9. La pasta di Capezzaia: quando la produzione è “diversa”
- Autore: Valeria Alpi
- Anno e numero: 2017/11 (monografia su lavoro e persone con disabilità)
di Valeria Alpi
“La pasta di Capezzaia è una pasta che sa unire bontà, etica e solidarietà”: con questo slogan si presenta il pastificio di Roma, la cui pasta prende il nome dalla “capezzaia”, cioè il margine inutilizzato del campo, a simboleggiare che quella parte di società messa ai margini può invece rendere fertile qualcosa che prima non era. Per saperne di più abbiamo contattato Gianluca Rossi, responsabile di produzione.
Raccontaci un po’ come è nato il progetto.
Il progetto è nato da un piccolo laboratorio sociale a Roma, alla Comunità di Capodarco. Qui esiste un centro riabilitativo, con una quarantina di ragazzi con handicap grave, suddivisi in due turni, a produrre pasta non destinata alla vendita ma regalata alle mense della Caritas o alla mensa di Capodarco. Da lì, da quel piccolo progetto sociale sponsorizzato dal Comune di Roma, è nata l’idea di costruire qualcosa di più grande a livello industriale. Per cui nel 2007 abbiamo partecipato a un bando di gara messo a disposizione dalla Coop e l’abbiamo vinto: grazie ai contributi del ristorno dei soci Coop abbiamo avuto a disposizione circa 170 mila euro per avviare il progetto sociale della pasta di Capezzaia e cominciare questa avventura. Abbiamo comprato i macchinari, scelto la location e abbiamo iniziato a produrre. Sulla base delle ricette che ci ha dato Coop e sui prezzi cui Coop avrebbe comprato la nostra pasta per rivenderla nei propri punti vendita.
Oggi noi lavoriamo quasi e solo esclusivamente per la Coop.
Stiamo cercando di allargare la distribuzione, cercando nuovi partner per espanderci e per assumere nuovi ragazzi. E poi stiamo mettendo in campo l’idea della pasta surgelata perché per ora produciamo solo pasta fresca.
Al momento il 99,9% dei dipendenti ha una disabilità: al pastificio lavorano cinque persone disabili, tutte assunte a tempo indeterminato, e l’unico normodotato sono io. Se a fine anno parte il discorso del surgelato potrebbero aumentare i dipendenti disabili.
Quanto è importante avere un lavoro vero, essere produttivi, essere cittadini a tutti gli effetti portando nella società sia valore sociale che valore economico?
Data la mia esperienza nell’ambito della Comunità di Capodarco, vedo che tutti i disabili che trovano un’occupazione acquisiscono una loro autonomia. Quelli che lavorano per me sono soddisfatti, vengono a lavorare con la voglia di farlo, e soprattutto riescono a far quadrare il loro bilancio mensile: c’è chi si sposa o ha in progetto di sposarsi, chi si è comprato la macchina, chi ha in progetto di ristrutturare casa o di comprarla. Vivono la loro esperienza in maniera normalissima come chiunque altro.
Cosa significa produrre in un’azienda etica?
Io provengo da un altro mondo, non dal mondo della disabilità, ma da un mondo dove l’unica cosa che contava era produrre, produrre, produrre. È stato abbastanza complicato per me riuscire a entrare nell’ottica di questi ragazzi, di quello che volevano, di quello che potevano esprimere, e soprattutto ero io a dovermi calare nel loro mondo e non loro nel mio. All’inizio ho fatto fatica, sono sincero. Ero abituato ad avere alle mie dipendenze venti persone, ed eravamo come venti galline nel pollaio che dovevano solo fare l’uovo, la cosa importante era fare l’uovo. Oggi mi rendo conto che le cose importanti sono altre e non è solo la produzione. È stare dietro ai ragazzi, vedere le loro difficoltà, vedere le loro gioie quando le superano. Devo dire la verità, mi sto trovando bene e loro mi stanno insegnando che la vita non è solo denaro e produzione.
Però producono, realizzano un profitto, la parte economica c’è.
Come no, certo! Però si fa in una maniera diversa: prima c’era l’affanno della produzione, oggi non abbiamo l’affanno, abbiamo una produzione che deve essere sicuramente realizzata però non ci sono quelle aspettative di un datore di lavoro che alla base di tutto mette solamente il profitto. È ovvio che abbiamo in mente il profitto, altrimenti nemmeno esisteremmo. Il disabile che non produce e che non può entrare nel mondo economico di una società è un concetto totalmente sbagliato. Magari lo pensa chi non conosce questo mondo ma chi c’è dentro capisce che il disabile può fare ciò che può fare un normodotato e deve avere le stesse opportunità.
Avete dei riscontri dai clienti?
Abbiamo un contatto diretto coi nostri clienti tramite la nostra pagina Facebook. Tutti quelli che mangiano la nostra pasta rimangono soddisfatti. C’è anche chi critica, ma alla fine serve perché la critica fa crescere.
Beh almeno non c’è retorica, i commenti non sono solo positivi perché la pasta è prodotta da persone disabili.
È vero, ma è anche vero che se il consumatore finale non apprezzasse la nostra pasta non la comprerebbe, perché quando la acquista è nel pieno anonimato, non la deve comprare davanti a noi. Se la compra, noi la vendiamo e la produciamo, e se sono 10 anni che stiamo sul mercato evidentemente i nostri clienti la apprezzano. I numeri ci danno ragione, perché negli anni, anche se poco e anche con questa crisi che è spaventosa, siamo cresciuti e continuiamo a crescere.
Per saperne di più:
Facebook: Pasta di Capezzaia
naviga:
Ricerca libera
Argomenti
Associazione “Centro Documentazione Handicap” – Cooperativa “Accaparlante” – via Pirandello 24, 40127 Bologna. Tel: 051-641.50.05 Cell: 349-248.10.02
Continua a leggere:
- Quando le persone disabili fanno impresa
- 1. Introduzione
- 2. Fare impresa? Un’impresa...
- 3. Un indice puntato verso l’inclusione
- 4. Un Bar Senza Nome
- 5. La Casa di Toti, biografia di un sogno
- 6. Competenze in bottiglia: Vecchia Orsa, il retrogusto sociale della birra
- 7. Il sale e il lievito
- 8. PizzAut: nutriamo l’inclusione
- 9. La pasta di Capezzaia: quando la produzione è “diversa” (Pagina attuale)
- 10. Unire le forze per essere liberi
- 11. Porta i tessuti maya su Instagram (e a Londra)
- 12. Un “viaggio gentile” di successi in affari