di lettura con i bambini, ma in Storie per tutti ho notato la volontà, la competenza, la formazione per saper narrare anche ai bambini con fragilità. È una gioia immensa vedere tutta l’attenzione e l’interesse che ha mio figlio nel seguire le Storie”.
“Storie per tutti”… dove?
La volontà di portare questo progetto in luoghi pubblici e di coinvolgere individui svantaggiati e non risponde al desiderio di fare di questo momento un tempo prezioso di incontro, di socializzazione, di coesione della comunità agendo anche come opera di integrazione culturale e intergenerazionale e di sensibilizzazione empatica verso la diversità, cioè di legittimazione di rappresentazioni diverse.
Così, attraverso i nostri appuntamenti itineranti, le Storie sono arrivate a diverse biblioteche, spazi lettura, ma anche a luoghi più inusuali come parchi pubblici, ReMida Terre d’Acqua (centro di riuso creativo dei materiali di scarto aziendale) oppure al Galaxy, struttura per l’accoglienza di famiglie con problematiche abitative in cui abitano un gran numero di famiglie migranti e dove probabilmente il bisogno di occasioni come questa è molto grande ma le opportunità quotidiane molto minori.
Quali letture? Cosa significa “su misura”?
Per le storie ad alta voce utilizziamo 3 modalità diverse per cercare di renderle al più possibile “su misura”:
- Letture in simboli: il testo viene convertito in simboli utilizzando i simboli WLS (Widgit Literacy Symbols), utilizzati nell’ambito della Comunicazione Aumentativa e Alternativa
- LIS (Lingua dei Segni Italiana): le letture vengono accompagnate dalla traduzione simultanea in LIS
- Narrazioni polisensoriali: le letture vengono rappresentate sui diversi piani sensoriali offrendo ai bambini sollecitazioni tattili, uditive e olfattive.
Per “mettere in scena” le letture, utilizziamo svariate tecniche rappresentative tra le quali proiezioni, ombre, kamishibai, illustrazioni dal vivo. Alcune letture sono anche accompagnate con musica dal vivo.
Ecco i pensieri di Giulio un bambino che ha partecipato alla narrazione polisensoriale:
“Io sbirciavo un po’ perché se no con quei occhiali rimanevo cieco! Mi piaceva tanto l’acqua e la sabbia, mi ricordava il mare! Mi sono divertito un sacco ma poi non mi piaceva quando c’era la pioggia perché mi bagnavo i capelli e poi a casa mi devo asciugare con il phon. Poi meno male che il vento non era forte, se no volavo via!”.
Per la scelta delle storie, abbiamo cercato di fare una selezione molto accurata, in quanto siamo consapevoli della grandissima responsabilità che ha l’adulto in questo processo.
Le tematiche che abbiamo scelto sono svariate, ma sicuramente hanno la prevalenza storie che parlano del valore della diversità e dell’auto-accettazione insieme ad altre storie che raccontano il mondo che ci circonda in modo evocativo e con un’alta dose di senso dell’umorismo.
Altri criteri dei quali abbiamo tenuto conto nello scegliere le storie, sono stati la qualità delle illustrazioni e la complessità della loro possibile “lettura”, le suggestioni della storia, la ricchezza del vocabolario, l’equilibrio tra storie potenzialmente conosciute e altre inedite.
Presente che è futuro
Per concludere, riporto le impressioni di due genitori, una mamma e un papà i cui bambini (e loro stessi) hanno partecipato alle letture.
“Ho avuto il piacere di partecipare a due letture che, indirizzate a bambini dai 3 agli 8 anni, si sono rivelate un momento prezioso sopratutto per me: è stata un’occasione per sperimentare modalità di comunicazione speciali. In viaggio invento era una narrazione polisensoriale nella quale io e i miei due figli più piccoli siamo stati bendati; privati del senso della vista, ci hanno raccontato la storia permettendoci di visualizzarla attraverso tutti gli altri sensi con l’ausilio di materiali da manipolare, profumi da cogliere, musica, rumori, vento… una modalità di lettura molto diversa dalla classica lettura di un albo illustrato per bambini, per noi nuova ed entusiasmante nella quale mi sono sentita coinvolta totalmente sia nel ruolo di ascoltatore che di genitore ‘cieco’ accompagnatore”. (Francesca)
“Abbiamo partecipato diverse volte agli incontri di Storie per tutti e ogni volta è stata una piacevole scoperta. Molto bello il fatto di coinvolgere di volta in volta persone nuove che si mettono a disposizione con quello che sanno fare (suonare, raccontare storie…) e con la loro umanità. Un ringraziamento anche a loro! Tutti dovremmo mettere parte del nostro tempo a disposizione degli altri e soprattutto dei bambini.
Penso che ad Alessandro siano piaciute soprattutto le storie con la musica dal vivo (chitarra, tromba…) e le esperienze sensoriali, quelle in cui i bimbi toccano con mano, odorano e utilizzano sensi meno utilizzati come appunto il tatto.
Probabilmente sottovalutiamo il fatto che questi incontri costruttivi e divertenti per i bambini siano molto importanti anche per i grandi, per i genitori. Ad esempio in uno di questi incontri ho avuto modo di conoscere dei libri che ignoravo.
Libri che parlano ai bimbi della diversità. Ma parlano soprattutto a noi grandi, che abbiamo sicuramente più pregiudizi e paura del ‘diverso’ dei bambini”. (Marco)
Questi rimandi ci danno una grande gioia e una grande spinta per continuare a lavorare guardando al futuro, speriamo che Storie per tutti continui a crescere e che questo progetto diventi un “grido” per dimostrare e ricordare che l’accessibilità non deve essere un accessorio, un optional, ma deve assolutamente essere parte inscindibile della progettazione culturale.