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autore: Autore: Luca Cenci

23. Bibliografia di riferimento

K. Jaspers, Allgemeine Psychopathologie; trad. it. R. Priori, Psicopatologia generale, Il pensiero scientifico, Roma, 1964.
D. Woods Winnicot, Dalla pediatria alla psicoanalisi, Martinelli, Firenze, 1975.
R. D. Laing, The divided self: an existential study of sanity and madness: trad. it. D. Mezzacapa, L’io diviso, Einaudi, Torino, 1969.
S. Scarpa, Il corpo nella mente. Adolescenza, disabilità, sport, Calzetti Mariucci, Perugia, 2011.
S. Chiarilli; C. Mancini, Io sono. Dalla disabilità intellettiva all’abilità affettiva e relazionale, Themis editore, Firenze, 2011.
V. Cisini; M. C. Mazzia; E. Pozza; L. Ughetto Budin, Sul filo del limite. Ben- essere e apprendimento con persone in difficoltà, La Meridiana, Molfetta (BA), 2013.
F. Briganti, Corpo, tecnologie e disabilità. Le tecnologie integrative, invasive ed estensive,  Edizioni Manna, Napoli, 2010.
G. Dall’Ara, “Come mi trovi?”. Percezione del proprio corpo, della malattia e della disabilità, Il Ponte Vecchio, Cesena, 2007.
B. Pea, Matematica nella scuola di base volume 1: i concetti dello spazio e del tempo nella scuola materna e nel primo ciclo della scuola di base, Vannini, Gussago (BS), 2001.
B. Pea, Matematica nella scuola di base volume 2: i concetti della logica e della aritmetica nel primo ciclo della scuola di base, Vannini, Gussago (BS), 2001.
V. Ruggeri, L’identità in psicologia e teatro: analisi psicofisiologica della struttura dell’io, Edizioni Scientifiche Magi, Roma, 2001.
A. Canevaro; A. Gamberini, Esploro il mio corpo e l’ambiente: giochi e attività per bambini dai due ai sette anni, Erickson, Trento, 2002.
G. B. Camerini; C. De Panfilis, Psicomotricità dello sviluppo: manuale clinico, Carrocci Faber, Roma, 2003.
S. Lancioni, Tra il corpo e gli affetti, Gruppo Donne UILDM, 1999:
E. Ripamonti; R. Sinzu, Il corpo negato, Edizioni CSV, Roma, 2003.
A. Lapper, La vita in pugno, Corbaccio, Milano, 2006.
A. Benedetti, Trucco e parrucco. Estetica e cura di sé, Gruppo Donne UILDM, 2005:
D. Anziliero, I miei passi dicono di me. Tracce di un percorso terapeutico con il malato psichiatrico adulto attraverso una possibile riconquista del corpo, Del Cerro, Tirrenia (PI), 2005.
A. Mannucci, L’emozione fra corpo e mente: educazione, comunicazione e metodologie, Del Cerro, Tirrenia (PI), 2006.
A. Mannucci; L. Collacchioni, Diversabili e teatro. Corpo ed emozioni in scena, Del Cerro, Tirrenia (PI), 2008.
I. Gamelli (a cura di), I laboratori del corpo, Raffaello Cortina, Milano, 2009
E. Amurri, Il gabbiano dalle ali ferite, Albatros, Roma, 2012.
M. Eugenia, Macchia, la ragazza mal disegnata, Callis, Settimo  Milanese (MI), 2012.

20. Scheda tecnica/“Il Reiki”

Partecipanti:
7 animatori con disabilità
2 educatori 

Durate del laboratorio:
3 ore circa
15 minuti di riscaldamento
2:15 ore di attività
30 minuti di condivisione

Luogo:
ampia stanza

Obiettivo generale:
conoscere il proprio corpo e utilizzarlo come strumento di piacere

Obiettivi specifici:
abbiamo utilizzato le mani di un operatore esperto come canale attivo di energia vitale per ripristinare la connessione tra l’energia individuale della persona e quella dell’universo.

Attività:
1) Riscaldamento.
2) Reiki: con Susetta Sacchi abbiamo realizzato un’esperienza di rilassamento psico-fisica attraverso la tecnica orientale del reiki. L’esperta ha incontrato singolarmente ognuno dei partecipanti per una durata individuale di circa 20’.
3) Condivisione.

Materiali:
tatami, cuscini, stereo 

Commenti dei partecipanti
F: Io non vorrei andare dentro me stessa, perché scoprirei delle cose che non vorrei, che non accetterei… Penso che stimolando il corpo, alcune di queste cose potrebbero saltare fuori, però io cercherei di farle tornare dentro per paura di affrontarle.
D: A me ha fatto pensare a quello che ho avuto che non è una malattia che è venuta nel tempo, ma che sono nato così; posso comunque arrivare a provare piacere e la malattia passa in secondo piano.

