“Jaspers sottolinea come nel concetto di coscienza dell’Io sia presupposta la coscienza del corpo, ossia la capacità di percepire e unificare in un quadro di riferimento significativo una serie di sensazioni. Queste ultime, da un lato, ci forniscono una rappresentazione mentale del nostro corpo, quasi fosse un oggetto visto dall’esterno, dall’altro, evocano in noi un sentimento del nostro ‘essere corporei’, cioè del fatto che solo attraverso la corporeità siamo viventi. In una dinamica psicologica sana, infatti, la coscienza dell’Io non può prescindere da una percezione del corpo.
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Già in questo primo quadro descrittivo della coscienza dell’Io corporeo, osserviamo che essa si estende al di là dei confini somatici propriamente detti, per coinvolgere anche il contesto ambientale e gli oggetti che vi sono presenti e con i quali siamo in relazione.
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Un esponente tra i più significativi della psichiatria contemporanea, R.D. Laing (1959), ha affermato che la ‘sicurezza ontologica primaria’, cioè la capacità di affrontare la vita e le sue difficoltà, come pure di progettare il futuro, deriva e dipende dalla coscienza dell’Io corporeo, ossia da quel modo di sentire il corpo come realtà viva, reale e concreta, da cui non è possibile separarsi senza cessare di esistere.
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L’immagine dell’Io corporeo è soggetta a una continua ristrutturazione, che è dovuta, in parte, alle stimolazioni endogene di tipo psicobiologico e, in parte, alle relazioni sociali e quindi alle modalità di adattamento e di reazione di fronte ad altre immagini corporee, in senso sia concreto-spaziale sia fantastico-emotivo.
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D.W. Winnicott (1948, 1960) ritiene l’acquisizione di uno schema corporeo personale, e quindi di una coscienza del corpo adeguata, un fattore essenziale sia per la capacità di una relazione immediata e di un’analisi adeguata della realtà – ivi inclusa la potenzialità di superare le difficoltà e gli eventuali traumi dello sviluppo – sia, di conseguenza, per la costituzione di un Sé autentico”.
(Estratto da La coscienza dell’Io-corpo di Lucio Pinkus)

La prima parte del laboratorio, nonostante le perplessità iniziali, si è rivelata importante per l’autoconsapevolezza di sé. Come proseguire ora questo significativo percorso? Quali gli obiettivi per non dispere il percorso fatto l’anno precedente? Come si poteva proseguire il percorso intrapreso? Dal lavoro del primo anno era emerso che l’immagine dei disabili partecipanti al laboratorio era falsata, normalizzata dai famigliari. Un’immagine dove tutto è perfetto, dove un braccio piegato diventa magicamente dritto perché “Lo dice la mamma!”. Per riportare i ragazzi su un piano di realtà, con l’aiuto di una psicologa, noi educatori abbiamo deciso di porci come obiettivo, attraverso le attività proposte, di far  riconoscere se stessi nella loro totalità e complessità, con i loro limiti e potenzialità.

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