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6. Competenze in bottiglia: Vecchia Orsa, il retrogusto sociale della birra

di Valeria Alpi

Chiacchierata con Michele Clementel, presidente della cooperativa sociale FattoriaAbilità che ha dato vita al Birrificio Vecchia Orsa.
Si chiama “Utopia”, perché è un po’ “la birra che non c’è”, frutto di tante mescolanze di spezie che nel tempo si sono modificate nelle quantità e nelle scelte; un’altra si chiama “Magnitudo blonde”, nata dopo il sisma del 2012 che colpì l’Emilia e la vecchia sede del birrificio di Crevalcore; un’altra ancora si chiama “Rye Charles”, una birra nera che nel nome indica uno degli ingredienti, la segale (rye, in inglese), ma nella pronuncia è un omaggio al grande pianista cieco.
Sono solo alcune delle birre prodotte dal Birrificio Vecchia Orsa di San Giovanni in Persiceto, alle porte di Bologna. Le birre col retrogusto sociale, come si legge nel loro sito.
Tutto nacque nel 2008 dal desiderio di una cooperativa sociale, FattoriaAbilità, di creare un laboratorio per lavoratori disabili. Nel disegno iniziale c’era una fattoria didattica, ma il progetto non riusciva a partire. Poi l’incontro con due Mastri birrai, e la prima sede, una sorta di casa messa a disposizione dalla cooperativa: la cucina era la sala per la “cotta” e il soggiorno la zona imbottigliamento – oltre a uno sgabuzzino che fungeva, in pratica, da cella calda dove rifermentava la birra. Si trovava nel podere Orsetta Vecchia in via degli Orsi di Beni Comunali di Crevalcore, da cui fu tratto il nome Vecchia Orsa.
“Nella vecchia sede di Crevalcore la produzione aveva un elevato sapore di artigianalità: l’impianto era di piccole dimensioni, l’imbottigliamento e l’etichettatura venivano effettuate manualmente, tutti i lavoratori, disabili e non, attorno al tavolo.
Queste operazioni, apparentemente semplici, erano momenti di forte integrazione e di consapevolezza di essere veramente parte importante delle fasi produttive. La produzione artigianale si sposava indissolubilmente con l’attenzione alla persona e da subito è stato possibile far partire le prime borse lavoro e gli stage di lavoratori svantaggiati”.
Il terremoto del 2012 in Emilia, invece, segnò l’inizio della seconda vita di Vecchia Orsa, che nel 2013 inaugurò il nuovo impianto a San Giovanni in Persiceto, un nuovo impianto molto più grande e con la capacità di inserire più persone con disabilità come reale elemento produttivo all’interno del contesto lavorativo.
“Oggi dialoghiamo con la Asl, il Servizio handicap adulto di San Giovanni in Persicito e il Fomal, che è un ente di formazione. Loro ci propongono delle persone che ri- tengono adatte per l’inserimento lavorativo in Vecchia Orsa, dopodiché si fa un breve periodo di prova, in stage o in borsa lavoro. Prima di affidare un lavoro, cerchiamo le peculiarità delle persone e facciamo di tutto per assecondare le loro personalità. Dopodiché li inseriamo in una lavorazione specifica che gli si addice”.
L’obiettivo però non è fermarsi allo stage o alla borsa lavoro, ma offrire un “lavoro vero”, con contratto a tempo indeterminato: ad oggi su sette persone che lavorano al birrificio, tre sono dipendenti con disabilità. “Il nostro è un lavoro vero, non è un laboratorio protetto, se noi abbiamo lo stipendio a fine mese è perché la nostra birra è buona, ne produciamo molta e la vendiamo. I lavoratori disabili partecipano a tutto il processo produttivo e devono essere-compatibilmente con le loro possibilità – produttivi per l’appunto.
Nella nuova sede abbiamo tre fermentatori da 30 hl e un maturatore della stessa capacità, che ci impongono ritmi diversi: è stato possibile aumentare notevolmente la capacità produttiva, ma abbiamo deciso di dedicare particolare attenzione alla scelta di macchinari che privilegiassero il lavoro manuale rispetto all’estrema meccanizzazione con l’obiettivo di assumere nuovi lavoratori. Partiamo dalla persona e non dal prodotto, ad esempio abbiamo acquistato un’etichettatrice automatica solo dopo esserci assicurati del fatto che presumesse comunque la presenza di più persone. Abbiamo puntato molto sulle mani e sulla manualità, ogni bottiglia viene maneggiata dalla nostra squadra almeno 6-7 volte. L’artigianalità deve implicare anche una certa manualità. Certo, scegliere di non meccanizzare la produzione proprio per offrire lavoro a persone con disabilità porta a costi maggiori e far tornare i conti è un’impresa! A volte dobbiamo scendere a compromessi sulle ore di lavoro, sugli stipendi, sulle necessità lavorative, ma quello che conta è il coinvolgimento dei lavoratori, sia disabili che ‘normodotati’, in un progetto comune di appartenenza, un progetto concreto e produttivo e non creato ad hoc su uno svantaggio”.
Vecchia Orsa ha ormai un grande successo di pubblico (nella “Guida alle Birre D’Italia 2017” la Rye Charles ha ottenuto il riconoscimento di “Grande birra”) e la richiesta aumenta, al punto che si sta valutando un ampliamento del birrificio, più assunzioni di personale disabile, e una modifica al ciclo di lavaggio per ridurre lo spreco di acqua puntando sempre più su energia da fonti rinnovabili. “Tutto ciò dimostra che anche nel sociale ci può essere l’eccellenza”.
La sede di San Giovanni in Persiceto ha anche una zona degustazione e di vendita al pubblico, e se seguirete la pagina Facebook potrete trovare tutti gli appuntamenti di sagre e manifestazioni dove Vecchia Orsa sarà presente con i propri prodotti e i propri lavoratori: “partecipare ad eventi insieme ai lavoratori diventa un’occasione privilegiata per trasmettere un messaggio di equità e integrazione sociale sinergico al- la qualità del prodotto. Per i lavoratori diventa il momento per poter toccare con mano l’importanza del loro lavoro. Chi ama la nostra birra è interessato non solo alla birra artigianale ma anche a come viene fatta. Noi diciamo ‘il retrogusto sociale della birra’, ed è il messaggio che vogliamo dare”.

Per saperne di più:
www.fattoriabilita.it
Facebook: Birrificio Vecchia Orsa



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