18. Scheda tecnica/“Massaggi Trager”

Partecipanti:
– 7 animatori con disabilità
– 2 educatori
– 5 tra tirocinanti e volontari

Durata del laboratorio (sono stati realizzati tre incontri):
2 ore circa 15 minuti di riscaldamento
1:15 ora di attività
30 minuti di condivisione

Luogo:
ampia stanza

Obiettivo generale:
consapevolezza nella percezione del proprio corpo

Obiettivi specifici:
– il metodo Trager. La ricerca del benessere e del piacere a partire dal massaggio corporeo per arrivare a coinvolgere la psiche e l’anima

Attività:
1) Riscaldamento.
2) Massaggi. Dopo aver illustrato su di noi i movimenti, l’esperto ha spiegato e supervisionato sull’attività che veniva svolta con rapporto uno a uno.
3) Condivisione.

Materiali:
materassini, stereo, cuscini

Commenti dei partecipanti
T: Ho fatto fatica a rilassarmi. La seconda attività è stata a terra stesi: mi sono sentita libera e mi sono rilassata.
G: Mi sono sentito coccolato.
S: Ho provato una sensazione di sentirsi bene anche dentro di me, di benessere, di essere morbida.
S: È stato piacevole quando ero sdraiata completamente e l’affidarmi agli altri.
G: Il mio corpo diceva che Luca è molto bravo: ci siamo sciolti in due.
D: Il mio corpo mi ha detto che devo fidarmi di voi.

16. Scheda tecnica/“L’asciugamano”

Partecipanti:
7 animatori con disabilità
– 2 educatori
– 2 volontari

Durata del laboratorio:
3 ore circa
15 minuti di riscaldamento
2:15 ora di attività
30 minuti di condivisione

Luogo:
ampia stanza

Obiettivo generale:
conoscere il proprio corpo e utilizzarlo come strumento di piacere

Obiettivi specifici:
riconoscere il proprio corpo prima in segmenti poi nella sua totalità,  individuando le zone più sensibili

Attività
1) Riscaldamento.
2) I corsisti sono stati messi in costume e fatti sdraiare. Con un asciugamano sono stati ricoperti a segmenti fino a coprire totalmente il loro corpo. Dell’acqua molto calda veniva versata dolcemente nei vari segmenti coperti del corpo per cercare di individuare le zone più sensibili, le zone del piacere.
3) Condivisione dell’esperienza.

Materiali:
asciugamani, recipienti con coperchi per l’acqua calda, materassini, scodelle, cuscini (i cuscini sono fondamentali… Ogni volta che stendevamo a terra le persone con disabilità era importante riuscire a garantire una posizione comoda riempiendo i vuoti lasciati dai loro corpi).  

Commenti dei partecipanti
G: Ho sentito il calore nelle gambe, le mie gambe esistono. Trovo differenza tra la ginnastica del terapista e quello che facciamo qui perché voi mi fate diventare grande.
S: Quando faccio la doccia è diverso e non sento le parti del corpo…
S: Quando l’acqua mi è arrivata sulla vagina, ho provato piacere, calore, ho sospirato…
D: Quando mi lava mia mamma il mio corpo non dice niente.
F: Io devo controllare tutto e il fatto di dovermi lasciare andare nelle mani dell’altro mi dava fastidio, non mi fido.
T: L’acqua mi ha massaggiato la vagina. Una sensazione nuova.

15. Il corpo e i piaceri. Il corpo che desidera e sogna. Il corpo che fa e agisce, il corpo che riceve e accoglie

Terza parte
“Il corpo sa tutto o quasi
Il corpo conosce l’acqua perché la beve
conosce l’aria perché la respira
il corpo conosce i baci che dà e riceve.
Molta fatica fa con le parole
che ascolta o dice,
lì si confonde
tra linfa e parassita, tra la chioma
e la radice”.
(Elogio del corpo)

“A partire dalla sua valenza semantica, il piacere designa dunque un qualcosa che ha a che fare direttamente con l’esperienza dell’Io corporeo. Essere corpo significa esperire il mondo e insieme essere collocati in esso. La sensazione traccia un confine tra il dentro e il fuori, è un punto di tensione ove l’oggetto – o l’alterità di cui si ha percezione – si formula come termine di repulsione o di desiderio”.
(Estratto da L’universo del corpo di Salvatore Natoli)

