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4. Un Bar Senza Nome

di Valeria Alpi

È nato nel 2012 il Bar Senza Nome, un locale del centro storico di Bologna, gestito da persone sorde. Un luogo che nel tempo è diventato molto apprezzato dai cittadini, con anche tanti eventi organizzati e occasioni di incontro tra non udenti e udenti. Ne abbiamo parlato con Alfonso Marrazzo e Sara Longhi, i due gestori.
Alfonso e Sara si sono incontrati quasi per caso, tramite amici comuni legati al “Gruppo Camaleonte”, associazione che promuove l’attività di artisti sordi. Il loro sogno era quello di organizzare eventi teatrali. “Per anni abbiamo organizzato eventi culturali per non udenti, ma non è affatto facile – racconta Sara. Per mettere in piedi uno spettacolo teatrale c’è bisogno di molto spazio, e non tutti i posti sono adatti, per non parlare dell’affitto, una spesa non indifferente”. Come trovare quindi i fondi per realizzare i loro progetti? “L’idea iniziale era quella di aprire un negozio con i proventi del quale finanziare le attività culturali che intendevamo creare –spiega Alfonso. Poi abbiamo capito che aprendo il bar avremmo potuto fare entrambe le cose. Abbiamo pensato che questo fosse uno spazio per fare diverse attività, per cercare appunto un luogo che avesse l’obiettivo di integrare sordi e udenti.
Un’attività lavorativa, ma anche culturale, per fare in modo che mondi diversi, situazioni diverse si incontrassero, diversi punti di vista si confrontassero, e quindi gli udenti potessero conoscere il mondo dei sordi e viceversa insomma. L’intento, infatti, era quello di far interagire i sordi con gli udenti, di metterli in qualche modo allo stesso piano in un luogo in cui l’interazione è davvero possibile”.
Difficoltà incontrate? “Siamo nell’era di Internet – dice Alfonso – quindi molti dei problemi che avremmo incontrato qualche anno fa come, ad esempio, il rapporto coi fornitori, adesso non si presentano neanche. In realtà, molte cose sono venute praticamente da sole. Le uniche difficoltà che abbiamo incontrato sono a livello istituzionale. Specialmente all’inizio avevamo bisogno sia di contributi economici, sia di sug- gerimenti pratici e di gestione, che nessuno ci ha fornito. In Italia non esistono leggi speciali per chi, affetto da disabilità, vuole aprire una sua attività”. “Un’altra difficoltà – aggiunge Sara – era per esempio come chiamarci da un punto all’altro del bancone e ci siamo inventati di muovere il lampadario quando uno di noi è di spalle e possa così comprendere che lo stanno chiamando. Questo significa che si possono creare, inventare, delle forme di comunicazione diverse. È anche stimolante e divertente. Gli udenti hanno scoperto che ci si può sforzare di diventare ‘sordi’ e noi viceversa. All’inizio chiaramente avevamo molti dubbi su come fare, quando abbiamo aperto il bar, i primi due mesi, pensavamo che gli udenti non sarebbero entrati, che si sarebbero spaventati, che avrebbero pensato che noi non li avremmo capiti, che ci sarebbe stata una forma di vergogna a bloccare la comunicazione. E invece col passare del tempo molti si sono affezionati, si sono appassionati al mondo dei sordi, e quindi ora abbiamo azzerato ogni preoccupazione”.
E quando serve c’è anche l’interprete, per le questioni commerciali e aziendali del bar stesso, ma anche soprattutto per gli eventi che organizzano. Il Senza Nome, infatti, promuove e organizza diverse iniziative culturali, come mostre, concerti, dj-set, presentazioni di libri, proiezioni di film e documentari, corsi di yoga o shiatsu, in collaborazione con Nunzia Vannuccini dell’associazione culturale Farm, che ne cura la programmazione artistica. Farm è anche l’associazione che ha dato vita a un altro bar inclusivo a Bologna, L’Altro Spazio, dove tutto è accessibile ai vari tipi di disabilità, sia motoria che sensoriale, e dove ci lavorano persone con disabilità (www.laltrospazio.com).
Noi ci siamo stati al Bar Senza Nome e vi raccontiamo come è andata.

