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2. Fare impresa? Un’impresa…

di Michela Trigari, giornalista

La fatica di fare impresa. Per molti, ma non per tutti, o almeno non per chi lavora nel settore della mobilità accessibile. All Mobility è una cooperativa sociale di Reggio Emilia – con circa 400.000 euro di fatturato l’anno – nata nel 2004 in seguito al- la necessità constatata personalmente dai due fondatori, Maurizio Cassinadri e Gerardo Malangone (entrambi in carrozzina per via di un incidente), del bisogno di soluzioni per l’ auto, lo sport e il tempo libero delle persone con disabilità. Stanchi di lavorare alle dipendenze di due ortopedie, hanno deciso di mettersi in proprio per dare loro risposte più complete. All’inizio erano soltanto un centro Fiat Autonomy con simulatore di guida e pista di prova, poi si sono ingranditi ed è arrivata anche la commercializzazione di ausili e la partnership con il centro di riabilitazione “Cardinal Ferrari” di Fontanellato (Parma). Oltre ai due soci titolari, responsabili della consulenza, in All Mobility lavorano anche Marco Roncato (capo officina, anch’egli disabile) e altre quattro persone. Gianni Conte, invece, è un imprenditore marchigiano diventato paraplegico per via di una caduta dalla moto durante una gara di enduro. È l’ideatore di Triride, un propulsore elettrico per carrozzine made in Italy: una sorta di ruotino anteriore con il manubrio, facile da agganciare e sganciare, leggero, che garantisce un’autonomia di circa 50 chilometri su percorso pianeggiante. La sua è un’azienda giovane: nata nel 2013, ora ha partner-importatori in nove Paesi europei e a marzo Triride è stato selezionato come finalista del concorso per prodotti innovativi alla Fiera Naidex di Birmingham (nel Regno Unito). Poi c’è il designer torinese Danilo Ragona, che non cammina più a causa di un incidente, e la sua nuovissima Fixed, una carrozzina in vari colori e ruote intercambiabili per ogni terreno, realizzata sulla scia della precedente B-Free Multifunction dalla sua Able to Enjoy srl. Prima di loro c’è stata l’intuizione di Paolo Badano, imprenditore di Savona che da oltre vent’anni convive con la carrozzina per colpa della strada. Nel 2009 la sua attenzione viene rapita dal Segway, quel mezzo auto-bilanciante a due ruote con cui ci si sposta stando in piedi. Decide così di adattarlo al “popolo dei seduti” (come lui spesso definisce la disabilità motoria) e dopo due anni nasce Genny. Daniele Regolo, invece, un deficit uditivo grave, si occupa di tutt’altro: lui ha fondato Jobmetoo.com, un’agenzia per il lavoro online autorizzata dal Ministero del Welfare per la ricerca e la selezione di personale appartenente alle categorie protette, il cui team è composto da persone con e senza disabilità.
Queste sono tutte storie di successo. Ma la realtà è diversa o, perlomeno, multi- sfaccettata. Per quasi due anni, fino a dicembre 2016, ho curato la rubrica mensile “Che impresa” su Superabile Inail, il magazine per la disabilità dell’Istituto naziona- le per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Il tema più ricorrente? La difficoltà di stare sul mercato soprattutto per le cooperative sociali di tipo B (quelle che si occupano di inserimento lavorativo delle persone svantaggiate, tra cui anche i disabili), molto poche al Sud. Spesso infatti sono emanazione di un’associazione, hanno necessità di partecipare ai bandi sostenuti dal Fondo sociale europeo, di adottare contratti part-time per contenere i costi, di diversificare l’offerta di prodotti o servizi per arginare la concorrenza e di instaurare convenzioni con gli enti locali – i “clienti” migliori – per riuscire a sopravvivere (quasi la metà delle entrate di queste cooperative provengono infatti dall’amministrazione pubblica). Secondo il rapporto 2016 “L’impatto sociale delle attività di inclusione lavorativa in Italia”, realizzato dall’Osservatorio sull’impresa sociale di Isnet, sono 44.545 le persone disabili (per invalidità fisica, psichica e sensoriale) occupate nelle cooperative sociali di tipo B – che contano quasi 6.400 realtà iscritte all’Albo del Ministero dello Sviluppo economico – per un valore netto di oltre 103 milioni 650mila euro e con un ritorno sociale di 1,89, il che significa che per ogni euro investito per l’inserimento lavorativo di un soggetto disabile sono stati ottenuti risultati pari a quasi il doppio. Servizi ambientali e manutenzione del verde, artigianato, lavorazione per conto terzi, agricoltura, pulizie, logistica, ristorazione, grafica, informatica, call center e turismo accessibile sono i settori che vanno per la maggiore. “Ma se l’impatto sociale sul territorio mo- stra un lavoro molto positivo da parte delle cooperative di tipo B e una buona reattività rispetto alla crisi economica, ciò non vuol dire che siano tutte altamente performanti – commenta Laura Bongiovanni, presidente di Isnet e responsabile dell’Osservatorio –. Stentano a decollare soprattutto le convenzioni ex art. 14 della legge 276/03 (che prevedono il conferimento di commesse di lavoro alle cooperative sociali da parte delle aziende come parziale assolvimento degli obblighi di assunzione di lavoratori disabili) e la gestione del welfare aziendale, diffusi solo al Nord e in basse percentuali. Per restare a galla, però, occorre intercettare le trasformazio- ni, cogliere le opportunità e saper raccontare, narrare o comunque comunicare la cooperazione”. Nell’orizzonte delle imprese sociali che si occupano di inserimento lavorativo delle persone disabili o svantaggiate, infine, “ci sono anche innovazione e start up”, aggiunge Laura Bongiovanni.
La strada dell’imprenditoria, anche individuale, diventa dunque una via alternativa da percorrere. Anche perché, in tempo di crisi e di scarsità di lavoro, se si ha “soltanto” una disabilità fisica a volte conviene giocare la carta della propria professionalità in modo autonomo. I casi citati all’inizio ne sono un esempio. La stessa legge n. 104/92 per l’integrazione sociale e i diritti delle persone disabili prevede che le Regioni possano disciplinare agevolazioni per sostenere l’autoimprenditorialità e l’autoimpiego dei singoli. Nulla vieta, poi, di richiedere incentivi tralasciando la propria disabilità e puntando magari sull’appartenenza ad altre categorie: giovani, donne e disoccupati sono le più gettonate. Non soltanto a livello locale, ma anche nazionale (Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione di investimenti e lo sviluppo d’impresa di proprietà del Ministero dell’Economia, è l’organismo di riferimento). L’art. 8 del decreto legislativo n. 22/2015, emanato in attuazione del Jobs Act, inoltre, prevede l’erogazione anticipata e in un’unica soluzione della Naspi (la Nuova assicurazione sociale per l’impiego che ha sostituito l’indennità di disoccupazione) a titolo di incentivo per l’avvio di un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico abbia per oggetto la prestazione di lavoro da parte del socio.
Per finire, altre due buone notizie: il decreto sull’impresa sociale varato a fine giugno, in attuazione della riforma del Terzo settore, che prevede anche la parziale possibilità di distribuzione degli utili tra i soci e agevolazioni fiscali per gli investimenti di capitale, e il Fondo rotativo di garanzia e per il credito agevolato di 200 milioni di euro stanziato dal governo a sostegno di questo tipo di imprese, cooperative sociali comprese. L’obiettivo? Dare impulso e sostenibilità a nuovi e vecchi bisogni, anche a quelli delle persone disabili che lavorano al di fuori del collocamento mirato.



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