L’obiettivo di questo terzo anno di laboratorio si incentra su una reale conoscenza del proprio corpo, non solo dal punto di vista medico-fisioterapico, ma anche come strumento di piacere. Questo permette, ai disabili e non solo, di avere una maggiore consapevolezza di sé.
Perché corpo e piacere sono strettamente connessi.
Il piacere è il senso di viva soddisfazione che deriva dall’appagamento di desideri, fisici o spirituali, come pure di aspirazioni di vario genere. Nel suo significato più immediato e corrente il termine è sinonimo di godimento o, più esattamente, di esaltazione dei sensi.
Il piacere ci ricarica di energia, ci rende dinamici, scaccia la fatica, ci rilassa, ci permette di guarire, ci ridona la gioia. Ci riconnette al nostro corpo, agli altri e al mondo.
Partendo da queste definizioni vogliamo spiegarvi perché il nostro percorso sulla “Conoscenza di sé attraverso il corpo” doveva passare e concludersi con il piacere.
Il percorso è durato tre anni. Nei primi due anni abbiamo scoperto che i disabili partecipanti al laboratorio conoscevano benissimo il loro corpo dal punto di vista fisioterapico: cosa funziona e cosa non funziona, ma non possedevano nessuna conoscenza del corpo come fonte di piacere. Piacere che non deve essere collegato solo alla sessualità, ma alla scoperta di parti di corpo che, se stimolate, possono creare momenti di benessere. Il raggiungimento di uno stato piacevole avviene attraverso lo scambio affettivo con il massaggiatore. Per questo motivo ci siamo avvalsi di massaggiatori olistici che con le loro mani hanno permesso ai disabili di fare una esperienza nuova. Infatti il loro corpo non veniva toccato per togliere un dolore fisico ma per creare un piacere. Questo permetteva loro di mettersi in contatto con ogni centimetro del corpo e le sensazioni che scorrevano dentro di loro nel momento in cui veniva effettuato il massaggio. Queste pratiche olistiche hanno aiutato i disabili ad avere una maggiore conoscenza della realtà e a sentirsi maggiormente gratificati dal fatto che non venivano considerati  persone diverse e non venivano visti in maniera pietistica, aumentando la loro consapevolezza e l’autostima.

13. Scheda tecnica/“Lo specchio”

Partecipanti:
– 7 animatori con disabilità
– 2 educatori (di cui uno conduce il laboratorio)

Durata del laboratorio:
2 ore circa
15 minuti di riscaldamento
1:15 ora di attività
30 minuti di condivisione

Luogo:
ampia stanza

Obiettivo generale:
consapevolezza nella percezione del proprio corpo

Obiettivi specifici:
– verificare le caratteristiche reali del proprio corpo
– riconoscere se stessi

Attività
1) Riscaldamento.
2) Cosa mi piace e non mi piace del mio corpo: i partecipanti sono stati messi in costume da bagno e poi posti davanti a uno specchio per vedersi nella loro totalità. Dopo sono stati posti in cerchio e a voce hanno risposto alla domanda: “Cosa mi piace e cosa non mi piace del mio corpo?”.
Il conduttore scrive quello che dicono i partecipanti.
3) Condivisione: come siamo stati nel fare questa attività, su cosa ci ha fatto riflettere, cosa ha mosso in noi.

Materiali:
specchi, fogli, biro

Commenti dei partecipanti
T: non ho problemi perché sono abituata, non ho avuto difficoltà a dire le cose che mi piacciono o no, perché ho fatto un percorso di accettazione personale. Mi piace condividere il lavoro con il gruppo.
F: imbarazzante perché non mi ero mai guardata ed ero in difficoltà a condividere perché, non conoscendomi, faccio fatica a parlarne.
G: mi è piaciuto perché sono contento di fare vedere il mio corpo.
D: mi sono sentito bene, anche se non sono abituato a farlo. Non mi ero mai visto per intero.
S: mi sono sentita bene, avevo paura di essere imbarazzata di dire le parti di me che mi piacciono o non mi piacciono, perché non è una cosa facile perché ho paura del giudizio.

11. Scheda tecnica/“La sagoma”

Partecipanti:
– 7 animatori con disabilità
– 2 educatori (di cui uno conduce il laboratorio)
– 2 volontari

Durata del laboratorio:
2 incontri (almeno 4 ore)

Luogo:
ampia stanza

Obiettivo generale:
consapevolezza nella percezione del proprio corpo

Obiettivi specifici:
– verifica delle immagini di sé
– osservare il proprio corpo nella sua totalità e complessità
– riconoscere se stessi, le potenzialità e i limiti del corpo

Attività
1) Riscaldamento.
2) Sagome: dopo che tutti hanno fatto la sagoma, ognuno ha condiviso il suo vissuto nel fare questa attività. L’obiettivo è far vedere ai ragazzi coinvolti nell’attività che hanno un corpo distaccato dalla carrozzina e questo corpo è formato da tante parti.
Successivamente abbiamo disegnato le sagome dei ragazzi su dei cartelloni, e con materiale vario che avevano a disposizione (rafia, sughero, cartoncini, legno, carte di vario tipo e colori) dovevano segnalare sui cartelloni le parti funzionanti e quelle non funzionanti del proprio corpo.
3) Condivisione: come siamo stati nel fare questa attività, su cosa ci ha fatto riflettere, cosa ha mosso in noi.

Materiali:
cartelloni, pennarelli, rafia, sughero, cartoncini, legno, carte di vario tipo e colori 

Commenti dei partecipanti
D: io non conoscevo tutto il corpo. Ho scoperto che ho le gambe. Mi ha fatto capire che io ho più consapevolezza del mio corpo. Ho bisogno di aiuto quindi mi dimentico di avere le gambe. Il pene funziona perché lo uso per fare la pipì!
D: non mi sono mai vista sdraiata, ho avuto paura. Dopo è stato facile perché so bene cosa fare con le mie parti del corpo.
F: è la prima volta che lo faccio. Non sono nemmeno abituata a sdraiarmi per terra. Ho riscoperto parti del corpo. Ho avuto un po’ di paura. È stata una piccola conquista e devo lavorare sulla paura di cadere. Non avevo mai visto il mio corpo per intero e alcune parti non le conosco. Mi ha incuriosito ma ho paura. Penso sempre che gli altri siano migliori di me. Mi vergogno un po’ del fatto di non riuscire a fare le cose.

