3. Un indice puntato verso l’inclusione
- Autore: Massimiliano Rubbi
- Anno e numero: 2017/11 (monografia su lavoro e persone con disabilità)
di Massimiliano Rubbi
Parafrasando Giulio Andreotti, “non basta (saper) fare un buon prodotto: bisogna avere anche qualcuno che te lo compri”. Per questo diventano cruciali le relazioni di affari, uno dei benefit più rilevanti promessi dai programmi di certificazione proposti negli USA dal “DSDP – Disability Supplier Diversity Program”. Il programma è gestito dall’USBLN – Business Leadership Network, una non-profit che affilia oltre 5.000 imprese negli USA con l’obiettivo di “influenzare l’inclusione della disabilità sui luoghi di lavoro, nella catena di distribuzione e nel mercato”, e si rivolge tanto alle “DOBEs – Disability-Owned Business Enterprises”, le aziende il cui possesso è almeno al 51% in mano a una o più persone con disabilità, quanto ad altre imprese in cerca di “diversificazione della catena di distribuzione”: mentre le prime sono oggetto del processo di certificazione, le seconde vengono messe in contatto con esse per stabilire appunto relazioni di affari proficue (oltre, come si dirà, a essere oggetto di un diverso ordine di “valutazione”). Alle DOBEs vengono inoltre forniti seminari di formazione e tutoraggio formale in aree come accesso ai capitali, redazione di business plan, strategie di sviluppo e gestione della catena di distribuzione – e, in aggiunta, la possibilità di partecipare alla conferenza annuale USBLN, la cui 20° edizione, nell’agosto 2017, ha visto la presenza di circa 1.200 persone, tra cui oltre 500 dirigenti di impresa e settore pubblico.
Le DOBEs certificate al momento sono un centinaio, presenti in quasi la metà degli Stati USA, tra grandi aree metropolitane e zone rurali. Contro una facile aspettativa, circa un quarto di esse hanno una dimensione di mercato internazionale, in alcuni casi con fatturati nell’ordine dei milioni di dollari. Come sottolinea Philip DeVliegher, che collabora con l’USBLN come fondatore della società di consulenza pDe- vl, “la maggior parte sono o di proprietari unici, o, se sono una società, la maggioranza è di una o due persone con disabilità, su magari 2 o 3 proprietari di imprese ancorché grandi – non certifichiamo aziende quotate in Borsa”. Quanto ai vantaggi offerti dalla certificazione, secondo DeVliegher non possono essere citati singoli casi di imprese di successo perché “ne abbiamo di innumerevoli. Immagino che dipenda da come si definisce il successo, ma penso che molti direbbero di essere di successo. Molte, se non tutte le multinazionali che acquistano da queste imprese richiedono che esse siano certificate DOBEs, entro robusti programmi di diversificazione dei fornitori che includono imprese a proprietà femminile, di minoranze, e altre classificazioni certificate per proprietari di impresa che sono considerati svantaggiati negli Stati Uniti”.
L’adozione di sistemi di acquisto diversificati e orientati a categorie svantaggiate è una scelta volontaria ma consolidata delle grandi imprese, che in questo appaiono avere una posizione molto più avanzata del public procurement. Su 50 Stati federali, Massachusetts e Pennsylvania appaiono infatti gli unici due ad aver adottato (e solo dal 2015) impegni verso le imprese di persone con disabilità, estendendo a questo ambito i loro programmi rivolti alla valorizzazione di “piccole imprese diverse” gestite da minoranze o persone svantaggiate (donne, veterani, persone LGBT). Nel riconoscimento delle imprese di persone con disabilità, identificate sulla base della certificazione DOBE, ai due Stati si stanno affiancando nell’estate 2017 lo Stato del New Jersey e la città di New York. Come racconta Elaine Kubik, responsabile dei rapporti con i media per USBLN: “sono stata di recente a un evento tenuto dal responsabile del controllo di gestione della città di New York; hanno già un programma, vogliono diversificare il denaro speso dalla città per assicurarsi che vada a minoranze e donne in affari, e questo recente evento era per includere imprese possedute da proprietari LGBTQ e con disabilità. Stiamo vedendo questa sorta di ‘effetto domino’ in altre città; penso che in generale le città vogliano avere opportunità per diverse minoranze a tutto campo, per cui quando iniziano con le donne in affari, allora c’è una pressione per dire ‘OK, ma allora che facciamo di queste altre minoranze?’, e si inizia a espanderle”. Questa espansione, apparentemente tutta concentrata nelle “tredici colonie” lungo la East Coast, porterebbe le DOBE ad “aggredire” budget di spesa complessivi nell’ordine delle centinaia di miliardi di dollari, senza però prevedere, almeno fino a oggi, quote a loro riservate entro la spesa pubblica diretta o indiretta (tramite obblighi di sub-approvvigionamento imposti ai fornitori).
In base alla “Section 503” della normativa USA sull’handicap, solo le imprese che hanno contratti con gli organismi federali sono tenute ad assumere direttamente quote di dipendenti con disabilità – un obbligo stabilito solo nel 2014 e meno stringente di quello in vigore in molti Stati europei. Sarebbe auspicabile perseguire l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità non tramite più assunzioni dirette, ma con obblighi più estesi e vincolanti di inserire DOBEs tra i propri fornitori?