Un pomeriggio al Bar Senza Nome
“Come si dirà mojito in lingua dei segni?” ci siamo chieste io e una mia collega all’apertura del Bar Senza Nome. Incuriosite siamo andate a provare lo spazio, e la prima impressione è stata che è davvero uno spazio da vivere. Si entra e ci si sente come a casa propria. Si può scegliere la zona preferita, tra tavolini di diverse altezze, materiali e forme, tra divani, un cortiletto interno, una sala al primo piano. Noi avevamo il pc portatile, e si può usufruire del wi-fi gratuito e occupare lo spazio per il tempo che si vuole, al costo di un caffè.
Ma è l’atmosfera che colpisce. Il bar è frequentato sia da udenti che da non udenti, per cui le forme di comunicazione convivono a volte separatamente, a volte si mescolano, a volte si integrano. Suono e silenzio vanno avanti alternati. I clienti udenti conversano fra di loro come in un qualunque locale, i non udenti conversano con la lingua dei segni; non udenti e udenti conversano fra di loro sia parlando coi segni (per chi conosce la lingua) sia parlando a voce, sia leggendo le labbra. Anche per ordinare si può scegliere la forma di comunicazione preferita, o quella con cui ci si sente maggiormente ad agio. Appesi all’ingresso ci sono tanti bigliettini con tutti i cibi e le bevande che si possono ordinare. Basta scegliere il bigliettino corrispondente a ciò che si desidera e consegnarlo al bancone. Ma è molto più bello andare direttamente al bancone e ordinare, guardando la persona dritta in faccia in modo che possa leggere le labbra. Noi abbiamo avuto fortuna: accanto al nostro tavolo c’era un insegnante di lingua dei segni che teneva una lezione privata a uno studente. Entrambi udenti. Così ne abbiamo approfittato e ci siamo fatte insegnare come ordinare un cappuccino e un caffè d’orzo con i segni giusti, e già che eravamo sedute accanto abbiamo imparato anche tante altre parole ed espressioni. Anzi, ci siamo rese conto che la lingua dei segni è molto più complessa di quanto pensano comunemente gli udenti. Non basta avere a disposizione dei segni che sostituiscono le parole.
Concordare aggettivi e sostantivi, concordare i verbi e le sequenze temporali richiede delle gestualità molto complicate e non è sufficiente conoscere la gestualità delle singole parole.
Arrivate alla cassa, abbiamo ottenuto uno sconto sul prezzo perché avevamo ordinato in lingua dei segni. Poi mi sono accorta che al piano di sopra c’era una mostra. Ho chiesto se si poteva visitare, ma il gestore mi ha risposto che stavano tenendo un corso di shiatsu e non si poteva disturbare. Al che ho esclamato: “Ma allora finora abbiamo disturbato!”. E lui: “Perché?”. E io: “Perché stavamo parlando forte [cosa di cui lui non si poteva ovviamente accorgere]”. E lui: “Ma sta andando la musica in sottofondo? Perché se sta andando non avete disturbato, la musica copre le chiacchiere”. Abbiamo riso insieme di questo dialogo un po’ surreale, è stato bello potere comunicare in maniera così spontanea le proprie reciproche difficoltà a sentire, a non sentire. Non ci sono filtri al Bar Senza Nome, non è necessario essere politically correct e trattare la disabilità in maniera retorica o pietistica.
Ho chiesto come mai hanno deciso di chiamarlo “Senza Nome”: la risposta è stata che in questo modo non ci sono barriere quando si arriva davanti alla porta, il bar non è caratterizzato dall’esterno come un bar di persone sorde.
Purtroppo però le barriere ci sono, quelle architettoniche: all’entrata il gradino è alto quasi il doppio di un gradino normale, come in molti locali del centro storico. I gestori dicono che non hanno avuto i permessi per abbattere le barriere esterne per mancanza degli spazi giusti. Peccato perché è davvero un ambiente accessibile e accogliente sotto tutti gli altri punti di vista, ed è stato molto piacevole sperimentare anche la dimensione del silenzio.

Per saperne di più:
Bar Senza Nome
via Belvedere 11/B, Bologna
Facebook: Senza Nome



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