9. Scheda tecnica/“I limoni”

Partecipanti:
– 7 animatori con disabilità
– 2 educatori 

Durata del laboratorio:
2 ore circa
15 minuti di riscaldamento
1:15 ora di attività
30 minuti di condivisione

Luogo:
ampia stanza

Obiettivo:
consapevolezza nella percezione del proprio corpo

Obiettivi specifici:
– imparare a descrivere qualcosa per riuscire a raccontare noi stessi
– riflettere sulle differenze.

Attività
1) Riscaldamento.
2) Gioco dei limoni: ogni partecipante ha un limone e lo descrive nei minimi particolari. Alla fine della descrizione i limoni vengono posti all’interno di un sacchetto nero e mescolati. A turno ogni partecipante deve estrarre un limone e riconoscerlo. Se il limone non è quello descritto viene riposto nel sacchetto. Il gioco finisce quando tutti riconoscono il proprio limone facendosi anche aiutare dalla descrizione fatta sul foglio.
Dopo aver descritto il limone nei minimi dettagli, abbiamo provato a fare lo stesso con il nostro corpo…
 3) Condivisione: come siamo stati nel fare questa attività, su cosa ci ha fatto riflettere, cosa ha mosso in noi. L’obiettivo di questa attività è quello di imparare a descrivere bene tutti i particolari.

Materiali:
fogli, biro, limoni, sacchetto nero

Commenti partecipanti
D: descrivere i limoni è stato facile, in ogni dettaglio. Poi descrivere me stesso… che fatica, che imbarazzo!
F: facile raccontare come è fatto un limone, anche nelle sue ammaccature e imperfezioni. Raccontare le mie di imperfezioni invece è stata durissima. Anche perché non sempre ne siamo consapevoli ed evito di descrivere le parti del corpo che non mi piacciono.
S: la stessa difficoltà che ho incontrato a descrivere il limone l’ho avuta la volta scorsa a descrivere me stessa, perché non sono abituata a delineare i miei particolari e una parte del corpo che io non uso faccio fatica a raccontarla.
G: mi sono sentito bene a descrivere il limone, molto meglio che a descrivere me stesso, perché faccio fatica a pensare al mio corpo!

8. Il corpo tra limiti e possibilità. Il corpo che può e il corpo che non può. Il corpo che non sa fare, il corpo che sa fare, il corpo che sa fare se ci sono le condizioni giuste

Seconda parte
“Il corpo è un veicolo meraviglioso, molto misterioso e complesso. Usalo, non lottarci contro; aiutalo. Nell’istante in cui vai contro di lui, vai contro te stesso”.
(Osho)

“Jaspers sottolinea come nel concetto di coscienza dell’Io sia presupposta la coscienza del corpo, ossia la capacità di percepire e unificare in un quadro di riferimento significativo una serie di sensazioni. Queste ultime, da un lato, ci forniscono una rappresentazione mentale del nostro corpo, quasi fosse un oggetto visto dall’esterno, dall’altro, evocano in noi un sentimento del nostro ‘essere corporei’, cioè del fatto che solo attraverso la corporeità siamo viventi. In una dinamica psicologica sana, infatti, la coscienza dell’Io non può prescindere da una percezione del corpo.
[…]
Già in questo primo quadro descrittivo della coscienza dell’Io corporeo, osserviamo che essa si estende al di là dei confini somatici propriamente detti, per coinvolgere anche il contesto ambientale e gli oggetti che vi sono presenti e con i quali siamo in relazione.
[…]
Un esponente tra i più significativi della psichiatria contemporanea, R.D. Laing (1959), ha affermato che la ‘sicurezza ontologica primaria’, cioè la capacità di affrontare la vita e le sue difficoltà, come pure di progettare il futuro, deriva e dipende dalla coscienza dell’Io corporeo, ossia da quel modo di sentire il corpo come realtà viva, reale e concreta, da cui non è possibile separarsi senza cessare di esistere.
[…]
L’immagine dell’Io corporeo è soggetta a una continua ristrutturazione, che è dovuta, in parte, alle stimolazioni endogene di tipo psicobiologico e, in parte, alle relazioni sociali e quindi alle modalità di adattamento e di reazione di fronte ad altre immagini corporee, in senso sia concreto-spaziale sia fantastico-emotivo.
[…]
D.W. Winnicott (1948, 1960) ritiene l’acquisizione di uno schema corporeo personale, e quindi di una coscienza del corpo adeguata, un fattore essenziale sia per la capacità di una relazione immediata e di un’analisi adeguata della realtà – ivi inclusa la potenzialità di superare le difficoltà e gli eventuali traumi dello sviluppo – sia, di conseguenza, per la costituzione di un Sé autentico”.
(Estratto da La coscienza dell’Io-corpo di Lucio Pinkus)

La prima parte del laboratorio, nonostante le perplessità iniziali, si è rivelata importante per l’autoconsapevolezza di sé. Come proseguire ora questo significativo percorso? Quali gli obiettivi per non dispere il percorso fatto l’anno precedente? Come si poteva proseguire il percorso intrapreso? Dal lavoro del primo anno era emerso che l’immagine dei disabili partecipanti al laboratorio era falsata, normalizzata dai famigliari. Un’immagine dove tutto è perfetto, dove un braccio piegato diventa magicamente dritto perché “Lo dice la mamma!”. Per riportare i ragazzi su un piano di realtà, con l’aiuto di una psicologa, noi educatori abbiamo deciso di porci come obiettivo, attraverso le attività proposte, di far  riconoscere se stessi nella loro totalità e complessità, con i loro limiti e potenzialità.