La risposta di DeVliegher è negativa: “Penso che sarebbe un problema, non risolverebbe la questione. Sappiamo che le persone con disabilità hanno un tasso di disoccupazione molto più alto, per cui lo scopo di questa normativa era di includere più persone con disabilità nella prassi dell’assunzione. Assumere persone con disabilità e includerle nella propria catena di distribuzione sono due cose differenti, per cui non penso che questo sarebbe efficace”. DeVliegher segnala anche che l’USBLN non ha mai rilevato se le DOBEs certificate abbiano o meno una politica di assunzioni più orientata a includere persone con disabilità nella propria forza lavoro rispetto alle altre aziende, e sta iniziando ora a raccogliere dati su questo.
Valori di mercato
Per le aziende a proprietà diffusa, o comunque non possedute da persone con disabilità, che mette in contatto con le DOBEs, l’USBLN, insieme alla AAPD – American Association of People with Disabilities, ha creato dal 2012 un processo di certificazione relativo alla disability-friendliness. Il “DEI – Disability Equality Index” si presenta come “uno strumento di benchmarking nazionale, trasparente e annuale che offre alle imprese l’opportunità di ricevere un punteggio oggettivo, su una scala da 0 a 100, sulle proprie politiche e pratiche di inclusione della disabilità”. L’indice si compone di valutazioni su diverse aree, per la maggior parte legate alla cultura e alle politiche adottate dall’impresa al proprio interno, e si basa su un’autodichiarazione dell’impresa richiedente, soggetta poi a verifica; solo le aziende che ottengono un punteggio minimo di 80 vengono rese note, e promosse come “DEI Best Places to Work” (nel 2016 sono state 69, tra cui giganti come Walmart, Axa e UPS). La diffusione pubblica di un buon punteggio nel DEI è rivolta ai clienti, in una logica di responsabilità sociale di impresa, ma anche e ancor più agli investitori effettivi e potenziali, come spiega Kubik: “negli Stati Uniti, quando società o individui hanno intenzione di investire in un’impresa, spesso guardano al risultato finanziario, ma sempre più guardano all’ESG – Environmental, Social and Governance Rating, che ne attesta la sostenibilità ambientale, sociale e delle pratiche di governo. Ci sono diversi strumenti di rating in giro, ma stiamo vedendo che i nostri partner aziendali usano davvero il DEI per integrare il rating ESG, perché vedono che la valutazione arriva solo fino a un certo punto, e quando hai un alto indice di qualità sulla disabilità, questo mostra una cultura aziendale migliorata, il mantenimento e la soddisfazione dei dipendenti, il che gioca un altro ruolo chiave nella performance di lungo termine dell’azienda. Funziona sempre più nelle due direzioni: i partner aziendali che ottengono un punteggio alto continuano a raccontarlo agli investitori, e anche gli investitori cercano da soli di vedere se le aziende hanno questo punteggio addizionale”. Non si tratta quindi tanto di far leva sul senso etico del pubblico per vendere di più, quanto di accreditare la propria capacità di creare valore nel tempo.
I consigli che l’USBLN darebbe a una persona con disabilità che voglia mettersi in proprio si riassumono in una analisi completa e coerente del contesto di mercato in cui ci si vuole inserire, e nell’“assicurarsi che il proprio prodotto/servizio a valore aggiunto soddisfi un reale bisogno e possa competere con successo sul mercato”: gli stessi che si darebbero a qualunque imprenditore in fase di avvio, senza alcuna specificità legata alla situazione individuale di handicap. Le certificazioni DOBEs, del resto, attestano la proprietà dell’impresa, non la sua capacità di creare effettivamente valore. Questo ci porta a uno storico nodo di fondo delle politiche di “azione positiva”: perché rivolgersi in modo preferenziale a imprenditori con disabilità, quando essi devono essere in grado di competere con e come tutti gli altri? La spiegazione di DeVliegher fa riferimento a un aspetto storico, più che etico in senso assoluto, e distingue tra “essere” e “stare” sul mercato: “da un punto di vista degli affari, un punto di vista del prodotto o del servizio, sì, dovremmo trattare tutti allo stesso modo. Ma quando si tratta di gruppi di persone storicamente svantaggiati, dobbiamo seriamente riconoscere che coloro che sono stati esclusi dalle opportunità nel procurement nel passato hanno bisogno di essere inclusi. Noi guardiamo quegli svantaggi, e rendiamo chiaro che vogliamo includere coloro che hanno quegli svantaggi. Quindi, uno dei nostri scopi è assicurarci che tutti siano in grado di sedersi a tavola e fare affari; questo non vuol dire che essi si procurino affari ‘alla fine della fiera’”.
La filosofia dell’USBLN e gli strumenti usati per tradurla in azioni concrete non ci risultano avere un analogo nel resto del mondo. È forse anche per questo che l’associazione statunitense ha recentemente deciso di “diventare globale” creando un registro aperto alle imprese esterne agli USA, cui è possibile autoiscriversi online alle stesse condizioni previste per le DOBEs, e tramite cui si può entrare in contatto con lo stesso sistema di aziende partner come loro “venditori potenziali”. Il registro è per USBLN un “primo passo naturale” verso una strategia di crescita globale per le certificazioni e gli indicatori di cui abbiamo parlato, ed è per gli imprenditori con disabilità un’opportunità in più per la penetrazione nel mercato statunitense e internazionale, rispetto a cui le aziende italiane, per ragioni dimensionali e storiche, hanno sempre incontrato non poche difficoltà.
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Continua a leggere:
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