6. Scheda tecnica/“Dicono di me…”

Partecipanti:
– 7 animatori con disabilità
– 2 educatori
– 2 volontari

Durata del laboratorio:
2 ore circa
30 minuti di riscaldamento
1 ora di attività
30 minuti di condivisione

Luogo:
ampia stanza

Obiettivo generale:
acquisire consapevolezza del proprio corpo

Obiettivi specifici:
verifica delle molteplici immagini di sé
acquisizione della presa di coscienza del proprio corpo

Attività
1) Riscaldamento.
2) Rispondere alla domanda: “Cosa pensano del mio corpo i miei amici, i miei educatori, i miei genitori e altri parenti tutti?”.
3) Condivisione degli elaborati e dei vissuti, dove è emersa un’immagine di se stessi spesso viziata dai giudizi delle persone vicine (famigliari, amici), a volte molto distante da una reale conoscenza delle proprie caratteristiche fisiche.

Commenti dei partecipanti
D: Dicono di me i miei genitori che io sono simpatico, bello, bravo, intelligente, buono ma… troppo ingenuo per uscire da solo.
D: I miei genitori dicono che con il mio corpo io posso fare tutto… Camminare, correre, saltare, e giocare a pallone. Vestirmi e svestirmi da sola. Lavarmi la faccia, le mani e i denti da sola. Scrivere sulla tastiera e usare il computer. Mangiare da sola. Usare il telecomando della tv e usare la Nintendo DS. Scrivere e leggere.

4. Scheda tecnica/“Il mio corpo e il corpo che vorrei”

Partecipanti:
– 7 animatori con disabilità
– 2 educatori
– 2 volontari

Durata del laboratorio:
2 ore circa
15 minuti di riscaldamento
1:15 minuti di attività
30 minuti di condivisione

Luogo:
ampia stanza

Obiettivo generale:
acquisire consapevolezza del proprio corpo

Obiettivi specifici:
– riconoscimento e analisi delle proprie qualità
– creazione di relazioni, condivisione

Attività
1) Riscaldamento: il riscaldamento è stato fatto in tutti gli incontri. Un momento indispensabile per creare un contesto accogliente e positivo e per risvegliare il corpo attraverso semplici gesti e stimolare la concentrazione con dei giochi.
2) Descrizione di sé: ogni partecipante ha descritto se stesso in forma scritta, successivamente ha condiviso il lavoro con gli altri.
3) Disegno di una persona immaginaria o reale, e descrizione e spiegazione.
4) Condivisione: come ci siamo sentiti nell’attività in gruppo, difficoltà emerse.

Materiali:
fogli, biro,matite colorate, scotch
Importante: abbiamo deciso di inserire la durata del laboratorio, quantificandola in minuti e ore, per realizzare una scheda tecnica completa. In realtà molti di questi incontri si sono allungati. Come spiegato nell’intervista, avere la possibilità di dedicare più tempo, senza l’ansia della risposta immediata e potendo lasciare ai partecipanti lo spazio giusto per rielaborare i vissuti, è stato fondamentale per la riuscita del percorso.

Commenti dei partecipanti
D: Io adoro disegnare. Ho disegnato me stessa, così, come penso di essere. Poi una volta in cerchio con gli altri, nel momento della condivisone, ho fatto molta fatica, ho trovato difficoltà a trovare le parole. Molto più facile è stato fare l’altro disegno: ho disegnato mio padre, con la maglietta di Superman e l’ho descritto agli altri nei minimi dettagli… L’altezza, le mani grandi, gli occhiali, i suoi movimenti usuali… Un po’ come vorrei essere anche io!
G: La qualità del disegno non è eccezionale, ma sono contento perché l’ho fatto da solo. La persona che ho disegnato è di fantasia, è in piedi e il suo corpo funziona bene. Io invece sono in carrozzina, anche se vorrei non esserci. Tutti mi dicono che sono uguale agli altri, anche se in realtà io mi accorgo che non è proprio così.
L: Ho disegnato un personaggio di fantasia, probabilmente un alieno, con un grande seno e delle gambe lunghe. Molto colorato. Descrivere me stessa non è stato facile, ma sono riuscita a tirare fuori le emozioni perché sono spesso da sola e non parlo con nessuno, in questo contesto invece qualcuno mi ascolta. Probabilmente ho disegnato un alieno perché vorrei essere totalmente cambiata, vorrei un seno più prosperoso, lo stomaco più piccolo e… tanto altro.

3. Il corpo che comunica. L’immagine che abbiamo del nostro corpo è parte integrante della nostra identità. Nominare, conoscere, comprendere il corpo

Prima parte
“Secondo alcuni autorevoli testi di tecnica aeronautica, il calabrone non può volare, a causa della forma e del peso del proprio corpo in rapporto alla superficie alare. Ma il calabrone non lo sa e perciò continua a volare”.

(Igor’ Ivanovič Sikorskij)“Quando un disabile ha una percezione equilibrata e di accettazione della propria situazione, più facilmente è portato a credere che gli altri lo guardino perché si incuriosiscono di alcune cose, ad esempio della protesi, della carrozzina, dei suoi movimenti, della deambulazione particolare; se invece egli rifiuta la sua menomazione o se ne vergogna, tenderà a percepire la curiosità degli altri in modo umiliante, pensando di essere considerato in maniera negativa, con disprezzo e pietà. […] Nel sentirsi guardata la persona sembra acquistare un ruolo passivo di ‘centro’, di bersaglio. In questa situazione la relazione con l’altro diventa asimmetrica: ‘io ho vergogna di me davanti allo sguardo dell’altro’ (Sartre 1943): guardare significa possedere, il soggetto decade a oggetto.
Come prima conseguenza l’Io e le sue qualità diventano evidenti ed enfatizzate, assumono un risalto particolare nel campo della coscienza.
[…]
L’handicappato vive il proprio aspetto come una apparenza negativa, centro di un’attenzione che non può evitare né modificare immediatamente: in generale egli si sente ‘ferito’ dagli sguardi e cerca di sottrarsi a quel particolare tipo di attenzione in cui si sente considerato come un corpo minorato, piuttosto che come una persona. Il corpo non è più un ‘io sono’, che ha autonome possibilità espressive e comunicative, ma è scaduto a livello di un ‘oggetto esposto al mondo’, di cui gli altri dispongono.
Lo sguardo può anche essere considerato un atto incompiuto che costituisce la fase preliminare di una relazione; in questo senso lo sguardo rientra nel contesto della comunicazione non verbale, come inizio di una organizzazione e trasmissione di significati che si realizza tramite il veicolo semantico.
[…]
La persona handicappata, ‘centrata’ dagli sguardi prolungati o furtivi, conclude: sono diverso, il mio corpo non è una ‘modulazione esteriore’ di una libera e personale intimità, ma è un ‘corpo oggetto’, il corpo che ho, anziché il corpo che sono.
Ma il corpo non è soltanto strumento di comunicazione verso l’esterno, il corpo è anche il custode del mio segreto personale, esso racchiude e difende la mia intimità”.
(Estratto da Il corpo che ho, anziché il corpo che sono. Il disabile di fronte allo sguardo degli altri  di Gianni Selleri)

Tante volte noi educatori ci siamo chiesti se i nostri colleghi disabili conoscono il loro corpo e come lo usano nei vari contesti in cui si trovano. Tante volte ci siamo domandati se i nostri giovani disabili sanno di avere un corpo e se quel corpo, per loro, è anche veicolo di relazione. Relazione che nel nostro lavoro è fondamentale. Ma come si fa a costruire relazioni con il corpo se non lo si conosce o si ha paura di usarlo? Per rispondere a questi interrogativi noi educatori abbiamo deciso di promuovere un laboratorio sul corpo. Ci siamo dedicati alla consapevolezza della percezione di sé cercando, con le attività proposte, di acquisire una presa di coscienza del proprio corpo partendo da una verifica delle immagini del sé. 

1. Qual è la percezione che hanno del proprio corpo le persone con disabilità?

A cura di Luca Cenci e Tristano Redeghieri, educatori

Come Adamo presto al mattino,/che cammina uscito dalla capanna di fronde rinfrancato/dal sonno,/ guardami mentre passo, odi la mia voce, avvicinami,/toccami, accosta la palma della tua mano al mio corpo/mentre passo,/non avere paura del mio corpo.
(Walt Whitman, Foglie d’erba)

Sono ormai passati tre anni da quando ci siamo posti la domanda che ha scatenato questo percorso: qual è la percezione che hanno del proprio corpo le persone con disabilità del nostro gruppo di lavoro? Una domanda semplice, quasi banale all’apparenza. In realtà, una domanda che va a toccare molte delle corde che costruiscono l’identità.
L’idea era quella di lavorare sulla percezione del proprio corpo, ascoltare le persone con disabilità, capire cosa pensavano e come vedevano loro stesse il proprio aspetto, la propria figura. Un momento fondamentale per capire come proseguire il lavoro, per accorgersi degli ampi margini che c’erano tra percezione, spesso fomentata dall’esterno, e reale conoscenza.
Un dato di fatto è che tutti noi modifichiamo il rapporto con noi stessi da come veniamo guardati: tutte le persone che conosciamo, che incontriamo sono come degli specchi, e ciò che vediamo riflesso negli occhi degli altri influenza l’immagine che costruiamo di noi stessi. Tutto questo risulta ancora più accentuato per le persone con disabilità. La conseguenza è che si trovano spesso un’immagine di se stessi falsata, costruita dagli altri, perdendo così ogni consapevolezza sulla realtà.
Uno dei trait d’union che collegano questi tre anni di percorso è proprio il tentativo di raccontare il nostro corpo dal nostro punto di vista, cercando di non farci influenzare (anche se non sempre è possibile) da quell’immagine che viene solitamente costruita più su giudizi altrui (famigliari, amici, colleghi) che su una reale conoscenza delle proprie caratteristiche fisiche.
L’obiettivo del laboratorio si incentra proprio su questo, su una reale conoscenza del proprio corpo, su di una maggiore consapevolezza della propria identità.
Così siamo partiti con delle attività molto semplici, come la descrizione individuale del proprio corpo osservandosi allo specchio, il raccontare cosa pensano e cosa dicono gli altri del proprio corpo, in maniera scritta e orale. Successivamente abbiamo sperimentato momenti pratici, chiedendo ai partecipanti dei movimenti, dei piccoli esercizi fisici, chiedendo loro l’esposizione di quei movimenti fatti o solo tentati, con l’obiettivo di aiutare i partecipanti a essere obiettivi sulla valutazione di se stessi. Tutto questo con una presa di coscienza delle proprie qualità facendosi magari aiutare dagli altri componenti del gruppo, con un riconoscimento delle proprie qualità e una acquisizione di consapevolezza del proprio corpo.
Con questi giochi pratici è emerso un altro tema importante, sviluppato poi negli anni successivi: è emerso come le persone con disabilità siano a conoscenza del proprio deficit, che è la loro immagine più manifesta, di come conoscano le proprie difficoltà evidenziate dalla diagnosi, ma difficilmente riescano a individuare le proprie potenzialità e abilità.
A nostro favore ha giocato sicuramente il contesto nella quale lavoriamo. Il Gruppo Calamaio ormai da trent’anni lavora su temi come la relazione, la conoscenza di sé e dell’altro, la consapevolezza. Il nostro obiettivo è quello di favorire sempre più una cultura dell’inclusione. Anche quando è scomoda e quando mette in crisi.
Abbiamo deciso di inserire le schede tecniche di alcune attività, all’interno di tre percorsi di dieci incontri ciascuno, quelle che reputavamo più significative.
Dai commenti dei partecipanti è possibile iniziare a verificare quale era la percezione del proprio corpo all’inizio del percorso e successivamente di come questa percezione si sia evoluta nel tempo. Le loro parole condivise sono state il metro che ci hanno permesso di regolare il percorso e le attività, parole in alcuni casi molto intime e delicate, che a volte ci hanno costretto a tirare il freno e altre volte ci hanno permesso di forzare la mano. Per questo abbiamo selezionato alcuni commenti (confrontandoci con loro su quello che doveva rimanere nella “nostra stanza” e quello che poteva uscire), perché per capire questo percorso è indispensabile leggere le parole di chi lo ha vissuto in prima persona.

“È tutto vero!”. Storia del potenziale creativo presente nello sport

Tutto è iniziato nella Bassa Bresciana, città di Ghedi per la precisione, quando fui coinvolto da un mio collega nella sperimentazione di un laboratorio sportivo rivolto a bambini e adolescenti.
La sperimentazione, almeno dal mio punto di vista, era anche su me stesso: la mia esperienza con il mondo della diversabilità era piuttosto superficiale, la mia visione complessiva su sport e disabilità molto stereotipata.
Unire lo sport e la disabilità, secondo la mia prospettiva da profano, poteva voler dire una corsa con l’handbike (e solo grazie all’esposizione mediatica di Alex Zanardi), una partita di basket in carrozzina o qualche altra “strana” competizione vista in tv durante le Paralimpiadi pechinesi.
Per questo faticavo a capire, a concepire un laboratorio sportivo per ragazzi con handicap che fosse diverso dalle solite tecniche, dai soliti approcci, generalmente più fisioterapici che sportivi.
L’esperienza iniziale di Ghedi ha stravolto le mie convinzioni.
Un gruppo di ragazzini, con età, deficit e qualità differenti tutti coinvolti da protagonisti in questa nuova avventura di gioco-sport adattabile.
Non riesci a correre su una gamba sola? Bene, le usi tutte e due ma lo fai saltellando.
Non riesci a saltare quell’ostacolo? Ok, ne mettiamo uno più basso ma lo salti due volte.
Non riesci a realizzare tiri liberi a canestro perché è troppo alto? No problem, mettiamo il canestro più basso ma hai una sola possibilità.
Questi esempi casuali solo per mostrare l’approccio del laboratorio volto non a cancellare la difficoltà, ma semplicemente a modificarla: anche perché senza la difficoltà manca la sfida e di conseguenza il divertimento.
Rispettare i tempi e i modi di tutti, coinvolgere senza escludere nessuno, utilizzando l’enorme potenziale creativo presente nello sport: con questo pensiero abbiamo attivato dei percorsi “Calamaio e sport” in diversi istituti secondari di primo grado della provincia di Reggio Emilia.
Percorsi strutturati in tre giornate-incontro, animate da due educatori e un ragazzo diversabile, partendo da semplici giochi di ruolo utilizzati come attività di presentazione per conoscere i ragazzi e il loro rapporto (esistente o meno) con la pratica sportiva in generale.
Utilizzare lo sport per costruire integrazione partendo dalla possibilità di variare le regole, di adattarle in base alla specificità di ognuno proprio per rendere tutti protagonisti, disabili o meno.
Il compito assegnato ai ragazzi per l’ultima giornata è proprio questo: inventare un gioco con regole “modificabili” per permettere a tutti di poter partecipare, uomini, donne, giovani, anziani, disabili e normodotati. Tutti in gioco e tutti con un obiettivo preciso da perseguire.
La creatività è inventare nuove regole adattabili a chi gioca, non necessariamente adattarsi alle regole prestabilite. E saranno gli studenti in questione i primi a sperimentare questi possibili “nuovi sport”.
E posso assicurarvi che la fantasia dei ragazzi porta alla creazione di giochi spesso strampalati (forse sarebbe più coerente dire assurdi!), a volte modificati durante la prova stessa, ma sempre molto divertenti e soprattutto integrativi, come da obiettivo.
L’ennesima conferma che è possibile tirare fuori la creatività dallo sport, dal gioco e grazie a questa costruire l’integrazione.
Un esempio concreto è quello del baskin, abbreviazione di basket integrato.
Nel novembre scorso abbiamo partecipato a Cremona, città natale di questo nuovo sport, a un corso di aggiornamento per capirne qualcosa di più: il risultato è stato piacevolmente sconvolgente.
Se la storia dello sport ha sempre corso su due binari paralleli (es. giochi olimpici/paraolimpici) il baskin riesce a superare questi cliché mostrandosi in tutto e per tutto come sport integrante.
Il baskin non è uno sport per disabili, è anche uno sport per disabili.
Alcune tra le caratteristiche fondamentali sono quelle che cerca di trasmettere lo stesso “Progetto Calamaio” anche nelle attività al di fuori del discorso sportivo:

  • fare integrazione significa eliminare l’approccio unilaterale, dunque aiutarsi e venirsi incontro;
  • assegnare dei compiti, degli obiettivi, in base alle diverse capacità di ciascuno, in modo da ottenere un contributo da tutti;
  • cooperare, utilizzare lo sport di squadra come funzione socializzante evitando forme di assistenzialismo che possono minare crescita e capacità di migliorare;
  • norme di comportamento, regole chiare e condivise indispensabili per creare la cooperazione di cui parlavamo sopra;
  • incentivare le responsabilità individuali.

Ho fatto questo accenno al baskin perché ritengo personalmente questo sport esemplificativo se vogliamo parlare di integrazione sportiva.
Un altro laboratorio creativo sullo sport al quale ho partecipato è quello sulla lotta danza, un progetto ormai attivo a Bologna da anni.
La lotta-danza è un metodo psicofisico che utilizza il gioco e il contatto fisico guidato per facilitare la comunicazione dell’individuo con se stesso e con gli altri.
La parte che lega questa attività alle altre che ho portato avanti è proprio questa duplice funzione: fare movimento e fare sport, ma senza mai sottovalutare la funzione sociale che lo sport stesso si porta dentro.
Un laboratorio davvero interessante, rivolto anche a ragazzi con gravi deficit cognitivi disposti a mettersi in gioco e “lottare” per raggiungere anche il minimo miglioramento/obiettivo.
Concluso, fra l’altro, con il saggio finale e la conquista di una coppa per i nostri ragazzi…
Ma l’esperienza più significativa portata avanti quest’anno è quella dell’“Atelier motorio” un progetto nato dalla collaborazione tra la nostra cooperativa “Accaparlante” e la polisportiva “Masi” di Casalecchio di Reno.
L’idea era quella di imitare il progetto sopracitato partito a Ghedi, unire persone disabili e normodotate di ogni tipo, persone con le qualità più differenti, tutte insieme per fare giochi, sport, attività fisica, di tutto di più.
Qui mi sono reso conto ancora meglio dell’importanza di quella duplice funzione di cui parlavo sopra, un inizio sempre leggero, un “social time”, partendo dal nostro quotidiano, dai nostri problemi a scuola o nel lavoro fino alle nostre esperienze piacevoli, gli amori, i concerti, gli spettacoli. Poi tutti pronti a sudare con le più creative (a volte perfino improvvisate, viste le specificità degli utenti) e divertenti attività.
Non ci siamo fatti mancare proprio nulla, come in tutti gli ambienti sportivi che si rispettino, dalle urla di gioia per insperati risultati raggiunti fino ai pianti di dolore per imprevisti infortuni muscolari.
Ragazzi che hanno iniziato il corso con naturali dubbi e perplessità e hanno terminato l’anno sportivo (con pizza e birra tutti insieme) chiedendomi quando si sarebbe ripartiti. Una sentenza sulla riuscita di questo innovativo progetto. Una piacevole conferma sul fatto che è possibile integrare, utilizzando lo sport come strumento.
Immagino che testimonianze di questo genere ne avete già lette su “HP-Accaparlante”.
Questa è solo la mia esperienza.
Indispensabile per farmi capire che è possibile trasformare in fatti tante belle parole.